Introduzione
La recentissima pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, ovvero la sentenza n. 898 del 16 gennaio 2018, seguita dalla pronuncia pressoché analoga n. 1653/2018, emessa pochi giorni dopo la prima, riguardante i contratti-quadro “monofirma” regolati dall’art. 23 del D.lgs. 24/2/1998 n. 58 (T.U.F.), vale a dire i contratti-quadro recanti la sola sottoscrizione del cliente, ha segnato un mutamento radicale rispetto a quello che era stato l’orientamento prevalente della Corte di Cassazione su tale argomento.
La Suprema Corte, infatti, si era pronunciata più volte in merito alla questione in esame sancendo la nullità dei contratti-quadro monofirma. Ex multis: “L’art. 23 del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 stabilisce che i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento debbano essere redatti per iscritto a pena di nullità. La forma scritta, quando è richiesta ad substantiam, è elemento costitutivo del contratto, nel senso che il documento deve essere l’estrinsecazione formale e diretta della volontà delle parti di concludere un determinato contratto avente una data causa, un dato oggetto e determinate pattuizioni, sicché occorre che il documento sia stato creato al fine specifico di manifestare per iscritto la volontà delle parti diretta alla conclusione del contratto. In applicazione di detto principio il contratto quadro portante la firma del solo cliente è nullo in ragione dell’inammissibilità della convalida del contratto nullo ex 1423 c.c. e non valgono a convalidarlo i documenti esecutivi dello stesso (contabili, conferme di eseguito ecc.), indipendentemente dalla verifica dello specifico contenuto e della sottoscrizione di dette scritture” (Cfr. Cass. n. 5919/2016)
L’ampia e complessa motivazione della sentenza sopracitata seguiva ad un orientamento pressoché consolidato che affermava, per l’appunto, la nullità del contratto–quadro qualora il relativo modulo fosse stato sottoscritto solo dall’investitore. Più in particolare, la Suprema Corte di Cassazione era giunta a sostenere che la nullità in questione, quale nullità di protezione, potesse essere sollevata dal solo investitore e si era spinta ad affermare che potesse essere fatta valere “anche limitatamente ad alcuni degli ordini d’acquisto a mezzo dei quali è stata data esecuzione” (Cfr. Cass. n. 8395/2016)[1]
In senso difforme, infatti, si ravvisavano soltanto due pronunce isolate della Corte di Cassazione (Cass. n. 4564/2012 e Cass. n. 17740/2015), tanto che la questione in esame era stata portata all’attenzione delle Sezioni Unite come questione di massima di particolare importanza ex art. 374, comma 2, c.p.c., e non per dirimere un contrasto tra sezioni semplici o all’interno della stessa sezione.
Cenni sulla funzione della sottoscrizione nei contratti formali
Con l’ordinanza n. 10447 del 27.4.2017 la Prima Sezione della Corte di Cassazione aveva rimesso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite la decisione circa la necessità, ai fini della validità del contratto-quadro di negoziazione titoli, della firma dell’intermediario finanziario, oltre che di quella dell’investitore. Dall’analisi dell’ordinanza in esame, invero, emerge che benché nella giurisprudenza di legittimità vi fosse una netta prevalenza dell’impostazione che reputa nullo il contratto privo della firma dell’intermediario, nella dottrina e nella giurisprudenza di merito si erano registrati taluni contrasti.
Ebbene, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno risolto i detti contrasti puntando l’accento sulla distinzione tra le nullità strutturali e le nullità funzionali, nonché tra le nullità assolute e quelle relative.
Infatti, si legge nella sentenza in esame che non tutte le prescrizioni di forma sono uguali: “Se la forma ad substantiam, nella sua solennità propria degli scambi immobiliari tipici dell’economia fondiaria, funge, nell’ambito dei rapporti paritari, da criterio d’imputazione della dichiarazione, oltre che servire a favorire – a tutela di entrambi i contraenti – i beni della chiarezza nei contenuti, della ponderazione per l’impegno assunto e della serietà dell’accordo, nonché a distinguere le mere trattative dall’atto definitivo, occorre poi pur riflettere sul fatto che, invece, laddove le parti non si trovino su di un piano di parità perché si ravvisa una “parte debole” del rapporto, a scongiurare il rischio dell’insufficiente riflessione o dell’approfittamento ad opera dell’altro contraente interviene, allora, la forma, o formalità “di protezione”: il cui fine precipuo è proprio quello di proteggere lo specifico interesse del contraente “debole” a comprendere ed essere puntualmente e compiutamente informato su tutti gli aspetti della vicenda contrattuale.”
In breve, il formalismo negoziale (o neoformalismo) a cui si assiste negli ultimi tempi con precipuo riferimento ai contratti caratterizzati da asimmetrie informative (si pensi ai contratti del consumatore, oltre che a quelli propri dell’intermediazione finanziaria) sarebbe finalizzato alla tutela della parte “debole”. Pertanto, la nullità che deriva dalla violazione dei precetti sulla forma, in questi contratti, persegue finalità eminentemente protettive. Si parla, dunque, di “nullità di funzione”, anziché di “nullità di struttura”.
La conseguenza di tale impostazione è che se la nullità è funzionale alla tutela del diritto dell’investitore di avere le informazioni necessarie, tanto che lui è l’unico soggetto legittimato a farla valere, tale esigenza risulterebbe soddisfatta dalla sola firma del cliente stesso.
L’impostazione opposta – che richiede la firma dell’intermediario ai fini della validità del contratto – risulta, come già si è detto sopra, sostenuta da numerose e recenti pronunce della Corte di Cassazione (Cass. 14.03.2017, n. 6559 Cass. 24.03.2016, n. 5919; Cass. 11.04.2016, n. 7068; Cass. 27.04.2016, n. 8395; Cass. 27.04.2016, n. 8396; Cass. 19.05.2016, n. 10331; Cass. 03.01.2017, n. 36) e di numerosa giurisprudenza di merito (Corte d’Appello Bologna 13.01.2017, n. 89; Corte d’Appello di Milano 19.04.2017, n. 1680; Trib. Rimini, Ord. 02.02.2012).
La giurisprudenza sopracitata, pur riconoscendo che nella materia finanziaria e bancaria l’onere della necessaria forma scritta dei contratti sia imposta a fini protettivi, ritiene nondimeno necessaria la sottoscrizione da parte della banca. Il che non è incompatibile con la formazione del contratto attraverso lo scambio di due documenti, entrambi del medesimo tenore, ciascuno sottoscritto dall’altro contraente, a condizione che entrambe le dichiarazioni negoziali siano formalizzate. Una qualunque manifestazione scritta e diretta a controparte dell’intento di avvalersi del contratto, non riproducendo per intero il contenuto del contratto, non è idonea a evitare la violazione dell’art. 23 TUF.
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Le Sezioni Unite, contrariamente ad ogni aspettativa stante l’orientamento consolidato delle sezioni semplici, si sono pronunciate statuendo il seguente principio di diritto:
“Il requisito della forma scritta del contratto-quadro relativo ai servizi di investimento, disposto dall’art. 23 del d.lgs. 24/2/1998, n. 58, è rispettato over sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore, non necessitando la sottoscrizione anche dell’intermediario, il cui consenso ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti” (Cfr. Cassazione Civile, Sez. Un., 16 gennaio 2018, n. 898).
Il medesimo principio di diritto è stato affermato anche nella pronuncia successiva delle Sezioni Unite n. 1653/2018.
La ratio dell’art. 23 T.U.F.: Le Nullità di struttura e le Nullità di funzione
Le Sezioni Unite, nella motivazione alla citata sentenza si sono soffermate in particolare su un’interpretazione innovativa della ratio sottesa alla norma di cui all’art. 23 T.U.F., affermando che la funzione di tale nullità è quella di assicurare che l’investitore sia posto nella posizione di “conoscere e di poter all’occorrenza verificare nel corso del rapporto le modalità di esecuzione e le regole che riguardano la vigenza del contratto, che è proprio dello specifico settore del mercato finanziario”. In altri termini, ciò che prevale è lo scopo e/o la finalità della norma.
In tal senso si legge nella sentenza in esame che “il vincolo di forma previsto dal legislatore” va inteso “secondo quella che è la funzione propria della norma e non automaticamente richiamando la disciplina generale sulle nullità”.
La norma di cui all’art. 23 TUF va, dunque, letta con interpretazione funzionale, che tenga conto cioè della funzione di tutela dell’interesse particolare dell’investitore, unico soggetto legittimato a poter far valere la nullità.
Le nullità di struttura e le nullità di funzione
All’esito di tale interpretazione, la sottoscrizione dell’intermediario risulta requisito formale non utile ed eccedente lo scopo e la ratio della previsione formale, mentre una diversa lettura (cioè, non funzionale) renderebbe “sproporzionata” la stessa previsione della nullità per difetto di forma.
Tradizionalmente (ex artt. 2702, 1350 e 1418 cc), infatti, alla sottoscrizione del contratto si attribuiscono due funzioni, una che ha riguardo alla struttura del contratto, vale a dire all’attribuibilità dello stesso a chi lo ha sottoscritto, e l’altra, concernente la funzione del contratto, ovvero l’accordo stipulato tra le parti.
La normativa civilistica, di cui agli artt. 1350 e 1418 cc, pone la forma scritta sul piano della struttura quale elemento costitutivo del contratto, e non prettamente sul piano della funzione.
Stante la finalità e la specificità della disciplina di cui all’art. 23 T.U.F., le Sezioni Unite hanno ritenuto “assorbito l’elemento strutturale della sottoscrizione di quella parte, l’intermediario, che, reso certo il raggiungimento dello scopo normativo con la sottoscrizione del cliente sul modulo contrattuale predisposto dall’intermediario e la consegna dell’esemplare della scrittura in oggetto, non verrebbe a svolgere alcuna specifica funzione”.
Secondo le Sezioni Unite, invero, allorquando si dovesse ravvisare la nullità del contratto-quadro per mancanza della sottoscrizione da parte dell’intermediario finanziario si rischierebbe di addivenire a decisioni contrarie al principio di proporzionalità. La nullità, infatti, può essere fatta valere solo dall’investitore e si palesa quale sanzione per l’intermediario. Qualora la stessa nullità dovesse essere ravvisabile semplicemente per mancanza della sottoscrizione da parte dell’intermediario, dunque, si rischierebbe di pervenire ad un risultato sproporzionato rispetto alla funzione a cui la forma è preordinata nella previsione di cui all’art. 23 T.U.F..
Appare, tuttavia, opportuno rilevare che, a differenza di quanto si legge nelle precedenti pronunce della Corte di Cassazione sopracitate, nella motivazione della sentenza in esame l’art. 23 del D.lgs. n. 58/1998 non è accomunato all’art. 117 T.U.B., conducendo l’interprete a supporre che l’interpretazione operata dalle Sezioni Unite in tema di contratti finanziari non debba applicarsi qualora si verta in tema di contratti bancari, quali, ad esempio, i contratti di credito in conto corrente bancario o i contratti di apertura di credito in conto corrente e similari.
Ed effettivamente, le norme di cui agli artt. 23 T.U.F. e 117 T.U.B. venivano interpretate in maniera analoga da costante giurisprudenza stante l’analogia che presentano nella formulazione letterale.
L’art. 23 T.U.F., invero, recita:
“1. I contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento, e, se previsto, i contratti relativi alla prestazione dei servizi accessori, sono redatti per iscritto, in conformità a quanto previsto dagli atti delegati della direttiva 2014/65/UE, e un esemplare è consegnato ai clienti. La Consob, sentita la Banca d’Italia, può prevedere con regolamento che, per motivate ragioni o in relazione alla natura professionale dei contraenti, particolari tipi di contratto possano o debbano essere stipulati in altra forma, assicurando nei confronti dei clienti al dettaglio appropriato livello di garanzia. Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo (1).
- È nulla ogni pattuizione di rinvio agli usi per la determinazione del corrispettivo dovuto dal cliente e di ogni altro onere a suo carico. In tali casi nulla è dovuto.
- Nei casi previsti dai commi 1 e 2 la nullità può essere fatta valere solo dal cliente […]”.
Analogamente, l’art. 117 T.U.B. stabilisce che:
“1. I contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti.
2. Il CICR può prevedere che, per motivate ragioni tecniche, particolari contratti possano essere stipulati in altra forma.
3. Nel caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo […].”
Le differenti tipologie di nullità disciplinate dall’art. 23 TUF e dall’art. 117 TUB: Le nullità relative e le nullità assolute
Risulta evidente l’analogia delle discipline per ciò che concerne il requisito della forma scritta e la consegna della copia al cliente a pena di nullità; tuttavia, appare doveroso evidenziare che nel Testo Unico Bancario, all’art. 117 non vi è alcun riferimento alla questione processuale riguardo il soggetto legittimato a far valere tale nullità in giudizio.
Per contro, la legittimazione processuale in tema di nullità del contratto bancario è disciplinata all’art. 127 T.U.B. che, al comma 2, n.2, stabilisce che: “Le nullità previste dal presente titolo operano soltanto a vantaggio del cliente e possono essere rilevate d’ufficio dal giudice”.
Appare doveroso ricordare che “il presente titolo” a cui fa riferimento l’articolo 127 T.U.B. risulta essere il Titolo IV del Testo Unico Bancario, nel quale si annovera anche l’art. 117 T.U.B. e, pertanto, le nullità per cui l’art. 127 T.U.B. prevede la rilevabilità d’ufficio riguardano, senz’altro, le nullità previste dall’art. 117 T.U.F. in tema di contratti bancari per i quali è prevista la forma scritta ab substantiam.
Le nullità relative e le nullità assolute
Benché in entrambi i casi disciplinati dal TUF e dal TUB si tratti di nullità di protezione poste a tutela del contraente debole, dunque, le nullità previste dal T.U.F. risultano essere nullità relative, eccepibili solo su istanza di parte, mentre quelle previste dal T.U.B. assurgono a nullità assolute, in quanto sono rilevabili anche d’ufficio dal giudice e, dunque, a differenza di quelle relative, quest’ultime non sono sanabili.
Le nullità di protezione, ampiamente previste anche dal Codice del Consumo (d.lgs. n. 206/2005), si collocano tra i rimedi finalizzati a garantire la tutela del consumatore e consistono in un rimedio posto a presidio del contenuto minimo ed inderogabile del contratto concluso dal consumatore volto a contrastare l’introduzione di clausole abusive, con la conseguente inefficacia della parte del regolamento contrattuale o della singola clausola contra legem.
La differente disciplina in materia di nullità relative e nullità assolute andrebbe, tuttavia, estesa anche allorquando si verta in tema di nullità di protezione.
Non a caso, le stesse Sezioni Unite, nella pronuncia in esame, hanno qualificato le nullità previste dal T.U.F. come nullità relative ed hanno statuito che: “ove venga istituita dal legislatore una nullità relativa, come tale intesa a proteggere in via diretta ed immediata non un interesse generale, ma anzitutto l’interesse particolare, l’interprete deve essere attento a circoscrivere l’ambito della tutela privilegiata nei limiti in cui viene davvero coinvolto l’interesse protetto dalla nullità, determinandosi altrimenti conseguenze distorte o anche opportunistiche”.
La qualificazione delle nullità ex art. 23 T.U.F. come nullità relative va, presumibilmente, ad accentuare la differenziazione, sotto il profilo della sanabilità, delle stesse dalle nullità previste dal T.U.B., che emergono, a fronte della disciplina processuale dettata dall’art. 127 T.U.B., come nullità assolute.
La Corte di Cassazione, peraltro, ha affermato che “La rilevabilità ufficiosa delle nullità negoziali deve estendersi anche a quelle cosiddette di protezione, da configurarsi, alla stregua delle indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia, come una species del più ampio genus rappresentato dalle prime, tutelando le stesse interessi e valori fondamentali – quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 cost.) e l’uguaglianza almeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 cost.) – che trascendono quelli del singolo. Il rilievo officioso delle nullità di protezione – peraltro – opera in funzione del solo interesse del contraente debole, ovvero del soggetto legittimato a proporre l’azione di nullità, in tale modo evitando che la controparte possa – se vi abbia interesse – sollecitare i poteri officiosi del giudice per un interesse suo proprio, destinato a rimanere fuori dall’orbita della tutela” (Cass. n. 923/2017; Vedi anche: Cass. S.U. n. 26242/2014; Cass. S.U. n. 14828/2012; Cass. n. 17257/2013).
L’interesse particolare e l’interesse generale protetto
Nella predetta pronuncia, dunque, la Corte di Cassazione ha statuito che le nullità di protezione sono poste a tutela di valori fondamentali, di rango costituzionale.
Le stesse, peraltro, non possono considerarsi sanabili, ovvero non sussistenti, ove siano qualificabili come nullità assolute in quanto, se si affermasse il contrario, si andrebbe a confliggere con il concetto stesso di nullità assoluta, così come previsto dall’art. 157 c.p.c.
Le nullità assolute di protezione previste dal T.U.B. vanno qualificate, quindi, come nullità intese a proteggere un interesse generale, a differenza di quelle ex art. 23 T.U.F. che, in quanto nullità relative, sono volte a proteggere l’interesse particolare del cliente.
A rigor di logica, non è, pertanto, estendibile alle nullità previste dal T.U.B. il principio di diritto affermato dalle SS.UU. con la sentenza n. 898/18 in commento perché tale principio di diritto è afferente soltanto le nullità previste dal T.U.F..
Emerge, dunque, chiaramente l’inapplicabilità ai contratti bancari del principio secondo cui i contratti-quadro “monofirma” non sono nulli.
La lettera dell’art. 23 TUF che esclude l’applicabilità del TUB
Lo stesso articolo 23 T.U.F., peraltro, al quarto comma, stabilisce che “Le disposizioni del titolo VI, capo I, del T.U. Bancario non si applicano ai servizi di investimento né al servizio accessorio previsto dall’articolo 1, comma 6, lettera f)”.
Tra le disposizioni del Titolo VI, capo I, del T.U.B. si annovera proprio l’art. 117 T.U.B..
Sarebbe, dunque, la stessa lettera dell’art. 23 T.U.F. a sancire una distinzione insuperabile tra la disciplina in esame e quella prevista dall’art. 117 T.U.B. e, conseguentemente, anche in relazione alle nullità previste dai due articoli in questione.
In virtù di quanto espressamente stabilito dall’art. 23 T.U.F., ai contratti finanziari non si applicano le norme concernenti i contratti bancari.
Il principio di diritto espresso dalle SS.UU. in relazione all’art. 23 T.U.F. non si può, dunque, applicare a contratti disciplinati da norme diverse e, peraltro, regolati da una disciplina che risulta essere esplicitamente esclusa dalla norma stessa. Altrimenti, si andrebbe a confliggere con il dettato letterale della norma in esame sull’interpretazione della quale, appare appena opportuno ricordare, si fonda l’intera pronuncia delle Sezioni Unite.
La forma libera degli ordini di investimento e la natura non patrimoniale dei contratti-quadro
Risulta, infine, doveroso evidenziare che la Corte di Cassazione, anche nelle sue pronunce antecedenti ha implicitamente stabilito una distinzione tra contratti-quadro d’intermediazione finanziaria e contratti bancari, in quanto, nonostante il consolidato orientamento giurisprudenziale riguardo la nullità del contratto-quadro per difetto di forma, la Cassazione aveva più volte sancito che “i singoli ordini di investimento, accertata la sottoscrizione e validità del contratto quadro e l’assenza di particolari forme previste dallo stesso, pur avendo natura negoziale, possono esser dati in forma libera. L’obbligo della forma scritta a pena di nullità del contratto stabilito all’art. 23 d.lgs. n.58/1998 è previsto solo per il contratto quadro” (Cfr. Cass. n. 2816/2016; V. anche Cass. n. 384/2012).
Lo stesso principio, invero, non è stato ribadito dalla Suprema Corte per quanto concerne i contratti bancari stipulati ai sensi dell’art. 117 T.U.B., in quanto la forma scritta richiesta ab substantiam per tali contratti (come ad esempio, per il contratto di apertura di credito in conto corrente), è imposta, a pena di nullità, rilevabile d’ufficio dal Giudice, ai sensi dell’art. 127 T.U.B. e, generalmente, contraddistingue anche le ulteriori operazioni di natura negoziale che da esso discendono.
In conclusione, si può affermare che le Sezioni Unite, nell’affermare il sopracitato principio di diritto riguardante la validità dei contratti-quadro di intermediazione finanziaria “monofirma”, non hanno affatto inteso pronunciare il medesimo principio anche in merito ai contratti bancari disciplinati all’art. 117 T.U.B..
Le Sezioni Unite, infatti, nell’ampia motivazione della recentissima pronuncia in commento hanno fatto riferimento soltanto all’art. 23 T.U.F., la cui ratio è, peraltro, posta alla base dell’innovativa interpretazione di cui s’è detto.
Le marcate differenze di disciplina dei due articoli di legge, nonostante le similitudini letterali in essi rilevabili, che avevano condotto la precedente giurisprudenza ad accomunarli, trovano giustificazione sia nella stessa lettera dell’art. 23, quarto comma, T.U.F., sia nella rilevabilità d’ufficio delle nullità previste dall’art. 127 T.U.B..
Queste ultime assurgono, pertanto, a nullità assolute, a differenza di quelle previste dal T.U.F. che, essendo sollevabili in giudizio solo su istanza del cliente, risultano, così come le definiscono le stesse Sezioni Unite, “nullità relative”.
La natura non patrimoniale dei contratti-quadro
È bene sottolineare, infine, che i contratti-quadro nell’ambito degli investimenti finanziari, non hanno natura patrimoniale, atteso che si limitano a dettare le regole dei futuri atti esecutivi, cioè dei singoli atti di investimento, che – per giunta – sono a forma libera. Sono questi ultimi, e non i primi, ad aver un contenuto patrimoniale.
Diversamente, i contratti bancari di cui all’art. 117 TUB hanno tutti un immediato e diretto contenuto patrimoniale. Il che giustifica la differente disciplina dettata dall’art. 117 TUB.
Ad ulteriore riprova di quanto sostenuto nel presente lavoro, appare, dunque, doveroso ricordare che proprio in tema di contratti bancari, la stessa Cassazione ha recentemente affermato che “il modulo con il quale la banca comunica l’intervenuta apertura di un conto corrente si configura, ove privo della sua sottoscrizione, come un mero atto ricognitivo dell’avvenuta stipula di tale contratto ed è, quindi, inidoneo, in mancanza di documenti sottoscritti da entrambe le parti, ad integrare la forma scritta “ad substantiam” richiesta dall’art. 117 del d.lgs. n. 385 del 1993, a nulla rilevando che la banca l’abbia prodotto in giudizio, posto che, nei contratti per i quali la forma scritta è richiesta “ad substantiam”, la produzione in giudizio della scrittura da parte del contraente che non l’ha sottoscritta realizza un equivalente della sottoscrizione e, quindi, il perfezionamento del contratto, ma con effetto “ex nunc” e non “ex tunc” (Corte di Cassazione, Sezione 1 civile Sentenza 3 gennaio 2017, n. 36).
Conclusioni
In conclusione, da qualsiasi profilo si voglia esaminare la questione, bisogna escludere che i contratti-quadro “monofirma”, regolati dal Testo Unico della Finanza, siano assimilabili ai contratti “monofirma” disciplinati dal Testo Unico Bancario, sia per ragioni d’ordine letterale e semantico, come ad esempio l’espressa esclusione dell’applicazione del TUB ai contratti finanziari sancita dall’art. 23 TUF, sia per la differente natura giuridica della nullità regolata dall’art. 23 TUF, rispetto a quella regolata dall’art. 127 TUB. Quest’ultima, infatti, è stata espressamente configurata dal legislatore come nullità di protezione assoluta, rilevabile d’ufficio dal giudice, non sanabile, perché a tutela di interessi generali e costituzionalmente garantiti, come il corretto funzionamento del mercato (art. 41 cost.) e l’uguaglianza formale tra contraenti forti e contraenti deboli (art. 3 cost.), cioè di valori fondamentali a presidio di contratti a contenuto patrimoniale, come quelli bancari. La prima, invece, è stata qualificata dal legislatore come una nullità di protezione relativa e, in quanto tale, sanabile, perché a presidio di interessi particolari.
[1] “Nel contratto di intermediazione finanziaria, la produzione in giudizio del modulo negoziale relativo al contratto quadro sottoscritto solo dall’investitore non soddisfa l’obbligo della forma scritta “ad substantiam” imposto, a pena di nullità, dall’art. 23 d.lgs. n. 58 del 1998 e, trattandosi di una nullità di protezione, la stessa può essere eccepita dall’investitore anche limitatamente ad alcuni degli ordini d’acquisto a mezzo dei quali è stata data esecuzione” (Cfr. Cass. n. 8395/2016; V. ANCHE: Cass. n. 3623/2016; Cass. n. 7068/2016; Cass. n. 8396/2016; Cass. n. 10331/2016)
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