Conflitto di attribuzioni tra i poteri dello Stato

Luca Passarini 19/12/18
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Il coordinamento informativo tra le forza dell’ordine non può essere lesivo delle attribuzioni costituzionali del Pubblico Ministero

SOMMARIO: Abstract; 1. Il fatto; 2. Il ragionamento della Corte Costituzionale; 3. La decisione

La Corte Costituzionale si è pronunciata perché il coordinamento informativo tra Forze di polizia -come si legge nella sentenza testé citata- rimanga sempre distinto da quello investigativo, trattandosi di funzioni che la legislazione ordinaria non può confondere o sovrapporre.

Principio questo che è giunto a conclusione di un un giudizio sui conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato; conflitto ammesso dalla Corte costituzionale e che nel caso concreto è stato accertato quale lesivo della sfera di attribuzioni costituzionali del Pubblico ministero, qualora si mantenessero gli obblighi di trasmissione di notizie relative alle indagini, in capo alla polizia giudiziaria e in favore di superiori gerarchici privi della qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria in deroga al segreto investigativo come previsto dall’art. 18, comma 5, del Decreto Legislativo 19 agosto 2016, n. 177. La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione e al termine del giudizio ha annullato la disposizione citata, là dove prevedeva che i vertici delle Forze di polizia «adottano apposite istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale».

1. Il fatto sentenza 229/2018 della Corte Costituzionale

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, con ricorso del luglio 2017 aveva promosso di fronte alla Corte Costituzionale conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato per violazione degli articoli 76, 109 e 112 della Costituzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, impugnando l’art. 18, comma 5, del Decreto Legislativo 19 agosto 2016, n. 177, recante «Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia…» norma che testualmente prevedeva: «[…] al fine di rafforzare gli interventi di razionalizzazione volti ad evitare duplicazioni e sovrapposizioni, anche mediante un efficace e omogeneo coordinamento informativo, il capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza e i vertici delle altre Forze di polizia adottano apposite istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato, trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale».

Disposizione questa che, ad avviso del ricorrente, avrebbe leso competenze costituzionali degli organi requirenti, violando il segreto investigativo disposto dall’art. 329 Codice di procedura penale, con riferimento al principio di obbligatorietà dell’azione penale, ex articolo 112 Costituzione (per la stretta correlazione esistente tra azione penale obbligatoria e segretezza delle indagini), nonché in relazione alla statuizione della diretta dipendenza della polizia giudiziaria dall’autorità giudiziaria affermata dall’articolo 109 Costituzione.

La Corte Costituzionale ha ritenuta pacifica la legittimazione attiva del Procuratore della Repubblica quale ricorrente e quella passiva del Presidente del Consiglio dei ministri quale resistente. Infatti in base alla giurisprudenza costituzionale già consolidata il conflitto di attribuzione in relazione ad una norma «recata da una legge o da un atto avente forza di legge» risulterebbe ammissibile tutte le volte in cui da essa «possono derivare lesioni dirette dell’ordine costituzionale delle competenze», ad eccezione dei casi in cui esista un giudizio nel quale la norma debba trovare applicazione e quindi possa essere sollevata la questione incidentale sulla legge. Ragionamento quindi che privilegia la questione di legittimità per sindacare una norma primaria e che, solo qualora questo meccanismo non possa trovare applicazione, consente anche al giudizio sui conflitti di attribuzione di giungere allo stesso risultato.

2. Il ragionamento della Corte Costituzionale

La Corte, accogliendo il ricorso, da un lato ribadisce la natura di potere dello Stato del pubblico ministero, e in particolare del Procuratore della Repubblica in quanto autorità giudiziaria che dispone direttamente della polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 109 Cost., e perciò titolare delle attività d’indagine finalizzate all’esercizio obbligatorio dell’azione penale in virtù dell’art. 112 Cost; dall’altro statuisce definitivamente che un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato ben può essere originato anche dall’approvazione di un atto avente valore di legge. La giurisdizione costituzionale sui conflitti tra poteri si fonda, infatti, in primo luogo, sulla natura dei soggetti che confliggono e sulle competenze costituzionali che essi difendono in giudizio, come è evidenziato nella stessa sentenza. Già, infatti in altre pronunce, la Corte aveva avuto modo di precisare che l’ammissibilità del ricorso per conflitto su atto legislativo è altresì subordinata alla circostanza che la lesione delle attribuzioni costituzionali non possa essere rilevata, sotto forma di eccezione di legittimità costituzionale nel giudizio in via incidentale, proprio dal soggetto direttamente interessato

La Corte Costituzionale, oltre ad accogliere il ricorso e a dichiarare l’ammissibilità del conflitto sia sotto il profilo soggettivo (dei legittimati), sia sotto il profilo oggettivo (degli atti, in questo caso legislativi, impugnati) ha dichiarato non fondate le eccezioni d’inammissibilità del conflitto proposte dall’Avvocatura dello Stato a difesa del resistente per carenza di motivazione e per mancanza di lesione attuale, concreta e diretta delle proprie competenze.

La Corte allora si concentra sui parametri assunti dal ricorrente per dimostrare lesione delle proprie funzioni costituzionali, scartando la più debole violazione dell’articolo 76 Costituzione ad opera dell’articolo 18, comma 5, del decreto legislativo 177 del 2016, riguardando i rapporti tra legge delega e decreto legislativo delegato, la norma impugnata attiene al corretto atteggiarsi del sistema delle fonti del diritto. Mentre ritiene il ricorso fondato, essendo stata lesa la sfera di attribuzioni costituzionali del ricorrente delineata dall’art. 109 Costituzione.

Alla luce quindi di questo parametro, la previsione, a carico degli ufficiali di polizia giudiziaria, di un obbligo informativo ai propri superiori gerarchici in ordine all’inoltro di notizie di informative di reato all’autorità giudiziaria pone in primo luogo la questione del rapporto tra tale obbligo e la disciplina contenuta nell’art. 329 codice di procedura penale, in tema di segreto investigativo. Il segreto investigativo è allora strumentale al più efficace esercizio dell’azione penale

Nonostante ciò la disposizione impugnata disciplina senza dubbio interessi meritevoli di tutela, così come lo sono, sul versante delle indagini condotte dall’autorità giudiziaria, le esigenze relative all’efficace conduzione delle investigazioni e alla diretta disponibilità della polizia giudiziaria. È allora ormai chiaro come gli interessi sottesi alla norma impugnata siano da bilanciare con la sfera costituzionale dell’autorità giudiziaria, un bilanciamento tra interessi e principi potenzialmente confliggenti.

Il ragionamento della Corte continua, asserendo come le importanti esigenze di coordinamento informativo e di razionale organizzazione sul territorio delle Forze di polizia, in funzione di tutela della sicurezza, meritino una disciplina attenta alla protezione di tutti gli interessi potenzialmente confliggenti, non già una regolamentazione dai tratti incerti. Il coordinamento informativo e quello organizzativo non coincidono infatti con quello investigativo. Si tratta di funzioni diverse, che la legislazione ordinaria non può confondere o sovrapporre, a prezzo di violare il sistema costituzionale.

3. La decisione

Alla luce di questi difetti legislativi che determinano la trasformazione di un legittimo coordinamento informativo e organizzativo in una lesione delle attribuzioni dell’autorità giudiziaria, la Corte Costituzionale ha dichiarato lo scorso 7 novembre 2018 che non spettava al Governo adottare l’articolo 18, comma 5, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, e conseguentemente ha annullato tale disposizione.

È allora questo un tipico giudizio della Corte Costituzionale che dimostra ancora una volta l’importanza irrinunciabile dello strumento del bilanciamento, proficuamente applicato tra le funzioni di coordinamento informativo e organizzativo e il rispetto del delicato equilibrio delineato dall’articolo 109 Costituzione per risolvere il conflitto di attribuzioni presentatole.

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