Concorso di persone nel reato di autoriciclaggio: la questione al vaglio della giurisprudenza

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Introduzione

Il rapporto tra concorso eventuale di persone e reato di autoriciclaggio si snoda attorno alla seguente questione: la possibilità per l’extraneus di concorrere nel reato di autoriciclaggio, ossia la configurabilità plurisoggettiva della condotta tipica descritta dalla norma.

Il problema si focalizza sulla peculiarità del tipo di reato, caratterizzato dalla necessaria presenza di una specifica qualitas in capo all’autore della condotta di riciclaggio, ossia l’essere stato anche autore o concorrente nel reato presupposto.

Tale aspetto comporta legittimi dubbi circa la partecipazione a titolo di concorso di un soggetto terzo che, pur realizzando una condotta tipica o atipica nel reato in questione eziologicamente collegata all’evento, non possiede la qualifica richiesta, non essendo l’autore del reato-fonte.

La soluzione della questione impone quindi di scandagliare dapprima la struttura e i presupposti della fattispecie concorsuale di cui all’art.110 c.p., con particolare riferimento all’art.117 c.p., concernente l’ipotesi del mutamento del titolo del reato per taluno dei concorrenti, posto che essa è riferita al concorso in reato proprio.

In secondo luogo, sulla base delle coordinate in materia di concorso, appare necessario indagare circa la concorribilità o meno del delitto di cui all’art.648 ter.1 c.p., dovendosi verificare se la condotta ivi descritta, all’apparenza integrante un reato proprio, possa incidere sull’applicazione degli artt.110-117 c.p.

 

Concorso eventuale ex art.110 c.p. e mutamento del titolo del reato ex art.117 c.p.

Il concorso di persone eventuale trova la propria disciplina positiva nell’art.110 c.p.

La norma stabilisce che quando più persone concorrono nel medesimo reato ciascuna di esse soggiace alla pena per esso stabilita.

Il legislatore non conferisce una definizione di concorso, ma si limita a stabilire quale dovrà essere il regime sanzionatorio da applicare a ciascuno dei concorrenti nel fatto di reato.

Il maggior problema che pone la fattispecie in questione è quello di individuare un criterio in forza del quale giustificare la punibilità di una serie di condotte, attive o omissive, che non sempre si rivelano idonee ad integrare la fattispecie criminosa che viene a realizzarsi.

Il dato letterale consente all’interprete di evincere una scelta del legislatore del 1930 nettamente distante rispetto al previgente Codice Zanardelli del 1889.

Quest’ultimo aveva infatti optato per una soluzione c.d. della responsabilità differenziata, tipizzando i vari ruoli anche atipici assunti da concorrenti, dando così vita a una pluralità di fattispecie plurisoggettive aventi un nucleo materiale in comune.

In tal modo venivano individuate varie forme di responsabilità dei concorrenti, diversificate dal punto di vista soggettivo e dunque del trattamento sanzionatorio.

Il Codice Rocco del 1930 invece ha optato per una differente soluzione, incardinata proprio nell’art.110 c.p., la quale si incentra su un appiattimento delle varie forme di responsabilità che trovano la loro giustificazione nella tipizzazione causale dell’illecito, riducendo la fattispecie concorsuale a tutte le condotte eziologicamente legate all’evento.

Non si ricorre quindi a un modello dell’accessorietà, promosso da parte della risalente dottrina, caratterizzato da una serie di condotte che accedono a quella principale, ma che impediscono di poter ricondurre al concorso l’esecuzione frazionata del reato.

Non si ha nemmeno un sistema improntato al fascio di reati plurisoggettivi, ove si pretende che i singoli concorrenti pongano in essere tutti gli elementi costitutivi dell’unico nucleo materiale del fatto, poiché in questo caso non si valorizzerebbero affatto le forme di partecipazione atipica che, in se considerate, sarebbero prive di rilevanza penale.

Si opta piuttosto per un modello di parificazione o livellamento causale della responsabilità secondo cui, stando alla lettera dell’art.110 c.p., darebbe vita a uno svilimento totale dei ruoli assunti dai concorrenti, in luogo di una equiparazione radicale di tutte le responsabilità.

Ciò che si viene a creare per mezzo della suddetta disciplina è una tipizzazione, indifferente dal punto di vista oggettivo rispetto ai ruoli assunti dai concorrenti, la quale, a prescindere dalla possibile atipicità delle condotte rispetto al nucleo contrale del reato, si realizza mediante il combinato disposto dell’art.110 c.p. e della fattispecie di parte speciale che volta per volta viene in essere.

Non di meno, vi sono norme come l’art.114 c.p. che recuperano le diversificazioni tra gli apporti causali dei concorrenti, dando rilevanza al “contributo di minima importanza” di taluno di essi. Questa fattispecie consente di individuare una soglia minima di responsabilità ricorrendo ai criteri di cui all’art.56 c.p. ossia la soglia del tentativo.

In ciò si ravvisa, se non la rottura del ricorso al solo meccanismo di imputazione causale, quanto meno una sua attenuazione, volta a recuperare il principio della colpevolezza di cui all’art.27 Cost.

L’elemento soggettivo in materia di concorso eventuale, da cui non si può prescindere, pone altrettante se non maggiori perplessità.

La questione origina innanzi tutto dal mai sopito dibattito circa l’unicità o la pluralità del titolo del reato, richiedendosi nel primo caso medesimezza dell’elemento psicologico, nel secondo anche una pluralità di elementi psicologici.

La soluzione preferibile, in ossequio alla tesi monistica del reato concorsuale, è quella della possibile diversificazione degli elementi psicologici tra i vari concorrenti.

Vieppiù se, ritenendo ammissibile il concorso anche qualora uno dei concorrenti sia privo di colpevolezza ex art.111 c.p. ovvero nel caso di autore mediato, a fortiori si deve ritenere che i vari concorrenti possano avere diversi atteggiamenti psicologici.

In definitiva, dalla volontà del legislatore del ’30 si possono evincere dei requisiti basilari necessari ai fini della configurazione della fattispecie concorsuale, ovvero la pluralità di agenti, la realizzazione di un fatto materiale di reato non essendo sufficiente il mero accordo a commetterlo ai sensi dell’art.115 c.p., il contributo di ciascun soggetto alla realizzazione del fatto e l’elemento soggettivo della partecipazione.

Ai fini della questione principale l’attenzione deve focalizzata sul disposto dell’art.117 c.p. in combinazione con la figura dei delitti propri, a cui detta norma si riferisce.

L’art.117 c.p., che appare derogare all’elemento psicologico nel concorso, stabilisce che, se per le condizioni o le qualità personali del colpevole muta il titolo del reato per taluno dei concorrenti, anche gli altri rispondono dello stesso reato.

La norma, come è evidente, si riferisce a quei delitti che vengono definiti “propri”.

Sono delitti propri, distinti da quelli comuni, le fattispecie che richiedono una certa qualitas in capo all’autore del fatto di reato.

I delitti propri vanno ulteriormente distinti dalla species più ristretta dei delitti “di mano propria”, i quali oltre alla presenza della qualifica in capo all’agente, impongono che sia egli stesso a commettere materialmente il fatto.

Da ciò se ne deduce che i delitti di mano propria restano estranei alla disciplina del concorso, quante volte le varie condotte in compenetrazione non possono dirsi perfettamente tipiche rispetto al fatto di reato.

Ciò è perfettamente plausibile considerato che l’interpretazione dell’art.110 c.p. non richiede che ciascuna condotta in concorso integri tipicamente tutti gli elementi della fattispecie criminosa, essendo sufficienti anche quei contributi causali atipici, livellati oggettivamente sullo stesso piano.

Diversamente, per i delitti propri la disciplina concorsuale di riferimento è contemplata dall’art.117 c.p. che, come affermato, in un’ottica di apparente responsabilità oggettiva, estende a tutti i concorrenti il titolo del reato di colui che possiede quella determinata qualitas.

 

È configurabile un concorso eventuale dell’extraneus nel delitto di autoriciclaggio ex art.648 ter.1 c.p.?

 

Rese le suddette coordinate in tema di concorso eventuale e di mutamento del titolo del reato per taluno dei concorrenti, è possibile passare alla disamina della fattispecie di cui all’art.648 ter.1 c.p., concernete il reato di autoriciclaggio.

Il delitto di autoriciclaggio, la cui ratio costituisce una forma di ottemperanza dell’Italia verso gli obblighi pattizi internazionali, rappresenta nel sistema giuridico una fattispecie di più lieve entità rispetto al delitto di riciclaggio di cui all’art.648 bis c.p.

La condotta contemplata dalla norma trova il suo tratto distintivo nella circostanza per cui l’autore del delitto deve aver realizzato, o comunque essere stato concorrente nel reato-fonte, i cui proventi vengono reimpiegati o reinvestiti.

Per tale peculiarità è opportuno chiedersi se l’extraneus, ossia il terzo che concorre a realizzare il reato di autoriciclaggio, possa concorrere con l’intraneus ex artt.110 o 117 c.p., per il fatto di cui all’art.648 ter.1 c.p.

Dalla lettera della norma appare, ad un primo esame, che ci si trovi dinnanzi ad un reato proprio, posto che per la realizzazione del fatto è richiesta la medesimezza del soggetto che ha commesso o ha concorso a commettere il delitto-fonte.

In ciò si staglia la differenza rispetto al riciclaggio di cui all’art.648 bis c.p., ove il delitto presupposto non deve essere commesso dall’autore della fattispecie contemplata dalla norma, egli limitandosi a realizzare le condotte di reimpiego ivi descritte.

Orbene, volendosi ritenere, come sostenuto da parte della dottrina, che ci si trovi al cospetto di un reato proprio, secondo cui la qualitas richiesta dal legislatore è rappresentata dall’essere l’autore ovvero il concorrente dei delitti-fonte, può ritenersi operante una fattispecie di concorso ai sensi dell’art.117 c.p.

L’extraneus, invero, risponderebbe per concorso in autoriciclaggio.

Il soggetto in questione, dunque, trovandosi a concorrere nell’autoriciclaggio, ancorché privo della qualitas di cui all’art.648 ter.1 c.p., sarà soggetto al meccanismo oggettivo del mutamento del titolo del reato e non incorrerà nella più grave fattispecie di riciclaggio.

Questa soluzione terrebbe sì conto di quelle ipotesi in cui né l’intraneus, né l’extraneus realizzino interamente le condotte tipiche contemplate rispettivamente dalla due norme, ma ciascuna di essa è causalmente orientata alla produzione dell’evento.

Si guardi ad esempio all’ipotesi in cui l’intraneus si serva, anche con l’inganno dell’extraneus per riciclare i propri proventi.

In tal caso, fatta salva l’ipotesi in cui l’induzione in errore dia luogo per l’intraneus a una condizione di autore mediato, troveranno applicazione le norme sul concorso di persone artt.110 o 117 c.p.

Altra minoritaria soluzione ravviserebbe in capo al terzo un’ipotesi di concorso apparente di norme ex art.15 c.p. tra il reato di riciclaggio e quello di autoriciclaggio.

Concorso apparente che, normalmente, o quanto meno secondo la tesi monistica, viene risolto con il criterio della specialità per aggiunta o per specificazione, allorquando una delle due fattispecie contempli nella struttura astratta del reato un elemento in più, ovvero un elemento maggiormente specificato rispetto all’altra.

Una tale soluzione, tuttavia, non è stata ritenuta auspicabile dalla giurisprudenza.

Si ritiene infatti che la comparazione strutturale e astratta tra le due fattispecie criminose non consenta di ravvisare quell’elemento di specificazione ulteriore rispetto al nucleo comune richiesto dall’art.15 c.p.

Appare completamente differente la condotta materiale di chi reimpiega il denaro proveniente dal proprio delitto, piuttosto che da quello proveniente dal delitto-fonte commesso da altri.

È significativo, tra l’altro, che l’art.648 ter.1 c.p., non preveda una clausola di riserva in favore di un’eventuale sussidiarietà del delitto di riciclaggio, che consentirebbe di giustificare un eventuale concorso apparente di norme. Ciò, qualora si voglia accogliere quell’impostazione pluralistica del concorso apparente che risolverebbe la questione mediante il principio dell’assorbimento.

A diversa conclusione è pervenuto quell’orientamento, anche di legittimità (Cass. pen. Sez.II, sentenza del 17 gennaio 2018, n.17235), che nella parte argomentativa ricostruisce la questione a partire dal concetto secondo cui l’art.648 ter.1 c.p. non sia un reato proprio, ma più opportunamente un reato di mano propria.

Alla luce di quanto sopra asserito con riferimento ai delitti di mano propria, nel caso di specie si ravviserebbe tale caratteristica nell’esigenza a che la condotta di autoriciclaggio sia personalmente perpetrata da colui il quale ha realizzato o concorso a realizzare il delitto presupposto.

Di conseguenza, il ruolo dell’extraneus, ancorché consapevole della qualitas dell’intraneus, non sarebbe riconducibile nella fattispecie di concorso eventuale, nemmeno soggiacendo al mutamento del titolo del reato ex art.117 c.p.

Tale tesi concepisce dunque la fattispecie de qua come una pluralità di titoli di reato a carattere plurisoggettivo, che non potrebbero trovare la loro compenetrazione né nell’unità materiale del fatto, a causa della peculiare qualitas richiesta dalla legge per l’art.648 ter.1 c.p., né nel concorso apparente di norme.

La ragione risiede nella circostanza che le due fattispecie contemplano titoli di responsabilità differenziati dal punto di vista strutturale, in esse assumendo la condotta dell’autore un diverso disvalore.

Questa particolare differenziazione si evince peculiarmente a partire dalla ratio della novella legislativa, la quale introduce la nuova fattispecie allo scopo di punire meno severamente le condotte di autoriciclaggio che in passato erano esenti dalla rilevanza penale.

Non a caso la più lieve sanzione cui incorre l’autore dell’autoriciclaggio assurge, secondo la giurisprudenza, a elemento sintomatico della diversità o non sovrapponibilità astratta tra fattispecie.

La ricostruzione sin qui condotta, per quanto accolta dalla giurisprudenza di legittimità, non è andata esente da critica, laddove si osserva che le condotte perpetrate dai due soggetti potrebbero non integrare le due diverse fattispecie in tutti i loro elementi costitutivi.

Vieppiù se si considera, come visto, che il modello monistico prescelto dal legislatore, con riguardo al concorso eventuale, è un modello che tipizza nella fattispecie dell’art.110 c.p. condotte tipiche o atipiche, purché causalmente orientate alla produzione di un unico reato.

Si parla di condotte che, dal punto di vista oggettivo, danno luogo a una causalità agevolatrice o di rinforzo a prescindere dal tipo di contributo, che invece rileverà dal punto di vista del trattamento sanzionatorio.

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Dott.ssa Angela Marinangeli

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