CONCORSO APPARENTE DI NORME INCRIMINATRICI: NECESSITA’ DI CHIAREZZA

Redazione 07/12/00
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Dott. Vinicio Longo

Il presupposto necessario per aversi concorso apparente di più norme penali è costituito dalla convergenza di più leggi e disposizioni di legge sulla stessa “materia”. Sui contorni della fattispecie idonea ad integrare tale presupposto si registrano in Dottrina delle opinioni discordanti.

Secondo alcuni autori, l’inciso “stessa materia” va inteso come “stessa situazione di fatto”, di talché si avrebbe concorso apparente ogni qualvolta più norme penali fossero applicabili ad uno stesso “fatto storico”. In tal modo, il concorso apparente viene esteso anche alle ipotesi di specialità reciproca, poiché due fatti costituenti reato, se astrattamente considerati costituiscono “diversa materia”, guardati sotto l’aspetto storico – fattuale costituiscono “stessa materia”, potendosi così, in relazione ad essi, configurare il concorso apparente di norme.

Non si tratta di tesi sostenibile, e ciò per la impossibilità di trovare dei parametri idonei al fine di individuare la “stessa situazione di fatto”, poiché un determinato accadimento, guardato sotto l’aspetto naturalistico si presenta come una serie meccanicistica di atti, senza che sia possibile individuare alcun parametro al fine di esprimere un giudizio di unicità o di eterogeneità. Un tale giudizio lo si potrà esprimere solo se lo stesso accadimento lo si guarda prendendo come punto di osservazione i canoni di una certa scienza e nel caso in questione detti canoni sono le norme del diritto penale, poiché è a queste che bisogna fare riferimento al fine di stabilire la unicità o eterogeneità del fatto. Peraltro, la teoria in esame va respinta anche perché, seguendola, una delle ipotesi incontrastate di concorso formale di reati e cioè quella relativa al concorso tra la violenza carnale e l’incesto, verrebbe ricondotta al concorso apparente.

Altra teoria identifica la stessa materia con la “stessa oggettività giuridica”, arrivando così a sostenere che si avrebbe concorso apparente ogni qualvolta più norme penali, poste a protezione dello stesso bene giuridico, sono ipoteticamente applicabili ad uno stesso fatto.

Ma anche tale teoria va respinta, poiché seguendola, si arriverebbe all’assurdo di dover escludere il concorso apparente anche in ipotesi di specialità unilaterale, peraltro unanimemente ritenute come casi di concorso apparente, quale ad esempio il concorso tra i reati di ingiuria ed oltraggio.

Un po’ di luce sulla problematica in esame viene data da una teoria proposta dal PADOVANI, il quale, muovendo da un “raffronto logico strutturale tra gli elementi che costituiscono le fattispecie”, conclude che allorquando queste presentano degli elementi in parte identici ed in parte specifici per specificazione, non può sostenersi che si tratti di diversa materia, poiché l’elemento specifico è per definizione compreso nell’elemento generico. Sicché l’oltraggio, per esempio, non costituisce altro se non una specificazione della fattispecie della ingiuria. Così anche per le fattispecie in rapporto di specialità reciproca per specificazione, non può giungersi se non alla stessa conclusione. Qualche problema porrebbero semmai le fattispecie in rapporto di specialità unilaterale per aggiunta. Ma, a ben guardare, anche in relazione ad esse, non può dubitarsi che si tratta della stessa materia, poiché non può certo sostenersi che la fattispecie generale, mancante dell’elemento aggiuntivo, sia diversa da quella speciale, sì da rendere quella punibile in concorso formale con questa, e ciò per la logica conseguenza che comunque la fattispecie generale è interamente contenuta in quella speciale. Alla stessa conclusione dovrà pervenirsi in relazione alla fattispecie in rapporto di specialità reciproca, parte per specificazione e parte per aggiunta. Mentre invece l’identità di materia dovrà essere esclusa con riferimento alle ipotesi di specialità reciproca bilaterale per aggiunta, poiché la presenza di un elemento aggiuntivo in entrambe le fattispecie non può portare se non a concludere che queste sono diverse.

Più ambiziosa di tutte è la teoria proposta dal MANTOVANI, il quale, attraverso un collegamento tra l’analisi dell’art. 15 c.p. sul concorso apparente e quella dell’art. 84 c.p. sul reato complesso, conclude che se non si vuole ridurre questa ultima norma ad una inutile ripetizione dell’art. 15 c.p., la si deve interpretare in modo tale da far ricomprendere nella stessa non solo il reato necessariamente complesso, quello cioè che necessita per essere integrato della realizzazione almeno di due reati e che ricomprende tutte le ipotesi di specialità unilaterale (ad esempio il furto rispetto alla rapina), ma anche il reato eventualmente complesso, quello cioè che può essere integrato anche con la realizzazione di un solo reato e che ricomprende tutte le ipotesi di specialità reciproca. Così ad esempio il reato di truffa può essere realizzato, tra le varie ipotesi, anche da quel soggetto che, millantando credito, induce taluno in errore, procurando a sé un ingiusto profitto con altrui danno, sicché i due reati si trovano in rapporto di specialità reciproca bilaterale per aggiunta.

L’autore continua, argomentando che, dalla presenza nel nostro ordinamento del reato eventualmente complesso e dalle numerose clausole di riserva previste dal c.p., (quale ad es. quella contenuta nell’art. 379 c.p., la quale esclude l’applicazione dello stesso art. nel caso in cui, unitamente a questo, sia integrato anche l’art. 648 bis c.p.) si risale ad un principio più generale tenuto presente dal legislatore nel predisporre la disciplina del concorso di norme penali, vale a dire il “ne bis in idem sostanziale”. Non sarebbe cioè possibile addebitare all’imputato due volte lo stesso fatto, una volta in maniera autonoma ed una seconda come mezzo per realizzarne un altro, e ciò sia che la realizzazione del reato fine passi necessariamente attraverso quella del reato mezzo, sia che un tale passaggio sia solo eventuale, il che equivale a dire che il concorso apparente di norme si può configurare non solo rispetto alle ipotesi di norme in rapporto di specialità unilaterale, ma anche tra quelle in rapporto di specialità reciproca, sia essa per specificazione sia essa per aggiunta.

Come può vedersi, dunque, la teoria in esame, arriva ad ammettere il concorso apparente di norme anche in relazione a fattispecie in rapporto di specialità reciproca bilaterale per aggiunta, laddove detta eventualità è invece esclusa dalla teoria del PADOVANI.

Anche in Giurisprudenza non regna certo la chiarezza, poiché se è vero che la S.C. è prevalentemente orientata ad ammettere il concorso apparente solo laddove le norme sono poste a protezione dello stesso bene giuridico e sono in rapporto di specialità unilaterale (per tutte Cass Sez. V, Nr. 373/80), spesso sembra accogliere il principio della consunzione, stabilendo che “lo scopo della norma che prevede un reato minore (è) chiaramente assorbito da quello relativo ad un reato più grave” (Cass. Sez. V, Sent. 4093/81; Si noti come la pronuncia proviene dalla stessa Sez. V, che un solo anno prima aveva affermato un principio totalmente diverso, a riprova, qualora ve ne fosse bisogno, della confusione che su tale materia regna in Giurisprudenza). Mentre in altre pronunce ancora, peraltro poco motivate, viene riconosciuto il concorso apparente anche in ipotesi di diversa oggettività giuridica e di specialità reciproca. Così con la Ord. 31/04/1976, le S.U. hanno riconosciuto il concorso apparente tra le norme contenute negli artt. 336 e 337 c.p. e quella contenuta nell’art. 186 c.p.m.p., le quali sono in rapporto di specialità reciproca parte per aggiunta (le norme degli artt. 336 e 337 c.p. rispetto a quella dell’art. 186 c.p.m.p., per la presenza dell’elemento aggiuntivo del dolo specifico), parte per specificazione (la norma dell’art. 186 c.p.m.p. rispetto a quelle degli artt. 336 e 337 c.p., poiché la prima contiene come elemento specificante la qualifica del soggetto attivo del reato).

Mai invece è stata affermato dalla S.C. il concorso apparente in riferimento a più norme in rapporto di specialità reciproca bilaterale per aggiunta.

Si intuisce dalla lettura delle sentenze che la Cassazione mira più a dare delle soluzioni di equità ai casi concreti che di volta in volta si propongono, piuttosto che ad affermare dei principi generali.

Da questa rapidissima panoramica, risulta come in questa materia ci sia ancora molta discordanza sia in Dottrina che in Giurisprudenza. Eppure, si tratta di un problema che riveste nella pratica moltissima importanza, poiché a seconda della soluzione cui si perviene, deriva la addebitabilità o meno al soggetto interessato, del reato che, in caso si optasse per il concorso apparente, dovrebbe essere considerato assorbito. Il risultato è che fatti identici possono trovare delle diversità di trattamento anche notevoli, ma forse sarebbe meglio dire “allarmanti”, a seconda di quale teoria il giudice del caso concreto decide di seguire.

Si impone pertanto o un intervento del legislatore che metta dei punti fermi, indicando in quali ipotesi può configurarsi il concorso apparente di norme ed in quali concorso formale di reati, ovvero una presa di posizione netta da parte della S.C., che chiarisca una volta per tutte a quali casi di specialità tra norme l’art. 15 c.p. fa riferimento, se solo a quelli di specialità unilaterale od anche a quelli di specialità reciproca ed, in questa ultima ipotesi, se solo ai casi di specialità reciproca per specificazione, o parte per specificazione e parte per aggiunta, o se anche a quelli di “specialità reciproca bilaterale per aggiunta”.

Dott. Vinicio Longo

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