Competenza del tribunale delle imprese prima e dopo la legge di riforma sugli appalti

Redazione 16/09/19
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di Maria Rosaria Manselli

Sommario

1. Sulla natura delle sezioni specializzate del Tribunale delle imprese: competenza o ripartizione interna

2. Sulla competenza delle sezioni specializzate

3. Appalti ante codice sottratti alla competenza delle sezioni specializzate: esame di un caso pratico

4. Tesi contraria: possibile revirement?

1. Sulla natura delle sezioni specializzate del Tribunale delle imprese: competenza o ripartizione interna

Il D.L. 24 gennaio 2012 n. 1, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 24 marzo 2012 n. 27, ha trasformato le sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale appunto in sezioni specializzate in materia d’imprese. In questo contesto normativo, il legislatore ha omesso di chiarire se le stesse costituiscano mere suddivisioni interne al medesimo ufficio giudiziario, al pari delle sezioni lavoro, ovvero configurino uffici giudiziari separati. Nella prima ipotesi è noto che il riparto tra sezioni, specializzate e non, all’interno dello stesso ufficio giudiziario rappresenti una mera questione di ripartizione degli affari all’interno di detto ufficio; nella seconda ipotesi, il rapporto tra dette sezioni risulta certamente da qualificare in termini di competenza. Il Tribunale di Napoli, quale sezione specializzata in materia d’impresa, ha espresso in vari testi il convincimento che il suo rapporto con le altre sezioni dello stesso ufficio giudiziario, così come ovviamente quello con altro Tribunale, sia da qualificare in termini di competenza. A fondamento delle pronunzie ha anzitutto invocato il dato testuale della norma istitutiva: ed invero il legislatore, nell’intitolare le rubriche degli artt. 3 e 4 del D.Lgs. n. 168/2003, come modificati dal D.L. n. 1/2012, conv. con mod. in L. n. 27/2012, rispettivamente competenza per materia delle sezioni e competenza territoriale delle sezioni, e nel precisare nel successivo art. 5 le competenze del presidente della sezione (nelle materie di cui all’art. 3, le competenze riservate dalla legge al Presidente del tribunale e al Presidente della Corte di Appello spettano al Presidente delle rispettive sezioni specializzate), ha inteso, sia pure implicitamente, sottolineare l’autonomia della sezione. In precedenza, del resto, con riferimento alle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale, parte della dottrina e della giurisprudenza avevano equiparato dette sezioni alle sezioni specializzate agrarie, rilevando l’ammissibilità del ricorso per regolamento di competenza anche in ipotesi di contrasto tra sezione specializzata e tribunale presso il quale la stessa era costituita.

In particolare, Cass. n. 20690/2009 aveva fondato detta equiparazione sui seguenti rilievi: a) le rubriche degli artt. 3, 4 e 5 citati parlano espressamente di competenza; b) le sezioni specializzate sono istituite non in tutti i distretti di corte di appello, con conseguente competenza ultra distrettuale (a seguito della riforma del 2012, la competenza è in ambito regionale, fatta eccezione per la Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino Alto Adige e Sicilia (in cui sono presenti due sedi); c) diversa è la ratio ispiratrice rispetto all’istituzione delle sezioni lavoro.

Anche Cass. n. 14251/2010 aveva operato l’equiparazione di cui sopra, affermando che “la giurisprudenza, occupandosi dei casi analoghi attinenti alla ripartizione degli affari tra le sezioni lavoro o societarie e sezioni ordinarie e tra queste e le sezioni specializzate agrarie, ha ritenuto ravvisabile un profilo attinente alla competenza solo laddove la diversità della regolamentazione del processo non attiene solo al rito, sussistendo in tal caso una mera questione interna all’ufficio di suddivisione del lavoro in base ai criteri tabellari (così, quanto al processo del lavoro e societario), ma a caratteristiche particolari della sezione che, per le sezioni specializzate agrarie sono state individuate, oltre che nei riferimenti testuali alla competenza nella normativa istitutiva, nell’essere la composizione delle medesime del tutto peculiare in quanto scaturente dall’apporto di magistrati ordinari togati in servizio presso il tribunale e di magistrati onorari, i c. d. esperti, altrimenti estranei al normale apparato organizzativo del tribunale. Tale essendo il criterio distintivo, deve allora qualificarsi come attinente alla competenza la questione relativa all’attribuzione dei giudizi al tribunale ordinario, o alle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale, dal momento che queste sono investite di una peculiare competenza territoriale che non si limita a quella del tribunale nel quale sono incardinate, ma che viene espressamente indicata dalla legge, e che si identifica con quella di una o più corti di appello, escludendosi così una mera ripartizione interna ad uno specifico ufficio giudiziario; ovviamente, poiché la natura della controversia in tema di ripartizione in subiecta materia è unica, deve essere anche indipendente dal rapporto tra gli uffici interessati, per cui sussiste una questione di competenza non solo quando si controverte in ordine all’attribuzione alla sezione specializzata o a quelle ordinarie di tribunali diversi, ma anche quando competente per territorio, in base alle norme comuni, sarebbe il tribunale presso il quale è istituita la sezione specializzata. Detta interpretazione è stata, certamente, avversata da altre pronunzie dei Supremi Giudici: è il caso della successiva ordinanza della Suprema Corte n. 24656/2011 secondo cui, a norma dell’art. 2, comma 2, del D.Lgs. 168/2003, al giudici delle sezioni specializzate può essere assegnata anche la trattazione di processi diversi, purchè ciò non comporti ritardo nella trattazione e decisione dei giudizi in materia di proprietà industriale e intellettuale (a seguito delle modifica apportata della riforma del 2012, in materia di impresa), con la conseguenza che, a detta della Corte, le sezioni specializzate possono essere delle sezioni miste, in cui possono essere trattate sia materie riguardanti la competenza esclusiva in materia di proprietà industriale e intellettuale, (dopo la riforma, in materia di impresa) che cause ordinarie rientranti nella normale sfera di competenza del tribunale. Sta di fatto che la norma di legge di cui all’art. 2 citato non prevede affatto l’attribuzione alla sezione specializzata di ulteriori materie; prevede, invece, che ai giudici della sezione il Presidente del tribunale posse assegnare ulteriori procedimenti: infatti, i criteri tabellari dell’ufficio giudiziario possono ben prevedere che i magistrati addetti alla sezione specializzata in materia di impresa, possono essere assegnatari di cause non contemplate dal D.Lgs. n. 168/2003, ma sicuramente gli esperti (magistrati onorari) che integrano la sezione specializzata agraria possono soltanto comporre i collegi agrari, tant’è che la distribuzione dei carichi di lavoro all’interno del medesimo ufficio giudiziario è regolato da una pluralità di fonti di rango differente quali disposizioni legislative, ordinamento giudiziario che richiama, per l’appunto, i criteri tabellari. L’ordinanza n. 24656/2011 sembra, per vero, pronunciata senza piena consapevolezza della pregressa ordinanza n. 14251/2010, perché è un fatto che essa non solo ha dichiarato compensate le spese sul presupposto della “novità” della questione, ma non ha neppure citato il precedente per farsi carico della già ritenuta opposta soluzione. Nel prosieguo dell’analisi non si può non tenere conto della ordinanza n. 14369/2015 della Corte di Cassazione con la quale si sostiene che il legislatore, nel delineare i compiti assegnati delle sezioni specializzate, espressamente si riferisce a quelli attribuiti sotto il profilo della competenza, diversamente da quanto stabilito, in ambito terminologico, con riferimento al giudice del lavoro, al quale viene riconosciuta un’autonoma funzione nell’ambito della competenza del tribunale (art. 413 c.p.c.: competenza del Tribunale, in funzione di giudice del lavoro), in seguito all’istituzione del giudice unico di prima grado. Per altro verso, secondo la Corte, la circostanza che le sezioni specializzate non siano dislocate presso ogni distretto, ma solo presso alcuni di essi, rende palese che il rapporto fra le sezioni specializzate e le altre non sia configurabile come rilevante – in quanto regolante le modalità di ripartizione di affari – all’interno del medesimo ufficio. Sotto tale aspetto, potrebbe, invero, determinarsi, con inammissibile asimmetria del sistema, che la nature del rimedio muterebbe a seconda che la pronuncia di declinatoria di competenza sia emessa dal giudice del lavoro, o da altro giudice ordinario, a favore della sezione specializzata in materia di impresa, nell’ambito di un Tribunale nel cui distretto non è dislocata alcuna sezione specializzata, ovvero in un Tribunale nel cui distretto tale sezione sia invece istituita, con la conseguenza che, in tale secondo caso, si verterebbe in un’ipotesi di ripartizione di affari all’interno di un unico ufficio e nell’altro di questione proponibile con il rimedio del regolamento di competenza. Ciò condurrebbe a privare le parti ed il giudice degli strumenti di cui agli artt. 42 e ss. c.p.c. soltanto in alcuni casi, e non in altri sostanzialmente equiparabili, con palese violazione dei principi di cui agli artt. 3 e 24 Cost.

Infine, evidenzia la Corte, deve osservarsi anche che lo stesso legislatore qualifica come “specializzate” le sezioni che compongono il Tribunale delle imprese, con un aggettivo che, significativamente, è quello utilizzato dall’art. 102, 2° comma, Cost., e che connota anche le sezioni cui sono affidate le controversie agrarie, le cui attribuzioni nel senso di competenza per materia in senso proprio sono pacifiche. II richiamato art. 102, comma 2, Cost., d’altro canto, prevede, poi, espressamente che le “sezioni specializzate”, che possono essere istituite presso gli organi ordinari, possano essere composte “anche” con la partecipazione di cittadini idonei, estranei alla magistratura e non certo “solo” con tale partecipazione, il che vale ad escludere che le sezioni specializzate in materia di impresa possano essere differenziate da quelle agrarie-solo perché composte solo da giudici togati. Ed invero, si tratta, in entrambi i casi, di sezioni costituite per legge, per far fronte alla complessità e difficolta di determinate materie, e per soddisfare l’esigenza di una spedita trattazione dei procedimenti affidati a tali sezioni. Proprio in ragione di ciò, tali sezioni devono essere composte da “magistrati dotati di specifiche competenze” (art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 168/2003). In altri termini, a fronte di una giurisprudenza che appare tuttora controversa (anche in sede di legittimità), la giurisprudenza di merito maggioritaria ritiene di aderire al convincimento secondo cui, quella del rapporto tra sezione specializzata in materia d’impresa e sezioni ordinarie dello stesso ufficio, al pari di ciò che avviene nel rapporto tra dette sezioni ed altri Tribunali, integri questione involgente la “competenza” e non il mero riparto interno degli affari.

A sostegno di tale tesi in conclusione depongono (come sostenuto da autorevole dottrina):

1.il riferimento al termine competenza da parte del legislatore, nel momento in cui dep>

2.l’utip>

3.la fonte istitutiva delle sezioni speciap>

4.la normale e possibile attribuzione anche a giudici speciap>

5.la chiara volontà del legislatore di affidare a magistrati dotati di particolare competenze le controversie previste dall’art. 3 cit., facilmente eludibip>

Pertanto, ove si dubiti della cognizione per materia delle sezioni specializzate in Materia d’Impresa, sia rispetto a quella di altra sezione dello stesso Tribunale in cui le prime sono istituite, sia riguardo a quella di altro Tribunale (individuato secondo gli ordinari criteri per materia e territorio) ricorre sempre una questione di vera e propria competenza, in cui la prima compare come autonomo ufficio.

La Suprema Corte, però di recente, accogliendo un fine orientamento dottrinario, secondo il quale, invece, “…nell’ambito di uno stesso ufficio giudiziario non possono certamente darsi rapporti di competenza in senso proprio tra i diversi giudici (bensì soltanto ripartizione tabellare con rilevanza meramente “interna ” – concetto all’epoca per vero mai radicatosi nella giurisprudenza pratica – (v. d ultimo, Finocchiaro, G., Sulla competenza “interna” nella giurisprudenza della corte di cassazione, in Riv. dir. proc., 1997, 930 ss.), ha stabilito che il principio di diritto cui richiamarsi, nei casi discussi, è che ” Il rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di impresa, nello specifico caso in cui entrambe le sezioni facciano parte del medesimo ufficio giudiziario, non attiene alla competenza ma rientra nella mera ripartizione degli affari interni dell’ufficio giudiziario…” (cfr. Cassazione sentenza n. 19882/2019 pubblicata 23 luglio 2019)

2. Sulla competenza delle sezioni specializzate

Sgombrato il campo dalla prima incertezza, il secondo tema di indagine si concentrerà sull’ambito di competenza, e in particolare sulle materie che refluiscono nell’ambito della sua competenza.

Le materie che orbitano all’interno di detto perimetro, come sancito dall’art. 3 del D.L. n. 1/2012 sono le

a) controversie di cui all’articolo 134 del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, e successive modificazioni, ad esclusione delle azioni di merito e cautelarí per le quali l’Accordo su un tribunale unificato dei brevetti, fatto a Bruxelles il 19 febbraio 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea C 175 del 20 giugno 2013, prevede la competenza esclusiva del tribunale unificato dei brevetti, fatto salvo il regime transitorio di cui all’articolo 83 del medesimo Accordo;

b) controversie in materia di diritto d’autore ((e di diritti connessi al diritto d’autore));

c) controversie di cui all’articolo 33, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287;

d) controversie relative alla violazione della normativa antitrust dell’Unione europea.

2) Le sezioni specializzate sono altresì competenti, relativamente alle societaà di cui al libro V° titolo V°, capi V°, VI° e VII°, e titolo VI°, del codice civile, alle società di cui al regolamento (CE) n. 2157/2001 del Consiglio, dell’8 ottobre 2001, e di cui al regolamento (CE) n. 1435/2003 del Consiglio, del 22 luglio 2003, nonché alle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato delle società costituite all’estero, ovvero alle societa’ che rispetto alle stesse esercitano o sono sottoposte a direzione e coordinamento, per le cause e i procedimenti: […] f) relativi a contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria dei quali sia parte una delle societa’ di cui al presente comma, ovvero quando una delle stesse partecipa al consorzio al raggruppamento temporaneo cui i contratti siano stati affidati, ove comunque sussista la giurisdizione del giudice ordinario..

Le sezioni specializzate sono altresì competenti per le cause e i procedimenti che presentano ragioni di connessione con quelli di cui ai commi 1 e 2. Ai fini del codice sugli appalti, specificamente art. 39 D.L. n. 50/2016, cosi come riconfermato dal D.L. n. 32/2019 si applicano le definizioni che seguono.

I contratti “di rilevanza comunitaria” sono i contratti pubblici il cui valore stimato al netto dell’imposta sul valore aggiunto (i.v.a.) è pari o superiore alle soglie di cui agli articoli 28, 32, comma 1, lettera e), 91, 99, 196, 215, 235, e che non rientrino nel novero dei contratti esclusi. I contratti “sotto soglia” sono i contratti pubblici il cui valore stimato al netto dell’imposta sul valore aggiunto (i.v.a.) è inferiore alle soglie di cui agli articoli 28, 32, comma 1, lettera e), 91, 99, 196, 215, 235, e che non rientrino nel novero dei contratti esclusi. I “contratti esclusi” sono i contratti pubblici di cui alla parte l, titolo 11, sottratti in tutto o in parte alla disciplina del presente decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, e quelli non contemplati dallo stesso.

Invero la legge istitutiva del tribunale delle imprese (che ha portato all’art. 3 del D.lgs. 168/2003 nel testo appena riportato) nell’operare rinvio ad una nozione contenuta in altro settore dell’ordinamento, non poteva che riferirsi – in ordine al concetto di contratti di appalto rilevanza comunitaria – a quanto stabilito al riguardo dalla legislazione all’epoca vigente. Il riferimento è, nello specifico, al cd. codice degli appalti (D.lgs. n. 163/2006), che ai sensi dell’art. 3, comma 16, stabilisce ancor oggi che «i contratti “di rilevanza comunitaria” sono i contratti pubblici il cui valore stimato al netto dell’imposta sul valore aggiunto (i.v.a.) è pari o superiore alle soglie di cui agli articoli 28, 32, comma 1, lettera e), 91, 99, 196, 215, 235, e che non rientrino nel novero dei contratti esclusi»; al successivo comma 18, l’articolo specifica altresì che «i “contratti esclusi” sono i contratti pubblici di cui alla parte I, titolo 11, sottratti in tutto o in parte alla disciplina del presente codice, e quelli non contemplati dal presente codice»; di poi, ai sensi dell’art. 253, comma 1, che «fermo quanto stabilito ai commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 1-quinques, le disposizioni di cui al presente codice si applicano alle procedure e ai contratti i cui bandi o avvisi con cui si indice una gara siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore, nonché, in caso di contratti senza pubblicazioni di bandi o avvisi, alle procedure e ai contratti in cui, alla data di entrata in vigore del presente codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte». Il legislatore di settore offre quindi due elementi per individuare i contratti che qui interessano: (i) un criterio quantitativo, in termini di valore dell’appalto (quale suo importo netto a base d’asta), mediante la fissazione soglie, periodicamente aggiornate dalla normativa di carattere secondario, prevista dall’art. 248 del codice, di recepimento delle disposizioni comunitarie adottate volta per volta in proposito; (ii) un criterio qualitativo negativo, in termini di non appartenenza all’ambito dei cd. contratti esclusi.

Relativamente al secondo di tali requisiti, il codice citato chiarisce che contratti esclusi sono appunto quelli che non sono regolati totalmente dalle sue disposizioni, che viceversa si applicano -nella relativa interezza – alle fattispecie previste dal riferito art. 253, comma 1. Fatte queste precisazioni, ad avviso del Tribunale poco conta se a sua volta la nozione dei contratti di appalto dì rilevanza comunitaria preesistesse al D.Lgs. n. 163/2006. In buona sostanza pur volendo rilevare che detto articolato abbia svolto a risistemazione della disciplina operante in materia di contratti pubblici, nondimeno – ai fini della verifica della competenza giudiziale prevista successivamente dal testo riformato del D.lgs. n. 168/2003 – non pare che possa prescindersi dall’operare rinvio solo alle sue definizioni che, peraltro, in maniera articolata individuano i cd. appalti di rilevanza comunitaria.

Al ragionamento sistematico compiuto segue, in definitiva, che – ove in base al predetto codice ad un contratto non possa applicarsi, in tutto o in parte, la sua disciplina, e quindi esso non possa essere qualificato appalto di rilevanza comunitaria (quanto, piuttosto, contratto escluso) ogni domanda che su di esso fondi non possa essere di competenza della sezione specializzata in materia d’imprese. Nel caso di specie il codice non risulta appunto applicabile, essendo il contratto riferito pacificamente anteriori all’entrata in vigore del D.Lgs.n. 163/2006 (avvenuta, ai sensi dell’art. 257 del decreto legislativo, al sessantesimo giorno successivo alla sua pubblicazione nella G.U. del 2.5.2006).

3. Appalti ante codice sottratti alla competenza delle Sezioni specializzate: esame di un caso pratico

Ai fini dell’applicazione della normativa istitutiva delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale (D.Lgs. 27 giugno 2003, n. 168), nella parte in cui definisce le materie di competenza di queste ultime, sono da intendersi “contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria”, quelli sottoposti al “Codice degli Appalti” (D.Lgs. 18 aprile 2016 n. 50 cosi come modificato dal D.L. n. 32/2019), nell’arco temporale di vigenza di quest’ultimo, e, dunque, non lo sono quei contratti ad esso antecedenti.

Con l’affermazione di tale principio di diritto, la Corte di Cassazione (Sesta Sez. Civ., Pres. D’Ascola, Rel. Palaschi, ordinanza n. 31134 del 3 dicembre 2018) ha risolto il conflitto di competenza incorso tra il Tribunale di Benevento e la Sezione Specializzata in materia di Impresa del Tribunale di Napoli, accogliendo il regolamento di competenza sollevato d’ufficio da quest’ultima con ordinanza del 22 settembre 2017 (Pres. Raffone Rel.-Est. Rustichelli).

La decisione della Suprema Corte trae origine dalla intricata vicenda processuale cui aveva dato impulso una Azienda Sanitaria Locale, convenendo in giudizio un’Associazione temporanea di imprese, sul presupposto del (dedotto) inadempimento di quest’ultima alle obbligazioni nascenti da un contratto di appalto bandito dalla prima ed affidato alla seconda in data 4 giugno 1998, per l’esecuzione dei lavori di un “Pronto Soccorso”.

Il giudizio veniva originariamente iscritto innanzi al Tribunale di Benevento in composizione ordinaria, che declinava la propria competenza in favore del “Tribunale delle Imprese di Napoli, sul presupposto che la normativa istitutiva delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale (D. Lgs. 27 giugno 2003, n. 168), riservasse a queste ultime le cause e i procedimenti relativi a contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di “rilevanza comunitaria” e che in tale nozione rientrasse il contratto controverso.

Il Tribunale di Napoli, sezione specializzata in materia di Impresa, dinanzi al quale la causa era stata riassunta, con ordinanza già richiamata ha sollevato dinanzi alla Corte di Cassazione, ex officio, il regolamento di competenza, fornendo una differente ricognizione della normativa di settore – sia sotto il profilo sistematico che teleologico – poi accolta, in toto, dai giudici di legittimità.

Si valorizzava, nell’ordinanza del giudice sannita, la disposizione di cui all’art. 3, comma 2 lett. f) del decreto istitutivo delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale (D.Lgs. 27 giugno 2003, n. 168, come modificato dalla legge n. 27/2012, che ha convertito il D.L. n. 1/2012), il quale riserva a dette sezioni la competenza “per le cause e i procedimenti: […] relativi a contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria […]”.

A fronte di tale lettura, il Tribunale delle Imprese di Napoli ha fornito una differente prospettiva interpretativa, affiancando al dato meramente letterale della citata disposizione la valutazione di ulteriori elementi ermeneutici, dai quali ha dedotto, a sua volta, la propria incompetenza in favore del Tribunale di Benevento, sollevando il regolamento di competenza d’ufficio.

Si evidenziano di seguito gli interessanti argomenti spesi in parte motiva.

Secondo il Collegio partenopeo, la disposizione in esame rinvia espressamente ad una nozione, quella di contratto pubblico di appalto di rilevanza comunitaria, contenuta in altro settore dell’ordinamento e che non può che riferirsi – in ordine all’esatto contenuto di tale nozione – a quanto previsto al riguardo dalla legislazione vigente al momento dell’entrata in vigore della citata legge 24 marzo 2012, n. 27.

Si tratterebbe di una sorta di “norma civile in bianco”, a fronte della quale, tuttavia, l’interprete non può essere chiamato ad un accertamento, in ogni singolo caso che gli si prospetti, della sussistenza di elementi che radichino e riempiano di contenuto il concetto di rilevanza comunitaria, “in assenza di definizioni legislative chiare, precise e puntuali alle quali poter fare richiamo”, pena una inaccettabile deriva giurisprudenziale del tutto lesiva del principio della certezza del diritto.

Qui, il passaggio fondamentale dell’ordinanza in commento: soltanto con l’entrata in vigore del codice degli appalti il legislatore ha fornito una definizione di “rilevanza comunitaria” tradottasi in una vera e propria norma dal contenuto determinato. Due i criteri contenuti in detto codice: (i) un criterio quantitativo, in termini di valore dell’appalto (quale suo importo netto a base d’asta), mediante la fissazione di soglie, periodicamente aggiornate dalla normativa di carattere secondario, prevista dall’art. 248 del codice, di recepimento delle disposizioni comunitarie adottate volta per volta in proposito; (ii) un criterio qualitativo negativo, in termini di non appartenenza all’ambito dei cd. contratti esclusi.

Relativamente al secondo di tali requisiti, il codice chiarisce che contratti esclusi sono appunto quelli che non sono regolati totalmente dalle sue disposizioni, che viceversa si applicano, nella relativa interezza, alle fattispecie previste dal riferito art. 253, comma 1; ad avviso del Tribunale di Napoli, prima della concreta definizione della nozione dei contratti pubblici di appalto di rilevanza comunitaria esisteva una pura e semplice “clausola generale” che faceva riferimento soltanto ad una soglia (che l’articolo 1 della legge n. 584/1977 stabiliva in 1.000.000 di European Currency Unit – ECU) al di sopra della quale scattavano alcuni obblighi informativi e dei particolari criteri di scelta del contraente, ma non esisteva alcuna norma che facesse espresso riferimento alla nozione ed al contenuto dei contratti di appalto di rilevanza comunitaria. Anche nella disciplina nazionale di attuazione delle direttive C.E.E. in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici emesse prima delle “direttive gemelle” del 2004 (cfr. legge n. 584/1977, abrogata per l’appunto dai D.Lgs. n. 163/2006), mancava la nozione dí appalto di “rilevanza comunitaria”, limitandosi detta legge n 584/77 a prevedere soltanto alcuni adempimenti a carico della stazione appaltante. Né, detta norma conteneva l’individuazione delle varie soglie di rilevanza comunitaria in riferimento a ciascuna delle tipologie di appalto.

Proseguendo nella lettura del provvedimento in esame, il tribunale delle imprese ha quindi evidenziato che “è oggettivamente impossibile non fare riferimento alla nozione di appalto di rilevanza comunitaria in tutti suoi profili soggettivi, qualitativi e quantitativi previsti dalla normativa in vigore al momento della determinazione legislativa delle competenze per materia di questa Sezione Specializzata, come delineate dall’articolo 3 comma 2, lett. f del D.Lgs. n. 168/2003, (cosi come modificato dalla legge n. 27/2012)”; una diversa interpretazione renderebbe “indeterminabile” il giudice competente, in violazione del principio fondamentale del giudice naturale precostituito per legge di cui all’articolo 25, comma 1, Cost. oltre che all’articolo 6, par. 1, C.E.D.U., che si sostanzia nella predeterminabilità, secondo legge, del giudice competente prima che venga instaurato il giudizio.

Ove così non fosse, difetterebbe la certezza della tutela giurisdizionale, in quanto risulterebbe del tutto arbitraria la designazione dell’organo giudicante.

Chiarissima la motivazione sul punto: “se si ritenesse sussistente la competenza di questa Sezione Specializzata per appalti i cui bandi o gare sono stati pubblicati precedentemente alla entrata in vigore del D.Lgs. 163/2006, risulterebbe evidentemente in contrasto coni suddetti principi costituzionali e comunitari che impongono che vi sia sempre un Giudice, ma solo un Giudice, competente per materia a giudicare e che lo stesso sia precostituito per legge”; ad avviso del Collegio napoletano, ragionando diversamente, si finirebbe o per individuare nel Tribunale delle Imprese il giudice competente anche in relazione a cause di appalto stipulati in epoca ove la nozione di “rilevanza comunitaria” non esisteva anche perché non esisteva una normativa neppure europea in materia di procedure di aggiudicazione di appalti pubblici o, addirittura, a non poter individuare un criterio dirimente in ordine alla individuazione del Giudice competente. Tant’è che, quando la Sezione specializzata è stata chiamata a decidere controversie relative a contratti di appalto stipulati anche nei primi anni settanta, non è stato possibile radicare la propria competenza, proprio per la non individuabilità della “rilevanza comunitaria”.

Il terzo, ed ultimo, argomento utilizzato dal Tribunale delle Imprese di Napoli è quello della considerazione della natura eccezionale, derogatoria e residuale dell’articolo 3, comma 2, lett, f del D.Lgs. n. 168/2003, così come modificato dalla legge n. 27/2012, che non ne consente l’interpretazione analogica: testualmente: “[…] anche a voler ammettere una similarità tra gli ambiti di applicazione individuati, rispettivamente, dall’articolo 1 della legge n. 584/1977 e dagli articoli 3, comma 16, 28 e 32 D.Lgs. n. 163/2006, è evidente la loro non perfetta coincidenza, la quale esclude in radice la possibilità di applicazione della normativa che individua la competenza per materia della sezione specializzata in materia di impresa ai casi disciplinati dalla legge n. 584/1977”; anche sotto tale dirimente profilo, quindi, il Collegio ha ritenuto non applicabile il codice degli appalti alla fattispecie dedotta in giudizio, essendo stato il contratto controverso stipulato nel 1998 e, quindi, anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs. 163/2006.

Sulla scorta di tutti gli elementi sopra evidenziati, il Tribunale delle Imprese di Napoli ha ritenuto che, ove in base al codice degli appalti ad un contratto non possa applicarsi, in tutto o in parte, la sua disciplina, e quindi esso non possa essere qualificato appalto di rilevanza comunitaria (quanto, piuttosto, contratto escluso) “ogni domanda che su di esso si fondi non possa essere di competenza della Sezione Specializzata in materia di impresa”, ne è conseguita, non condividendosi la statuizione di incompetenza del Tribunale di Benevento, la formulazione del regolamento di competenza d’ufficio, che ha originato la decisione che di seguito si viene ad analizzare.

Si viene quindi all’esame dell’ordinanza con cui la Corte di Cassazione (Sesta Sez. Civ., Pres. D’Ascola – Rel. Palaschi, n. 31134 del 3 dicembre 2018) ha composto il conflitto di competenza, in accoglimento del regolamento sollevato dalla Sezione specializzata del Tribunale di Napoli; è da premettere che il vaglio di ammissibilità del regolamento di competenza è stato condotto, ad opera della Suprema Corte, facendo richiamo a quell’orientamento, invero da considerarsi maggioritario nella giurisprudenza di legittimità, per il quale il rapporto tra Sezioni specializzate e Tribunale ordinario si atteggia a relazione di “competenza” e non di mera “distribuzione interna degli affari”; richiamando in particolare la recente Cass. Civ. n. 4706 del 2018, il Supremo Collegio ha ribadito che “le sezioni specializzate non sono dislocate presso ogni tribunale e corte d’appello, ma solo presso alcuni di essi, sicché tali sezioni specializzate sono investite di una peculiare competenza per materia e per territorio, che si estende ad un bacino ben più ampio di quello del tribunale o della corte d’appello presso cui sono istituite: esse, cioè, dispongono così di una propria autonoma competenza, quale misura della giurisdizione, diversa e più ampia da quella dell’ufficio giudiziario presso cui sono istituite, e sono cioè competenti, in parte, riguardo a controversie (quelle che, sulla base dei criteri di cui agli artt. 18 e 20 c.p.c., nonchè delle altre disposizioni in tema di competenza eventualmente applicabili, si radicherebbero in altro circondano o distretto) per le quali il tribunale e la corte d’appello di appartenenza non lo sarebbero”; d’altronde – proseguendo – nel caso di specie, a fronte di una controversia instaurata presso il Tribunale di Napoli e che, ove sottratta alla competenza della sezione specializzata, avrebbe dovuto essere instaurata presso il Tribunale di Benevento, per gli Ermellini è persino sufficiente fare applicazione del principio, affermato da Cass. 23 ottobre 2017, n. 25059, secondo cui “se una controversia assegnata alle sezioni specializzate delle imprese sia promossa dinanzi a tribunali diversi da quelli in cui sono presenti dette sezioni, la pronunzia non può essere che di incompetenza perché si è adito l’ufficio giudiziario anche territorialmente sbagliato”.

Fatta tale premessa, i Giudici di Piazza Cavour hanno recepito con linearità le argomentazioni spese dal Tribunale delle Imprese di Napoli, dichiarando la competenza del Tribunale di Benevento, “giacché la controversia senz’altro esorbita dall’ambito circoscritto dal D.Lgs. 27 giugno 2003, n. 168, art. 3, comma 2, lett. t), ratione temporis applicabile”.

La Cassazione ha richiamato, peraltro, la stessa disciplina transitoria contenuta nel Codice degli Appalti, per la quale “le disposizioni di cui al presente codice si applicano alle procedure e ai contratti i cui bandi o avvisi con cui si indice una gara siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure e aí contratti in cui, alla data di entrata in vigore del presente codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte”.

Per i giudici di legittimità, in breve, sono contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria, per i fini dell’applicazione del D.Lgs. 27 giugno 2003, n. 168, art. 3, nel testo vigente, quelli sottoposti al codice degli appalti (nell’arco temporale di vigenza di quest’ultimo) e, dunque, non lo sono quei contratti ad esso antecedenti; nel caso in esame, la circostanza che la convenzione risalisse al 4 giugno 1998, è stata ritenuta sufficiente ad escludere che la controversia avesse ad oggetto un appalto di lavori di rilevanza comunitaria devoluto alla competenza del tribunale delle imprese..

4. Tesi contraria: possibile revirement?

L’orientamento secondo il quale tutti i contratti pubblici di appalto dei lavori, servizi e forniture di rilevanza comunitaria insorti fra il 2003 anno di istituzione delle sezioni specializzate ed il 2006 data di entrata in vigore del codice degli appalti, sono sottratti alla competenza delle sezioni specializzate, non è condivisa da tutti.

Invero l’esclusione ipotizzata dalla Suprema Corte non trova conferma nel testo originario del D. lgs n. 168/03 né nella riscritturazione dell’art. 3, II° co. lett. “f” del D.lgs n. 168/2003 ad opera della normativa del 2012 ai sensi dell’art. 2 del D.L. n. 1/2012 conv. in L. n. 27/2012 che devolve alla competenza delle neo istituite sezioni specializzate in materia di impresa, già previste come sezioni specializzate in materia di proprietà industriale, ed intellettuale del medesimo D. L.gs n. 168/2003 tutte le controversie relative ai contratti pubblici di appalto di lavori, servizi forniture dio rilevanza comunitaria in cui sia parte una società di cu al libro V°, titolo V, capi V, e VI del codice civile quando sussiste la giurisdizione del giudice ordinario senza individuare ulteriori limitazioni. A sua volta la precedente regolamentazione prevedeva una competenza per materia delle sezioni specializzate a fare tempo dal 1.7.2003 (v. artt. 3 e 6 quest’ultimo quale diposizione transitoria). Inoltre anche a non voler considerare l’evidente ratio sottesa alla disciplina indicata di offrire uno strumento di maggiore efficienza dell’apparato giurisdizionale in ipotesi di controversie di ambito maggiore di quello nazionale e specificamente comunitario o euro unitario che impedisce interpretazioni riduttive dell’ambito di competenza introdotto, comunque va tenuto presente che la norma sulla competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa è ancorata a definizioni che devono ritenersi derivate dalla normativa comunitaria o meglio euro comunitaria avente efficacia pervasiva. Un appalto pubblico di servizi, una volta affermata la qualificazione del contratto come appalto, impone, in successione, la sola verifica della sua rilevanza comunitaria idonea a determinarne la devoluzione alla competenza della sezione specializzata: tant’è che la normativa specifica del codice dei contratti pubblici, relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE di cui al D.lgs n. 163/2006 è stimata rilevare al momento della individuazione del giudice competente ai fini meramente definitori; deve escludersi, pertanto, una diversa e più ampia incidenza della normativa interna sugli appalti per di più in termini limitativi della peculiare e specialistica competenza introdotta nel 2003 trattandosi di disciplina richiamata con finalità esclusivamente definitorie e vincolate alla normativa eurocomunitaria e non potendosi ritenere consentite alcuna incidenza all’invocato criterio qualitativo negativo nell’attività di individuazione della materia della sezione imprese.

Sarebbe auspicabile una rivisitazione da parte della Suprema Corte del principio espresso in chiave comunitaria, e non strettamente collegata ad un interpretazione astretta nella cornice legislativa nazionale, proprio e soprattutto alla luce della tipologia dei contratti di cui si dovrebbe giudicare da parte di soggetti fortemente specializzati.

Redazione

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