Brevi note sul rapporto tra decreto ingiuntivo, decreto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c. e opponibilità al fallimento

Redazione 18/02/19
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di Giacomo Pailli

L’avvocato che cura il recupero del credito per un cliente non sempre ha dimestichezza con la legge fallimentare. All’interno del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, tuttavia, si nasconde più di un’insidia. Una di queste, sulla quale ci concentreremo nella presente nota, è relativa al rapporto tra decreto ingiuntivo e fallimento del debitore. In breve: secondo la giurisprudenza il decreto ingiuntivo che non sia munito di decreto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c. emesso prima dell’apertura del fallimento, non è opponibile alla “massa” dei creditori concorsuali; medesima sorte subiscono eventuali atti conservativi compiuti sul patrimonio del debitore sulla base di un decreto provvisoriamente esecutivo, quali l’iscrizione di un’ipoteca giudiziale[1]. Si comprende fin d’ora la delicatezza della questione, non solo (e non tanto) perché il decreto non opponibile richiede al creditore di dare in altro modo la prova del proprio credito, ma perché partecipare al concorso quale creditore munito di prelazione su un immobile o quale semplice chirografario, può rappresentare la differenza tra recuperare qualcosa o non recuperare alcunché. L’approccio, assai consolidato nella giurisprudenza di merito e di legittimità, pare improntato ad un eccessivo formalismo e dovrebbe essere rimeditato[2].

Vediamo i termini della questione, partendo dal decreto ingiuntivo per pagamento di somma che può essere emesso (art. 642 c.p.c.) o reso (art. 648 c.p.c.) provvisoriamente esecutivo, qualora ne sussistano i noti presupposti. Lo studente impara ben presto che il debitore deve proporre l’eventuale opposizione entro il termine perentorio indicato dal giudice nel decreto, di norma 40 giorni dalla notifica (art. 641 c.p.c.), altrimenti il decreto diviene tendenzialmente definitivo. La definitività ed esecutorietà del decreto – e qui arriviamo ad un punto delicato – non consegue automaticamente alla mancata opposizione, ma richiede un’attività di valutazione della regolarità della notifica e dell’inutile spirare del termine, riservata al giudice che ha emesso il decreto: solo quando tale verifica dà esito positivo, allora il decreto ingiuntivo può essere munito del decreto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c.

A norma dell’art. 656 c.p.c., il decreto definitivo non può più essere impugnato, salvi i casi di revocazione (art. 395, nn. 1, 2, 5 e 6, c.p.c.) o di opposizione di terzo (nell’ipotesi prevista dall’art. 404, 2º co., c.p.c.)[3]. Anche per tale motivo – nel silenzio del Legislatore – in giurisprudenza vi è la consolidata tendenza a stabilire un’equivalenza tra il decreto munito di esecutorietà ex art. 647 c.p.c. (o esecutivo ex art. 653 c.p.c.) e la sentenza definitiva; ciò comporta l’estensione al decreto efficacia di giudicato ex art. 2909 c.c. con copertura del dedotto e il deducibile[4], pur nei limiti di quanto ivi accertato[5]. Quanti aderiscono a tale lettura, garantiscono all’accertamento sommario contenuto nel decreto ingiuntivo, efficacia ben maggiore rispetto alla preclusione pro iudicato o, comunque, alle soluzioni più caute sostenute da parte autorevole della dottrina[6].

Ai sensi dell’art. 655 c.p.c., «[i] decreti dichiarati esecutivi a norma degli artt. 642, 647 e 648, e quelli rispetto ai quali è rigettata l’opposizione costituiscono titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale», oltre che per avviare l’espropriazione ai danni del debitore ingiunto.

Nella prassi, può accadere di frequente che se il decreto ingiuntivo è stato emesso in forma provvisoriamente esecutiva e non viene opposto, il creditore dimentichi di chiedere al giudice del monitorio l’emissione del decreto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c., ritenendolo in pratica un adempimento burocratico inutile. Caveat creditor!

Passiamo ora ad esaminare la scena del crimine. L’apertura di una procedura concorsuale apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito (terminologia in breve destinata a mutare per mano del Legislatore). Ciò comporta l’interruzione dei procedimenti di cui sia parte il fallito (art. 43, 3º comma, L.F.) e la necessità di accertare tutti i crediti concorsuali mediante la procedura di formazione dello stato passivo (art. 52 e art. 92F647 ss. L.F.) attribuita alla competenza (funzionale) del giudice fallimentare, nel c.d. forum concursus.

A questo punto il nostro creditore, che ha in mano un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo e, non è da tutti, ha pure iscritto un’ipoteca giudiziale sui beni immobili del debitore poi fallito, invia con mano sicura una domanda di insinuazione al passivo del fallimento, chiedendo l’ammissione di credito, interessi, compensi del legale e spese di iscrizione di ipoteca, il tutto con privilegio ipotecario. La risposta del curatore, poi confermata dal giudice delegato del fallimento, fa svanire il sorriso dalle labbra del creditore e dona un improvviso pallore al viso del legale che sente scricchiolare sotto di sé le assi della polizza di responsabilità professionale. Cosa è successo?

È successo che il curatore ha seguito pedissequamente una ormai cristallizzata giurisprudenza che sancisce l’inopponibilità alla massa dei creditori, al fallimento, del decreto ingiuntivo privo di decreto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c. Per tale motivo, ritenendo non opponibile tanto il decreto, quanto gli atti conservativi compiuti su tale base, il curatore ha proposto l’ammissione del credito semplicemente in chirografo. A niente, purtroppo, è servita la corsa del legale che ha dato il tormento al giudice del monitorio per ottenere, in extremis, l’emissione del decreto ex art. 647 c.p.c. da produrre in sede di osservazioni alla proposta del curatore ex art. 95 L.F.. Il giudice delegato del fallimento accoglie la proposta del Curatore, giacché – insegna una giurisprudenza granitica – l’opponibilità al fallimento si ha solo se il decreto ex art. 647 c.p.c. è stato emesso prima della dichiarazione di fallimento.

Il severo principio è stato da ultimo ribadito dalla Corte di cassazione nella sentenza 3 settembre 2018, n. 21583: «Secondo una giurisprudenza consolidata, da cui il Collegio non intende discostarsi, il decreto ingiuntivo non opposto acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiari esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c. Tale funzione si differenzia da quella affidata al cancelliere dall’art. 124 o dall’art. 153 disp. att. c.p.c. e consiste in una vera e propria attività giurisdizionale di verifica del contraddittorio che si pone come ultimo atto del giudice all’interno del processo d’ingiunzione e a cui non può surrogarsi il giudice delegato in sede di accertamento del passivo. Ne consegue che il decreto ingiuntivo, non munito, prima della dichiarazione di fallimento, di esecutorietà, non è passato in cosa giudicata formale e sostanziale e non è opponibile al fallimento, neppure nell’ipotesi in cui il decreto ex art. 647 c.p.c., venga emesso successivamente, tenuto conto del fatto che, intervenuto il fallimento, ogni credito deve essere accertato nel concorso dei creditori ai sensi dell’art. 52 L. Fall. (Cass. 24 gennaio 2018, n. 1774; Cass. 24 ottobre 2017, n. 25191; Cass. 27 gennaio 2014, n. 1650; Cass. 31 gennaio 2014, n. 2112; cfr. pure: Cass. 11 ottobre 2013, n. 23202; Cass. 23 dicembre 2011, n. 28553; Cass. 13 marzo 2009, n. 6198; Cass. 26 marzo 2004, n. 6085)»[7].

Secondo i giudici di legittimità per aversi l’effetto di stabilità è necessaria l’emissione del decreto ex art. 647 c.p.c., che acquista quindi un’efficacia costitutiva, poiché tale operazione comporta una verifica ad opera del giudice del monitorio non meramente formale, ma di rispetto del principio del contraddittorio, ossia che il decreto ingiuntivo è stato correttamente notificato e che il termine per proporre opposizione è spirato inutilmente. Senza tale verifica, per la Corte il decreto rimane in uno stato di sospensione che impedisce di considerarlo – nell’ambito della procedura fallimentare – alla stregua della sentenza non ancora passata in giudicato ex art. 96, 2º comma, n. 3, L.F.[8]

La giurisprudenza, peraltro, si divide in punta di fioretto su una questione. Una parte della giurisprudenza ritiene che il decreto non tempestivamente opposto abbia rilevanza di giudicato, sì formale, ma meramente interno, non sostanziale; altra parte, criticando la scissione tra giudicato formale e giudicato sostanziale, sostiene semplicemente la mera rilevanza interna, endo-processuale, del decreto non opposto, ma non ancora fornito di esecutorietà ex art. 647 c.p.c., nel senso che precluderebbe al debitore di proporre l’opposizione[9]. Si tratta, comunque, di una mera rilevanza interna tra le parti, inopponibile ai terzi, tra i quali rientra pacificamente la massa dei creditori concorsuali.

Anche a voler ammettere che la stabilità formale e sostanziale del decreto dipenda in qualche modo dalla verifica di cui al decreto ex art. 647 c.p.c.[10], non convince lo sviluppo consequenziale secondo cui, una volta aperto il fallimento, da un lato sarebbe inopponibile la verifica compiuta dal giudice del monitorio, perché l’accertamento di tutti i crediti è attratto ex art. 52 L.F. nel foro fallimentare; mentre dall’altro al giudice delegato sarebbe inibito il medesimo accertamento, poiché atto endo-processuale di competenza esclusiva proprio del giudice del monitorio[11]. Un vero e proprio circolo vizioso, del quale fa le spese il solerte, ma sbadato, creditore[12].

Posto che la notifica sia stata eseguita correttamente e che il termine per proporre opposizione sia scaduto precedentemente alla dichiarazione di fallimento, non si vede un reale ostacolo per consentire l’emissione, in costanza di fallimento, del decreto ex art. 647 c.p.c. da parte del giudice del monitorio, che certifichi la sussistenza dei requisiti (notifica valida e mancata opposizione) in data anteriore alla dichiarazione[13]. Come rileva correttamente Riccardo Conte, la giurisprudenza confonde due piani: quello del necessario accertamento concorsuale dei crediti ex art. 52 L.F., al quale devono sottostare anche le sentenze passate in giudicato; e quello della definitività del decreto ingiuntivo che invece viene accertato nelle forme di cui all’art. 647 c.p.c.[14] Inoltre, come condivisibilmente osservato da altri, un conto è la stabilità dell’accertamento del decreto ingiuntivo, che – posta una notifica corretta – consegue all’inutile decorso del termine per proporre opposizione; un altro è la questione della efficacia a fini esecutivi che non riguarda il fallimento (nei confronti del quale non è possibile l’esecuzione) e che, in ipotesi di decreto provvisoriamente esecutivo, la verifica ex art. 647 c.p.c. non fa altro che mutare da provvisoria in definitiva.

[1] Le decisioni in tal senso sono davvero tante. Limitandoci alle ultime: Cassazione civ., 6 febbraio 2018, nn. 2824 e 2819; Cassazione civ., 24 ottobre 2017, n. 25191; Cassazione civ., 11 ottobre 2017, n. 23775; Cassazione civ., 29 febbraio 2016, n. 3987; Cassazione civ., 26 marzo 2004, n. 6085; Cassazione civ., 13 marzo 2009, n. 6198; Cassazione civ., 23 dicembre 2011, n. 28553; Cassazione civ., 13 febbraio 2012, n. 2032; Cassazione civ., 17 luglio 2012, n. 12205; Cassazione civ., 11 ottobre 2013, n. 23202.

[2] Vi sono sparute sentenze di merito di segno contrario, quale la pronuncia del Trib. Lucca, decreto 26 maggio 2015 annotata da D. Griffini, Decreto ingiuntivo – decreto ingiuntivo non opposto nel termine e fallimento: continua il dibattito, Giur. It., 2015, 11, 2380.

[3] Taluni, pur concordando che il decreto ex art. 647 c.p.c. non è reclamabile o soggetto ad impugnazione, hanno sostenuto che dovrebbe essere sempre consentito al debitore dimostrare – in un giudizio di opposizione all’esecuzione – che il decreto ex art. 647c.p.c. non è stato correttamente concesso, ad esempio per vizi della notifica. Contra, E. Gabellini, L’esecutività del decreto ingiuntivo, in www.amsacta.unibo.it, 2013, pp.2-3.

[4] Cfr. Cassazione civ., 24 novembre 2000, n. 15178; Cassazione civ., 13 giugno 2000, n. 8026; v. anche A. Perez, Il procedimento ex art. 647 c.p.c., in Il decreto ingiuntivo, a cura di M. Iaselli, CEDAM, 2010, p. 441ss.

[5] Il giudicato non copre, invece, il rigetto delle domande del creditore. Dopo qualche ondeggiamento circa il possibile operare del giudicato in caso di rigetto parziale, il principio, che è codificato nell’art. 640 c.p.c., appare ormai consolidato. Cfr. M. Cataldi, Il procedimento monitorio e l’opposizione al decreto ingiuntivo, Giuffrè, 2006, pp. 558ss; D. Volpino, Rigetto parziale della domanda monitoria e limiti oggettivi del giudicato (nota a Cassazione civ., 16 novembre 2006, n. 24373), Nuova Giur. Civ., 2007, 9, 11026.

[6] Tra tutti, E. Redenti, Diritto processuale civile, 2ed., Giuffrè, 1954 vol III, p. 26-27; così ci pare anche A. Ronco, Procedimento per decreto ingiuntivo, in I procedimenti sommari e speciali (Chiarloni-Consolo ed.), UTET, pp. 524ss.; G. Arieta, Trattato di diritto processuale, 2 ed., vol. X, CEDAM, p. 24

[7] Nella vicenda di cui alla sentenza citata, era stato tentato anche un ulteriore argomento che – tuttavia – non persuade la Corte. Vale la pena riportare il passo: «Il terzo mezzo oppone la violazione dell’art. 1, primo protocollo addizionale CEDU. Muovendo dal rilievo per cui la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo accorda tutela alla legittima aspettativa consistente nel diritto di credito, l’istante osserva come tale aspettativa sia stata indotta dall’opponibilità al debitore del decreto ingiuntivo e dal riconoscimento della prelazione ipotecaria. (…)

Quanto al terzo motivo, esso va disatteso, al pari dei primi due … il richiamo al cit. art. 1 del primo protocollo CEDU non si mostra … risolutivo. Tale norma ha ad oggetto la protezione della proprietà e si limita a stabilire: che ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni; che nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale; che tali disposizioni non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende. Vero è che la sentenza della Corte EDU 4 febbraio 2014, Ceni c. Italia, richiamata nel corpo del motivo, chiarisce che la nozione di “beni” può riguardare sia “beni effettivamente esistenti” che valori patrimoniali, compresi i crediti, in virtù dei quali il ricorrente può aspirare ad avere almeno una aspettativa legittima; ma è altrettanto vero che, come ricorda detta pronuncia, l’aspettativa legittima di poter continuare a godere di un bene deve poggiare su una “base sufficiente nel diritto interno”: il che si verifica, ad esempio, quando l’aspettativa è confermata da una consolidata giurisprudenza, o quando essa è fondata su una disposizione legislativa o su un atto legale riguardante l’interesse patrimoniale in questione (sent. cit., 39). Ebbene, nel caso in esame la suddetta aspettativa della ricorrente di soddisfare il proprio credito non è anzitutto esclusa dalla ammissione dello stesso in chirografo; ma, soprattutto, il radicarsi di una legittima aspettativa della società istante quanto all’insinuazione del credito in via privilegiata è negata da una giurisprudenza ultradecennale della Corte di legittimità, che è pacificamente orientata nel senso di cui si è detto (evenienza, questa, sicuramente decisiva avendo proprio riguardo ai principi menzionati nella citata sentenza della Corte EDU)». Se il rigetto è probabilmente condivisibile, la motivazione offerta non appare impeccabile: ben potrebbe, infatti, un diritto essere violato proprio da una «giurisprudenza ultradecennale della Corte di legittimità». Al contrario, è l’esistenza del meccanismo ex art. 647 c.p.c. che esclude la violazione dell’art. 1 del Protocollo, giacché al creditore è comunque concesso un metodo – per quanto farraginoso e criticabile – per rendere (sicuramente e definitivamente) il decreto opponibile al fallimento.

[8] Cassazione civ., 11 ottobre 2013, n. 23202: «Appare quindi conforme a diritto l’affermazione di inopponibilità contenuta nel provvedimento impugnato; dovendosi ribadire che il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato sostanziale, idoneo a costituire titolo inoppugnabile per l’ammissione al passivo, soltanto a seguito della dichiarazione di esecutività ai sensi dell’art. 647 cod. proc. civ.: non essendo equiparabile, sotto questo profilo, alla sentenza non irrevocabile (L. Fall., art. 96, comma 2, n. 3; già L. Fall., art. 95, comma 3), che esige il gravame del curatore ove questi non intenda ammettere al passivo la somma da essa portata, stante la sommarietà dell’accertamento del credito propria del rito monitorio, in contrapposizione alla cognizione piena del processo ordinario (Cass., sez. 3, 20 Marzo 2006, n. 6098; Cass., sez. 1,1 Aprile 2005, 6918; Cass., sez. 1, 22 Settembre 1997, n. 9346)»; così anche Cass. n. 21583/2018, cit. Contra, E. Garbagnati, Il procedimento d’ingiunzione, Giuffrè, 1991, p. 259.

[9] In quest’ultimo senso, Cassazione civ., 31 gennaio 2014, n. 2112. Ricostruisce sinteticamente ma efficacemente il contrasto, D. Griffini, Decreto ingiuntivo – decreto ingiuntivo non opposto nel termine e fallimento: continua il dibattito (nota a Trib. Lucca, decreto 26 maggio 2015), Giur. It., 2015, 11, 2380.

[10] La posizione della giurisprudenza non trova grande consenso in dottrina. Cfr. A. Ronco, Procedimento per decreto ingiuntivo, in I procedimenti sommari e speciali, a cura di Chiarloni-Consolo, UTET, p. 384: «nonostante l’infelice lettera della norma, il provvedimento di esecutorietà non condiziona l’inattaccabilità del decreto, la quale consegue autonomamente e direttamente all’inattività dell’opponente». Così anche P. Pajardi, Il procedimento monitorio, Pirola, 1991, p. 100: «l’efficacia di cosa giudicata sostanziale nasce puramente e semplicemente in seguito allo spirare del termine per l’opposizione non proposta o del termine per la costituzione non avvenuta, a prescindere dalla dichiarazione di esecutività»; e E. Garbagnati, Il procedimento d’ingiunzione, Giuffrè, 1991, p. 123, osserva che «il provvedimento giurisdizionale contemplato dal primo comma dell’art. 647 non è … puramente dichiarativo, ma dichiarativo-costitutivo» quanto all’efficacia esecutiva, così non è per l’efficacia di giudicato, atteso che «non mi sembra invece che anche il passaggio in cosa giudicata del decreto d’ingiunzione presupponga la pronuncia del decreto, di cui all’art. 647, poiché l’opposizione ordinaria rimane definitivamente preclusa, con la scadenza del termine fissato nel decreto a’ sensi dell’art. 641 …, ed è quindi in quel momento che il decreto d’ingiunzione, non soggetto ad opposizione tardiva, acquista efficacia pari a quella di una sentenza di condanna formalmente passata in giudicato». Ivi, p. 123 in nota. Così anche Gabellini, L’esecutività del decreto ingiuntivo, in www.amsacta.unibo.it, 2013, p. 2. Per E. Redenti, Diritto processuale civile, vol. III, 2ed., Giuffrè, 1954, p. 26, addirittura, nel caso di decreto provvisoriamente esecutivo, una volta che sia spirato il termine di opposizione «non è più necessaria neanche la formalità dell’art. 647». Secondo R. Conte, Decreto ingiuntivo, provvedimento ex art. 647 c.p.c. e fallimento dell’intimato (nota a Cass., 27 gennaio 2014, n. 1650), in Giur. It., 2014, 11, il provvedimento ex art. 647 c.p.c. ha natura dichiarativa. V. anche R. Conte, Procedimento d’ingiunzione, in Commentario del codice di procedura civile, a cura di Chiarloni, Bologna, 2012, pp. 452ss.

[11] Cassazione civ., 11 ottobre 2013, n. 23202: «Per giurisprudenza consolidata di questa Corte non è ammissibile l’accertamento incidentale, in sede fallimentare, dell’esecutività definitiva del decreto ingiuntivo che sia tuttora sprovvisto del visto di esecutorietà ai sensi dell’art. 647 cod. proc. CIV. (Cass., Sez. 6-1, 23 dicembre 2011 n. 28553; Cass., sez. 1, 13 marzo 2009 n.6198; Cass., sez. 1, 26 marzo 2004 n. 6085)».

[12] Nel medesimo senso, R. Conte, Decreto ingiuntivo, provvedimento ex art. 647 c.p.c. e fallimento dell’intimato (nota a Cass., 27 gennaio 2014, n. 1650), in Giur. It., 2014, 11.

[13] Per G. Parisi, Brevi p>

[14] R. Conte, Decreto ingiuntivo, provvedimento ex art. 647 c.p.c. e fallimento dell’intimato (nota a Cass., 27 gennaio 2014, n. 1650), in Giur. It., 2014, 11. Un trattamento differente lo riceve il caso in cui il debitore abbia proposto l’opposizione, ma questa si sia estinta in data precedente alla dichiarazione di fallimento. In tale caso, ove il termine perentorio di dieci giorni (ex artt. 308 e 178 c.p.c.) per proporre reclamo nei confronti dell’ordinanza di estinzione sia scaduto precedentemente all’apertura del fallimento, il decreto acquista automaticamente efficacia esecutiva ex art. 653 c.p.c. ed è quindi opponibile alla massa (Cassazione civ., 29 febbraio 2016, n. 3987). La ratio della norma è che la proposizione dell’opposizione dimostra – almeno entro un certo limite – che il debitore non solo ha avuto notizia del procedimento monitorio ma ha pure esercitato i propri diritti di difesa, salvo poi determinare l’estinzione del procedimento per propria inerzia.

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