Breve nota di commento a sentenza Corte Costituzionale n. 306 del 20/07/2007.

Redazione 30/07/07
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La recentissima pronuncia della Corte Costituzionale, che si annota, ripropone all’attenzione degli operatori del diritto la questione della legittimità costituzionale della norma di cui all’art. 648 c.p.c. che esclude l’impugnabilità dell’ordinanza che concede la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto.
La Consulta ha dichiarato non fondata la questione di legittimità sollevata dal Giudice di Pace di Belluno in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
 
Nell’ipotesi di illegittimità costituzionale individuata dal giudice a quo, escluso quale parametro normativo di comparazione il riferimento alle ordinanze di pagamento di somme non contestate e quelle ingiuntive di cui all’art. 186 –bis e 186-ter, stante la differenza di natura e funzione con la norma denunciata, (invece prospettato dall’opponente a decreto ingiuntivo)-  viene assunto quale tertium comparationis l’art. 624 c.p.c. secondo comma che, nel testo modificato dall’art. 2 comma 3 lettera e) numero 42 del d.l. 14/03/2005 n. 35 convertito con modificazioni dalla l. 14/05/2005 n. 80 e ss.mm. apportate dall’art. 18 comma 1 lettera a) e b) della legge 24/02/2006 n. 52, prevede che contro l’ordinanza che decide sull’istanza di sospensione del processo esecutivo è ammesso il reclamo cautelare disciplinato dall’art. 669 terdecies c.c.
Ad avviso  del giudice rimettente, pertanto,  considerato -com’è noto- che, sia in ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo, che in caso di processo di opposizione all’esecuzione, si è in presenza di un titolo che, in caso di mancata sospensione, può essere azionato in via esecutiva, la reclamabilità ex art 669 –terdecies dell’ordinanza che conceda o neghi la sospensione finisce per determinare una sperequazione di trattamento tra le parti dell’uno e dell’altro processo, essendo concesso alle parti del giudizio di opposizione all’esecuzione un rimedio avverso l’ordinanza che provvede sull’istanza di sospensione dell’ opposizione invece negato alle parti del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, che nulla possono fare avverso l’ordinanza che concede la provvisoria esecuzione.
 
La dichiarazione di non fondatezza della questione trova ragione, per la Corte, nella funzione assegnata, nell’ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo all’istituto della concessione della provvisoria esecuzione: evitare la proposizioni di opposizione con finalità meramente dilatorie da parte di chi, consapevole della forza probatoria dei documenti giustificativi del credito, miri a ritardare la costituzione di un titolo esecutivo,almeno fino al sopraggiungere della sentenza di rigetto dell’opposizione.
 
Correlativamente, in considerazione della funzione prevalentemente esecutiva del provvedimento monitorio, non appare censurabile al Giudice delle leggi la norma di cui all’art. 648 cpc laddove, in presenza di opposizioni prive- prima facie- di adeguata probabilità di accoglimento, tende a far gravare sul debitore il peso della durata del processo.
La funzione antidilatoria e deflattiva dell’art. 648 cpc, già riconosciuta nella sentenza n. 65 del 1996, giustifica, dunque, per la Consulta la scelta del legislatore di assicurare stabilità, fino alla conclusione del giudizio di opposizione, al provvedimento che concede la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto.
Proprio la considerazione di tale peculiare funzione dà conto, secondo la Corte, della ragione per la quale pur dovendosi riconoscere ai provvedimenti di cui all’art. 648 cpc natura latamente cautelare, il prevalere della funzione sulla natura del provvedimento non comporta necessariamente l’applicabilità della disciplina del procedimento cautelare uniforme ( in particolare degli artt. 669-decies e 669-terdecies).
In effetti, già in passato la Corte Costituzionale  ( sent. N. 137/1984) ha avuto modo di affermare che la concessione della provvisoria esecuzione è subordinata al ricorrere dei presupposti richiesti dalla legge per la concessione dei provvedimenti cautelari ( fumus boni iuris e periculum in mora) ma ciò non si traduce ( si legge nella sentenza in commento) nella necessaria applicabilità all’ordinanza di cui all’art. 648 cpc della disciplina del procedimento cautelare, ciò in quanto la sussistenza del fumus boni iuris del diritto di credito ingiunto (inteso quale rilevante probabilità, alla stregua delle risultanze istruttorie addotte dal creditore e delle contestazioni dell’opponente, di definizione del giudizio col rigetto dell’opposizione) veniva assunta nella richiamata pronuncia ( sent. N. 137/1984) quale condizione che consentiva al giudice di valutare se concedere o meno la provvisoria esecuzione pur allorquando, avendo il creditore offerto cauzione, fosse venuto meno il periculum in mora.
Per queste ragioni la Corte, rilevato che l’ordinanza che decide sull’istanza di sospensione dell’esecuzione di cui all’art. 624 cpc, individuato dal giudice a quo quale parametro normativo di comparazione, si riferisce ad un contesto processuale diverso da quello in cui si inseriscono i provvedimenti con cui si concede la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, con conseguente diversa funzione della norma disciplinatrice, ritiene non condivisibile la considerazione che la comune natura – latu sensu cautelare dei provvedimenti in questione – possa giustificare l’equiparazione delle diverse fattispecie e perciò pretendersi dal legislatore, in base agli artt. 3 e 24 della Costituzione, una disciplina comune per ciò che concerne i rimedi utilizzabili contro di essi.
 
Giuseppe D’Arienzo
Avvocato del Foro di Salerno
 

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