Avvocati – amministratori di condominio: la nuova incompatibilità è incostituzionale

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Il CNF ha elaborato risposte alle FAQ relative alla riforma forense (l. 247/2012). Alla domanda “L’esercizio della professione è compatibile con l’attività di amministratore di condominio?”, il CNF risponde: “No, in quanto costituisce altra attività di lavoro autonomo, svolta necessariamente in modo continuativo o professionale. Tale circostanza risulta confermata, altresì, dalla nuova disciplina in materia di professioni regolamentate (L. n. 4/2013) che conferisce dignità e professionalità alle categorie dei professionisti senz’albo. Sebbene non vengano meno i requisiti di autonomia ed indipendenza, che hanno sinora consentito di considerare compatibile l’attività di amministratore di condominio con l’esercizio della professione, la riforma ha innovato profondamente la disciplina vigente, escludendo che l’avvocato possa esercitare «qualsiasi attività di lavoro autonomo svolta continuamente o professionalmente», con eccezioni indicate in via tassativa – quali attività di carattere scientifico, letterario, artistico e culturale – ovvero con l’iscrizione nell’albo dei commercialisti ed esperti contabili, nell’elenco dei pubblicisti, nel registro dei revisori contabili o nell’albo dei consulenti del lavoro (art. 18, co. 1 lett. a).”

Si dichiara, dunque, da parte del CNF, la assoluta incompatibilità della professione di avvocato con quella di amministratore di condominio. Conseguentemente gli avvocati iscritti agli albi e che svolgano anche la attività di amministratore di condominio dovranno optare per l’esercizio di una delle due professioni, pena la cancellazione dall’albo forense.

L’alternativa appare assurda e evidentemente incostituzionale, almeno per irragionevolezza (art. 3 Cost.), visto che è lo stesso CNF a riconoscere espressamente (e non v’è ragione di dubitare che ciò sia vero) come “non vengano meno i requisiti di autonomia ed indipendenza, che hanno sinora consentito di considerare compatibile l’attività di amministratore di condominio con l’esercizio della professione”.

Approfondiamo. L’attività di amministratore di condominio, che costituisce, per l’avvocato, “altra” attività di lavoro autonomo, sarebbe -ad avviso del CNF- svolta necessariamente in modo continuativo o professionale. Continuità e professionalità sarebbero, in altri termini, caratteristiche capaci di determinare incompatibilità quali indici dell’esercizio d’una professione ulteriore da parte dell’avvocato, in modalità atta a procurare reddito stabilmente.

Nel dare tali “linee guida interpretative” ai Consigli degli Ordini locali il CNF sembrerebbe esser stato costretto dalla lettera della l. 247/2012; in forza di essa sembrerebbe aver dovuto modificare la sua precedente impostazione, che era nel senso della compatibilità tra la professione d’avvocato e l’attività d’amministratore di condominio. S’era, infatti, ritenuto in passato che, in assenza di un albo degli amministratori di condominio, l’avvocato potesse svolgere le attività connesse all’incarico di amministratore di condominio, permanendo sottoposto alle norme deontologiche degli avvocati e alla correlativa potestà disciplinare del Consiglio dell’Ordine forense.

Ebbene, se -come espressamente ora riconosce il CNF nel rispondere alle FAQ sulla legge di riforma forense- le ragioni della stretta sul regime delle incompatibilità imposta dalla legge 247/2012 non vanno ricercate nella necessità di rinforzare le garanzie di autonomia e di indipendenza dell’avvocato, ci si deve domandare su cosa mai potrà ritenersi fondata (e dunque costituzionalmente legittima) l’incompatibilità tra esercizio della professione forense e attività d’amministrazione di condominio. La risposta è: non si può fondare su nessuna seria ragione: detta incompatibilità è, banalmente, il portato legislativo d’una visione parcellizzata delle professioni, che non corrisponde nè all’interesse dei clienti dei professionisti, nè all’interesse dei professionisti (invece viene il dubbio che corrisponda agli interessi delle corporazioni, che sono altra cosa rispetto ai professionisti che pretendono di rappresentare).

La risposta radicale appena data si traduce in una facile previsione: la Corte costituzionale (se prima non ci penserà il nuovo Parlamento) sarà presto chiamata a ragionare in maniera unitaria sulle incompatibilità nelle professioni per decidere le questioni di legittimità costituzionale che di certo saranno sollevate in ordine alla legittimità dell’incompatibilità tra esercizio della professione forense e attività d’amministratore di condominio. Ciò la Corte costituzionale sarà chiamata a fare partendo dalla considerazione che: 1) non esiste nessuna particolare rilevanza costituzionale della professione di avvocato che possa giustificare la sua presunta eccezionalità rispetto a tutte le altre professioni regolamentate in ordini e collegi; 2) conseguentemente nessun eccezionale limite legislativo all’iscrizione negli albi forensi degli abilitati alla professione di avvocato potrà esser legittimamente reintrodotto o mantenuto in vigore (per usare una terminologia cara alla Corte di giustizia), ritenendolo fondato sulla necessità di salvaguardia (nel bilanciamento dei valori costituzionalmente protetti) del diritto di difesa (art. 24 Cost.), asseritamente confliggente col principio costituzionale della libertà di accesso degli abilitati alle professioni. La Corte costituzionale dovrà pure riconsiderare i limiti alla discrezionalità del legislatore nella regolazione delle professioni. Dovrà, nel farlo, partire dalla preliminare affermazione della necessità, da parte di essa Corte costituzionale, d’un attento “vaglio di ragionevolezza e coerenza” della sopravvenuta l. 247/2012. Dovrà sancire che tale preliminare “vaglio di ragionevolezza e coerenza” è condizione ineludibile per un giudizio che confermi la legittimità costituzionale della legge di riforma forense, stante la natura speciale (che non può essere, però, eccezionale) della stessa rispetto alla precedente regolazione legislativa, entrata in vigore il 13 agosto 2012, di tutte le professioni (compresa quella di avvocato), che prevedeva: 1) un generale regime di accesso libero alla professione (iscrizione nell’albo) da parte degli abilitati; 2) un correlato dovere di verifica in concreto, da parte dei Consigli dell’Ordine (che poteva giungere fino alla adozione di sanzione espulsiva, nei casi più gravi), della sussistenza di cause di limitazione della indipendenza di giudizio intellettuale e tecnico del professionista.

La Corte costituzionale non si potrà limitare a dire -come si diceva nel passato- che, nel quadro d’una ampia discrezionalità regolatoria del legislatore, la ratio della disciplina delle incompatibilità forensi è quella di garantire l’autonomo e indipendente svolgimento del mandato professionale, sicché, ai fini dell’incompatibilità tra la professione di avvocato ed ogni impiego retribuito, non rileverebbe neppure la natura, subordinata o autonoma, del rapporto di lavoro, bensì la sua relativa stabilità (precedentemente il riferimento legislativo era all’ “impiego”) e (sempre che non si tratti di prestazioni di carattere scientifico o letterario) la sua remunerazione periodica in ragione della continuità del rapporto professionale.

IN CONCLUSIONE: o si cambia subito la legge di riforma forense, ridisegnando in radice il regime delle incompatibilità anche riguardo alla assurda incompatibilità tra avvocato e amministratore di condominio (assieme all’altra urgenza dell’impiego a part time ridotto dei dipendenti pubblici, che certamente va riconosciuto compatibile coll’esercizio della professione di avvocato) oppure la Corte costituzionale cancellerà la assurda previsione d’una incompatibilità che non è presidio di nessuna esigenza concreta di autonomia e indipendenza della professione forense.

Certo questa appare l’alternativa finale, anche se nell’immediato, in forza dell’art. 65, comma 1, della legge n. 247/2012, fino a quando non sarà stato adottato il regolamento che specifichi i casi di cancellazione dall’albo (ex art. 15, comma 2) le incompatibilità “innovative” di cui all’art. 18 potranno comportare solo dinieghi di nuove iscrizioni negli albi ma non potranno comportare anche la cancellazione dagli albi forensi per quegli avvocati che negli albi stessi risultino iscritti al 2 febbraio 2013, data di entrata in vigore della legge di riforma.

Perelli Maurizio

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