Avv. Alfredo Matranga (a cura di): E’ sufficiente la valutazione in forma numerica degli elaborati di un concorso per l’abilitazione alla professione di avvocato

sentenza 08/05/08
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E’ questo il principio ribadito dalla IV Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza in commento.
Per il massimo consesso della Giustizia amministrativa la valutazione in forma numerica degli elaborati di un concorso per l’abilitazione alla professione di avvocato è sufficiente ad esternare la motivazione, dovendosi ritenere assolto l’obbligo di motivazione, di cui all’art. 3 della L. 241/90, con l’attribuzione di un voto numerico anche nell’ipotesi in cui non siano stati apposti sugli elaborati segni grafici o specificati eventuali errori.
D’altra parte, ha proseguito il CdS, la normativa in tema di motivazione di cui al D. Lgs. 166/2006 ("Norme in materia di concorso notarile…"), non è espressiva di un principio generale, ma ha invece una chiara valenza particolare per il concorso (notarile) per il quale la stessa è prevista, e non è pertanto applicabile, in assenza di una specifica previsione, ad altri tipi di concorso (abilitativi o meno).
Sempre per i Giudici di Palazzo Spada, è infondato il motivo con il quale si lamenta genericamente che la correzione degli elaborati delle prove scritte di un concorso sarebbe avvenuta in un tempo troppo breve, ove non sia stato indicato il tempo di correzione dell’elaborato del ricorrente; d’altra parte, non è dato ipotizzare una lettura superficiale degli elaborati in relazione al tempo medio di correzione di tutti gli elaborati.
Ed ancora, è irrilevante il fatto che durante la correzione degli elaborati di un concorso per l’abilitazione alla professione di avvocato non era presente anche un professore universitario, atteso che i componenti delle commissioni per l’esame di abilitazione alla professione di avvocato sono fungibili e, in considerazione della loro elevata professionalità, sono in grado di garantire il corretto svolgimento delle prove d’esame .
Ha, infine, aggiunto la Sez. IV con la sentenza in commento che la pretesa motivazione del voto numerico finirebbe per duplicare lamotivazione già espressa con il voto numerico, senza nulla aggiungere a quest’ultimo, per cui a nulla vale il richiamo di principi comunitari sulla necessaria motivazione degli atti, al fine di agevolare il loro controllo giurisdizionale.
Avv. ****************
 
R E P U B B L I C A     I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
            Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso in appello n. 5918 del 2007 proposto da
– MINISTERO della GIUSTIZIA,
in persona del Ministro p.t.;
         Commissione per gli esami di avvocato presso la Corte di Appello di Lecce,
in persona del Presidente p.t.,
ex lege rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati presso gli uffici della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, 12,
c o n t r o
………………,
costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv.to ******************** ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso, in Roma, corso del Rinascimento, 11,
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, **************** di Lecce, n. 6056/06.
            Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive domande e difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 22 gennaio 2008, il Consigliere ****************;
Uditi, alla stessa udienza, l’avv. ************ dello Stato per gli appellanti e l’avv. ******************** per l’appellata;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
F A T T O
L’odierna appellata ha partecipato alla sessione degli esami d’avvocato 2002 presso la Corte d’Appello di Lecce.
All’ésito della correzione delle prove scritte, la Commissione di esame ha giudicato, mediante la sola espressione del voto numerico, non sufficienti, attribuendo a ciascuno il punteggio di 20, tutti e tre i suoi elaborati.
Avverso la conseguente esclusione dalla prova orale ella ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, **************** di Lecce, che, con la sentenza indicata in epigrafe, lo ha accolto sotto il dedotto profilo del difetto di motivazione, per avere l’Amministrazione provveduto alla sua esclusione dalle prove orali mediante la semplice attribuzione di un punteggio numerico ai suoi elaborati.
Il T.A.R. ha, in particolare, ritenuto che “non può reputarsi legittimo, con riferimento ad esami di abilitazione professionale -e con specifico riguardo a quelli per accedere alla professione di avvocato-, un giudizio negativo espresso in forma numerica, e dunque esclusivamente attraverso voti” (pag. 19 sent.), all’uopo rinviando alle ragioni espresse nell’ordinanza, emessa nello stesso giudizio, di rimessione alla Corte costituzionale della questione di costituzionalità dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, alla luce dell’interpretazione “di detta disposizione fornita dalla giurisprudenza amministrativa in pronunce, che il rimettente reputa diritto vivente, che hanno escluso l’obbligo di esplicita motivazione per i giudizi espressi in sede di valutazione degli esami di abilitazione professionale” (così l’ordinanza n. 419/05 della Corte, che ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione).
Per l’annullamento di detta sentenza hanno proposto appello il MINISTERO della GIUSTIZIA e la Commissione per gli esami di avvocato presso la Corte di Appello di Lecce, preliminarmente lamentando la non comprensibilità del percorso argomentativo e della ratio decidendi della stessa (in ragione del “rinvio acritico” ad atti ad essa esterni dalla stessa operato) e poi, nel mérito, ampiamente argomentando sulla legittimità della motivazione espressa in termini numerici.
Si è costituita in giudizio, per resistere, l’appellata, deducendo l’inammissibilità ed infondatezza dell’appello.
Con memoria in data 7 dicembre 2007, gli appellanti, “nel richiamarsi a tutti i motivi di impugnazione addotti e alle argomentazioni svolte con il ricorso in appello”, hanno invocato, a sostegno del proposto gravame, la più recente giurisprudenza della Sezione sulla materia.
Anche l’appellata, con memoria in data 9 gennaio 2008, ha ribadito le sue tesi circa l’assoluta infondatezza ed inammissibilità dell’appello avversario, inoltre riproponendo gli ulteriori motivi di censura, articolati con il ricorso originario e non esaminati dal T.A.R.
La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 22 gennaio 2008.
D I R I T T O
1. – L‘appello dell’Amministrazione è fondato.
Ancor prima, però, esso si rivela, a differenza di quanto eccepito dall’appellata, ammissibile, essendo le censùre con lo stesso proposte correttamente rivolte avverso l’unico profilo affrontato dal Giudice di primo grado nell’accogliere il ricorso originario e cioè “quello concernente il difetto di motivazione” (pag. 4 sent.); non essendovi invero traccia, nella sentenza stessa, di quell’asserito esame “della assoluta irrazionalità ed illogicità dei giudizi estremamente penalizzanti” (pag. 7 mem. in data 9 gennaio 2008), rispetto al quale l’Amministrazione, a giudizio dell’appellata, non si sarebbe fatta càrico, col gravame all’esame, di argomentare.
2. – Nel mérito dello stesso si può, peraltro, prescindere dalle pur pertinenti doglianze con esso mosse al percorso argomentativo ed alla ratio decidendi della sentenza impugnata (in ragione del lamentato “rinvio acritico” ad atti ad essa esterni – “ordinanze cautelari e di rimessione” – dalla stessa operato), dal momento che la censùra del ricorso di primo grado rivolta contro la insufficienza della mera motivazione numerica del contestato giudizio finale (che non consentirebbe, ad avviso dell’originaria ricorrente, un adeguato riscontro dell’iter decisionale seguito dalla commissione, attesa la pochezza del solo dato sintetico contenuto nella mera cifra aritmetica), non può, a differenza di quanto ritenuto dal T.A.R., essere accolta.
Va premesso che, in linea con la consolidata giurisprudenza sul punto, le valutazioni espresse dalle commissioni giudicatrici in merito alle prove di concorso, seppure qualificabili quali analisi di fatti (correzione dell’elaborato del candidato con attribuzione di punteggio o giudizio) e non come ponderazione di interessi, costituiscono pur sempre l’espressione di ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l’idoneità tecnica e/o culturale, ovvero attitudinale, dei candidati, con la conseguenza che le stesse valutazioni non sono sindacabili dal giudice amministrativo, se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico od un errore di fatto, o, ancora, una contraddittorietà ictu oculi rilevabile (Cons. St., IV, 17 gennaio 2006, n. 176).
Ne consegue che il giudicante non può ingerirsi negli ambiti riservati alla discrezionalità tecnica dell’organo valutatore (e, quindi, sostituire il proprio giudizio a quello della commissione), se non nei casi in cui il giudizio (in questo caso espresso mediante voto numerico) si appalesi viziato sotto il profilo della logicità, vizio la cui sostanza non può essere confusa con l’adeguatezza della motivazione, ben potendo questa essere adeguata e sufficiente e tuttavia al tempo stesso illogica; stante, invero, il diverso rilievo ed ambito concettuale, che assumono i due vizii, l’uno non può essere arbitrariamente dedotto dall’altro e, soprattutto, un giudizio critico negativo reso dalla Commissione esaminatrice mediante punteggio numerico non risulta affetto né da profili di insufficienza, né da profili di irrazionalità sol perché il Giudice, senza rilevare alcuna concreta eclatante discrasia tra la votazione negativa attribuita ed il contenuto degli elaborati, decida (come in effetti da talune sentenze di primo grado di fatto operato) di sostituire (indebitamente, come s’è visto) la propria competenza a quella specifica riconosciuta dall’ordinamento alla Commissione, invadendo gli ambiti di discrezionalità tecnica alla stessa riservati.
Quanto sopra preliminarmente posto, va ulteriormente rammentato che, a séguito di una considerevole elaborazione, la giurisprudenza della Sezione è oramai ferma nel considerare, in assenza di una normazione ad hoc, del tutto sufficiente la motivazione dell’idoneità (o inidoneità) del candidato, come risultante dalle prove sostenute, contenuta in un punteggio numerico (ex multis, C.d.S., sez. IV: 29 ottobre 2001, n. 5635; 27 maggio 2002, n. 2926; 1° marzo 2003, n. 1162).
È stato infatti precisato che la motivazione espressa numericamente, oltre a rispondere ad un evidente principio di economicità dell’attività amministrativa di valutazione, assicura la necessaria chiarezza sulle valutazioni di merito compiute dalla commissione e sul potere amministrativo da quest’ultima espletato (Cons. St., IV, 20 settembre 2006, n. 5507 e 16 luglio 2007, n. 4007).
In tal caso, si tratta in realtà di motivazione sintetica, ma comunque significativa ed idonea a rendere palese la valutazione compiuta dalla commissione, con la conseguenza che non occorre di norma integrare il punteggio numerico con un’apposita, ulteriore, motivazione, un obbligo di motivazione integrativa ponendosi solo in casi del tutto eccezionali (ad es., in caso di rilevante contrasto fra i componenti della commissione circa il punteggio da attribuirsi, al fine di escludere ogni eventuale contraddittorietà intrinseca del giudizio complessivo: da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 14 aprile 2006, n. 2127, in tema di concorso notarile; nonché id., sez. VI, 26 maggio 2006, n. 3147 e 14 gennaio 2005, n. 110; id., IV, 5 agosto 2005, n. 4165).
Invero, il punteggio numerico rappresenta nient’altro che la modalità di formulazione del giudizio tecnico – discrezionale finale reso sulla singola prova del candidato, espressamente contemplata dal legislatore in via generale, in tema di accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni, con la previsione della valutazione di insufficienza derivante dalla mancata attribuzione di una “votazione di almeno 21/30 o equivalente” (v. art. 7, comma 1, lett. a), secondo e terzo periodo, del D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487) e, in via speciale per altri ambiti ordinamentali, dalle specifiche norme per gli stessi dettate (vedansi, in tema di valutazione delle prove in ambito di concorso notarile, gli artt. 11 e 12 del D. Lgs. 24 aprile 2006, n. 166, secondo cui rispettivamente, in caso di idoneità della singola prova scritta “la sottocommissione assegna, in base ai voti di ciascun commissario, il punteggio complessivo da attribuire a ciascuna prova scritta fino ad un massimo di punti cinquanta” e “la sottocommissione, terminata la prova orale di ogni singolo candidato, assegna, in base ai voti di ciascun commissario, il punteggio fino ad un massimo di cinquanta punti a ciascun gruppo di materie; e, in tema di accesso alla professione di avvocato, l’art. 17-bis del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, a norma del cui comma secondo “alla prova orale sono ammessi i candidati che abbiano conseguito, nelle tre prove scritte, un punteggio complessivo di almeno 90 punti e con un punteggio non inferiore a 30 punti per almeno due prove”).
3. – Le decisioni della commissione esaminatrice hanno in sostanza una duplice valenza (la dottrina parla di atti di natura mista): provvedimentale, quanto all’ammissione o meno del candidato alla fase successiva della procedura; di giudizio, circa la sufficienza della preparazione del candidato stesso al fine di detta ammissione (esito di operazioni attinenti alla sfera della discrezionalità tecnica, censurabile unicamente, sul piano della legittimità, per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, emergenti dalla stessa documentazione: da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 17 gennaio 2006, n. 172), estrinsecantesi, per volontà, come s’è visto, dello stesso legislatore, nel voto, la cui assegnazione tradizionalmente nel nostro ordinamento, a partire da quello scolastico (v. gli artt. 81 e 82 del R.D. n. 1054/1923), è prevista per il conseguimento di una promozione, di una idoneità, di un’abilitazione o di una licenza.
Ed il provvedimento (di ammissione o non ammissione), inserentesi nelle operazioni di concorso e dunque rientrante tra quelli “concernenti … lo svolgimento dei pubblici concorsi”, per i quali il comma 1 dell’art. 3 della legge n. 241/1990 prescrive l’obbligo di motivazione, trova la sua motivazione proprio e soltanto nel punteggio numerico.
Se tale punteggio rappresenta la motivazione del provvedimento incidente sull’ulteriore percorso concorsuale del candidato, non può allora utilmente e logicamente discettarsi di “motivazione” della “motivazione” (come pretende certa giurisprudenza di primo grado, che distingue tra “voto sufficientemente motivato” o meno), ma solo di idoneità del voto in quanto tale a consentire la ricostruzione dell’iter motivazionale della commissione.
Orbene, a parte il fatto che il Giudice non può sostituirsi alle precise scelte in tal senso, come s’è visto, compiute dal legislatore, va osservato che il voto numerico da un lato si configura comunque, col suo collocarsi all’interno di una scala parametrale comunemente riconosciuta, come formula sintetica ma eloquente di esternazione della valutazione tecnica compiuta dalla commissione esaminatrice e dunque della motivazione posta a base dell’atto avente valenza provvedimentale (Cons. St., IV, 1 febbraio 2001, n. 367), dall’altro trova un adeguato parametro di riscontro (tale da consentire in fin dei conti al candidato di comprendere le valutazioni riferite alla propria prova) in quei criterii di valutazione prefissati dalla commissione esaminatrice (rinvenibili ormai nei varii ambiti ordinamentali: v. art. 12, comma 1, del D.P.R. n. 487/1994; artt. 10 e 12 del D. Lgs. n. 166/2006; art. 22 R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, in tema di valutazione degli elaborati scritti e delle prove orali nell’esame di abilitazione all’esercizio della professione forense; art. 9, comma 3, del D.P.R. 27 marzo 2001, n. 220, in materia di disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale), che, assolvendo ad una precisa funzione di trasparenza ed imparzialità dell’azione amministrativa, rappresentano un indubbio cànone di esplicazione e di verifica della coerenza della scelte operate dalla commissione con la semplice motivazione del voto numerico, che, rapportato a quei criterii, consente al candidato di comprendere i motivi del giudizio negativo ed al Giudice di ricostruire, in sede di sindacato giurisdizionale, l’iter logico seguito, nell’attribuzione di quel voto, dalla Commissione, il cui apprezzamento discrezionale non è, com’è noto, sindacabile dal Giudice della legittimità, se non sotto i profili della illogicità e della carenza di motivazione, che proprio nei detti criterii trovano parametro sufficiente e concreto di riscontro.
Tràttasi di criterii (la cui predeterminazione è peraltro connotata da una ampia discrezionalità tecnica, per cui essi sfuggono al sindacato giurisdizionale, salvi i casi di manifesta ed intrinseca illogicità ed irrazionalità: Consiglio di Stato, sez. IV, 17 settembre 2004, n. 6155; 6 maggio 2004 , n. 2798 e 8 febbraio 2000, n. 679), idonei e finalizzati oggi ad indirizzare quell’attività della commissione giudicatrice, che presenta un carattere tecnico-discrezionale e non più a “motivare i punteggi attribuiti alle singole prove”, come statuiva il comma 1 dell’art. 12 del D.P.R. n. 487/1994 nella sua originaria formulazione, poi superata dalle modifiche introdotte con il D.P.R. 30 ottobre 1996, n. 693, sì che è la stessa graduazione di questi ultimi a dover risultare riconducibile ai giudizii di valore espressi dai criterii stessi, senza necessità alcuna, ai fini della compiutezza della valutazione tecnica effettuata dalla commissione esaminatrice, di quello specifico richiamo ai criterii, predeterminati dalla commissione, che si ritengono violati, che una parte della giurisprudenza di primo grado ritiene necessario.
Criterii, questi, peraltro, che, anche se solo con l’art. 1-bis del D.L. n. 112/2003 (non applicabile ratione temporis al caso di specie) sono stati introdotti nell’àmbito del concorso per l’esercizio della professione forense, risultano esser stati regolarmente formulati, nel concorso de quo, da parte della Commissione odierna appellante, con connotati nient’affatto astratti, ma puntuali, dettagliati ed adeguati alla particolare complessità e tecnicità delle materie oggetto delle prove; e rispetto ad essi la prospettata sufficienza degli elaborati, del cui giudizio qui si discute, si presenta, essa sì, generica e del tutto inidonea a rivelare la conclamata “assoluta irrazionalità ed illogicità”, a supporto della quale non vengono forniti elementi specifici, se non quelli dell’analisi comparata con gli elaborati di altri candidati e dei cc.dd. pareri pro veritate recanti ad un giudizio opposto a quello reso dalla Commissione: il primo, peraltro, meramente enunciato e privo di alcuna specifica indicazione degli elementi risultanti da tale comparazione, che devono di sicuro dimostrare l’omologabilità degli elaborati sottoposti a comparazione sotto i diversi profili, a titolo di mero esempio, delle soluzioni tecnico-giuridiche elaborate, della chiarezza espositiva, del percorso argomentativo seguito, della correttezza sintattico-grammaticale, ecc.; il secondo, assolutamente non in grado di scardinare il giudizio della Commissione, al quale tenta indebitamente di sovrapporsi, finendo solo per confermare il forte carattere di discrezionalità tecnica, che lo connota, senza arrivare in alcun modo a corroborare la tesi della manifesta irrazionalità dello stesso.
La ricorrente originaria non indica, in sostanza, elementi di abnormità, che inficino la valutazione della Commissione, ma si limita apoditticamente a sostenere la validità nel merito dei suoi elaborati siccome congruenti rispetto ai criterii di valutazione: impostazione, questa, che risulta appunto inammissibile in questa sede, essendo precluso al giudice della legittimità di invadere il nucleo più riservato del merito valutativo (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 6642/06).
In definitiva, il punteggio numerico costituisce la motivazione della scelta provvedimentale affidata alla commissione e tanto la sua portata assoluta quanto la sua interpretazione alla luce dei prefissati criterii di valutazione (ove così ne risulti, chiaramente, la congruità) consentono di ritenerla motivazione sufficiente, idonea a rendere comprensibile ai candidati i giudizii operati dalla Commissione esaminatrice e quindi a soddisfare l’esigenza, sottesa all’obbligo di motivazione, di imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa.
Motivazione, quella concernente siffatta attività di valutazione, nient’affatto peraltro riconducibile a quella dei provvedimenti giurisdizionali (che, ex art. 111 Cost., “devono essere motivati”), donde la palese inconferenza ed erroneità del ragionamento di alcuni Giudici di primo grado (che enunciano in proposito il paradosso, secondo cui a seguire per intero la tesi espressa dal Consiglio di Stato, dovrebbe ritenersi che anche un provvedimento giurisdizionale sia da considerarsi sufficientemente motivato attraverso la semplice assegnazione di un punteggio numerico alle tesi di parte e controparte), evidente se solo si consideri ch’esso tralascia di considerare, da un lato, che, come s’è visto, i casi, in cui l’attività di giudizio demandata alle commissioni esaminatrici si traduce in un punteggio trovano la loro fonte e disciplina in scelte espresse del legislatore e, dall’altro, l’intrinseca differenza tra attività giurisdizionale (ch’è attività di risoluzione di conflitti di interessi) e quella amministrativa tecnico-discrezionale (ch’è attività di scelta delle opzioni migliori, per il raggiungimento degli obiettivi alla stessa assegnati, effettuata sulla base di régole tecnico-scientifiche), che fa sì che il problema della verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione di un provvedimento giurisdizionale si pone tanto in ordine alle “quaestiones facti” quanto riguardo alla ricognizione, compiuta dal provvedimento stesso, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, il che implica sia un raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del Giudice, sia un problema interpretativo della norma; attività, queste, proprie della funzione giurisdizionale, per nulla riconducibili all’attività amministrativa di giudizio qui in considerazione e dunque del tutto estranee al problema, qui in considerazione, dei limiti di applicazione del principio “punteggio vale titolo”, tipica, pur con i “paletti” di volta in volta eventualmente posti dal legislatore, della sola attività tecnico-discrezionale dell’Amministrazione.
Né la questione si pone in términi diversi per effetto del recente intervento legislativo in materia di concorso notarile (D. Lgs. n. 166/2006), secondo cui, per le prove scritte, “il giudizio di non idoneità è motivato. Nel giudizio di idoneità il punteggio vale motivazione” (art. 11, comma 5) e, per le prove orali, “la mancata approvazione è motivata. Nel caso di valutazione positiva il punteggio vale motivazione” (art. 12, comma 5).
Lungi, invero, come pretenderebbe una parte della giurisprudenza dei TT.AA.RR., dallo smentire l’orientamento giurisprudenziale prevalente e la costruzione sistematica sopra riportata, tali norme non fanno altro che confermare il consolidato principio, secondo cui la valutazione tradottasi nella attribuzione di un punteggio “vale motivazione” e che solo laddove essa non sfocii in una votazione (si ricordi che, a norma del comma 4 del citato art. 11, solo “in caso di idoneità, la sottocommissione assegna … il punteggio complessivo”) allora vi sarà necessariamente un giudizio diversamente “motivato” (con idonee spiegazioni e chiarimenti), proprio perché in tal caso non si fa luogo alla attribuzione di un punteggio.
Ove, invece, com’è nella logica dell’art. 7 del D.P.R. n. 487/1994 o dell’art. 17-bis del R.D. n. 37/1934, la non ammissione del candidato consegua semplicemente alla attribuzione in suo favore di un punteggio inferiore ad un minimo (21/30 nel primo caso e 90, con punteggio non inferiore a 30 in almeno due prove, nel secondo caso), rivivrà il veduto principio generale, secondo cui l’ònere di motivazione delle scelte compiute è adempiuto con l’attribuzione del punteggio numerico, che si configura come formula sintetica ma eloquente del sottostante giudizio tecnico-discrezionale, senza che vi sia alcuna esigenza logico-giuridica di una qualche motivazione integrativa recante ulteriori spiegazioni (Cons. St., IV, 17 gennaio 2006, n. 171).
Né giova invocare, per dedurne una qualche contraddittorietà delle considerazioni fin qui svolte (contraddittorietà palesemente insussistente), la giurisprudenza di questo Consiglio in tema di obbligo ed ambito della motivazione nei procedimenti selettivi interni per titoli, nei quali, in disparte ogni altra considerazione, la graduazione delle attitudini e delle capacità professionali degli aspiranti non fa riferimento, come nei concorsi per esami, ad un contesto idoneativo (o non idoneativo) risultante dalle prove sostenute (sì che la sufficienza della motivazione espressa attraverso il solo voto numerico è corroborata dall’analisi del fatto-elaborato), ma di régola alle pregresse attività degli aspiranti stessi (riguardate in relazione alle capacità professionali, all’esercizio di funzioni di istituto, alla qualità delle funzioni svolte, alle capacità organizzative dispiegate, ecc.), che, pur “fotografate” dalle risultanze oggettive dei fascicoli personali, si prestano ad una valutazione e sono funzionali ad un giudizio complessivo sulla personalità e professionalità del dipendente, che sfugge ad una verifica di carattere rigorosamente obiettivo e che proprio per questo può necessitare, in relazione ai criterii che di volta in volta presiedono all’attività di giudizio di cui si tratta, di una motivazione specifica, ulteriore rispetto al punteggio attribuito.
In proposito, nemmeno giova richiamare il diverso indirizzo espresso dalla decisione della VI Sezione di questo Consiglio di Stato n. 2331 del 30 aprile 2003, che ha statuito che il giudizio circa la sufficienza del punteggio alfanumerico quale motivazione di una valutazione delle prove di esame o di concorso vada effettuato in concreto e cioè valutando se il voto numerico sia posto in connessione con altri elementi dai quali trarre la motivazione (sì che il voto numerico sarebbe in sostanza sufficiente ove accompagnato dai segni di correzione oppure ove sia stato attribuito sulla base di criterii di massima fissati dalla Commissione in maniera analitica e non anche quando tali criterii si risolvano in espressioni generiche), dovendosi, ad una attenta lettura della motivazione della decisione (determinata dalla "peculiarità della procedura selettiva cui si riferisce la presente procedura selettiva, connotata dalla evidente necessità di far luogo al raffronto tra le posizioni dei diversi candidati cui va, quindi, assicurata, quanto meno in forma sintetica, l’esternazione delle ragioni sottese alle valutazioni della Commissione"), escludere che l’orientamento contenuto nella stessa abbia carattere generale (ed innovativo), non potendo esso, alla stregua proprio della veduta motivazione, trovare applicazione nei casi, quale quello di specie, che riguardano un esame di abilitazione e non già una procedura selettiva ed in cui manca, quindi, una valutazione comparativa dei candidati.
Nella linea interpretativa qui valorizzata risulta poi evidente come nemmeno possa in qualche modo ritenersi necessaria, al fine di ricostruire ab externo gli aspetti della prova non valutati positivamente dalla Commissione, l’apposizione sugli elaborati, ad òpera della Commissione, di ulteriori elementi, quali note a margine, o comunque segni grafici; apposizione, questa, rileva il Collegio, che nulla vale ad aggiungere alla motivazione validamente espressa mediante punteggio numerico tutte le volte, in cui ad un candidato venga attribuito un giudizio di insufficienza, la comprensione del giudizio così formulato non potendo certo logicamente ri(con)dursi al riferimento alle glosse più o meno casualmente apposte sugli elaborati scritti (di per sé inidonee ad esprimere tutta una serie di valutazioni proprie del giudizio della Commissione), dovendo essa piuttosto raggiungersi mediante una ricostruzione per relationem dei criterii seguiti dalla commissione esaminatrice nella formulazione dello stesso.
Del resto, l’affermata idoneità del punteggio numerico ad integrare l’obbligo di motivazione delle operazioni di giudizio (che discende ineludibilmente dai principii di imparzialità e trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione, sanciti nell’art. 97, comma 1, Cost., nonché dal principio di effettività della tutela giurisdizionale, anch’esso presidiato sul piano costituzionale dagli artt. 24, 103 e 113 della Carta) non fa certo venir meno, né in qualche modo attenua, la garanzia della possibilità di un sindacato sulla ragionevolezza, coerenza e logicità delle valutazioni poste in essere nell’àmbito delle procedure concorsuali (il candidato essendo peraltro messo in condizione di conoscere gli errori o le lacune del giudizio espresso dalla commissione e di valutare la fruibilità dell’azione giurisdizionale anche sulla base dell’accesso agli atti della competizione concorsuale, vòlto a verificare l’imparzialità di giudizio e la coerente ed uniforme applicazione dei criterii di valutazione che allo stesso presiedono), entro i limiti (e con gli strumenti processuali), in cui al Giudice amministrativo è notoriamente consentito di esercitare il proprio sindacato su atti espressivi di discrezionalità tecnica.
Come più volte affermato dalla giurisprudenza, invero, il giudizio della commissione comporta, come sopra già sottolineato, una valutazione essenzialmente qualitativa della preparazione scientifica dei candidati ed attiene così alla sfera della discrezionalità tecnica (v., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 17 gennaio 2006, n. 172), relativamente alla quale, pur essendosi superata l’equazione concettuale tra discrezionalità tecnica e merito (riservato all’Amministrazione nella determinazione del regolamento di interessi più opportuno, e dunque insindacabile), il limite del controllo giurisdizionale è dato comunque dal fatto che l’applicazione della norma tecnica non sempre si traduce in una legge scientifica universale, caratterizzata dal requisito della certezza ed anzi, quando contiene ‘concetti giuridici indeterminati’, dà luogo ad apprezzamenti tecnici ad elevato grado di opinabilità.
Né, per finire, una opzione ermeneutica diversa da quella, qui accolta, secondo cui l’ònere di motivazione della valutazione delle prove scritte di un concorso o di un esame di abilitazione è adempiuto con la sola attribuzione di un punteggio numerico (sulla quale si vedano, da ultimo, Consiglio di Stato, sezione IV, n. 6041/2007 e n. 6196/2006), può trarsi (come invece sembra voler fare proprio la sentenza impugnata, resa in un giudizio, in cui il T.A.R. aveva rimesso al Giudice delle leggi la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, alla luce dell’interpretazione di detta disposizione fornita dalla giurisprudenza amministrativa in pronunce, che il rimettente ha reputato esser “diritto vivente”, che hanno escluso l’obbligo di esplicita motivazione per i giudizi espressi in sede di valutazione degli esami di abilitazione professionale) dal non liquet della Corte costituzionale sulla materia (al riguardo, va rammentato che la Corte ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale – ordinanze del 3 novembre 2000, n. 466; 6 luglio 2001, n. 233; 14 novembre 2005, n. 419; 27 gennaio 2006, n. 28 – dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero della disciplina degli esami di abilitazione alla professione forense contenuta negli artt. 23 e 24 del regio decreto del 22 gennaio 1934, n. 37, in quanto la questione, più che essere diretta in realtà a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, si traduceva piuttosto "in un improprio tentativo di ottenere l’avallo di questa Corte a favore di una determinata interpretazione della norma": ord. cit., n. 466 del 2000, tenuto altresì “conto che nel frattempo la giurisprudenza amministrativa ha mostrato di fornire un panorama ulteriormente articolato di possibili soluzioni interpretative”: ord. cit., n. 419 del 2005), giacché, fermo il principio che le ordinanze di inammissibilità della Corte costituzionale non vincolano il Giudice chiamato ad applicare la norma, anche l’incidentale affermazione contenuta nell’ultima delle indicate ordinanze (ove si legge, tra l’altro, che "la giurisprudenza amministrativa fornisce un panorama articolato di possibili soluzioni interpretative, non limitandosi alla sola tesi che esclude l’obbligo di motivazione nelle operazioni di giudizio conseguenti a valutazioni tecniche ma estendendosi sino a quella che invece ritiene applicabile il medesimo obbligo anche ai giudizi valutativi ed a quella secondo cui la sufficienza e idoneità del punteggio numerico dev’essere apprezzata caso per caso, in relazione alla possibilità concreta che il concorrente abbia di ricostruire per relationem i criteri seguiti dalla commissione esaminatrice, ad esempio facendo riferimento ai criteri di massima predeterminati dalla stessa o alle glosse apposte sugli elaborati scritti") non consente comunque di cogliere, nell’asseritamente più “restrittivo” (secondo una parte della giurisprudenza di primo grado) indirizzo qui seguito, elementi di non conformità ai principii costituzionali, di cui è pacificamente espressione l’art. 3 della legge n. 241/1990, una volta ch’esso sia interpretato coerentemente con il contesto nel quale si colloca e cioè in una prospettiva di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa (vedasi, in tal senso, l’art. 1, comma 1, della stessa legge), rifuggendo da valutazioni apodittiche ed aprioristiche (arricchendo all’uopo di valenza prescrittiva le disposizioni, disseminate nell’ordinamento, che fanno riferimento alla previa fissazione di criterii di massima idonei a ricostruire, sia ex ante sia soprattutto ex post, il procedimento logico seguito da una commissione esaminatrice al fine di esprimere il proprio giudizio tecnico-discrezionale sulle prove d’esame) e salvaguardando il diritto costituzionale di difesa, in una prospettiva di sostanziale ripensamento del giudizio amministrativo (quale giudizio non più limitato al sindacato dell’atto, ma inerente l’intero rapporto che vi è sotteso, che deve comunque rapportarsi ai principii costituzionali di legalità dell’azione amministrativa, ovvero di efficienza, efficacia, consequenzialità e congruità della stessa) e dei limiti tra discrezionalità tecnica e mérito dell’azione amministrativa .
4. – In tale contesto, alla luce delle considerazioni svolte, l’appello dell’Amministrazione risulta, come già detto, fondato.
Ne deriva l’obbligo, per il Giudice di appello, degli ulteriori motivi di censura, articolati con il ricorso originario e non esaminati dal T.A.R.
Essi si rivelano tutti privi di pregio.
4.1 – Per quanto attiene alla questione relativa alla presidenza della Sottocommissione incaricata di procedere alla valutazione degli elaborati scritti – che per ragioni di ordine logico va esaminata con precedenza rispetto ad ogni altro motivo di doglianza – la unicità della figura del Presidente (prevista dall’art. 22 del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, come modificato dalla legge 20 aprile 1989, n. 142, applicabile ratione temporis alla fattispecie) da tempo non ha invero impedito alla giurisprudenza di affermare la possibilità, per il Presidente, di essere sostituito, nell’esercizio delle sue funzioni, da un componente, al quale assegnare le funzioni di vice Presidente, senza necessità né che il verbale della seduta rechi la specifica indicazione delle ragioni, che abbiano reso necessaria la sostituzione del titolare, né che il sostituto sia necessariamente un magistrato, applicandosi la disposizione dell’art. 21, comma 5, del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, qui invocata dalla ricorrente, solo nell’ipotesi, esulante dal caso di specie, in cui gli esami di cui si tratta abbiano luogo presso il Ministero.
4.2 – Per quanto riguarda, invece, i tempi impiegati per la correzione degli elaborati scritti, secondo la ricorrente eccessivamente ridotti (essendo stati esaminati gli elaborati di 16 candidati in 5 ore e 10 minuti) e denunciati dunque dall’interessata come sintomo ragionevole di una incompleta o quanto meno superficiale lettura e valutazione degli stessi, la giurisprudenza è fermissima nel sostenere che essi non sono sindacabili in sede di legittimità, atteso che, di norma, non è possibile stabilire quali candidati abbiano fruito di maggiore o minore attenzione da parte della Commissione e se quindi il vizio denunciato inficii in concreto il giudizio dal singolo candidato contestato (Cons. Stato, IV Sez., 6 settembre 2006, n. 5155).
Ciò vale, in particolare, quando detti tempi siano calcolati in base ad un computo presuntivo, dato dalla suddivisione della durata di ciascuna seduta per il numero dei partecipanti o degli elaborati esaminati, attesa l’impossibilità, di norma, come s’ è detto, di stabilire quali di essi abbiano fruito di maggiore o di minore considerazione da parte della Commissione, che non è affatto tenuta, del resto, alla verbalizzazione dell’orario di inizio e fine delle operazioni di valutazione candidato per candidato.
In ogni caso, la pretesa (ed indimostrata) incongruità del tempo impiegato dagli esaminatori non consente in alcun modo di inferirne, come pure dedotto dall’interessata, il mancato rispetto, nella fattispecie, della régola della collegialità nella correzione degli elaborati, dovendo ritenersi, fino a prova di falso, che l’unico voto riportato nel verbale ed in calce ad ogni elaborato sia espressione di una valutazione e di una volontà collegiale unanime, delle cui modalità di formazione non v’è del resto bisogno di una espressa indicazione nel verbale medesimo.
Il che vale anche a dimostrare l’infondatezza della ulteriore censura relativa alla mancata indicazione, nel verbale della seduta del 14 marzo 2003, del voto espresso da ciascun commissario con riferimento alle prove scritte svolte dalla ricorrente, anche a proposito della quale va comunque rilevato che non sussiste una norma, che espressamente imponga di verbalizzare i giudizii resi da ogni singolo componente della Commissione esaminatrice.
5. – In definitiva, in accoglimento dell’appello ed in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado deve essere respinto.
Sussistono, tuttavia, ad avviso della Sezione, giusti motivi per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 22 gennaio 2008, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:
****************                     – Presidente
**************                         – Consigliere
Pierluigi Lodi                           – Consigliere
**************                     – Consigliere
****************                     – Consigliere, rel. est.
L’ESTENSORE                                            IL PRESIDENTE
****************                                                       ****************
 
 
IL SEGRETARIO
                                                                                                             *************************
 
Depositata in Segreteria
           Il 27/03/2008
(Art. 55, L. 27.4.1982, n. 186)
          Il Dirigente
      ********************

sentenza

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