Atto di citazione, addio! O forse è solo un arrivederci? Brevi spunti a margine della proposta di modifica del processo civile

Redazione 27/02/20
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di Elisa Giardini

Sommario

1. Premessa. La “riforma” della giustizia: il disegno di legge del 5.12.2019

2. Citazione e ricorso: principali differenze

3. La nullità dell’atto di citazione

4. Spunti critici e di riflessione: è davvero preferibile il ricorso alla citazione, quale atto introduttivo del giudizio ordinario per “velocizzare i tempi” della giustizia civile?

1. Premessa. La “riforma” della giustizia: il disegno di legge del 5.12.2019

Il 5.12.2019 il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge che delega l’Esecutivo ad avviare una riforma del processo civile per il 2020, con lo scopo di dimezzare i tempi della giustizia, semplificarne gli iter, ridurre i carichi pendenti e la burocrazia, favorire l’informatizzazione[1], ma anche di procedere alla revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie[2], valorizzandone gli aspetti positivi, per garantire – nelle intenzioni del Governo – un servizio della giustizia civile più efficiente ed attrarre gli investitori della c.d. “business community“.

Il percorso per la promulgazione del testo richiederà tempo, poiché il D.D.L. dovrà essere prima approvato dal Parlamento e divenire una legge delega che conferirà al Governo i poteri necessari per emanare uno o più decreti legislativi, che daranno avvio alla “riforma”.

Le modifiche da introdurre, a quanto consta, sono numerose e varie. Il D.D.L. prevede, ad esempio, l’abrogazione del procedimento sommario di cognizione[3] e l’introduzione di un rito esclusivo ed obbligatorio per le cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica[4], denominato – in prima approssimazione – “rito ordinario davanti al tribunale in composizione monocratica”. Si prevede, poi, l’unificazione del processo civile davanti al giudice di pace[5] al procedimento davanti al tribunale, con il passaggio ad un rito unico.

Tra le novità più significative, c’è la sempre auspicabile riduzione dei tempi del processo, attraverso la compressione dei termini per lo svolgimento delle varie fasi, con l’obbligo, per il giudice, quando provvede sulle istanze istruttorie, di predisporre il calendario delle udienze, nonché, per le parti, di depositare documenti ed atti esclusivamente con le modalità telematiche.

Nel progetto di revisione, spariscono, poi, l’udienza di precisazione delle conclusioni e le relative scadenze processuali per il deposito di comparse conclusionali e di repliche, con disincentivi e sanzioni pecuniarie per chi mira ad intraprendere liti temerarie[6]. I termini di comparizione in giudizio si allungano fino alla durata massima di centoventi giorni, mentre si riducono a quaranta per il convenuto.

In tema di espropriazione immobiliare, il progetto di riforma mira, nelle sue intenzioni, ad assicurare da un lato maggiore tutela al debitore, dall’altro ad una riduzione dei tempi e dei costi, a vantaggio del creditore, prevedendo che il debitore possa anche essere autorizzato dal giudice a vendere direttamente il bene pignorato.

Ma tra i cambiamenti più radicali, e che già stanno facendo discutere[7], c’è certamente l’eliminazione dell’atto di citazione, quale atto introduttivo del giudizio, disciplinato dagli artt. 163 s.s. c.c., visto che trattasi dell’atto e della forma più comunemente impiegata nel processo di cognizione per introdurre una domanda giudiziale.

[1] La digitalizzazione sarà da preferire e da ricercare in maniera completa, lungo tutto il processo civile, dal primo all’ultimo grado di giudizio, compresi il Giudice di Pace e la Corte di Cassazione: in particolare, a scopi deflattivi del contenzioso, si prevede nel progetto di riforma un rafforzamento del ricorso alla negoziazione assistita, che verrebbe, invece, cancellata per le cause relative agli incidenti stradali. Scatterà il divieto per gli ufficiali giudiziari di effettuare la notifica cartacea, se il destinatario sia in possesso di una pec o di un indirizzo digitale. Per lo scioglimento delle comunioni che risulta, ad oggi, uno dei procedimenti con durata più elevata, sarà introdotto un procedimento speciale di mediazione. Nella previsione di riforma, poiché lo strumento della mediazione si è rivelato in questa materia particolarmente efficace, si introduce uno speciale procedimento, che dovrà essere condotto da un mediatore avvocato o notaio, iscritto in uno speciale elenco, con la previsione che in caso di esito negativo della mediazione, la relazione finale redatta dal mediatore sia comunque assunta come base per il successivo procedimento contenzioso.

[2] Si prevede il potenziamento della “negoziazione assistita” e l’esclusione del ricorso obbligatorio alla mediazione assistita in materia di responsabilità sanitaria, contratti bancari, finanziari ed assicurativi.

[3] Artt. 702 bis – 702 quater, introdotti nel Codice di Rito nel 2009 con la L. n. 69 del 18.06.2009.

[4] Con l’eccezione dei procedimenti assoggettati al rito del lavoro. Sempre rispetto al diritto processuale del lavoro, tra le novità, è prevista l’eliminazione del c.d. “Rito Fornero”, il quale stabiliva una corsia preferenziale per la trattazione delle controversie sui licenziamenti illegittimi. Con la riforma del processo civile si tornerà al rito unico.

[5] Peraltro con l’eliminazione del tentativo obbligatorio di conciliazione. La “riforma” dovrà essere senz’altro coordinata con quanto prevede il D.lgs. n. 116/2017, che, nell’introdurre uno statuto unico della magistratura onoraria “applicabile ai giudici di pace, ai giudici onorari di tribunale e al vice procuratori onorari” ha delineato – tra l’altro – una nuova struttura organizzativa dell’ufficio del processo ed ampliato p>

[6] Chi querela senza un giustificato motivo corre il rischio di pagare una ammenda e un risarcimento, a favore della Cassa delle ammende, avendo creato un danno allo Stato.

[7] Sull’effettività, o meno, di tale eliminazione nell’ottica di riduzione dei tempi per addivenire alla decisione, come anche oltre si dirà.

2. Citazione e ricorso: principali differenze

Sino ad oggi, i principali atti introduttivi del giudizio e della domanda giudiziale sono stati, infatti, l’atto di citazione, disciplinato dagli artt. 163 s.s. c.p.c. ed il ricorso, (che è l’atto introduttivo del giudizio in Cassazione ex art. 366 c.p.c., del processo del lavoro ex art. 414 c.p.c., del procedimento per ingiunzione, ex art. 638 c.p.c. e di tutti i procedimenti di volontaria giurisdizione ex art. 737 c.p.c[8].

La distinzione tra ricorso e citazione, atti di parte che per gli aspetti comuni, e sotto il profilo contenutistico, possono essere entrambi ricondotti alla definizione ed alle elencazioni dell’art. 125 c.p.c.[9], sta fondamentalmente nel fatto che quest’ultimo ha la forma di una domanda, da esercitarsi verso la controparte, e viene utilizzato nelle controversie tra soggetti posti in posizione paritaria ed, in genere, nel procedimento ordinario di cognizione[10].

La citazione viene, infatti, di regola impiegata per convenire in giudizio qualcuno, onde sentire accertare la propria pretesa, ontologicamente rivolta alla controparte (vocato in ius). Il giudice, nel contraddittorio delle parti, pronuncia poi la sentenza, cogliendo nei limiti delle rispettive formulazioni e sulla base delle prove rese e dedotte in giudizio, la decisione più appropriata al caso.

Con il ricorso, invece, quale atto di iniziativa processuale caratteristico dei procedimenti speciali, la domanda viene rivolta direttamente all’Autorità giudiziaria (vocatio iudicis – editio actionis). Quest’ultima, che è espressione di un potere, si assume l’onere istituzionale di fare fronte alla situazione lamentata dal ricorrente con proprio provvedimento, che può incidere sul merito o anche semplicemente sul rito utilizzato.

Pertanto, la differenza tra i due tipi di atti introduttivi sta nel soggetto che viene per primo raggiunto dalla domanda di giustizia dell’istante, che è la controparte convenuta, nell’atto di citazione (al quale devono seguire, per garantire la procedibilità della domanda, altri atti di impulso, come l’iscrizione della causa a ruolo, la costituzione in giudizio), mentre nel ricorso il soggetto che per primo riceve la domanda di giustizia è il giudice, il quale fissa lui – in base al proprio calendario – un’udienza di comparizione con decreto che poi dovrà essere notificato, unitamente al ricorso, da parte del ricorrente, e dunque ad istanza della parte, a tutti i convenuti, nel rispetto del principio del contraddittorio.

In sostanza, mentre la citazione viene resa nota prima all’avversario e poi al giudice, nel ricorso avviene esattamente l’opposto, pur essendo comunque tre i soggetti coinvolti e pur dovendo il contraddittorio essere integrato nei confronti di tutti (attore/ricorrente, convenuto/resistente e giudice).

La differenza non è di poco conto, al fine di determinare la pendenza della lite e le conseguenze sostanziali connesse alla domanda (come l’interruzione della prescrizione[11]) o la determinazione della priorità cronologica di una causa rispetto ad un’altra, allorché tale priorità sia importante per risolvere specifici problemi posti dagli istituti della litispendenza, della continenza[12] o della connessione tra cause ex artt. 39 e 40 c.p.c.

Nel caso di processo da citazione, la pendenza della lite si ha con la notificazione dell’atto exart. 39, comma 3 c.p.c. La legge tace per ciò che riguarda il processo da ricorso. Ma la dottrina è concorde nel ritenere che ciò avvenga con il deposito dell’atto in cancelleria, con il formarsi cioè del contraddittorio tra due almeno dei tre soggetti coinvolti. Da ciò si può formulare questo principio: in ogni processo, affinché si abbia la pendenza, è sufficiente che si stabilisca il contatto fra almeno due dei soggetti del processo (fra l’attore ed il convenuto, o fra l’attore ed il giudice).

[8] Assume la forma del ricorso anche qualsiasi istanza che le parti debbano rivolgere al giudice nel processo esecutivo.

[9] Rubricato “Contenuto e sottoscrizione degli atti di parte”.

[10] A seconda dell’ampiezza dei poteri decisori del giudice, l’azione di cognizione può ulteriormente essere distinta in tre diverse tipologie: azione di mero accertamento, azione di condanna e azione costitutiva. L’azione di mero accertamento è diretta a ottenere dal giudice il solo accertamento dell’esistenza e del modo di essere del diritto soggettivo da altri contestato (mero accertamento positivo) o dell’inesistenza del diritto soggettivo da altri vantato (mero accertamento negativo). L’azione di condanna è finalizzata, invece, a ottenere dal giudice non solo l’accertamento dell’esistenza del diritto soggettivo che l’attore afferma violato, ma anche l’accertamento dell’inadempimento di detto diritto soggettivo da parte dell’obbligato e la sua condanna alla reintegrazione (in forma specifica o per equivalente) del diritto violato. La pronuncia che l’attore ottenga all’esito dell’esercizio dell’azione di condanna costituisce presupposto per la successiva attuazione coattiva del diritto in sede di esecuzione forzata (la cosiddetta efficacia esecutiva della condanna). Accanto all’azione di condanna ordinaria vengono tradizionalmente individuate ipotesi di condanne speciali: a) la condanna generica, ovvero la possibilità che su istanza dell’attore il giudice pronunci sentenza non definitiva di condanna generica alla prestazione (eventualmente accompagnata da una provvisionale), quando <sia già accertata la sussistenza di un diritto», ma sia «ancora controversa la quantità della prestazione dovuta (art. 278 c.p.c.); b) la condanna con riserva delle eccezioni, ossia la possibilità talvolta riconosciuta dal legislatore che il giudice, di fronte all’attività difensiva del convenuto fondata su eccezioni di non pronta risoluzione, emetta un provvedimento provvisorio di condanna senza tener conto di queste eccezioni, il cui esame è riservato al prosieguo del processo; c) la condanna in futuro, ovvero la possibilità riconosciuta dal legislatore in alcune ipotesi tipiche di avere dal giudice la pronuncia di un provvedimento di condanna in anticipo rispetto al verificarsi della violazione, che diventerà efficace solo se e quando tale evento si verificherà. L’azione costitutiva mira a ottenere dal giudice la costituzione, modificazione o estinzione di un rapporto giuridico (art. 2908 c.c.), previo accertamento dell’esistenza dei presupposti individuati dal legislatore per ottenere la produzione di un simile effetto.

[11] Exart. 2943, comma 1 c.p.c. «la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio”. E’ recentissimamente intervenuta la terza sezione della Corte di Cassazione con sentenza n. 124 dell’8.01.2020 (pubblicata in SmartLex24 – Il Sole24Ore), a statuire che anche la citazione introduttiva dichiarata nulla può valere come costituzione in mora e ad interrompere la prescrizione per il suo specifico contenuto e per i risultati cui è rivolta.

[12] “Nel caso in cui la parte nei cui confronti è stata chiesta l’emissione di decreto ingiuntivo abbia proposto domanda di accertamento negativo del credito davanti ad un diverso giudice prima che il ricorso ed il decreto ingiuntivo le siano stati notificati, se, in virtù del rapporto di continenza tra le due cause, quella di accertamento negativo si presti ad essere riunita a quella di opposizione, la continenza deve operare in questo senso retroagendo gli effetti della pendenza della controversia introdotta con la domanda di ingiunzione al momento del deposito del relativo ricorso, sempre che la domanda monitoria sia stata formulata davanti a giudice che, alla data della presentazione, era competente a conoscerla”. Così Cass. Civ., S.U., n. 20596 del 1.10.2007, ma anche Cass. Civ. n. 20597 e n. 20599 del 1.10.2007, tutte in CED, Cassazione, 2007. “Con l’affermazione di tale principio, le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto formatosi in seno alle sezioni semplici in ordine alla determinazione della prevenzione, rilevante i fini della continenza, tra la domanda di condanna introdotta con il ricorso per decreto ingiuntivo davanti ad un determinato giudice, comunque competente, e quella, proposta successivamente al deposito del ricorso monitorio ma anteriormente alla sua notificazione, di accertamneto negativo dello stesso credito dinanzi ad altro giudice”. Si leggano anche Cass. Civ., sez. 6, n. 6511 del 26.04.2012 in CED, Cassazione, 2012, Cass. Civ., S.U., n. 9535 del 19.04.2013, in CED, Cassazione, 2013, e Cass. Civ., S.U., n. 23675 del 6.11.2014, in CED, Cassazione, 2014 per cui: “Per determinare la litispendenza ai fini della prevenzione tra cause in rapporto di continenza, una iniziata con ricorso monitorio e una iniziata con citazione, per quest’ultima si ha riguardo al perfezionamento del procedimento di notificazione tramite consegna dell’atto al destinatario, non operando la scissione soggettiva del momento perfezionativo per il notificante ed il destinatario che vale solo per le decadenze non addebitabili al notificante; né può invocarsi il principio di uguaglianza tra gli attori in rapporto alla pendenza della lite monitoria già al momento del deposito del ricorso, atteso che la maggiore o minore incidenza dell’impulso di parte nell’individuazione del giudice naturale della controversia è solo l’effetto indiretto della differente disciplina processuale, discrezionalmente prevista dal legislatore”.

3. La nullità dell’atto di citazione

Se da un lato, per quanto riguarda il ricorso, per valutarne vizi e conseguenze sul processo occorre fare riferimento ai principi espressi dal Capo III del Libro I del Codice di Rito, in materia di rilevanza della nullità (art. 156 c.p.c.), di rilevabilità e sanatoria della nullità (art. 157 c.p.c.) e di pronuncia sulla nullità (art. 162 c.p.c.), per quanto concerne i vizi dell’atto di citazione, le ipotesi di nullità specifiche sono previste e contemplate dall’art. 164 c.p.c.[13], con una summa divisio tra i casi di nullità che riguardano gli elementi della attinenti alla vocatio in ius ed i casi di nullità attinenti l’ediitio actonis.

I vizi della vocatio in ius sono quelli dell’art. 164, comma 1 c.p.c., il quale stabilisce che la citazione è nulla nel caso in cui manchi o risulti assolutamente incerta l’indicazione dell’autorità giudiziaria adita e/o delle parti in giudizio; manchi l’indicazione della data dell’udienza di comparizione; sia stato assegnato un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge; manchi l’avvertimento, previsto al n. 7 dell’art. 163, ossia l’invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza indicata ai sensi e nelle forma stabilite dall’art. 166 c.p.c[14] e a comparite, nell’udienza indicata, dinanzi al giudice designato exart. 168 bis c.p.c., con l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c.

I vizi della vocatio in ius possono essere superati mediante la rituale rinnovazione della citazione entro un termine perentorio[15] ed il vizio viene sanato sin dal momento della notifica della prima citazione; al contrario in caso di omessa rinnovazione, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo, con conseguente estinzione del processo.

Occorre tenere presente, con una giurisprudenza recente[16], che nel caso in cui il giudice abbia ordinato la rinnovazione dell’atto introduttivo per mancato rispetto del termine a comparire, “è nulla la rinnovazione eseguita mediante la notifica della combinazione del primo atto di citazione (indicante, per la prima comparizione, una data già trascorsa) e del verbale contenente l’ordinanza di fissazione della nuova udienza in quanto l’atto manca della chiarezza indispensabile all’evocazione in lite di una parte ancora non assistita da difensore”, ferma restando la sanatoria dell’invalidità in caso di raggiungimento dello scopo e, cioè, di costituzione del convenuto.

La costituzione in giudizio del convenuto sana retroattivamente i vizi della citazione e fa salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda giudiziale[17].

Se l’attore non ha rispettato i termini a comparire o ha omesso l’avvertimento di cui al n. 7 dell’art. 163 c.p.c., il convenuto può chiedere la fissazione di una nuova udienza nel rispetto dei termini.

Per quanto attiene l’editio actionis, l’art. 164, comma 4 c.p.c. stabilisce che la citazione è nulla nel caso in cui venga omessa o risulti assolutamente incerta la determinazione della cosa oggetto della domanda e/o manchi l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni.

In questo caso, il giudice, rilevata la nullità, fissa all’attore un termine perentorio per rinnovare la citazione.

In caso di costituzione del convenuto, nonostante la nullità della citazione, il giudice fissa un termine all’attore pe rintegrare la domanda.

Questa breve disamina lascia intendere che le scelte dell’attore o i vizi della citazione possono effettivamente incidere sui tempi e sulla fluidità del processo di cognizione, verso la sentenza. Da qui la prospettiva di riforma.

[13] Applicabile anche in appello ai sensi dell’art. 359 c.p.c.. Cass. Civ., sez. L, ord. n. 23667 del 1.10.2018, in CED, Cassazione, 2018.

[14] Ovvero di dieci giorni prima, in caso di abbreviazione dei termini.

[15] Ciò comporta, ovviamente, la salvezza degli aspetti sostanziali e processuali della domanda, ma anche un allungamento dei tempi per l’introduzione, la trattazione e la decisione della controversia.

[16] Cass. Civ., sez. 3, ord. n. 28810 dell”8.11.2019, Smart Lex 24, Il Sole24Ore. Nello stesso senso Cass. Civ., sez. 1. n. 279 del 19.01.2017, in CED, Cassazione, 2017, per cui la notifica dell’ordinanza di fissazione della nuova udienza non può tenere luogo della rinnovazione della citazione e “l’evocazione in lite attuata attraverso la combinazione dei due atti diverge – all’evidenza – dalla prescrizione do legge che esige la rinnovazione della citazione”.

[17] Ciò in quanto l’atto ha comunque raggiunto il suo scopo e non risulta violato il principio del contraddittorio.

4. Spunti critici e di riflessione: è davvero preferibile il ricorso alla citazione, quale atto introduttivo del giudizio ordinario per “velocizzare i tempi” della giustizia civile?

Al di là della differente procedura, che coinvolge più che altro l’aspetto formale dell’avvio della causa, la citazione implica, come abbiamo visto, il rispetto del termine di 90 giorni liberi prima dell’udienza iniziale, termine minimo che deve sussistere ed intercorrere tra la data della notificazione e quella del primo incontro delle parti davanti al giudice (udienza, la cui data viene di regola scelta dall’attore[18]), cosa questa che, invece, il ricorso non richiede, ed il giudice potrebbe fissare la prima udienza anche in tempi più brevi.

E in ipotesi di nullità, legate proprio ai termini, abbiamo visto supra, il giudice potrebbe disporre la rinnovazione della notifica, nel rispetto del termine dei 90 giorni, allungandosi così ancora di più l’iter verso la decisione.

Quindi, in linea del tutto teorica, il ricorso sembrerebbe garantire un percorso più rapido, essendo la data dell’udienza indicata dal giudice e non lasciata all’impulso di parte o ad abusi.

Questa è una delle ragioni che hanno spinto il promotore della riforma, a preferire il ricorso alla citazione.

Tuttavia, l’argomentazione non convince del tutto: accade anche nelle ipotesi in cui la causa viene introdotta con ricorso, che il giudice fissi l’udienza ben oltre i 90 cui far riferimento l’art. 163 c.p.c. visto che quasi tutti i magistrati, per carenze di organico rispetto al numero delle controversie, tendono a posticipare le udienza dopo molti mesi, visti i loro ruoli sovraccarichi.

Inoltre, capita di frequente nella prassi, e per le medesime ragioni, che anche l’udienza fissata in citazione dall’attore venga poi posticipata, ai sensi dell’art. 168 bis, comma 5 c.p.c. sempre per scelta e per intervento del magistrato (e mai anticipata), sol che si consideri – poi – che anche tutte le altre udienza e scansioni dell’iter processuale sono comunque scadenzate dal magistrato e legati alla sua agenda.

Peraltro, l’art. 163 bis c.p.c. conosce un correttivo all’eventuale “abuso” del termine, da parte dell’attore, nella misura in cui al comma 2 dispone che “nelle cause che richiedono pronta spedizione il presidente può, su istanza dell’attore e con decreto motivato in calce all’atto originale e delle copie della citazione, abbreviare fino alla metà i termini” del primo comma[19] ed il comma 3, invece, stabilisce che “se il termine assegnato dall’attore eccede il minino indicato dal comma 1, il convenuto, costituendosi prima della scadenza del termine minimo, può chiedere al presidente del tribunale che, sempre osservata la misura di quest’ultimo termine, l’udienza di comparizione delle parti sia fissata con congruo anticipo su quella fissata dall’attore”, disposizioni che vengono scarsamente incentivate e che sono poco impiegate nella prassi dei tribunali e che, invece si potrebbero/dovrebbero valorizzare o financo premiare nell’ottica deflattiva.

C’è un altro aspetto che suggerisce di preferire la citazione al ricorso o comunque di non abbandonare l’idea di mantenere la percorribilità di questo atto introduttivo o di coglierne – in prospettiva di riforma – gli aspetto utili o che hanno dato buona prova nella prassi applicativa, magari prevedendo altri correttivi al lunghi tempi della giustizia e alle disfunzioni che ciò comporta, anche in termini concorrenziali. La citazione viene prima notificata alla controparte e poi conosciuta dal giudice. Invece il ricorso viene subito depositato in tribunale con il conseguente versamento e pagamento contestuale del contributo unificato (ossia della tassa di avvio del procedimento).

Ebbene, succede non di rado che il convenuto-non appena ricevuto l’atto, contatti l’avversario nel tentativo di risolvere la questione fuori dal tribunale. Laddove il processo inizia con citazione, la soluzione transattiva è anche meno onerosa, visto che non è stato ancora versato – anche se occorre dare atto che si verserà con l’iscrizione a ruolo – il contributo unificato (e la marca forfettaria nei casi in cui dovuta). Invece, nelle cause avviate con ricorso, l’istante/ricorrente pretenderà quantomeno il rimborso delle pese sostenute, il che potrebbe rendere più difficoltoso trovare un accordo bonario e stragiudiziale.

Sono tutti aspetti che fanno riflettere sulle scelte che verranno adottate e che portano a ritenere che l’addio alla citazione sia, forse, solo un arrivederci!

[18] Si legga art. 168 bis c.p.c., commi 4 e 5.

[19] Cioè i “termini liberi non minori di novanta giorni se il luogo della notificazione si trovi in Italia e di centocinquanta giorni se si trova all’estero” tra il giorno della notificazione della citazione e quello dell’udienza di comparizione.

Redazione

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