Atti sessuali con minorenne: il reato, l’illecito disciplinare e i casi nella fise

Redazione 04/03/20
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di Stefania Cappa e Michele Rossetti[1]

Abstract: Le note che seguono trattano il tema degli abusi sessuali commessi da tesserati in ambienti dello Sport, distinguendo il reato dall’illecito disciplinare. Viene analizzato il reato di “atti sessuali con minorenne” disciplinato dal Codice penale e l’illecito disciplinare che, invece, non è specificamente normato nell’ordinamento sportivo. Punto centrale del saggio è lo standard probatorio richiesto nel processo penale e la differenza rispetto al processo sportivo, per addivenire ad una sentenza di colpevolezza o assoluzione per l’imputato/tesserato che abbia commesso abusi sessuali; le differenti garanzie difensive di cui l’imputato/incolpato gode nei diversi ordinamenti, penale e sportivo. Si analizzano, infine, i casi nello sport equestre, che hanno occupato le pagine di cronaca sportiva e non.

 

Sommario:1.“#MeToo” nello Sport. Considerazioni processualistiche. Cenni sulle differenze tra lo standard probatorio previsto nell’ordinamento penale e in quello sportivo; 2. Il reato di “Atti sessuali con minorenne”; 3. L’illecito disciplinare in ambito sportivo nell’ipotesi di atti sessuali con minorenne; 4.I casi nello sport equestre; 5. Conclusioni.

“#MeToo” nello Sport. Considerazioni processualistiche

Cenni sulle differenze tra lo standard probatorio previsto nell’ordinamento penale e in quello sportivo

Si parla già di “#MeToo[2] nello Sport: dal ciclismo all’equitazione, la cronaca sportiva racconta di atleti, istruttori, tecnici o semplici tesserati radiati dalle Federazioni di appartenenza poiché accusati di aver compiuto atti lesivi della dignità umana ai danni, soprattutto, di minorenni.

Gli abusi sessuali, ed in particolar modo quelli su minori, infatti, sono puniti anche dalla Giustizia Sportiva. Sono sempre più ricorrenti le sentenze dei Tribunali Sportivi a carico di tesserati incolpati di avere commesso illeciti sessuali del tipo in questione. Tali decisioni, fra l’altro, spesso arrivano ancor prima che il tesserato venga giudicato dalla Giustizia Ordinaria, attraverso i tradizionali tre gradi di giudizio.

Il reato, di violenza sessuale, nelle sue diverse forme, è disciplinato dagli articoli 609 bis e seguenti del Codice Penale, mentre non esiste un’analoga norma ad hoc che preveda specificamente l’illecito disciplinare di abusi sessuali commessi in ambito sportivo.[3]

Giova ricordare che la Giustizia Sportiva[4] ha competenza laddove i fatti abbiano ad oggetto condotte di soggetti che, al momento del fatto, erano tesserati; mentre per Giustizia Ordinaria, ovviamente, non è richiesto lo status di tesserato.

Occorre anche specificare che per il codice penale, tali reati sono procedibili a querela della persona offesa[5], ovvero d’ufficio, soltanto in alcune ipotesi specifiche[6]; mentre, nel caso della Giustizia Sportiva, tutti i tesserati sono tenuti a denunziare gli illeciti di cui vengono a conoscenza: spetterà dunque, alla persona offesa o ad altro soggetto tesserato o a qualsiasi soggetto facente parte dell’ordinamento sportivo[7], adire la Giustizia Sportiva per chiedere la tutela dei propri diritti.   In ogni caso, qualunque sia il mezzo col quale la Procura Federale venga a conoscenza di fatti disciplinarmente rilevanti (anche da notizie giornalistiche o da segnalazione da parte della Procura della Repubblica), l’azione disciplinare potrà essere esercitata, non essendo subordinata ad alcuna condizione di procedibilità.[8]

Va evidenziato anche che, tra processo sportivo e processo penale, lo standard probatorio richiesto ai fini della decisione di colpevolezza o assoluzione del tesserato è differente e, come meglio qui si approfondirà, ciò comporta, nel rito sportivo, un notevole deficit di garanzie da un punto di vista processuale e sostanziale difensivo, giustificato dalla duplice esigenza di ottenere un giudizio tempestivo[9] e della osservanza dell’obbligo di lealtà, che è un concetto molto più esteso rispetto a quello di colpevolezza.

Come è noto, vi sono diversi casi di doping[10], nei quali un tesserato viene sanzionato dal Tribunale Nazionale Antidoping, mentre non è escluso che lo stesso venga prosciolto dal Tribunale Ordinario Penale.[11]

Orbene, per il procedimento sportivo, lo standard probatorio apprezzato non si spinge sino al raggiungimento della certezza assoluta della commissione dell’illecito, né al superamento del ragionevole dubbio, come invece avviene nel diritto penale.

La sua definizione prevede che il grado di prova richiesto, per poter ritenere sussistente una violazione disciplinare, deve essere comunque superiore alla semplice valutazione della probabilità, sebbene inferiore alla esclusione di ogni ragionevole dubbio. A tale principio, vigente nell’ordinamento, deve assegnarsi una portata generale; “sicché deve ritenersi adeguato un grado inferiore di certezza, ottenuto sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire un ragionevole affidamento in ordine alla commissione dell’illecito”. Il comportamento disciplinare illecito, dunque, “per avere valenza sul piano regolamentare e produrre effetti sul piano disciplinare, deve aver superato sia la fase dell’ideazione che quella così detta preparatoria e essersi tradotto in qualcosa di apprezzabile, concreto ed efficiente per il conseguimento del fine auspicato”.[12]

Per il procedimento penale, invece, lo standard probatorio richiesto è indubbiamente maggiore. La pubblica accusa infatti, ha l’onere di provare la reità dell’imputato al fine di escludere ogni ragionevole dubbio in merito alla sua condotta. La contestazione indimostrata o che semplicemente lascia residuare un ragionevole dubbio, non consente la pronuncia di condanna ai sensi di quanto previsto dall’art. 533 c.p.p.[13]. La regola del ragionevole dubbio, nel processo penale, costituisce dunque un principio di giudizio fondamentale nel definire il quantum dell’onere della prova in capo al Pubblico Ministero e prescrive il precetto che il Giudice deve applicare in caso di dubbio. I fatti a carico dell’imputato/tesserato non possono essere desunti semplicemente da indizi, a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti, ai sensi dell’art. 192 comma 2 c.p.p..[14]   Del resto, v’è anche da considerare che, per quanto il processo disciplinare segua gli schemi generali del processo penale, i mezzi e i poteri a disposizione delle Procure Federali, sono grandemente inferiori a quelli delle Procure della Repubblica; pertanto, se si dovessero applicare le medesime garanzie del processo penale – ferme restando le differenze di valutazione legate alle diverse esigenze di tutela – difficilmente si potrebbe giungere ad una pronuncia di condanna, stante la limitata possibilità di acquisizione probatoria.

Il Giudice, comunque, nella motivazione della sentenza, dovrà esplicitare il percorso logico-cognitivo che lo ha condotto ad apprezzare in un certo modo le prove disponibili ed a trarne le sue conclusioni, specificando quelle poste a base della decisione e le ragioni per cui ha ritenuto non attendibili le prove contrarie. In questa prospettiva, i criteri utilizzati nella valutazione degli elementi di prova devono, dunque, essere messi in correlazione con lo standard probatorio concretamente possibile.

E’ evidente, pertanto, che mentre nel processo penale possono entrare tutta una serie di prove quali testimonianze, perizie, confronti o documenti che verranno poi esaminate in sede dibattimentale al fine del superamento del ragionevole dubbio circa la condotta dell’incolpato, nel processo sportivo, essendo minore lo standard probatorio possibile, difficilmente verrà sentita la persona offesa/segnalante in sede d’udienza. Tutto ciò comporta, per un tesserato assoggettato ad un procedimento disciplinare, una minore capacità difensiva, non potendo quest’ultimo sottoporre i testi alla c.d. cross examination[15], come accade nel penale.

Ciò premesso, nelle presenti note si parlerà di “tesserato” in maniera generica per far riferimento ai soggetti dell’ordinamento sportivo, che possono essere sottoposti tanto ad una sanzione disciplinare sportiva, quanto ad una pena irrogata da un Giudice penale.

Il reato di “Atti sessuali con minorenne”

La fattispecie di atti sessuali con minorenne è disciplinata dall’articolo 609 quater[16] del Codice Penale. La norma punisce la condotta di chiunque compia atti sessuali con persona che, al momento del fatto, non abbia ancora compiuto 14 anni, o 16 anni se il colpevole è l’ascendente, il genitore anche adottivo, il convivente di quest’ultimo, il tutore o altra persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza o custodia o con il quale il minore conviva[17].

Viene così fissata a 14 anni la soglia al di sotto della quale vige una presunzione assoluta di invalidità del consenso ad atti sessuali eventualmente prestato dal minore.   La libertà sessuale si acquista pertanto, nel nostro ordinamento, al compimento del 14° anno di età, fatte salve le eccezioni previste nel caso in cui l’agente rivesta un particolare ruolo di supremazia rispetto al minorenne, previste nella seconda parte della disposizione del precetto.

La norma prevede, altresì, la non punibilità del minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste nell’art. 609 bis c.p.[18], commetta atti sessuali con un minorenne il quale abbia compiuto gli anni 13, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore a tre anni ed a condizione che l’altro minore (la vittima) sia consenziente. Si prevede, infine, una circostanza attenuante ad effetto speciale ed indefinita, qualora la compressione della libertà sessuale sia minima, in considerazione del fatto concreto e delle circostanze; mentre all’ultimo comma è prevista l’applicazione dell’articolo 609 ter c.p.[19] , nel caso in cui il soggetto passivo abbia meno di 10 anni, equiparando l’eventuale consenso alla mancanza di assenso, data l’età della vittima e la conseguente assoluta impossibilità di autodeterminarsi sessualmente.

Il reato in disamina si configura, a seconda delle diverse ipotesi descritte, quale “comune” o “proprio”. Si tratta di reato comune laddove l’atto sessuale riguardi chiunque non abbia ancora compiuto i 14 anni: in tali casi, è il soggetto indipendentemente dal fatto che egli ricopra un particolare ruolo o una data qualifica, che compia atti sessuali con un minorenne. È, invece, reato proprio laddove la vittima abbia un’età compresa tra i 14 e i 16 anni o tra i 16 e i 18 anni, posto che, in tali ipotesi, la condotta sanzionata è esclusivamente quella posta in essere dall’ascendente, dal genitore anche adottivo, dal convivente di quest’ultimo, dal tutore o da altra persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza o custodia o con il quale il minore conviva.

Dal punto di vista dell’elemento soggettivo, per la configurabilità del delitto di atti sessuali con minorenne è richiesto il dolo generico[20]; è infatti sufficiente accertare la volontà dell’atto sessuale con la coscienza di tutti gli elementi essenziali del fatto.   Si tratta di un delitto “di mera condotta”, per il quale è configurabile il tentativo[21], ragione per la quale il  reato di atti sessuali con minorenne si consuma nel momento in cui l’atto sessuale è compiuto.

Ciò premesso, si osserva come il delitto in questione occupi uno spazio di interesse centrale nell’attività sportiva perché, come meglio si dirà, può accadere (e purtroppo la cronaca conosce molti casi) che un istruttore di una disciplina sportiva abbia rapporti sessuali con un’allieva minorenne. Ciò potrà comportare a suo carico una querela (o, a seconda dei casi anche una denuncia) per atti sessuali su minorenni e, contestualmente, una segnalazione in Procura Federale per il relativo illecito, rilevante a livello disciplinare sportivo.

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L’illecito disciplinare in ambito sportivo nell’ipotesi di atti sessuali con minorenne

Come già ricordato, in ambito sportivo non è previsto – testualmente – un illecito disciplinare denominato “atti sessuali con minorenne”. Tale condotta illecita, disciplinarmente rilevante sotto il profilo della Giustizia Sportiva, la si rinviene dalle norme contenute nei Regolamenti di Giustizia in combinato disposto con le regole statutarie delle diverse Federazioni, nonché dal Codice di Comportamento Sportivo del CONI.

Si prenda, ad esempio, la Federazione Italiana Sport Equestri (di seguito FISE)[22] che sistematicamente pubblica sentenze di allenatori/tesserati che hanno compiuto atti sessuali con allieve minorenni e sono stati sanzionati tanto dalla giustizia ordinaria, quanto da quella sportiva. Saranno trattate le vicende che hanno coinvolto la Federazione anzidetta, unitamente a richiami al suo Regolamento di Giustizia[23].

Analizzando le sentenze in questione, si ricava che gli addebiti mossi all’incolpato discendono dalla violazione degli articoli 1, n. 1 e 2, n. 1 lett. a) e b) del Regolamento di Giustizia FISE[24], nonché degli articoli 1[25] e 2[26] del Codice di Comportamento Sportivo del CONI.

Le norme in commento riguardano l’osservanza delle regole di diritto sportivo e le disposizioni contenute nello Statuto Federale, nel Regolamento di Giustizia FISE, nel Regolamento di Giustizia del CONI, nel Codice di Comportamento Sportivo del CONI, nonché, più in generale, in tutte le leggi dell’ordinamento sportivo.

Inoltre, si fa riferimento al principio di lealtà e correttezza al quale tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo devono conformarsi nell’ambito dell’attività sportiva, nei riguardi di tutti i tesserati.

Va precisato che anche nelle altre Federazioni non vi è una norma ad hoc riferibile all’illecito disciplinare di atti sessuali su minori; per tale ragione vengono richiamati i precetti dei vari regolamenti di giustizia, nonché il Codice di Comportamento Sportivo del CONI.

Si osserva inoltre che, in assenza di un’apposita norma attribuibile all’illecito in questione, manca altresì una sanzione tipica che possa essere applicata in base alla gravità del fatto contestato, dell’età della minore e del consenso.

I Tribunali Federali sportivi, in particolare quello FISE, da tempo comminano indistintamente dalla gravità del fatto e dall’età della persona offesa al momento della commissione dell’illecito, la sanzione della radiazione a qualunque vicenda nella quale un tesserato ponga in essere atti sessuali su tesserati minorenni. Questo è un dato che, se a prima vista può apparire particolarmente vessatorio, di fatto applica in concreto quanto previsto dal codice penale[27].

Il processo sportivo, come è noto, ammette testimoni o documenti quali prove. Tuttavia, i Tribunali Federali, spesso, evitano di chiamare la persona offesa o i testimoni per chiarimenti o non integrano l’istruttoria laddove non sia stata effettivamente compiuta in sede d’indagine[28], con una conseguente marcata compressione del diritto di difesa e la quasi inevitabile condanna del prevenuto.

Perché ciò accade?

La motivazione utilizzata dai Giudici sportivi per rispondere a tale interrogativo è quasi sempre la stessa: non è necessario raggiungere lo standard probatorio previsto dall’ordinamento penale dell’oltre il ragionevole dubbio al fine di decidere in ordine alla colpevolezza di un tesserato che abbia compiuto atti sessuali su una minore.

V’è da considerare ancora che, proprio per la natura del reato, spesso unico testimone dei fatti è la stessa vittima che, per essere ascoltata – in contraddittorio e non – deve avere tutta una serie di garanzie e tutele che difficilmente il procedimento sportivo può assicurare[29]. A ciò si aggiunga che in molti casi le indagini sono svolte dalla Procura della Repubblica che, grazie a un protocollo d’intesa con la Procura Generale del CONI[30], una volta accertato che l’imputato abbia commesso i fatti a lui addebitati in costanza di tesseramento, trasmette gli atti al Procuratore Generale del CONI, che a sua volta li invia alla Procura Federale presso la quale l’imputato risulti tesserato.

Risulta evidente, quindi, che il tesserato/incolpato si trova a dover affrontare un processo nel quale le sue garanzie difensive ricevono minor tutela rispetto a quelle previste dall’ordinamento penale, fera restando, però, la possibilità di ottenere la revisione[31] qualora, a seguito del giudizio penale che abbia originato il procedimento disciplinare, lo stesso venga assolto con formula ampia.

Va ricordato, infatti, che il processo penale, spesso segue i tre gradi di giudizio tradizionali ma, altre volte, l’incolpato patteggia la pena evitando così gli altri due rimanenti gradi di giudizio. Ciò avviene perché il Pubblico Ministero valutata la congruità della pena da irrogare, la gravità dei fatti contestati e la condotta dell’imputato, può addirittura concedere il beneficio della pena sospesa ed il Giudice applicarla.

Non è raro, infatti, che letti gli atti del procedimento penale, ci si renda conto che si è di fronte ad evidenze per le quali non è necessario ricorrere al dibattimento e delle circostanze narrate in querela si tiene conto di numerosi fattori, fra i quali ad esempio, l’età della persona offesa ed il consenso.

Si è già osservato che così non avviene nel processo sportivo: al tesserato viene irrogata la sanzione più severa, indistintamente da ogni elemento fattuale portato a conoscenza del Tribunale Federale.

La radiazione, difatti, è la sanzione disciplinare più afflittiva, costituita dalla cessazione di appartenenza alla Federazione dovuta a causa di indegnità morale o di violazioni gravissime alle norme federali commesse da un tesserato. Sono causa di indegnità morale tutte quelle condotte poste in essere dal tesserato che lo abbiano reso pubblicamente incompatibile con l’appartenenza ad un ente sportivo e che abbiano recato pregiudizio all’immagine della Federazione ed ai suoi organi[32].

Tale apparente estrema durezza di giudizio, è giustificata sia da quanto sopra detto, sia in ordine alla previsione dell’art. 609 nonies c.p.p., e in ogni caso dall’esigenza di assicurare la massima garanzia di tutela ai minori – e alle loro famiglie – che vengono affidati alle cure dei loro allenatori.   Tale garanzia di tutela non può essere subordinata all’attesa della decisione irrevocabile del Giudice penale, considerati i tempi fisiologici del processo.   Il consentire che un indagato di abusi sessuali possa continuare ad insegnare in una società sportiva, fino alla pronuncia definiva dell’Autorità Giudiziaria, potrebbe – oltretutto – comportare una responsabilità della dirigenza della società, anche di natura penale.

Considerato il significativo numero di casi trattati dalla Federazione Italiana Sport Equestri sull’illecito in commento, verranno ora analizzati i casi relativi ai tesserati S.M., K.W. e D.B.

I casi nello sport equestre

I Signori S.M, K.W e D.B hanno in comune il fatto di essere stati istruttori di equitazione, di aver commesso – secondo gli impianti accusatori penale e sportivo – atti sessuali con allieve minorenni e di essere stati radiati dalla Federazione Italiana Sport Equestri.

Il primo caso riguarda S.M., accusato non solo di aver compiuto atti sessuali con un’allieva minorenne, ma altresì di averle ceduto sostanze stupefacenti. La minore era infrasedicenne all’epoca dei fatti (agosto 2009 ‐ luglio 2010) e sarebbe stata anche indotta al consumo di droga, con l’aggravante per il tesserato, di aver commesso il fatto abusando del suo ruolo di istruttore.

Con sentenza del Tribunale Federale FISE del 25 giugno 2015, M. veniva radiato con la motivazione che segue: “in considerazione della straordinaria gravità degli illeciti commessi, anche rispetto alle sue ricadute sulle persone coinvolte e sul relativo contesto sociofamiliare, nonché in termini di reputazione e credibilità per le istituzioni federali coinvolte; b) tenuto conto della qualifica di Istruttore Federale da lui rivestita, ora come all’epoca dei fatti, degli effetti e delle motivazioni della sua condotta, nonché del contegno assunto nel corso del presente procedimento; c) ritenuta sussistente la circostanza aggravante dell’ aver commesso il fatto con abuso di poteri o violazione di doveri conseguenti all’esercizio delle proprie funzioni e quella di aver agito per motivi abbietti o futili; d) considerato, altresì, che i fatti ascritti al deferito sarebbero stati commessi anche quando la minore era lui specificamente affidata, dai genitori, per lo svolgimento di attività agonistica in trasferta; e) attesa l’impossibilità di ritenere proporzionate sanzioni diverse, a carattere temporaneo o comunque meno afflittive, in virtù del definitivo venir meno di quel minimo rapporto di fiducia necessario alla stessa prosecuzione del vincolo di tesseramento (…)”. [33]

W., invece, era incolpato di aver commesso atti sessuali con un’allieva minorenne. Il Tribunale Federale FISE, con sentenza del 5 ottobre 2016, lo condannava alla radiazione motivandola nel senso che le condotte che l’incolpato aveva posto in essere “configurerebbero ex se l’illecito disciplinare di cui all’incolpazione, ovvero la violazione dei principi di lealtà, probità e correttezza, anche a prescindere dalle effettive e concrete conseguenze sulla minore, posto che le ripercussioni sarebbero state anzitutto da individuarsi nel contesto sociale e federale, con specifico riguardo alla reputazione e alla credibilità delle istituzioni coinvolte, di talché non vi sarebbe stato motivo alcuno per attendere la relazione peritale avente 5 ad oggetto l’esame dei riflessi psicologici della condotta criminosa sulla ragazza[34] .

D.B., infine, è stato istruttore di equitazione accusato di aver molestato diverse allieve minorenni. Veniva radiato poiché “Nel dicembre del 2014, il Comitato Regione Piemonte segnalava alla Federazione Italiana Sport Equestri (F.I.S.E.) che D.B., riconosciuto responsabile dei reati di cui agli artt. 600-bis, comma 2, e 609-bis c.p. per fatti commessi ai danni di minori, alcuni dei quali infrasedicenni, anche in occasione dello svolgimento della sua attività di istruttore e all’interno del maneggio di sua proprietà, era stato condannato dal Tribunale penale di Biella, con sentenza del 4 marzo 2014, a quattro anni e nove mesi di reclusione, oltre alla interdizione per cinque anni dai pubblici uffici e in perpetuo da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e alla amministrazione di sostegno, nonché da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché da ogni ufficio o servizio in istituzioni o in altre strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori.” [35]

Tutte le vicende citate sono state confermate con la sanzione della radiazione in Corte Federale d’Appello FISE e al Collegio di Garanzia dello Sport del CONI. Questo dimostra che presso tutti gli Organi di Giustizia delle Federazioni, si è oramai affermato l’orientamento di sanzionare mediante la radiazione il tesserato che compia atti sessuali con minorenni.

Conclusioni

In conclusione, un tesserato che compie atti sessuali su un minore è soggetto tanto alla giurisdizione ordinaria penale quanto a quella sportiva. Relativamente al processo penale, però, l’incolpato avrà maggiori garanzie difensive, godendo di uno standard probatorio elevato che richiede, per la condanna, la prova della sua responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio.

Viceversa, nell’ambito disciplinare sportivo, il tesserato viene giudicato con un processo nel quale lo standard probatorio è minore, a fronte delle diverse esigenze tutelate, e con un ordinamento del tutto autonomo da quello penale.

Certamente, in considerazione di quanto precede, sarebbe auspicabile che le Federazioni adottassero una norma ad hoc che regoli l’illecito in questione, considerati i numerosissimi casi che, sempre più spesso, coinvolgono i tesserati e rischiano di danneggiare irreparabilmente l’immagine dello Sport in generale.

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Note

[1] Stefania CAPPA: Avvocato specializzato in Diritto dello Sport e Diritto Penale; Partner dello Studio Legale Ermanno Cappa & Partners; Giudice Sportivo Territoriale Area Nord della Federazione Ginnastica d’Italia (FGI) e Vice Presidente Supplente della Corte Federale d’Appello della Federazione Italiana Bocce (FIB); Membro della Commissione Eventi e Diritto Sportivo – COA Milano.   Michele ROSSETTI: Avvocato specializzato in Diritto dello Sport e Diritto Penale; titolare dello Studio Legale Rossetti, Procuratore Federale della Federazione Ginnastica d’Italia (FGI), Responsabile della Scuola di Specializzazione della Camera Penale di Taranto, autore di testi di diritto penale e diritto sportivo.

[2] Il “#MeToo” è un movimento utilizzato nei social network contro la violenza sulle donne e la prevaricazione maschile, in particolare la violenza sessuale e le molestie nei luoghi di lavoro. Trattasi, nello specifico, di una campagna promossa nell’ottobre 2017 dall’attrice Alyssa Milano sul social network Twitter” finalizzata ad invitare le donne a denunciare gli abusi subiti.

[3] Ai sensi dell’articolo 1, comma 1 del Codice di Comportamento Sportivo del CONI, “I tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti dell’ordinamento sportivo sono obbligati all’osservanza delle norme statutarie, regolamentari e sulla giustizia, nonché delle altre misure e decisioni adottate dal CONI e dall’Ente di appartenenza, ivi compreso il presente Codice. (…).”.

[4] Le Federazioni sportive nazionali sono soggette all’applicazione del D. L. 220/2003, convertito nella L. 280/2003, con la quale è stata affermata l’autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto all’ordinamento della Repubblica. In particolare, la L. 280/2003 ha demandato all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni inerenti all’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e le condotte rilevanti sul piano disciplinare, nonché l’irrogazione delle relative sanzioni. Le controversie che non rientrano in questo ambito sono devolute al Tribunale amministrativo. L’articolo 3 della L. 280/2003, infatti, precisa che cessati i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la cognizione del giudice ordinario nei rapporti patrimoniali tra società, associazione ed atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del CONI o delle Federazioni sportive non limitata alla cognizione dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2, è riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Ogni Federazione ha la competenza esclusiva nel definire le fattispecie dei comportamenti disciplinarmente rilevanti. Gli associati, aderendo a questo sistema, sono assoggettati all’azione dei relativi organi di controllo e giurisdizione. Sul punto si veda M. SANINO, F. VERDE, Il Diritto Sportivo, IV Ed. Cedam, Padova, 2015, 43 – 53.

[5] La persona offesa dal reato è il soggetto portatore del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice ed è l’unica titolare di sporgere querela al fine di chiedere la punizione del colpevole del reato.

[6] La procedibilità per il reato di cui all’articolo 609 quater c.p. è d’ufficio se: 1) fatto compiuto ai danni di minore di anni 10; 2) fatto compiuto da un ascendente, da un genitore, anche adottivo, dal coniuge o convivente di essi, da adulto cui il minore è affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza, custodia (insegnanti, educatori…); 3) fatto compiuto da pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle sue funzioni; fatto che concorre con altro procedibile d’ufficio (es. violenza privata, maltrattamento, lesioni gravi o gravissime, sequestro di persona, ecc.).

[7] L’articolo 6 del Codice di Giustizia Sportiva del CONI stabilisce che: “Spetta ai tesserati, agli affiliati e agli altri soggetti legittimati da ciascuna Federazione il diritto di agire innanzi agli organi di giustizia per la tutela dei diritti e degli interessi loro riconosciuti dall’ordinamento sportivo. L’azione è esercitata soltanto dal titolare di una situazione giuridicamente protetta nell’ordinamento federale.”.

[8] L’articolo 44 comma 3 del Codice di Giustizia Sportiva del CONI stabilisce che: “Il Procuratore federale prende notizia degli illeciti di propria iniziativa e riceve le notizie presentate o comunque pervenute. L’azione disciplinare è esercitata d’ufficio; il suo esercizio non può essere sospeso né interrotto, salvo che sia diversamente stabilito”.

[9] I giudizi sportivi devono concludersi, a pena di estinzione, entro pochi mesi, anche per attualizzare le decisioni in relazione al campionato in corso, ed assicurare certezza delle classifiche.

[10] Per quanto riguarda la Giustizia Sportiva, è competenza esclusiva del CONI la persecuzione delle violazioni del Codice WADA, emanato dalla World Antidoping Agency, fondata a Losanna il 10 novembre 1999 per coordinare la lotta contro il doping nello sport. La Giustizia Ordinaria persegue il doping quale reato ai sensi della l. 376/2000, “Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping”, in G. U. n. 294 del 18 dicembre 2000.

[11]Si veda, ad esempio, Tribunale di Torino, I^ Sez. Pen., 6 luglio 2012 (dep. 3 ottobre 2012), Giudice Marra. In questo caso l’imputato, tesserato della Federazione Italiana Atletica Leggera (FIDAL), era stato condannato da una commissione disciplinare per avere dichiarato nel doping control form, in occasione del controllo antidoping effettuato al termine dei Campionati Europei Indoor di Atletica Leggera 2009, soltanto due dei tre farmaci che gli erano stati prescritti dal medico per curare un’infiammazione. Il Giudice di Torino lo assolveva ai sensi dell’articolo 530, comma 2 c.p.p., perché il fatto non costituiva reato. Il Tribunale Ordinario proscioglieva il tesserato statuendo sostanzialmente che non è doping il voler curarsi, ma è doping il voler migliorare le proprie prestazioni. Per la Giustizia Sportiva, invece, rileva soltanto il dato oggettivo dell’assunzione di farmaci vietati. Sulla distinzione tra doping e assunzione di sostanze proibite, senza finalità dopanti, il dibattito è ancora in atto.

[12] Sul punto si veda Collegio di Garanzia dello Sport del CONI, SS.UU, 10 febbraio 2016, n. 6; nello stesso senso si vedano SS.UU del 2 agosto 2016, n. 34 e 4 agosto 2016, n. 37.

[13] L’articolo 533 c.p.p., “Condanna dell’imputato”, statuisce che: “Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio. Con la sentenza il giudice applica la pena e le eventuali misure di sicurezza 2. Se la condanna riguarda più reati, il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e quindi determina la pena che deve essere applicata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene o sulla continuazione. Nei casi previsti dalla legge il giudice dichiara il condannato delinquente o contravventore abituale [c.p. 102, 103, 104] o professionale [c.p. 105] o per tendenza [c.p. 108]. 3. Quando il giudice ritiene di dover concedere la sospensione condizionale della pena [c.p. 163] o la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale [c.p. 175], provvede in tal senso con la sentenza di condanna. 3-bis. Quando la condanna riguarda procedimenti per i delitti di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), anche se connessi ad altri reati, il giudice può disporre, nel pronunciare la sentenza, la separazione dei procedimenti anche con riferimento allo stesso condannato quando taluno dei condannati si trovi in stato di custodia cautelare e, per la scadenza dei termini e la mancanza di altri titoli, sarebbe rimesso in libertà.”

[14] Ai sensi dell’articolo 192, comma 2 c.p.p., “Valutazione della prova”, stabilisce che: “L’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi, a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti”.

[15] La cross examination consiste nell’esame incrociato del testimone che può essere sottoposto ad esame diretto, controesame, riesame ed esame da parte del Giudice. Oltre ad assumere un ruolo centrale nell’istruzione
probatoria, l’esame incrociato è anche lo strumento privilegiato per l’attuazione del principio del
contraddittorio per la formazione della prova, ex art. 111, comma 4, Cost., ovverosia la previsione del principio del contraddittorio come diritto a confrontarsi con l’accusatore e come metodo dialogico di formazione della prova. Le norme che regolano l’esame ed il controesame sono disciplinate dagli articoli 496, 497, 498 e 499 c.p.p. (esame testimoniale) nonché dall’art. 503 c.p.p. (esame delle parti private). Si veda V. GREVI, G. CONSO, Compendio di procedura penale, VIII Ed., Cedam, Padova, 2016, 312 e ss.

[16] L’articolo 609 quater c.p., stabilisce che: “Soggiace alla pena stabilita dall’articolo 609-bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che al momento del fatto: 1) non ha compiuto gli anni quattordici; 2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza. Non è punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 609-bis, compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore a tre anni. Nei casi di minore gravità le pena è diminuita fino a due terzi. Si applica la pena di cui all’articolo 609-ter, secondo comma, se la persona offesa non ha compiuto gli anni dieci.”.

[17] L’articolo 609 quater c.p. è stato introdotto dalla L. 15 febbraio 1996, n. 66 e modificato dall’art. 6 della L. 6 febbraio 2006, n. 38, Lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo internet.

[18] L’articolo 609 bis c.p. statuisce che: “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi”.

[19] L’art. 609 Ter c.p. prevede l’ipotesi di violenza sessuale aggravata. La norma, denominata “Circostanze aggravanti”, recita che: La pena è della reclusione da sei a dodici anni se i fatti di cui all’articolo 609-bis sono commessi [609 septies]:1) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici [609 quater, 609 sexies, 609 septies c. 4 n. 1, 609 decies];2) con l’uso di armi [582 c. 2] o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa; 3) da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale [357] o di incaricato di pubblico servizio [358]; 4) su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale;5) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni diciotto della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, il tutore(2).5-bis) all’interno o nelle immediate vicinanze di istituto d’istruzione o di formazione frequentato dalla persona offesa (3).5-ter) nei confronti di donna in stato di gravidanza (4);5-quater) nei confronti di persona della quale il colpevole sia il coniuge, anche separato o divorziato, ovvero colui che alla stessa persona è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza (4). La pena è della reclusione da sette a quattordici anni se il fatto è commesso nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni dieci [604, 609 septies c. 4 n. 1, 734 bis]”.

[20] G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto Penale – Parte Speciale, V Ed., Zanichelli, Bologna, 2012, 158 e ss.

[21] E’ configurabile il tentativo quando la condotta sia oggettivamente idonea a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale e denoti il requisito soggettivo dell’intenzione di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali: Cass. Pen., Sez. III, 25 marzo 2009, n. 12987; sussiste il dolo eventuale quando l’agente si sia rappresentato la significativa possibilità di verificazione dell’evento e si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di cagionarlo come sviluppo collaterale o accidentale, ma comunque preventivamente accettato, della propria azione, in modo tale che, sul piano del giudizio controfattuale, possa concludersi che egli non si sarebbe trattenuto dal porre in essere la condotta illecita, neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento medesimo: Cass. Pen., Sez. I, 11 marzo 2015, n. 263856.

[22] Fondata a Roma nel 1926, è affiliata alla Fédération Equestre Internationale (FEI), organismo di governo internazionale delle discipline equestri.

[23] Il Regolamento di Giustizia FISE attualmente in vigore è quello approvato dal CONI con delibera della giunta nazionale n. 301 del 18 luglio 2017.

[24] L’articolo 1 del Regolamento di Giustizia FISE definisce gli atti sanzionabili – illeciti disciplinari: “1.Costituisce illecito disciplinare ogni azione od omissione, sia essa dolosa o colposa, tenuta in ambito federale e/o associativo, che violi le norme stabilite dai Principi Fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali del CONI, delle Discipline Sportive Associate, dal Codice del Comportamento Sportivo emanato dal CONI, dal Codice della Giustizia Sportiva del CONI, dallo Statuto Federale e dalle relative Norme di attuazione, dal presente Regolamento nonché dai Regolamenti di settore, dal Regolamento Sanitario, dal Regolamento Veterinario e da tutte le disposizioni federali. Costituiscono, altresì, illeciti disciplinari le morosità per tesseramento, iscrizione a gare, scuderizzazione, quote a fida, diritti federali o somme comunque dovute alla FISE, nonché, ove anche non specificatamente previsti nel presente articolo, i comportamenti in contrasto con i doveri di correttezza, lealtà e probità comunque riferibili all’attività sportiva e/o federale, cui sono tenuti, nei confronti di chiunque, tutti i Tesserati. 2. E’ altresì sanzionabile: a) ogni comportamento, anche omissivo, compiuto sul cavallo, che esplichi mero sfogo, violenza o brutalità e che possa causare al cavallo dolore o anche solo disagio non necessario all’animale; b) utilizzo di metodi o sistemi di allenamento violenti. c) ogni atto irriguardoso, offensivo, minaccioso o di violenza in genere o anche solo potenzialmente lesivo (…)”.

[25] L’articolo 1 del Codice di Comportamento Sportivo del CONI, denominato Osservanza della disciplina sportiva, statuisce che: “I tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti dell’ordinamento sportivo sono obbligati all’osservanza delle norme statutarie, regolamentari e sulla giustizia, nonché delle altre misure e decisioni adottate dal CONI e dall’Ente di appartenenza, ivi compreso il presente Codice. Essi sono tenuti ad adire previamente agli strumenti di tutela previsti dai rispettivi ordinamenti. Gli organi competenti adottano le misure dirette a facilitare la conoscenza e il rispetto della normativa vigente. Le società, le associazioni e gli altri Enti dell’ordinamento sportivo rispondono dei comportamenti adottati in funzione dei loro interessi, da parte dei propri tesserati, dirigenti o soci e devono adottare codici organizzativi idonei alla prevenzione degli illeciti.”.

[26] L’articolo 2 del Codice di Comportamento Sportivo del CONI, Principio di lealtà, stabilisce che: “I tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti dell’ordinamento sportivo devono comportarsi secondo i principi di lealtà e correttezza in ogni funzione, prestazione o rapporto comunque riferibile all’attività sportiva. I tesserati e gli altri soggetti dell’ordinamento sportivo cooperano attivamente alla ordinata e civile convivenza sportiva”.

[27] L’art. 609 nonies comma 2 c.p. prevede che il responsabile dei delitti de quo, siano interdetti in perpetuo dall’assumere qualunque incarico in strutture pubbliche o private frequentate da minori.

[28] Esaminando il Regolamento di Giustizia FISE, ai sensi dell’articolo 55, comma 1, “Laddove ritenuto necessario ai fini del decidere, il Presidente del Collegio può in qualunque momento disporre, anche d’ufficio, l’assunzione di qualsiasi mezzo di prova (inclusi confronti, esperimenti, o perizie), nonché acquisire dati, notizie, informazioni, atti, dichiarazioni o documenti”.

[29] Si veda quanto previsto dall’art. 398 comma 5 bis in tema di ascolto di minorenni vittime di abusi sessuali.

[30] In attuazione dell’art. 49 comma 3 del Codice della Giustizia Sportiva CONI.

[31] In attuazione dell’art. 63 del Codice della Giustizia Sportiva CONI.

[32] Questa definizione di radiazione la si rinviene dal Codice di Giustizia e Disciplina della Federazione Ginnastica d’Italia (FGI).

[33] Tribunale Federale FISE, sentenza del 25 giugno 2015.

[34] Tribunale Federale FISE, sentenza del 5 ottobre 2016.

[35] Tribunale Federale FISE, sentenza del 6 luglio 2016.

 

Redazione

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