Art. 677 comma 2 bis c.p.p. e notifiche del procedimento di sorveglianza

Redazione 08/11/03
Scarica PDF Stampa
 
 (Cass. I sezione Penale 30 aprile 2003, con nota di ***** *********)
 

***

Avverso ordinanza del 12.07.02 Tribunale di Sorveglianza di Torino che
dichiarava inammissibile la richiesta di affidamento in prova al servizio
sociale in quanto carente della elezione di domicilio, ai sensi dell’art.
677 co. 2 bis c.p.p. il *** ricorreva denunciando violazione di legge in
quanto l’istanza avanzata nel suo interesse conteneva l’indicazione della
residenza e quindi la finalità di legge perseguita dall’obbligo di
dichiarare o eleggere il domicilio era soddisfatta.

Il ricorso è fondato.

L’art. 677 co. 2 bis c.p.p. prevede l’obbligo della indicazione o della
elezione del domicilio, nelle istanze presentate da soggetti non detenuti, a
pena di inammissibilità. La carenza indicata nel provvedimento impugnato,
appare insussistente e frutto di una lettura inutilmente formalistica di
tale norma; è vero, infatti, che l’istanza venne presentata dal difensore
del *** – e l’indicazione della residenza di quest’ultimo nella sua
intestazione, non varrebbe a soddisfare l’esigenza normativa, in quanto la
dichiarazione e l’elezione del domicilio sono atti personali, non delegabili
al difensore – ma, nella specie, una valida dichiarazione di domicilio si
ricava dalla enunciazione della residenza dell’interessato, contenuta nella
nomina del difensore, in calce all’atto. E’ evidente, invero, che, sia pure
in assenza di una formula sacramentale, il *** indicava un recapito nel
quale potevano essere indirizzati gli atti del procedimento di sorveglianza
azionato, non altrimenti potendosi interpretare l’indicazione della sua
residenza (inutile ai fini della efficacia della nomina del difensore).

Il decreto “de quo” va dunque annullato senza rinvio, con rimessione degli
atti al Tribunale di sorveglianza, per l’esame della richiesta.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il decreto impugnato a rimette gli atti al Tribunale di
sorveglianza di Torino per l’esame dell’istanza.

* * * *

La Corte, con la decisione che si annota, prende nuovamente posizione sulla
delicata questione della valutazione d’inammissibilità dell’istanza di
affidamento in prova al servizio sociale (art.47 L.354/75), enunciando un
principio formulato alla luce del disposto dell’art.677, comma 2 bis, c.p.p.
.

Com’è noto, la disposizione citata impone al condannato non
detenuto l’obbligo, a pena d’inammissibilità, di fare la dichiarazione o l’
elezione di domicilio “con la domanda con la quale chiede una misura
alternativa alla detenzione o altro provvedimento attribuito dalla legge
alla magistratura di sorveglianza”.

La Corte, nella fattispecie, ha ritenuto assolto l’obbligo
imposto dalla legge anche se il condannato abbia inserito l’indicazione
della propria residenza nel contesto della dichiarazione di nomina del
difensore fiduciario.

Tale atto, secondo i supremi giudici, avrebbe l’inequivoco
significato di rendere conoscibile all’autorità giudiziaria il luogo in cui
avrebbero potuto essere indirizzati gli atti del procedimento, di tal che
verrebbe realizzata la sostanza dell’obbligo stabilito dalla norma
processuale applicata.

La sentenza di innesta in un corso giurisprudenziale, ormai
consolidato, che vede la Cassazione esercitare un ruolo di attento
controllo dei limiti entro i quali è consentito al giudice di pronunciare l
‘inammissibilità della domanda azionata.

In termini generali, la Corte ha costantemente ribadito che la
declaratoria d’inammissibilità è legittima qualora ricorrano ragioni di
“palmare evidenza”(Cass.,I, 25.6.90,*****) ed il loro accertamento non
implichi la soluzione di aspetti controversi o implichi valutazioni
discrezionali (Cass.,I, 11.2.94, *****)[1] .

Il difetto delle condizioni di legge, suscettivo di innescare la
pronuncia giudiziale d’inammissibilità, deve risultare evidente e
riscontrabile senza che ciò presupponga la risoluzione di questioni
giuridiche dibattute, al fine di non vulnerare il principio del
contraddittorio (Cass.,I,28.5.96, *********; Cass.,III, 3.6.95, Reale).

Con specifico riferimento alla problematica qui esaminata, la
Corte ha già in passato ( nella vigenza dell’originaria formulazione dell’
art.677 c.p.p.) censurato la decisione d’inammissibilità di un’istanza di
affidamento in prova al servizio sociale priva dell’indicazione di domicilio
(Cass.,I, n. 1676 dd. 17/04/2000, ***** ).

Sotto altra – affine – prospettiva, la Cassazione ha
riconosciuto l’illegittimità della declaratoria di inammissibilità relativa
all’istanza di affidamento in prova al servizio sociale priva dell’
indicazione del luogo in cui la misura, in caso di concessione, avrebbe
dovuto eseguirsi, essendo tale ipotesi diversa da quella in cui manchi
addirittura l’indicazione del luogo di residenza dell’interessato (Cass.,I,
n. 18687 dd.08/05/2001, ********** ).

Inquadrata in tale cornice giurisprudenziale, le decisione in
commento appare senz’altro armonica con l’orientamento giurisprudenziale
prevalente di privilegiare – tranne che in situazioni di palese carenza dei
presupposti di legge – la trattazione del merito dell’istanza.

Ciò che la sentenza lascia, tuttavia, in ombra sono alcuni profili di
specificità del caso particolare che – forse – sarebbero stati meritevoli
di un maggiore approfondimento.

Anzitutto, occorre considerare la ratio sottesa all’obbligo di
cui all’art.677, comma 2 bis, c.p.p. .

Essa non pare (soltanto) collegata – come invece mostra di
ritenere la Corte – all’esigenza della giustizia di disporre dell’
indicazione di un luogo certo e legalmente idoneo ai fini della notifica
degli atti del procedimento di sorveglianza.

A ragionare in termini diversi, infatti, non si comprenderebbe
la ragione per la quale la disposizione citata è stata pensata dal
legislatore esclusivamente per i procedimenti attribuiti alla competenza
della magistratura di sorveglianza e non – come sarebbe stato più logico –
con una norma dettata per la generalità dei procedimenti penali.

E’ evidente, al contrario, che il motivo fondante la particolare
regola in esame deve essere ricercata nella peculiarità delle materie
attribuite alla cognizione del giudice di sorveglianza, solo così
giustificandosi la specificità della deroga (che oltretutto esita in termini
di aggravio degli oneri difensivi) rispetto alla disciplina processuale
ordinaria.

Impostato in questi termini il problema, deve ritenersi che la
ratio legis sia riconducibile all’opportunità, ritenuta dal legislatore
meritevole di apprezzamento, di responsabilizzare il condannato nei
confronti di un procedimento – quello di sorveglianza – spesso prodromico
ad una misura alternativa che “mette alla prova” il soggetto sotto il
profilo della volontà di reinserimento sociale, spingendolo a collaborare
fattivamente con gli organi giudiziari garantendo la propria reperibilità.

L’effettiva e stabile presenza della persona in un determinato luogo, per
altro verso, consente la più efficace e sollecita istruttoria tipica del
procedimento di sorveglianza, consistente nell’assunzione delle necessarie
informazioni sulla persona condannata, tanto relative al profilo
criminologico (forze dell’ordine) quanto ai dati socio-familiari (indagini
sociali degli assistenti sociali del C.S.S.A.).

La precisa individuazione della ratio legis induce ulteriori considerazioni
sulla non integrale condivisibilità della pronuncia in commento.

Invero, un’indicazione di residenza inserita incidenter all’interno di un
atto del tutto diverso (quale la nomina del difensore di fiducia) non può ,
a sommesso avviso di chi scrive – ritenersi equipollente a quella
“dichiarazione o elezione di domicilio” che la norma dell’art.677 comma 2
bis citata richiede, e ciò proprio alla luce della sopra evidenziata ragion
fondante della disposizione: che presuppone una meditata indicazione del
luogo di reperibilità da parte dell’interessato al fine di responsabilizzare
il condannato e sensibilizzarne la volontà di reinserimento sociale.

Pare, in altri termini, che la decisione della Corte si sia arrestata sul
piano squisitamente procedurale (valutando cioè la norma dell’art.677 comma
2 bis come ispirata unicamente alle esigenze del procedimento ) ed abbia
così sottovalutato le – ben più significative – implicazioni che la
disposizione applicata determina in rapporto al giudizio prognostico che il
giudice di sorveglianza è chiamato a formulare sulle possibilità di
risocializzazione del condannato .

***************

[1] In conformità al principio enunciato, la Corte ha ritenuto illegittima
una pronuncia di inammissibilità allorché sulla materia vi sia contrasto di
giurisprudenza (e pure nella prevalenza dell’orientamento contrario alla
tesi del difensore:Cass.,I,5.4.95, *******).

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento