Appello o Cassazione per la parte civile contro il proscioglimento? Sezioni Unite

La parte civile può appellare la sentenza di proscioglimento del giudice di pace ai soli fini civili, anche senza aver chiesto la citazione dell’imputato?

Scarica PDF Stampa Allegati

La parte civile può appellare la sentenza di proscioglimento del giudice di pace ai soli fini civili, anche senza aver chiesto la citazione dell’imputato, o è ammesso solo il ricorso per Cassazione? Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.

Corte di Cassazione -Sez. un. pen.- sentenza n. 23406 del 30-01-2025

sentenza-commentata-art.-4.pdf 71 KB

Iscriviti alla newsletter per poter scaricare gli allegati

Grazie per esserti iscritto alla newsletter. Ora puoi scaricare il tuo contenuto.

Indice

Il fatto
Il Giudice di pace di Torino assolveva, con la formula perché il fatto non sussiste, l’imputato dal reato di cui all’art. 595 cod. pen..Ciò posto, avverso questa decisione proponeva appello la parte civile, con atto sottoscritto dal difensore e procuratore speciale, deducendo, ai soli effetti della responsabilità civile, la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di diffamazione e l’assenza di cause di giustificazione.Dal canto suo, il Tribunale di Torino, riqualificato l’appello come ricorso per cassazione, trasmetteva gli atti alla Cassazione, rilevando che l’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., come novellato dal D.Lgs., 10 ottobre 2022, n. 150, applicabile ratione temporis, ha sancito l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa, nel cui novero rientra il delitto di diffamazione. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.

La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione: se, anche dopo la riforma dì cui a! D.Lgs. n. 150 del 2022, la sentenza di proscioglimento pronunciata dal giudice di pace per un reato punito con pena alternativa sia appellabile, agli effetti della responsabilità civile, dalla parte civile che non ha chiesto la citazione a giudizio dell’imputato, ovvero sia solo ricorribile per Cassazione
La Quinta Sezione penale, assegnataria del suddetto ricorso, ne deliberava la rimessione alle Sezioni Unite, rilevando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla sorte dell’appello proposto dalla parte civile, costituitasi in giudizio prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, e sottolineando i delicati profili interpretativi della nuova normativa.In particolare, la Sezione rimettente evidenziava come la questione della legittimazione della parte civile ad appellare le sentenze di proscioglimento del tipo indicato nella disposizione novellata assumesse una peculiare rilevanza nell’ambito del procedimento davanti al giudice di pace, sia perché la quasi totalità dei reati di competenza di quel giudice sono puniti o con la sola pecuniaria o con pena alternativa, sia perché la disciplina di quel procedimento – a differenza di quanto previsto per il pubblico ministero, per l’imputato e per la persona offesa che abbia citato direttamente in giudizio l’imputato stesso – non contempla una regolamentazione specifica dell’impugnazione della parte civile che si sia costituita nel giudizio instaurato su impulso del pubblico ministero.Orbene, alla stregua di quanto appena esposto, la suesposta Sezione chiedeva alle Sezioni unite di chiarire se: la limitazione al potere di appellare le sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa, stabilita dalla disposizione di cui all’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., come riformata dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, riguardi anche la parte civile che intenda impugnare, ai soli effetti civili, la sentenza di proscioglimento emessa dal giudice di pace.

La soluzione adottata dalle Sezioni unite
Le Sezioni unite – dopo avere delimitato la questione sottoposta al loro vaglio giudiziale (nei seguenti termini: “Se, anche dopo la riforma dì cui al D.Lgs. n. 150 del 2022, la sentenza di proscioglimento pronunciata dal giudice di pace per un reato punito con pena alternativa sia appellabile, agli effetti della responsabilità civile, dalla parte civile che non ha chiesto la citazione a giudizio dell’imputato, ovvero sia solo ricorribile per cassazione”) e compiuto un excursus normativo riguardante l’art. 593 cod. proc. pen. – evidenziava la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla questione prospettata dalla Sezione rimettente, descritta, nella pronuncia qui in commento, nei seguenti termini: “Secondo l’orientamento espresso da Sez. 4, n. 24097 del 16/04/2024, omissis, Rv. 286471 – 01 e da Sez. 5, n. 14370 del 22/03/2024, omissis, Rv. 286929 – 01, nel procedimento dinanzi al giudice di pace, successivamente alla riforma di cui al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, la parte civile non sarebbe legittimata a proporre appello, ai soli effetti civili, avverso le sentenze di proscioglimento di cui all’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., come modificato dal decreto citato, perché il rinvio alla disciplina del codice di procedura penale, di cui all’art. 2, comma 1, D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, comporterebbe per questa parte processuale la rilevanza non solo del principio sancito dall’art. 576 cod. proc. pen., ma anche della disposizione di cui all’art. 593, comma 3 cod. proc. pen. Per la parte civile difetterebbe, infatti, “una lex specialis come l’art. 37 D.Lgs. n. 274 del 2000 per l’imputato” (Sez. 5, n. 14370 del 22/03/2024, Conca, cit.). Inoltre, considerato il potere di proporre impugnazione, “anche agli effetti penali”, contro la sentenza di proscioglimento emessa dal giudice di pace, assegnato dall’art. 38 D.Lgs. 28 giugno 2000, n. 274 alla parte offesa che abbia “chiesto la citazione a giudizio dell’imputato” ai sensi dell’art. 21 dello stesso decreto, “negli stessi casi in cui è ammessa l’impugnazione da parte del pubblico ministero”, ossia con il ricorso per cassazione (come previsto dall’art. 36, comma 2, D.Lgs. 28 giugno 2000, n. 274), se si riconoscesse alla parte civile, fuori dai casi in cui ella assuma la veste di “accusatrice privata”, anche la legittimazione ad appellare, si verrebbe a determinare nel sistema delle impugnazioni delle sentenze di proscioglimento emesse dal giudice di pace un’”intrinseca incoerenza”. Infatti, la parte offesa, costituita parte civile, che faccia valere solo una pretesa risarcitoria o restitutoria, si vedrebbe attribuito un potere di impugnazione più ampio di quello normativamente assegnato alla parte offesa, “accusatrice” ex art. 21 D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, che faccia valere anche una pretesa punitiva, potendo, la prima, impugnare la sentenza di proscioglimento o con l’appello o con il ricorso per cassazione, mentre, la seconda, potendosi avvalere solo del ricorso per cassazione. Dunque, alla stregua di tale divisamento, sarebbero “L’art. 593 cod. proc. pen., che assume portata generale, e, per altro verso, una lettura sistematica fondata sul significato dell’art. 38 D.Lgs. n. 274 del 2000” (così, Sez. 5, n. 14370 del 22/03/2024, Conca, cit.), a convincere dell’inappellabilità della sentenza di proscioglimento emessa dal giudice di pace; inappellabilità che, peraltro, non sarebbe neppure in contrasto “con gli artt. 3,25,27,32,97,102,106 e 111 Cost. e 6CEDU”, “non avendo il doppio grado di merito copertura costituzionale e corrispondendo l’inappellabilità delle sentenze concernenti fatti di modesta rilevanza a una scelta legislativa legittima, in quanto finalizzata a migliorare l’efficienza del sistema delle impugnazioni” (Sez. 4, n. 24097 del 16/04/2024, omissis, cit.). (…) Secondo l’orientamento del quale si è resa latrice Sez. 5, n. 36932 del 10/07/2024, G., Rv. 287021 – 01, a cui ha dato seguito l’ordinanza di rimessione, invece, nel procedimento dinanzi al giudice di pace, anche successivamente alla riforma di cui al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, la parte civile, al di fuori dell’ipotesi di cui all’art. 38 D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, continuerebbe a essere legittimata a proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento di cui all’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., come modificato dal decreto citato, in applicazione della regola generale dettata dall’art. 576 cod. proc. pen., riferibile anche a tale procedimento in forza dell’art. 2, comma 1, D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274. Si è spiegato, infatti, che, poiché all’imputato è riconosciuto dall’art. 37 D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 il potere di “proporre appello anche contro le sentenze che applicano la pena pecuniaria se impugna il capo relativo alla condanna, anche generica, al risarcimento del danno”, con il privare la parte civile del simmetrico potere di appellare, ai soli effetti civili, le sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con pena pecuniaria si legittimerebbe una disparità dei mezzi di reclamo, spettanti a parti processuali poste sullo stesso piano ancorché su fronti opposti, assolutamente arbitraria e, come tale, già stigmatizzata dal giudice delle leggi e dal diritto vivente (segnatamente, Corte cost., ord. n. 32 del 2007; Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236539 – 01). L’ordinanza di rimessione ha, in particolare, precisato che “se, nel processo del giudice di pace, si ritenesse applicabile alla parte civile l’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., si otterrebbe che solo questa parte, in caso di soccombenza, verrebbe privata, sostanzialmente in toto,… del secondo grado di giudizio di merito; mentre, se a soccombere fosse l’imputato, controparte nella lite “civile”, questi non incorrerebbe in alcun limite, potendo investire sempre il giudice di appello”. Militerebbero, comunque, a favore della tesi propugnata, ulteriori argomenti, desunti: dalle caratteristiche del procedimento davanti al giudice di pace, improntato a criteri di autonomia e separatezza rispetto al processo davanti al giudice togato, essendosi inteso delineare un giudizio con finalità servente rispetto alla conciliazione delle parti, tra le quali un ruolo primario è riconosciuto proprio alla parte offesa (in tal senso, Corte cost., ord. n. 50 del 2016; ord. n. 193 del 2009; sent. n. 298 del 2008; ord. n. 28 del 2007; ord. n. 415 del 2005; ord. n. 85 del 2005; ord. n. 349 del 2004; Sez. U, n. 28908 del 27/09/2018, dep. 2019, omissis s), le cui aspettative risarcitorie sarebbero, invece, frustrate ove le si negasse la possibilità di ottenere un compiuto riesame delle risultanze processuali; dall’implementazione del catalogo dei reati attribuiti alla competenza del giudice di pace, essendosi le Sez. U, n. 12759 del 14/12/2023, dep. 2024, L., Rv. 286153 – 01, espresse nel senso che “Appartiene al giudice di pace, dopo l’entrata in vigore delle modifiche introdotte dall’art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, la competenza per materia ex art. 4, comma 1, lett. a), D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 in ordine al delitto di lesione personale di cui all’art. 582 cod. pen., nei casi procedibili a querela, anche quando comporti una malattia di durata superiore a venti giorni e fino a quaranta giorni, fatte salve le ipotesi espressamente escluse dall’ordinamento”, di modo che, non riconoscendole la legittimazione all’appello delle sentenze di proscioglimento relative a tale tipologia di lesioni personali, la parte civile sarebbe privata della possibilità di avvalersi del secondo grado del giudizio di merito rispetto a fatti, che, ancorché puniti con una sanzione criminale di modesta entità, sono, tuttavia, suscettibili di determinare un grave danno civile. Donde, incontestabile il dato che nel procedimento del giudice di pace la norma di cui all’art. 593 cod. proc. pen. non potrebbe trovare applicazione nella sua interezza, valendo per l’imputato e per il pubblico ministero (cui si riferiscono i primi due commi dell’articolo citato) lo specifico regime delle impugnazioni dettato dagli artt. 36 e 37 D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, ove si ritenesse applicabile a quel procedimento la sola disposizione di cui alla seconda parte del comma terzo dell’art. 593 cod. proc. pen. (“Sono in ogni caso inappellabili… le sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa”), di questa si stravolgerebbe, sempre secondo l’ordinanza di rimessione, la portata: “da limitazione oggettiva, valevole per tutte le parti e circoscritta a specifiche tipologie di sentenze, finirebbe per applicarsi solo alla parte civile (pubblico ministero e imputato hanno il loro specifico statuto) con l’effetto di trasformarsi in limitazione soggettiva diretta a precludere, in modo pressoché assoluto, l’appello di detta parte””.Orbene, concluso pure questo excursus (in questo caso) di natura unicamente giurisprudenziale, le Sezioni unite, a questo punto della disamina, affermavano di condividere l’indirizzo interpretativo secondo il quale spetta alla parte civile la legittimazione ad appellare, ai soli effetti civili, le sentenze di proscioglimento pronunciate dal giudice dì pace per reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa.Nel dettaglio, il Supremo Consesso riteneva innanzitutto necessario ricordare che l’art. 37, comma 1, D.Lgs. n. 274 del 2000, prevede che “l’imputato… può proporre appello contro le sentenze che applicano la pena pecuniaria se impugna il capo relativo alla condanna, anche generica, al risarcimento del danno”, evidenziando al contempo che la Relazione illustrativa al D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 chiarisce che “mentre la non appellabilità delle sentenze che applicano la sola pena pecuniaria appare del tutto giustificata, in ragione della modesta concreta afflittività della sanzione, quando, esercitata in sede penale l’azione civile, la sentenza rechi condanna, anche generica, al risarcimento del danno (possibile per somme anche notevolmente superiori all’ordinario limite di competenza per valore del giudice di pace civile), consentire un secondo giudizio è apparsa una scelta opportuna”, facendosene conseguire da ciò che la scelta operata dal legislatore tiene conto del fatto che nel giudizio dinanzi al giudice di pace, ancorché per l’illecito penale sia possibile applicare la sola pena pecuniaria, l’azione civile connessa può richiedere un accertamento specifico molto più complesso e cagionare conseguenze in termini risarcitori tali da eccedere la stessa competenza del giudice di pace civile e, dunque, si renderebbe perniciosa la mancanza di un rimedio impugnatorio quale è l’appello nel caso in cui nel procedimento penale venga in questione anche l’azione civile.Per la Corte, di conseguenza, se queste sono le ragioni ispiratrici sarebbe allora eccentrica, in via di principio generale, una limitazione della previsione al solo imputato senza estensione anche alla parte civile che agisce in via esclusiva a tutela di quello stesso interesse, né si appalesava essere decisiva la mancanza di una previsione specifica espressa, dovendosi tenere conto anzitutto delle autorevoli indicazioni provenienti dal giudice delle leggi e dei principi già affermati dalla Cassazione, richiamate dalle medesime Sezioni unite nella susseguente maniera: “Con l’ordinanza n. 193 del 26/06/2009, la Corte costituzionale, nel dichiarare manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 593 e 576 cod. proc. pen., sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., con riguardo, rispettivamente, alla facoltà dell’imputato di appellare la sentenza di condanna emessa dal giudice di pace e alla facoltà della parte civile di appellare la sentenza di proscioglimento emessa da quello stesso giudice, ha affermato che, poiché “nel D.Lgs. n. 274 del 2000 manca… una specifica disciplina del potere di impugnazione della parte civile”, questo “resta, pertanto, regolato proprio dall’art. 576 cod. proc. pen., in virtù del generale richiamo di cui all’art. 2 del citato decreto legislativo”. Ed anche Sez. U, n. 6509 del 20/12/2012, dep. 2013, omissis, Rv. 254130 -01, hanno stabilito che “per quanto concerne i procedimenti dinanzi al giudice di pace, la parte civile, in applicazione della regola generale dettata dall’art. 576 cod. proc. pen., riferibile anche a tali procedimenti sulla base del richiamo dell’art. 2 D.Lgs. n. 274 del 2000, è legittimata ad impugnare le sentenze di proscioglimento, ai soli effetti civili”. Del resto, la facoltà d’impugnativa, riservata alla parte civile dall’art. 576 cod. proc. pen., era stata in precedenza già riconosciuta dalle stesse Sezioni Unite, con la sentenza n. 27614 del 29/03/2007, omissis, Rv. 236539 – 01, nella quale si era precisato che la disposizione in questione deve intendersi riferita “al potere di impugnazione della parte civile in tutte le sue possibili espressioni”. Infatti, l’art. 576 cod. proc. pen., prevedendo “una generica legittimazione della parte civile ad impugnare (la parte civile può proporre impugnazione…), non limita detto potere al solo ricorso per cassazione né esclude, espressamente o per implicito, la possibilità dell’appello, come accade nel caso disciplinato da altra norma (art. 428 cod. proc. pen., comma 2), sicché può essere letta anche nel senso che è consentita ogni forma di impugnazione ordinaria”. E si era anche aggiunto, nell’occasione, che il “carattere generale della disposizione” implica che l’onnicomprensività dei mezzi valga “anche per l’impugnazione delle sentenze pronunciate nel giudizio abbreviato o nel procedimento di pace, dove più alto è il rischio di asimmetrie, che vanno accortamente evitate nel rigoroso rispetto del principio di cui all’art. 111 Cost., comma 2” (Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, cit.)”.Pertanto, alla stregua di tale giurisprudenza, sia nomofilattica, che costituzionale, per la Suprema Corte, la mancanza nel D.Lgs. n. 274 del 2000 di una norma specifica, che riconosca alla parte civile la facoltà di appellare, ai soli effetti civili, le sentenze di proscioglimento emesse dal giudice di pace, non può essere ritenuta in alcun modo decisiva, né, sempre ad avviso dei giudici di piazza Cavour, appare utilmente evocabile, per supplire alla segnalata carenza, la disposizione di cui all’art. 38, comma 1, D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, dato che esso recita che “il ricorrente che ha chiesto la citazione a giudizio dell’imputato a norma dell’articolo 21 può proporre impugnazione, anche agli effetti penali, contro la sentenza di proscioglimento del giudice di pace negli stessi casi in cui è ammessa l’impugnazione da parte del pubblico ministero”, richiamandosi all’uopo il principio espresso da Sez. 4, n. 43463 del 27/10/2022, secondo cui “nel procedimento dinanzi al giudice di pace instaurato a citazione della persona offesa, ai sensi dell’art. 21 D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, quest’ultima, rivestendo la qualifica di vero e proprio accusatore privato, ove intenda impugnare la sentenza di proscioglimento anche agli effetti penali, è legittimata, al pari del pubblico ministero, a proporre ricorso per cassazione deducendo tutti i vizi di cui all’art. 606 cod. proc. pen.”, osservandosi contestualmente che nella motivazione afferente siffatta decisione, è stato oltre tutto precisato che, nel caso in cui, invece, la persona offesa, costituita parte civile, intenda impugnare la sentenza di proscioglimento ai soli effetti civili, la stessa potrà proporre appello ai sensi della regola generale di cui all’art. 576 cod. proc. pen..La limitazione espressa dei rimedi impugnatori, per la Corte, vale, dunque, solo nel caso in cui l’impugnazione della sentenza attenga agli effetti penali, fermo restando che ciò non compromette interessi costituzionalmente protetti, come precisato sempre nella pronuncia citata che, richiamando Corte cost., sent. n. 298 del 2008 e n. 26 del 2007, evidenzia come il Giudice delle leggi abbia già escluso profili di contrasto con la Costituzione per la circostanza che la compressione dei poteri di impugnazione del pubblico ministero finisce con il riverberarsi – stante il collegamento istituito dall’art. 38 D.Lgs. n. 274 del 2000 – anche sui corrispondenti poteri del ricorrente che ha chiesto la citazione a giudizio dell’imputato visto che, secondo questo Giudice, non rappresenta un indice di irrazionalità dell’intervento novellistico, essendo evidente che l’”accusatore privato” non può fruire, sul piano del principio di parità delle parti, di poteri processuali, agli effetti penali, più estesi di quelli riconosciuti all’accusatore pubblico mentre, nel caso in cui, invece, la persona offesa costituita parte civile intenda impugnare il proscioglimento ai soli effetti civili, la stessa potrà proporre appello in base alla regola generale stabilita dall’art. 576, cod. proc. pen., essendo, dunque, il richiamo alle limitazioni del mezzo di impugnazione vale solo nel caso in cui quest’ultima sia proposta anche per gli effetti penali.Diversa è, in definitiva, la situazione che viene in rilievo nell’ipotesi dell’art. 37 cit. per la quale, in mancanza di diverse indicazioni, soccorre l’operatività del rinvio alla disciplina del codice di procedura penale, stabilito dall’art. 2, comma 1, D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, rinvio che comporta che l’impugnazione della parte civile, proposta avverso la sentenza di proscioglimento emessa dal giudice di pace, per i soli profili risarcitori, deve sottostare alla norma generale dettata dall’art. 576 cod. proc. pen., come interpretata dal diritto vivente, tanto più se si considera che un diverso opinare, nel senso dell’incolmabilità della rilevata lacuna, esporrebbe, del resto, la mancata previsione della facoltà in capo alla parte civile di appellare, ai soli effetti civili, la sentenza di proscioglimento emessa dal giudice di pace ad un ragionevole sospetto di incostituzionalità, per violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost. visto che la stessa si porrebbe in contrasto con il sistema nel suo insieme considerato, proteso ad assicurare, comunque, tutela alla parte civile, anche nei casi in cui il processo penale si concluda con sentenze di proscioglimento (così deponendo l’art. 538 cod. proc. pen., come dichiarato costituzionalmente illegittimo da Corte cost., sent. n. 173 del 2022, nonché gli artt. 578,578-bis e 622 cod. proc. pen.), trattandosi di una tutela che, in effetti, le vittime di gravi reati (come le lesioni personali dolose con durata della malattia fino a quaranta giorni) si vedrebbero irragionevolmente limitata, ove fosse negata la loro legittimazione a proporre gravame, ai soli effetti civili, avverso le sentenze di proscioglimento, senza ignorare tra l’altro il fatto che quanto appena enunciato, oltretutto, disvelerebbe un profilo di intollerabile asimmetria rispetto alla posizione dell’imputato, cui l’art. 37, comma 1, ultima parte, D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, in deroga alla regola della non appellabilità, consente di appellare anche le sentenze di condanna alla pena pecuniaria allorquando sia in gioco la condanna al risarcimento del danno: deroga giustificata dalla Relazione illustrativa al decreto citato sulla base degli interessi in gioco, posto che “la condanna, anche generica, al risarcimento del danno” sarebbe “possibile per somme anche notevolmente superiori all’ordinario limite di competenza per valore del giudice di pace civile”.Tuttavia, sempre per i giudici di legittimità ordinaria, il riconoscimento alla parte civile della facoltà di appellare, ai soli effetti civili, le sentenze di proscioglimento non sarebbe tale, invece, da comportare alcuna disparità di trattamento rispetto al pubblico ministero e al ricorrente che abbia chiesto la citazione a giudizio dell’imputato a norma dell’art. 21 D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, cui, rispettivamente, l’art. 36, comma 2, e l’art. 38, comma 1, D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 attribuiscono il potere di impugnare le sentenze della medesima tipologia esclusivamente con il ricorso per Cassazione dal momento che la limitata traiettoria dell’impugnazione proposta da queste parti processuali, volta ad attaccare unicamente i capi penali della sentenza di proscioglimento, giustifica la scelta normativa di circoscriverne il mezzo al ricorso per cassazione e di equipararne i relativi poteri, né si potrebbe pervenire ad un diverso esito, ove si ritenesse che il rinvio, operato dall’art. 2, comma 1, D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 alle disposizioni del codice di rito, sia, dopo le modifiche apportate all’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. – dapprima, dal D.Lgs. 6 febbraio 2018, n, 11, e, successivamente dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 – da riferire a quest’ultimo, perché contenente norma da ritenersi “speciale” rispetto all’art. 576 cod. proc. pen., con conseguente esigenza di “rimeditare”, oggi, l’assunto a suo tempo fatto proprio dalle Sezioni Unite n. 27614 del 29/03/2007, e ciò per la fondamentale ragione che la disposizione di cui all’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. non può essere interpretata come applicabile all’impugnazione della parte civile, soccorrendo, anzitutto, al riguardo, il criterio fondamentale del dato letterale – “che costituisce un limite insuperabile anche quando si proceda ad una interpretazione estensiva” (Sez. U, n. 42125 del 27/06/2024, e Sez. U, n. 12759 del 14/12/2023, entrambe non massimate sul punto) -, che, in effetti, non consente di trarre dal testo della disposizione di cui all’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. – la quale, come detto, recita che “sono in ogni caso inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda o la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, nonché le sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa” – alcun elemento univoco a conforto della tesi secondo la quale, in nome di esigenze di efficienza processuale, alla parte civile sarebbe stata preclusa la facoltà di appellare le sentenze di proscioglimento relative a reati meno gravemente sanzionati: infatti, a fronte della collocazione del terzo comma subito dopo i commi che menzionano unicamente imputato e pubblico ministero, e senza che alcuna menzione della parte civile sia in esso operata, il citato terzo comma non può che essere interpretato come logicamente “incluso” nell’alveo, non espandibile, dei precedenti commi.Del resto, per la Corte, neppure conduce ad approdi diversi il criterio sussidiario dell’intenzione del legislatore – intesa “in senso “oggettivo”, dunque espressiva del significato immanente nella stessa legge, e non anche in senso “soggettivo”, vale a dire come volontà del legislatore dal punto di vista storico-psicologico” (Sez. U, n. 19357 del 29/02/2024, non massimata sul punto) -, la cui utilizzazione non lascia emergere elementi decisivi atti a far ritenere che l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento del tipo indicato nella disposizione di cui all’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. si riferisca indistintamente a tutte le parti processuali che vi possano avere interesse; anzi, i documenti governativi, con i quali sono state esplicitate le motivazioni, le finalità, i raccordi con la normativa previgente e i contenuti delle disposizioni proposte, destinate a modificare l’art. 593 cod. proc. pen., o si limitano ad insistere sulla necessità di “una riduzione dell’appellabilità oggettiva delle sentenze” allo scopo di implementare l’efficienza del giudizio di appello (così, nella Relazione illustrativa al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150) oppure fanno richiamo alle sole parti necessarie del processo, ossia al pubblico ministero e all’imputato.In particolare, nella Relazione illustrativa al D.Lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, indicata la “deflazione del carico giudiziario” come scopo delle norme contenute nello schema di provvedimento elaborato, è detto che questa si sarebbe dovuta realizzare mediante la “semplificazione dei procedimenti di appello e di cassazione”, affidata, in primo luogo, alla “riduzione dell’area della legittimazione all’appello sia per il pubblico ministero che per l’imputato, in modo da calibrare equamente il sacrificio in termini di accesso all’impugnazione”; donde, le modifiche apportate al terzo comma dell’art. 593 cod. proc. pen., con l’estensione dell’inappellabilità – già stabilita per le sentenze di condanna alla sola ammenda -alle sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con una pena alternativa, miravano anche a “restituire coerenza complessiva al sistema”, ponendo “l’imputato in una posizione di parità rispetto a quella del pubblico ministero”.La prospettata soluzione, sempre le Sezioni unite, continua inoltre, a ben vedere, ad essere confermata, seppure a posteriori, dal dictum di Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, che è stato il frutto dell’interpretazione secondo la quale “la generica legittimazione della parte civile ad impugnare la sentenza di proscioglimento”, attribuitale dall’art. 576, comma 1, cod. proc. pen., comporta che le sia “consentita ogni forma di impugnazione ordinaria” avverso ogni tipo di “sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio”, fatta eccezione, come chiarito da Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, per le “sentenze di non luogo a procedere pronunciate nell’udienza preliminare”, dovendosi, in proposito, ritenere che il legislatore, nel riformare, dapprima con il D.Lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, e, poi, con il D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, la disciplina dei “casi di appello”, dettata nell’art. 593 cod. proc. pen., abbia tenuto conto dell’assetto dell’orientamento ermeneutico, cristallizzato (nel segno della particolare stabilità del precedente assicurata anche dall’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., dallo stesso D.Lgs. n. 11 del 2018 introdotto), da Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, e mai più messo in discussione, che ha scolpito nella sua portata la norma di cui all’art. 576, comma 1, cod. proc. pen., riconoscendo, come già visto, alla parte civile la legittimazione ad impugnare, ai soli effetti civili, con “tutti gli ordinari mezzi previsti” le sentenze di proscioglimento pronunciate “nel giudizio”, così come né si spiegherebbe – sul piano logico e sistematico – la scelta legislativa di limitare la portata della norma generale di cui all’art. 576 cod. proc. pen., attributiva alla parte civile di una legittimazione ad impugnare, ai soli effetti civili, con ogni mezzo tutte le sentenze di proscioglimento, attraverso una disposizione che sancisce la parziale inappellabilità di tali sentenze utilizzando il criterio del regime sanzionatorio in astratto previsto per alcuni reati; regime, quello della pena, rispetto al quale la parte civile è normalmente indifferente, come accade nelle ipotesi in cui chi accampi un danno da reato impugni la sentenza di proscioglimento onde ottenerne unicamente il ristoro mediante l’integrale riesame della vicenda processuale e ciò, a meno di non voler postulare un’assoluta e indefettibile corrispondenza tra la gravità dell’illecito penale e la gravità dell’illecito civile, che, invece, è stata esclusa dal Giudice delle leggi, espressosi nel senso dell’”ontologica autonomia” dei due tipi di illecito (Corte cost., sent. n. 173 del 2022).Ciò posto, per il Supremo Consesso, a questo punto della disamina, occorreva infine considerare che, proprio per raggiungere gli obiettivi di celerità nella definizione dei processi penali e di una decisione sull’azione in tempi non irragionevoli, il D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 ha innovativamente previsto che, quando la sentenza sia stata impugnata “per i soli interessi civili”, il giudizio venga trasferito in sede civile poiché il nuovo comma 1-bis dell’art. 573 cod. proc. pen., introdotto dall’art. 33, comma 1, lett. a), n. 2), D.Lgs. n. 150 del 2022, stabilisce che “quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice di appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile”, essendo pertanto di tutta evidenza che questa disposizione regola, sul piano generale e senza alcuna limitazione, la fase di appello azionata dalla parte civile ponendosi in antitesi con eventuali limitazioni riconducibili anche per la parte civile all’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. in quanto foriere di possibile pregiudizio nell’accertamento dei profili civilistici di merito.Chiarito ciò, i rilievi che precedono consentivano, allora, per la Suprema Corte, di escludere che le modifiche apportate alla disposizione di cui all’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. dagli artt. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 6 febbraio 2018 e dall’art. 34, comma 1, lett. a), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 abbiano implicitamente inserito nell’ordinamento processuale una parziale deroga alla generica facoltà di impugnazione avverso le sentenze di proscioglimento riconosciuta alla parte civile, ai soli effetti della responsabilità civile, dall’art. 576 cod. proc. pen.; convincono, piuttosto, della necessità che l’interpretazione della disposizione in esame sia condotta, e si esaurisca, nel perimetro della norma in cui essa è inserita dal momento che questa operazione esegetica comporta che i “casi di inappellabilità oggettiva”, stabiliti dal terzo comma della norma di cui all’art. 593 cod. proc. pen., possono essere identificati, nella loro riferibilità soggettiva (ossia, con riguardo alle parti processuali cui è inibito l’appello delle sentenze in esso enumerate), solo leggendo la disposizione che li contempla in rapporto di consequenzialità rispetto alle prime due disposizioni della norma predetta, che stabiliscono casi di “inappellabilità” di sentenze di condanna e di proscioglimento da parte dell’imputato e del pubblico ministero, fermo restando che in tal senso depone anche l’addizione, ad opera dell’art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, nel testo del terzo comma dell’art. 593 cod. proc. pen., della locuzione “in ogni caso”, che, secondo quanto già affermato dalla giurisprudenza delle Sezioni semplici (Sez. 1, n. 4504 del 14/01/2022; Sez. 2, n. 7042 del 12/01/2021) “assume l’unico significato possibile di negare la derogabilità del regime di inappellabilità” delle sentenze di condanna e delle sentenze di proscioglimento già stabilito, tanto per l’imputato che per il pubblico ministero, nei primi due commi dell’art. 593 cod. proc. pen..Tal che se ne faceva conseguire che l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa, stabilita dalla seconda parte del terzo comma dell’art. 593 cod. proc. pen., si riferisce esclusivamente all’imputato e al pubblico ministero, e non riguarda, invece, la parte civile, che rimane legittimata a proporre appello, ai soli fini della responsabilità civile, avverso qualsiasi tipo di sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio, in forza della norma di cui all’art. 576 cod. proc. pen., rilevandosi al contempo che la soluzione accolta nel caso di specie trova, infine, un ulteriore elemento di avallo nella sentenza della Corte costituzionale n. 173 del 2022, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost., l’art. 538 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta dalla parte civile, a norma degli artt. 74 e seguenti cod. proc. pen. visto che, secondo il Giudice delle leggi, la “pronuncia di proscioglimento ex art. 131-bis cod. pen. si atteggia come una vera e propria sentenza di accertamento dell’illecito penale, che, in quanto avente efficacia di giudicato (ex art. 651-bis cod. proc. pen.), può costituire presupposto di una domanda di risarcimento del danno nel successivo giudizio civile, rimanendo al giudice adito il compito della determinazione, di norma, del danno risarcibile, sempre che ne sussistano i presupposti nella specificità dell’illecito civile, avente comunque carattere di ontologica autonomia rispetto all’illecito penale”.Ebbene, secondo la Corte di legittimità, tale particolare contenuto decisorio della sentenza di proscioglimento pronunciata ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. – la quale ben può riguardare reati ricompresi nel novero di quelli enumerati nell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., stante il tenore della disposizione di cui al primo comma dell’art. 131-bis cod. pen. fonda, certamente, l’interesse della parte civile ad impugnarla anche tramite lo strumento dell’appello; appello cui, per quanto prima esposto, non è, però, legittimato il pubblico ministero, abilitato a contrastare il contenuto della pronuncia solo con il mezzo del ricorso per cassazione.Ad ogni modo, per le Sezioni unite, il rilevato disallineamento, dal punto di vista dei rimedi impugnatori esperibili, tra le posizioni di parti processuali poste sullo stesso fronte, non è, tuttavia, suscettibile di tradursi in una loro effettiva disparità di trattamento giacché l’appello proposto dalla parte civile avverso la sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto determina la conversione in appello del ricorso per Cassazione eventualmente proposto dal pubblico ministero, ai sensi del combinato disposto degli artt. 569, comma 2, e 580 cod. proc. pen., secondo cui, quando contro la stessa sentenza sono proposti sia appello che ricorso per cassazione, quest’ultimo si converte in appello, trattandosi quindi di una necessità di riconversione che, secondo la giurisprudenza della Cassazione, supera anche eventuali limitazioni alla possibilità di proporre appello di una parte (Sez. 5, n. 12792 del 21/02/2019; Sez. 5, n. 20482 del 08/03/2018; Sez. 5, n. 57716 del 13/10/2017; Sez. 5, n. 30224 del 31/05/2017; Sez. 2, n. 18253 del 23/04/2007).Le Sezioni unite, di conseguenza, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, formulavano il seguente principio di diritto: “La parte civile che non ha chiesto la citazione a giudizio dell’imputato è legittimata a proporre appello ai soli effetti della responsabilità civile avverso le sentenze di proscioglimento pronunciate dal giudice di pace anche in relazione ai reati puniti con la sola pena pecuniaria o con la pena alternativa”.

Potrebbe interessarti anche: Il diritto di appello della parte civile e del Pubblico Ministero avverso le sentenze di proscioglimento alla luce della novella n. 46 del 2006 e delle attuali pronunce della Corte Costituzionale.

Conclusioni: la parte civile, che non ha richiesto la citazione a giudizio dell’imputato, è legittimata a proporre appello, ai soli effetti della responsabilità civile, avverso le sentenze di proscioglimento pronunciate dal giudice di pace, anche nei casi di reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa

Con la decisione qui in esame, le Sezioni unite hanno affrontato la seguente questione giuridica: se la parte civile può appellare la sentenza di proscioglimento del giudice di pace ai soli fini civili, anche senza aver chiesto la citazione dell’imputato, o è ammesso solo il ricorso per Cassazione.Difatti, come appena visto, le suddette Sezioni hanno ritenuto di dovere aderire alla prima opzione ermeneutica, sostenendo che la parte civile, in tale caso, può proporre appello ai soli effetti della responsabilità civile avverso le sentenze di proscioglimento pronunciate dal giudice di pace anche in relazione ai reati puniti con la sola pena pecuniaria o con la pena alternativa.Di conseguenza, alla stregua di siffatto arresto giurisprudenziale, è consentito alla parte civile di appellare, purché ciò avvenga ai soli effetti della responsabilità civile, le sentenze di proscioglimento pronunciate dal giudice di pace anche a proposito di codesti reati.Questa è dunque la novità, che connota questo arresto giurisprudenziale, il cui è giudizio è senz’altro positivo, essendo stata fatta chiarezza su tale tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

Avvocato e giornalista pubblicista. Cultore della materia per l’insegnamento di procedura penale presso il Corso di studi in Giurisprudenza dell’Università telematica Pegaso, per il triennio, a decorrere dall’Anno accademico 2023-2024. Autore di diverse pubblicazioni redatte per…Continua a leggere

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento