Ancora sulle questioni della tutela dei lavoratori nel caso di contagio da COVID 19. Alcune problematiche da tenere in considerazione

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Si è avuto modo di scrivere, in questi giorni, sulle tutele per i lavoratori necessari che possono essere esposti al Covid 19. Appare opportuno, in questa sede, anche in virtù del recente protocollo siglato tra Governo e Parti Sociali, esporre alcune problematiche, relative alla disciplina degli infortuni sul lavoro e malattie professionali. Com’è noto, ad oggi la disciplina degli infortuni sul lavoro è racchiusa nel DPR 1164/1965.

Tale normativa, peraltro, è stata più recentemente completata dal D.lgs 38/2000, con il quale:

a) Si è estesa la tutela ai dirigenti, lavoratori parasubordinati e sportivi professionisti

b) E’ stato ricompreso nell’ambito della tutela previdenziale, oltre all’infortunio in itinere, anche il danno biologico. Andiamo tuttavia all’ambito di applicazione della normativa. Lo stesso si avvale principalmente, secondo autorevole dottrina (Persiani) di due criteri: Quello relativo alla lavorazione. Quello relativo alla posizione in cui il lavoratore svolge la propria attività.

Le attività protette sono così individuate (Cinelli): a) I lavori pericolosi ovverosia tutti quelli svolti da persone addette a macchine; b) I lavori svolti in ambienti pericolosi; c) Singole lavorazioni, tassativamente indicate (C.f.r.: Zaccardi, Manuale breve diritto del lavoro, Nel diritto editore, pag. 531 ss.) Come si vede, viene già in luce non solo l’aspetto di singole lavorazioni, essendo la tutela approntata non universale, ma di tipo parziale, ma già, prima facie, un rapporto necessario di causalità, che, com’è noto, deve confarsi ai criteri, di tipo penalistico, di cui agli articoli 40 e 41 c.p..

Il decorso causale

Per diretta conseguenza, allora, dovrà essere tenuto a specifico riferimento, al di là di ciò che espressamente è previsto dal legislatore e dal sistema di tutela approntato, il decorso causale, secondo le regole penalistiche e, pertanto, potrebbe ben sussistere che la causa autonoma possa interrompere detto nesso. Problematiche, comunque, che debbono essere considerate anche sotto l’aspetto della definizione specifica di infortunio sul lavoro e malattia professionale. Con il primo si intende, come noto, una “causa violenta in occasione di lavoro”. Sebbene anche qui, per il sistema delineato dal DPR 1164/1965 sia necessario un solo rapporto di occasionalità necessaria, l’interprete dovrà fare i conti anche con aspetti come il rischio specifico,coperto, e il rischio generico, cui comunque, ad avviso di chi scrive, annoverare il contagio da Covid 19.

Peraltro questo a tacere del rischio elettivo o del dolo del lavoratore, quando, per l’appunto, sia lo stesso a predeterminarsi e mettersi in condizione di procurarsi un infortunio.
Sebbene nel protocollo recentemente siglato viene comunque stabilito l’obbligo per i lavoratori di indossare le mascherine e gli altri dispositivi di protezione individuale, è bene sottolineare che l’epidemia non appare classificabile come un rischio specifico, ma generico. Chiaro infatti che le misure di protezione altro non sono, nella sostanza, che quanto stabilito nei vari dpcm, come, a titolo meramente esemplifcativo e non esaustivo, quello del 04 marzo 2020 e dell’08 marzo 2020. Dunque, a tale specifico proposito, laddove il lavoratore non abbia tenuto tutte le condotte tese a evitare il contagio, laddove ci sia un rischio generico, qualche dubbio interpretativo, come si è avuto modo di sottolineare altrove, in effetti ben potrebbe dirsi sussistente. Il secondo caposaldo che si deve analizzare è quello, invece, relativo alla malattia professionale. Anche in questo caso la definizione data dagli autori (Persiani) appare illuminante: “stato morboso ricollegato causalmente all’attività di lavoro”. L’impianto originario prevedeva in sostanza il diritto alla prestazione previdenziale solo ove la malattia (Cinelli): a) Fosse contratta nell’esercizio e a causa delle lavorazioni; b) Si manifestasse in un periodo di tempo predeterminato; c) Fosse ricompresa in elenchi tassativamente predeterminati.

A tale ultimo proposito e facendo in ogni modo riferimento a tutto quanto sopra esposto, va tuttavia annoverato l’intervento della Corte Costituzionale che, con sentenze nn. 179/1988 e 206/1988 ha aperto un vulnus in questo sistema, ammettendo la tutela anche per i casi non specificamente compresi nell’elenco di cui sopra, purchè il lavoratore ne desse rigorosa dimostrazione. (Ancora Zaccardi, Manuale, cit.). Come dunque si vede, per la tutela ancora una volta, occorrerà fare riferimento alla vis expansiva e alla giurisprudenza creatrice della Corte Costituzionale.

Sebbene infatti le problematiche di sistema siano inevitabilmente stringenti, in base a quanto esposto, rimane il problema di una rigorosa dimostrazione da parte del lavoratore. Dimostrazione che presuppone, a differenza di malattie o infortuni tabellati, una rigorosa dimostrazione del nesso causale. Il che, stante anche la scienza attuale, appare ben difficile con il possibile contagio da COVID 19. Ecco perché bisognerà prestare la massima attenzione e porre in risalto, ad avviso di chi scrive, problematiche, relative sia ai concetti normativi di una tutela non universale, sia alla prova rigorosa dell nesso causale tra contagio e ambiente di lavoro.

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