Ammissione al passivo di crediti commerciali e postergazione (Nota a Cassazione civile, Sez. 1, ordinanza 31 gennaio 2019 n. 3017)

Redazione 16/10/19
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di Emanuele Caimi

Sommario

I. La vicenda

II. Spunti di riflessione

I. La vicenda

Cassazione civile, Sez. 1, ordinanza 31 gennaio 2019 n. 3017

Una società creditrice (produttrice di apparecchiature) presentava istanza di ammissione al passivo fallimentare di altra società (incaricata della distribuzione in esclusiva dei prodotti della prima) in via chirografaria per forniture di merce.

La domanda veniva accolta dal Giudice delegato ma un altro creditore, pure ammesso al passivo quale chirografario, impugnava ex art. 98 comma 3 L.F. il provvedimento evidenziando che non si sarebbe trattato di un semplice credito commerciale bensì di un credito da finanziamento soci da considerarsi pertanto postergato.

Il Tribunale in sede di opposizione accoglieva la domanda del terzo evidenziando: (i) che la società fallita era legata, da molto tempo, alla società produttrice da contratto di vendita in esclusiva; (ii) che il credito della produttrice per forniture era aumentato di anno in anno sino a giungere ad oltre 15 volte l’ammontare del patrimonio netto della fallita, così come desunto dall’ultimo bilancio ante fallimento; (iii) che il credito verso la distributrice fallita era aumentato “nonostante la sproporzione p> debitrice; (iv) che del tutto irrilevante era la circostanza che la società produttrice fosse titolare di una partecipazione modesta (4%) del capitale sociale, posto che la ratio dell’art. 2467 c.c. “è quella di evitare il concorso tra soci finanziatori e creditori a fronte di una evidente asimmetrica informativa” tra gli uni e gli altri, dal momento che i soci di srl, a prescindere dalla partecipazione detenuta, hanno maggiori diritti informativi ex lege.

Proseguiva poi il Tribunale di Tortona evidenziando l’irrilevanza, ai fini della postergazione, della volontà del creditore di recuperare il credito, evidenziando nel contempo un principio[1] di “corretto finanziamento” alla cui violazione conseguirebbe una riqualificazione d’imperio del credito quale finanziamento socio postergato.

Avverso la decisione del Tribunale proponeva ricorso per Cassazione la società produttrice sostenendo che la nozione finanziamento sarebbe da circoscriversi al mutuo, all’anticipazione di credito o all’apertura di credito, ovvero ad altre forme di finanziamento indiretto ma solo in presenza di altre situazioni qualificanti. Si doleva altresì del fatto che nel riqualificare il credito si fosse posto in rilievo soltanto la sproporzione tra credito commerciale e patrimonio netto, con esclusione di ogni rilievo all’elemento causale.

La Corte di Cassazione ha confermato la pronuncia del Tribunale di Tortona: “nel contesto del diritto vigente il termine “finanziamento” non assume un significato univoco e sostante; soprattutto, non viene a ridursi senz’altro a formula equivalente di quella di “contratti di credito” e che “non si vedono… ragioni per assegnare un significato ristretto al lemma “finanziamento”. Tanto più che la proposizione normativa … esprime una indicazione meramente generica[2].

L’ulteriore doglianza del ricorrente si risolveva nella contestazione del rilievo attribuito alla sproporzione tra credito e patrimonio netto; la Corte ha tuttavia precisato: “nel rilevare la sproporzione tra montante del debito e patrimonio del debitore, il Tribunale ha anche sottolineato, e in modo particolare la sussistenza di un rapporto contrattuale “in esclusiva”, che per concorde volontà delle parti è proseguito per anni e anni; e che è stato caratterizzato, inoltre, dalla circostanza che alla fornitura dei prodotti non faceva riscontro il pagamento del relativa corrispettivo, con conseguente accumulo progressivo e lievitazione del debito”.

Anche in ordine alla “modesta entità” della partecipazione detenuta[3] così la Corte: “la norma non distingue tra soci e soci, in coerenza con ciò, la ratio della previsione non si lega … al peso delle quote possedute dal socio, quanto piuttosto al potere di informarsi degli “affari sociali”di cui istituzionalmente dispone”.

Tali conclusioni paiono condivisibili, soprattutto valutando il controllo effettivamente svolto dal produttore rispetto al distributore fallito, cui era legato da un vincolo “forte” di natura contrattuale e determinato dall’esclusiva nella distribuzione. Non si tralasci poi l’importanza strategica da riservarsi al “credito” commerciale accordato: la consegna di “forniture” senza esigere il pagamento negli usuali termini di mercato si traduce in un vantaggio finanziario diretto per l’impresa fornita.

[1] Cass. I Sez. Civ. 24 luglio 2007 n. 16393 in Foro It., 2008, 7- 8, I, 2244.

[2] In termini dubitativi, Presti, Sub. 2467 c.c., in Benazzo – Patriarca, Codice commentato delle s.r.l., Torino, Utet, 2007 p. 108: “discutibile è, invece, che possano esservi ricompresi la concessione di beni in godimento e le prestazioni d’opera e di servizi giacchè essi, pur comportando un beneficio finanziario per la società, non implicano un diritto alla restituzione di un importo monetario”, la conclusione però appare diversa nell’ipotesi di cessione di merci, in questi termini Tribunale di Reggio Emilia, 10 giugno 2015 in ilfallimentarista.it 2015, 16 giugno: “i finanziamenti ai sensi dell’art. 2467 c.c. non sono solo quelli derivanti da meri trasferimenti di danaro infra – gruppo, ma anche da apporti diversi, quali ad es. quelli di fornitura di merci e di servizi, qualora si accerti in concreto che le forniture di beni, di servizi o l’erogazione di altre utilità, abbiano assolto – sotto il profilo finanziario- alla stessa funzione della dazione di danaro”. Negli stessi termini della pronuncia in commento si veda anche Cass. I. Sez. Civ., 31 luglio 2019 n. 20649: “in tema di insinuazione allo stato passivo, il credito derivante dal finanziamento alla società fallita in qualunque forma effettuato dal socio… va ammesso al concorso con il rango postergato”. In dottrina Zanarone, Della società a responsabilità limitata, in Busnelli, Il codice civile. Commentario, Milano, 2010, t. 1 pp. 452 – 453: “l’espressione “forma” non va certo intesa nel senso di cui agli articoli 1350 e ss. (forma ad substantiam) o 2699 ss. (forma ad probationem), ma piuttosto nel senso di titolo o causa, per cui l’aggettivo “qualsiasi” intende ricomprendere nella sfera operativa dell’art. 2467 ogni atto (negoziale, come si desume dal riferimento a finanziamenti che sono stati “concessi”) il quale comporti un’attribuzione patrimoniale compatibile con l’obbligo futuro di rimborso della medesima”.

[3] Diversamente ai fini della thin capitalization (ex art. 98 Tuir) rilevano solo i finanziamenti concessi dai soci “rilevanti” ovverosia quelli che esercitano il controllo sulla società oppure che hanno una partecipazione pari almeno al 25%.

II. Spunti di riflessione

Sullo sfondo della pronuncia della Suprema Corte appare, nemmeno troppo velato, il rapporto commerciale di fornitura in esclusiva in essere tra la fallita e la creditrice e quindi la crescita esponenziale del “credito” concesso da quest’ultima alla partecipata.

L’art. 2359 comma 1 n. 3 codice civile recita: “sono considerate società controllate: …3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa”.

Esclusa ogni rilevanza alla mera reiterazione di ordini[4] è necessario che “la esistenza di determinati rapporti contrattuali la cui costituzione ed il cui perdurare rappresentino la condizione di esistenza e di sopravvivenza della capacità di impresa della società controllata”[5].

Nel caso di specie vi era un vincolo contrattuale in “esclusiva” tra la fallita e la fornitrice. L’esclusiva limita sicuramente la libertà d’azione della società “vincolata”, che non può liberarsi agevolmente del contratto e proseguire nel proprio progetto imprenditoriale risultando, effettivamente, controllata a prescindere dalla quota “formale” del capitale sociale detenuta.

Nelle società a responsabilità limitata ciò che rileva è la mera qualità di socio, anche se di una quota minimale del capitale sociale, poiché la lettera dell’art. 2476 c.c. non contiene limitazioni di sorta né, a differenza di quanto previsto nelle società per azioni, partecipazioni minime per l’esercizio di taluni diritti amministrativi.

Nel caso di specie accanto ad una modesta quota societaria – di per sé sufficiente a giustificare l’applicazione dell’art. 2467 c.c. in presenza degli altri presupposti di legge[6] – si accompagna un controllo di natura contrattuale sicuramente rilevante.

Ebbene, in presenza di un controllo ex art. 2359 comma 1 n. 3 c.c. ed in assenza della titolarità di quote formali, quand’anche minime, si dovrà escludere l’operatività dell’art. 2467 c.c. (anche per il tramite del rinvio di cui all’art. 2497 quinquies c.c.) in presenza di crediti anomali?

Milita a favore della prima conclusione il dato letterale dell’art. 2467 c.c. ed il carattere eccezionale della norma in questione la cui operatività appare da circoscriversi alle sole società a responsabilità limitata.

Nell’altro senso prevale il dato sostanziale del “controllo” di cui all’art. 2359 c.c. ed il suo rapporto – presupposto con la previsione di cui all’art. 2497 quinquies c.c..

D’altro canto l’attività di direzione e coordinamento a cui si riferisce l’art. 2497 quinquies c.c. – con il conseguente richiamo all’art. 2467 c.c. – esula di per sé dalla titolarità di una quota sociale[7] ed è applicabile, in quanto previsione “transtipica”, a qualsiasi tipo di società.

La nozione di direzione e coordinamento evoca una situazione “dinamica” che non necessariamente si risolve nel controllo diretto (art. 2359 comma 1 nn 1 e 2 c.c.) o indiretto (art. 2359 comma 1 n. 3 c.c.), “statico” di per sé, ma che lo presuppone[8] e da cui è possibile – in presenza di altri elementi – presumere l’esistenza (ex art. 2497 sexies e septies c.c.).

Dunque anche in assenza di un controllo formale e di diritto ma in presenza di un controllo di fatto ex art. 2359 comma 1 n. 3 c.c., pare ragionevole e compatibile sia con la lettera dell’art. 2497 sexies c.c. (che richiama integralmente l’art. 2359 c.c.) che con la ratio ultima della postergazione[9] presumere l’esistenza della situazione di direzione e coordinamento; quindi affermare – in presenza degli altri requisiti di norma – la postergazione di crediti apparentemente commerciali per forniture di merci anche a prescindere dalla titolarità formale di una seppur minima partecipazione nel capitale sociale[10].

[4] Tribunale di Roma, Sez. III, 13 giugno 2016 n. 11.925, per il quale: “il controllo esterno non sussiste in ragione della sola reiterazione di ordini contrattuali ove non accompagnati da particolari (e ulteriori) vincoli contrattuali” in il societario.it 25 gennaio 2017.

[5] Cass. I Sez. Civ., 27 settembre 2001 n. 12094 in Giur. Comm. 2002, II, 675. Si veda anche Corte d’Appello di Milano, 28 aprile 1994, in Gius, 1994, fascicolo 14, p. 143.

[6] In dottrina è stato correttamente evidenziato: “in base al tenore letterale della norma, la postergazione ha effetto per i soci, senza alcuna differenza in base alle quote possedute o alle cariche rivestite a differenza dell’omologo art. 2497 quinquies c.c.. La ratio della disposizione si ricollega, infatti, ai poteri di informazione e controllo di ciascun socio di società a responsabilità limitata ai sensi dell’art. 2476, comma 2 c.c.”, così Rubino de Ritis, Sub. art. 2467 I soci finanziatori: ambito soggettivo di applicazione della norma, in Gabrielli, Commentario del codice civile, Torino, Utet, 2015 p. 273.

[7] Infatti è stato correttamente osservato: “dalla lettera della norma sembrano compresi, tra i finanziatori, anche le persone fisiche e/o i soggetti non titolari di partecipazioni”, Di Majo, Sub. art. 2497 quinquies c.c., in Gabrielli, op. cit., p. 1228.

[8] Così anche Balp, Questioni in tema di postergazione ex art. 2467 e 2497 – quinquies c.c., in Banca Borsa e Titoli di credito, 2012, Fasc. 2 p. 248: “l’art. 2497 quinquies c.c presuppone l’effettivo esercizio di un’attività di direzione e coordinamento, l’accertamento della cui sussistenza richiede valutazioni ulteriori rispetto al riscontro del “controllo” statico di cui all’art. 2359 c.c.”.

[9] Intesa quale conservazione dell’apporto economico “al fine di evitare che il rischio correlato all’impresa priva di adeguati mezzi sia posto a carico dei creditori esterni alla società” così da ultimo Tribunale di Napoli, II Sez. Civ., 19 luglio 2019 n. 7315 o meglio all’attività economica svolta.

[10] Scognamiglio, Sub. art. 2497 c.c., in Gabrielli, op. cit. p. 1087 nota 2: “il fondamento positivo di quanto appena osservato è da rinvenire nelle disposizioni contenute negli articoli 2497 sexies e 2497 septies: l’attività di direzione e coordinamento può avere un presupposto materiale una relazione di controllo fra società, ed anzi si presume, in presenza di una siffatta relazione (art. 2497 sexies); può essere tuttavia esercitata anche sulla base di un contratto con le società “dirette e coordinate” (ovvero di clausole dei loro statuti), in assenza dunque … di una relazione verticale fondata sul controllo”.

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