Affidamento condiviso: la confusione tra proposte radicalmente diverse e le sue ripercussioni sulle iniziative da prendere

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Premessa

Si assiste ormai da diversi mesi ad una virulenta reazione – mediatica, di piazza e perfino pseudotecnica – alla proposta di riscrittura delle norme sull’affidamento dei figli di genitori separati portata avanti dal ddl 735, con primo firmatario il sen. Simone Pillon. Chi scrive ha reiteratamente preso le distanze da quel testo – che considera decisamente infelice – anche se ha dovuto constatare la non pertinenza di numerose critiche che più che essere rivolte ad esso nello specifico invocavano un generico e indistinto rigetto degli stessi concetti che stanno alla base di un affidamento condiviso conforme al dettato legislativo del 2006, ovvero alle norme in vigore. Con queste premesse, non stupisce il furore iconoclasta con il quale da più parti si è reclamato il ritiro di tutti i disegni di legge depositati in Senato, senza alcuna distinzione. Chi scrive intende, quindi, segnalare qui le profonde differenze che separano il ddl 768 dal 735, essendo l’estensore della parte sostanziale del testo del primo progetto.

Differenze che anzitutto discendono dal loro diverso approccio al problema, circostanza che non poteva non ripercuotersi pesantemente sull’articolato. Mentre il 768 intende raggiungere il completo rispetto della norme della legge 54/2006 ponendo dei paletti ad una prassi applicativa che in sostanza continua a preferire la monogenitorialità – e a questo scopo riproduce i concetti e gli schemi delle linee guida del Tribunale di Brindisi – il ddl 735 ritiene che, essendo non superabile l’ostilità del sistema legale verso la bigenitorialità conviene scendere a compromessi proponendo un modello, detto del “paracadute”, che ammette e legalizza l’esistenza di un genitore “prevalente”, accontentandosi di un “minimo garantito”. E’ questo il senso di quei riferimenti ad “almeno 12 giorni al mese”, come di altre deroghe e attenuazioni sparse per tutto il testo. E’ da osservare anche che, come illustrato nella introduzione al ddl 735, la tesi si fonda su una lettura non condivisibile della situazione di vari paesi stranieri, nei quali il ben più elevato quoziente di bigenitorialità che si riscontra rispetto all’Italia non è dovuto a norme che prevedono sconti, ma alla diversa sensibilità della magistratura locale. In altre parole, si confonde la legge con la prassi.

Aspetti generali

Conviene, dunque, chiarire subito che le uniche due somiglianze oggi riscontrabili tra i due ddl provengono da uno spurio intervento operato da mani terze nel tragitto tra la consegna del testo originale e la sua stampa, nel tentativo di rendere simili due proposte del tutto eterogenee, come verrà mostrato. E’ vizio antico: lo facevano, purtroppo, anche gli amanuensi quando copiavano i manoscritti. Si tratta esattamente della pretesa che “in ogni caso deve essere garantita anche tramite recuperi durante le vacanze scolastiche, una frequentazione mai inferiore a un terzo del tempo presso ciascun genitore” e della disciplina delle sanzioni ai maltrattamenti in famiglia, dove sono stati arbitrariamente aggiunti l’abuso e la trascuratezza”  e l’intero passaggio “ Nei casi di violenza psicologica il giudice può adottare l’attuazione di uno specifico programma di trattamento sanitario, pubblico o privato, finalizzato al rapido recupero dei diritti relazionali del minore. Con il medesimo decreto il giudice determina le modalità di attuazione.”. Corpi estranei, interpolazioni che chi scrive non condivide assolutamente.

Comunque, anche prendendo per volute queste contaminazioni (che chi scrive ha già segnalato e chiesto ai firmatari di eliminare) i due progetti si mantengono a siderale distanza. Ne verrà dato un buon numero di esempi, per altro non esaustivi.

Anzitutto il ddl 735 (a differenza del ddl 768) commette già nell’impostazione un pesante errore concettuale e metodologico nel cambiare il nome all’affidamento, chiamandolo “materialmente condiviso” e intendendo (così è scritto nell’introduzione) che le norme attuali prevedano per i genitori un diritto/dovere di custodia dei figli solo teoricamente uguale (“Legal joint custody”) e non anche concretamente (Physical joint custody). Il che in pratica comporta che le ragioni principali della richiesta di modifica (legge non applicata e tradita) muoiano sul colpo, prima ancora di cominciare, dando ragione a chi protesta per l’intenzione di “introdurre novità come il mantenimento diretto e la parità de genitori” e delegittimando le centinaia di reclami – dal 2006 a oggi – contro delle violazioni di legge che non sarebbero più tali.

Aspetti relazionali

Entrando, poi, nello specifico degli argomenti, per quanto attiene agli aspetti relazionali tutto il ddl 735 subordina il rispetto dei diritti dei figli ad essi riconosciuti dal primo comma dell’art. 337-ter c.c. alla volontà degli adulti (i genitori, il giudice), benché indisponibili. Sarà il giudice, infatti, a valutare la indefinita e oscura “equipollenza” dei tempi, che prende il posto della parità; i genitori a chiedere, se ne hanno il desiderio, che la frequentazione sia paritetica; il giudice, di nuovo, a esprimersi su parametri soggettivi e del tutto metagiuridici come il “danno psicofisico”, la “trascuratezza”, la “indisponibilità” o la “inadeguatezza degli spazi”, che modificano la frequentazione. Mentre, infine, anche agli ascendenti è riconosciuta la possibilità di interloquire, intervenendo nel giudizio di affidamento.

Tutto al contrario, il ddl 768 esplicitamente attribuisce ai figli la gestione dei tempi di contatto con ciascun genitore, in funzione dei propri bisogni. Ciò che l’impianto del disegno di legge prospetta, dunque, non è una rigida parità imposta con il bilancino del farmacista e gestita dai genitori l’un contro l’altro armati, ma un equilibrio dinamico fondato sull’assoluta parità giuridico-formale dei genitori, dimostrata da un provvedimento che li sacrifica e premia in ugual misura. Per maggiore chiarezza, anche se alla fine di un anno si osserverà che un figlio ha trascorso più tempo con il padre che con la madre, ciò non ne farà “il genitore prevalente”, con tutti gli squilibri e le presunzioni che accompagnano tale investitura: poteva accadere il contrario, forse accadrà di lì a poco. E senza bisogno di attivare richieste di modifica.

Il focus sui figli

Sono i figli, dunque, che conducono il gioco, come confermano le norme sull’ascolto, che il ddl 768 rende obbligatorio senza eccezioni, salvo che sia il minore stesso a manifestare la propria volontà di non essere sentito (si rifletta sull’infelice tendenza a utilizzare le dichiarazioni dei figli come “mezzo di prova” nella lite tra i genitori). Una scelta che pone rimedio a una delle numerose illegittime manomissioni della legge 54/2006 operate dal d.lgs 154/2013 a danno dei figli, fuori delega e a volte addirittura contro di essa (ricordiamo che questa consisteva nella eliminazione di ogni differenza tra filiazione naturale e legittima, a favore della unicità dello status di figlio), delle quali il ddl 735 si disinteressa. Non si può, nella lista delle illecite ma tollerate manipolazioni, non rammentare anche l’introduzione dell’obbligo per i genitori di concordare la “residenza abituale” dei figli, collocata estemporaneamente fuori luogo e utilizzata dalla prassi per sostenere erroneamente l’esistenza di un genitore privilegiato.

Completando, comunque, l’argomento dell’ascolto dei minori, è d’obbligo osservare come solo nel ddl 735 si sia voluta ammettere alle audizioni la presenza di genitori e avvocati, con facoltà per essi di fare domande ai figli.

Approfondendo, dunque, l’esame della ratio legis, ovvero della filosofia che ispira i due progetti, si nota che nel 768 la preoccupazione per i figli è costante, investendo, ad esempio, anche le possibili differenze tra prole di primo e di secondo letto (“Se un genitore è tenuto al mantenimento di due o più figli il suo contributo al loro mantenimento deve essere stabilito in modo da non mettere nessuno dei minori in condizioni più favorevoli degli altri, in particolare se appartengono a famiglie diverse”) e tutelando totalmente i figli maggiorenni non autosufficienti economicamente, sia perché il contributo al loro mantenimento è collegato ai bisogni e non ha limiti temporali (posti a 25 anni dal ddl 735) sia perché non esiste alcuna necessità di attivarsi in azioni legali per vedere riconosciuto, definito e posto in essere il diritto a ricevere il contributo.

Vedi anche

Gli aspetti economici

Non diversamente le soluzioni proposte per l’assegnazione della casa familiare si presentano per il ddl 735 confuse e contraddittorie, combattute come sono tra l’intenzione di tutelare i proprietari dell’abitazione (“Le questioni relative alla proprietà o alla locazione della casa familiare sono risolte in base alle norme vigenti in materia di proprietà e comunione. Non può continuare a risiedere nella casa familiare il genitore che non ne sia proprietario o titolare di specifico diritto di usufrutto, uso, abitazione, comodato o locazione …” ) e la necessità di rispettare le tutele poste dal legislatore del 2006 a vantaggio dei figli (“il giudice può stabilire nell’interesse dei figli minori che questi mantengano la residenza nella casa familiare, indicando in caso di disaccordo quale dei due genitori può continuare a risiedervi.“). Una impostazione dalla quale resta fuori il genitore debole, al quale invece fa attenzione il ddl 768, laddove prevede che venga sostenuto dall’altro se privo dei mezzi necessari a procurarsi una dimora dignitosa: “Ove il genitore senza titolo di godimento sia privo di sufficienti mezzi economici per garantire alla prole un’adeguata dimora nei tempi di permanenza della stessa presso di lui, il giudice può stabilire un contributo a fini abitativi a carico dell’altro genitore “.

Più in generale, ancora il ddl 735 appare carente sul piano della chiarezza di ispirazione e della precisione interpretativa la disciplina del mantenimento, laddove sullo spinoso argomento delle spese straordinarie rimette al giudice il compito di indicare le spese ordinarie e quelle straordinarie, evidentemente senza fare attenzione al fatto che quella distinzione è nella prassi tra quelle entro e fuori assegno, che quindi di regola resta. Unicamente nella filosofia del 735, poi, si colloca la previsione di un assegno perequativo “a termine” predeterminato e l’obbligo per il giudice di indicare poco chiare “iniziative [che] devono essere intraprese dalle parti per giungere al mantenimento diretto della prole”.

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Il conflitto: manifestazioni e contenimento

A dispetto delle sopra accennate manipolazioni, anche nella parte sui comportamenti familiari che comportano pesanti censure la differenza tra i due testi appare netta. Mentre il ddl 735 considera solamente l’alienazione genitoriale il 768 le sanziona tutte, compresa la violenza economica.

E non meno profonde sono le differenze nella proposizione di metodi di contenimento della conflittualità, ovvero di soluzione delle controversie alternative a quelle giudiziali. Mentre al ddl 735 viene rimproverato di avere posto la mediazione familiare come condizione di procedibilità nel ddl 768 presenta inequivocabilmente l’obbligatorietà come relativa solo alla pre-mediazione, ossia a un preliminare passaggio informativo, che corrisponde esattamente a quanto chiesto dalle principali organizzazioni di mediatori. Allo stesso tempo, solo il ddl 735 prevede alcune concessioni a vantaggio della categoria forense, ammettendo la possibilità che le parti siano accompagnate dai difensori (con dilatazione degli oneri), nonché facendo risparmiare a questi ultimi i percorsi di formazione grazie a una consacrabilità ope legis all’esercizio delle attività di mediazione per quei legali che possano vantare almeno dieci cause all’anno.

Conclusioni

In definitiva, si coglie con tutta evidenza che la preoccupazione principale del ddl 735 è a favore della figura paterna, limitazione non lieve pur nella sua plausibilità di principio, non potendosi risolvere i problemi della famiglia separata senza affrontare le esigenze di tutto il nucleo familiare; a parere di chi scrive. Con l’aggravante che in realtà anche questo intento è sottoposto alla condizione che non si vada a toccare il potere discrezionale del giudice, che anzi risulta dall’articolato notevolmente ampliato. Rammentando che i problemi applicativi della legge 54/2006 non nascono dalla sua formulazione, ma dalla interpretazione che la parte maggioritaria della magistratura ne ha dato, è evidente che questo approccio lungi dal costituire un passo avanti non può che aggravare i lamentati inconvenienti attuali.

Concludendo, la preoccupazione che da questo intervento del Parlamento esca una formulazione più arretrata e meno efficace di quell’attuale è tutt’altro che piccola. Chi è stato, ed è, favorevole alla riforma del 2006 e vorrebbe vederla applicata dovrebbe probabilmente sostenere e caldeggiare che ci si limiti al rispetto dei contenuti in questo ambito del Contratto di governo, che nessuno ha potuto definire scandalosi a dispetto delle scarse simpatie che possono avere suscitato nei nostalgici del modello esclusivo, abbandonando velleità rivoluzionarie che presentano ampi rischi di involuzione.

Prof. Maglietta Marino

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