A proposito di riserva di consulenza legale agli avvocati

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Consulenza non “riservata” agli avvocati ma “di competenza” degli avvocati? Che significa?

Assicurazione del rischio professionale e copertura delle attività non riservate ad una certa professione: questa è la problematica alla soluzione della quale deve ritenersi finalizzato il primo periodo del comma 6 dell’art. 2 della legge di riforma forense (legge 31 dicembre 2012, n. 247 “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”).

Al di fuori dal riferimento a tale problematica non è possibile formulare una interpretazione logica e costituzionalmente orientata (capace di evitare alla norma una declaratoria di incostituzionalità per violazione di una ampia serie di principi costituzionali) del primo periodo del comma 6 dell’art. 2 della legge di riforma forense.

Rileggiamo il comma 5 e il primo periodo del comma 6 dell’art. 2 della riforma forense. Recitano:

“5. Sono attività esclusive dell’avvocato, fatti salvi i casi espressamente previsti dalla legge, l’assistenza, la rappresentanza e la difesa nei giudizi davanti a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali rituali.

6. Fuori dei casi in cui ricorrono competenze espressamente individuate relative a specifici settori del diritto e che sono previste dalla legge per gli esercenti altre professioni regolamentate, l’attività professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, ove connessa all’attività giurisdizionale, se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato, è di competenza degli avvocati. …”.

S’è detto a destra e a manca che con tali disposizioni la legge di riforma forense avrebbe attribuito una riserva di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale agli avvocati (anche se con limiti particolari e di difficile individuazione, soprattutto per quanto disposto dai successivi periodi del comma 6 dell’art. 2). Niente di più sbagliato ! Si consideri, infatti: nel comma 5 dell’art. 2 si indicano le “attività esclusive” dell’avvocato, mentre nel primo periodo del comma 6 dello stesso articolo si individuano le attività che sono solo “di competenza” dell’avvocato. Ebbene, è evidente che dal riconoscimento che una certa attività è “di competenza” dell’avvocato non deriva affatto che quella attività sia “esclusiva” dell’avvocato. Anzi, a dirla tutta, l’accostamento “topografico” delle qualificazioni di due diverse attività come di “attività esclusiva”, l’una, e di attività “di competenza”, l’altra, rende davvero imbarazzante la diffusa affermazione “politica” (data in pasto a colleghi che si pensano sprovveduti?) per cui con la legge di riforma forense si sarebbe garantito un margine di lavoro alla categoria degli avvocati, assediata da consulenti ben organizzati.

Qual è allora il vero significato del primo periodo del comma 6 dell’art. 2 della legge di riforma forense?

Ce lo chiarisce, a mio avviso, una sentenza della terza Sezione Civile della Corte di Cassazione: la n. 18912/2009. Tale sentenza, intervenendo a decidere in tema di colpa professionale dei consulenti del lavoro, si è espressa su questione che interessa, in realtà, tutti i professionisti tenuti alla assicurazione della loro responsabilità professionale, compresi gli avvocati: quando c’è copertura assicurativa per attività non esclusive della professione?

In particolare: Cassazione 18912/2009 ha stabilito che non gode della copertura assicurativa il consulente del lavoro che deve risarcire un cliente per colpa professionale in relazione a un’attività, come la redazione di un contratto di locazione, che “non è tipica di questa professione”. Ha specificato che “la predisposizione di un contratto di locazione, pur non essendo in linea di principio vietata al consulente del lavoro, in quanto si tratta di attività per la quale non è prevista alcuna riserva a favore di specifiche categorie di professionisti, non rientra tuttavia né nelle attività ‘tipiche’ previste per il consulente del lavoro, né nella previsione contrattuale della polizza assicurativa”.

In conclusione, mi pare si debba riconoscere che la legge di riforma forense, ragionevolmente, proprio perchè ha sancito l’obbligo di assicurazione del rischio della attività professionale dell’avvocato (all’art. 12 ha statuito il dovere di stipulare una “polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile derivante dall’esercizio della professione”), abbia voluto “chiarire” -nel primo periodo del comma 6 dell’art. 2- che tra le attività professionali che l’assicurazione obbligatoria degli avvocati dovrà garantire rientrano anche le attività di consulenza legale e assistenza legale stragiudiziale connotate in certa maniera.

Resta un problema: cosa s’è voluto disporre coi successivi periodi del comma 2 dell’art. 6 ? In essi si legge: “E’ comunque consentita l’instaurazione di rapporti di lavoro subordinato ovvero la stipulazione di contratti di prestazione di opera continuativa e coordinata, aventi ad oggetto la consulenza e l’assistenza legale stragiudiziale, nell’esclusivo interesse del datore di lavoro o del soggetto in favore del quale l’opera viene prestata. Se il destinatario delle predette attività è costituito in forma di società, tali attività possono essere altresì svolte in favore dell’eventuale società controllante, controllata o collegata, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile. Se il destinatario è un’associazione o un ente esponenziale nelle diverse articolazioni, purchè portatore di un interesse di rilievo sociale e riferibile ad un gruppo non occasionale, tali attività possono essere svolte esclusivamente nell’ambito delle rispettive competenze istituzionali e limitatamente all’interesse dei propri associati ed iscritti”.

Si tratta di disposizioni pensate per conciliare in limitati casi, da una parte, l’instaurazione di contratti di consulenza e assistenza legale stragiudiziale con non avvocati e, dall’altra, una generale riserva agli avvocati di tal tipo di consulenza e assistenza. Di certo, esse sono evidentemente viziate di incostituzionalità poichè: 1) irragionevolmente limitano la possibilità di concludere contratti di consulenza legale e assistenza legale stragiudiziale con non avvocati solo nei casi di lavoro subordinato o prestazioni d’opera continuativa e coordinata; 2) in tale quadro dispongono irragionevoli differenziazioni di disciplina in base alla natura dei datori di lavoro (privilegiando talune associazioni e società). Comunque e soprattutto, però, va considerato che tali disposizioni potrebbero apparire sensate solo in relazione ad una effettiva riserva di consulenza legale e assistenza legale stragiudiziale agli avvocati. Il punto è che -come sopra s’è chiarito- la riserva agli avvocati della consulenza legale e dell’assistenza legale stragiudiziale (originariamente prevista nella proposta di legge di riforma forense) è stata espunta dal testo di legge definitivamente approvato il 21 dicembre 2012. Ne risulta una diversa incostituzionalità, per irragionevolezza, delle disposizioni (non più eccezionali) degli ultimi tre periodi del comma 2 dell’art. 6.

Perelli Maurizio

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