Spunti di riflessione sull’ordinanza anticipatoria di condanna al pagamento delle somme non contestate ex art. 186 bis c.p.c.

Redazione 13/05/20
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di Beatrice Irene Tonelli*

* Avvocato

Sommario

1. L’ordinanza anticipatoria di condanna per somme non contestate

2. L’efficacia dell’ordinanza ex art. 186 bis c.p.c. e i rimedi esperibili avverso tale provvedimento

3. Conclusioni

1. L’ordinanza anticipatoria di condanna per somme non contestate

Introdotta dalla riforma del 1990, sulla falsariga dell’istituto già previsto nell’articolo 423 comma 1 c.p.c. per il processo del lavoro (L. 11 agosto 1973 n. 533), l’ordinanza di pagamento di somme non contestate ex art. 186 bis c.p.c. ha trovato scarsa applicazione[1]. Al contrario, la dottrina aveva manifestato un certo interesse riguardo a tale istituto all’indomani della entrata in vigore della novella[2].

Il disposto dell’art. 186 bis c.p.c. stabilisce che nei giudizi di cognizione ordinaria di competenza del Tribunale, fino al momento della precisazione delle conclusioni, il giudice istruttore, ovvero il giudice unico nei procedimenti monocratici che sono, ad oggi, la netta maggioranza, può disporre, su istanza di parte, il pagamento delle somme non contestate. Non vi sono ostacoli a ritenere che tale disposizione sia applicabile anche al rito di cognizione sommario disciplinato dall’art. 702 bis e ss. c.p.c. introdotto dalla novella del 2009[3], ed infatti la natura sommaria della istruzione è certamente compatibile con il presupposto di non contestazione della pretesa creditoria avversaria.

Con la novella del 2005[4], è stato precisato che ove l’istanza sia proposta fuori dall’udienza, il giudice dispone la comparizione delle parti ed assegna il termine per la notificazione.

E’ quindi un provvedimento che può essere emanato solo su richiesta di parte, in ossequio al principio della domanda, e solo in processi in cui la parte debitrice sia ritualmente costituita, non invocabile quindi in caso di giudizi contumaciali. Tale scelta legislativa ha suscitato alcune perplessità tra i commentatori, poiché limita p>

Quanto all’oggetto della richiesta, è espressamente limitato alla condanna di pagamento di somme liquide di cui la parte istante si affermi creditrice[5].

La finalità dell’istituto è, chiaramente, quella di consentire al creditore di ottenere, in corso di causa, un titolo esecutivo con effetto anticipatorio rispetto alla statuizione nel merito che verrà resa con la sentenza.

Coerentemente con tale scopo, la disposizione stabilisce che l’istanza di parte possa essere formulata fino al momento della precisazione delle conclusioni, poiché l’effetto anticipatorio rispetto alla decisione finale sarebbe altrimenti pressoché nullo, dato che la sentenza si pronuncerà su tutte le domande oggetto del giudizio, e quindi anche sulla pretesa di pagamento delle somme non contestate.

Non è invece precisato il momento iniziale in cui la parte può richiedere l’emissione del provvedimento, ma dato che deve essersi correttamente instaurato il contraddittorio, tale momento dovrà essere necessariamente successivo alla costituzione in giudizio del convenuto o del terzo chiamato. Si possono astrattamente configurare tre ipotesi: la prima, in cui sia l’attore che, edotto della difesa del convenuto, ravvisi la non contestazione della debenza del pagamento di una determinata somma, e la seconda, in cui sia il convenuto in via riconvenzionale a chiedere l’emissione dell’ordine di pagamento nei confronti dell’attore. In entrambi i casi, la sede naturale per la presentazione dell’istanza e per la relativa discussione è quindi l’udienza di comparizione e trattazione ex art. 183 c.p.c.[6] o ex art. 702 ter c.p.c.

E’ tuttavia possibile che il contraddittorio processuale venga esteso a terzi chiamati in causa e, in tale terza ipotesi, il primo momento utile in cui la parte interessata, edotta delle difese avversarie, potrà formulare l’istanza, sarà la prima udienza di comparizione del terzo chiamato.

Si è discusso se l’istanza sia proponibile durante il periodo di interruzione o sospensione del processo, poiché l’art. 48 comma 2 c.p.c. stabilisce che nelle fasi di quiescenza del processo il giudice può compiere solo atti urgenti, che sembrerebbe richiamare il presupposti della tutela cautelare, alla quale è estraneo il provvedimento in esame[7].

Il punto più problematico in merito ai presupposti dell’istanza in esame è quale comportamento processuale della parte costituita integri la non contestazione.

Non si pone alcuna questione se la parte ammette esplicitamente di essere debitrice della somma in questione, ma anche una ammissione implicita integra la fattispecie, come nel caso in cui la parte debitrice non svolga alcuna difesa rispetto ai fatti dedotti dalla controparte.

A questo riguardo, si deve rammentare che, ai sensi dell’art. 167 c.p.c., nella comparsa di costituzione il convenuto deve proporre tutte le sue difese “prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda”, disposizione richiamata anche per la costituzione del terzo interveniente o chiamato in causa e che si trova formulata in termini analoghi nella disciplina della costituzione del convenuto nel giudizio di cognizione sommaria ex art. 702 bis comma 4 c.p.c..

Più spinoso stabilire se sia sufficiente ad escludere la concedibilità del provvedimento una contestazione meramente formale, con richiamo a formule generiche e di stile, o se sia invece necessaria una contestazione specifica dei fatti costitutivi posti a fondamento della pretesa attrice, ma pare certamente preferibile questa seconda soluzione, anche in forza del vigente disposto dell’art. 115 comma 1 c.p.c in base al quale il giudice può porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita[8].

Di certo va esclusa la possibilità di adottare il provvedimento in esame in caso di domanda riconvenzionale della parte debitrice, o di eccezione di compensazione anche parziale, poiché in tal modo viene eccepito il fatto impeditivo o estintivo della pretesa avversaria. L’oggetto della contestazione dovranno essere i fatti costitutivi della pretesa avversaria, e quindi, a titolo di esempio, che il credito non è esigibile, che si è estinto, che è di importo diverso da quello indicato dalla controparte, che l’altra parte non è titolare, che vi è controcredito compensato o compensabile e così via.

Si ha contestazione ove siano sollevate eccezioni di merito, ma anche eccezioni di rito, o eccezioni sulla ricostruzione in diritto di fatti non controversi nel loro accadimento storico, poiché in tutti questi casi la difesa della parte debitrice nega l’obbligo di dover pagare la somma richiesta dal creditore[9].

In caso di processo multiparte, si ritiene che anche la contestazione sollevata solo da alcuni dei litisconsorti sia idonea a escludere la concedibilità del provvedimento nei confronti degli altri[10].

E’ chiaro che, se la non contestazione fosse totale, il giudice dovrebbe ritenere la causa matura per la decisione e trattenerla a sentenza, mentre se la contestazione è limitata ad una parte del maggior importo preteso dal creditore, o è limitata ad uno tra più titoli per i quali la parte agisce, è ben possibile che la somma non contestata possa essere oggetto dell’ordinanza di pagamento.

L’ordinanza in esame, infatti, costituisce titolo esecutivo ed è quindi idonea all’instaurazione del procedimento esecutivo di espropriazione forzata; non costituisce, tuttavia, titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale, poiché non vi è espressa previsione in tale senso, come invece richiesto dall’art. 2818 comma 2 c.c. per i provvedimenti giudiziali di condanna al pagamento di somma di danaro che non abbiano la forma della sentenza[11].

Per poter essere azionata in via esecutiva, all’ordinanza in questione deve essere apposta la formula esecutiva ai sensi dell’art. 475 c.p.c.

Nel decidere sull’istanza di parte, il giudice non deve limitarsi a valutare la sussistenza della non contestazione dei fatti dedotti dal creditore a fondamento della debenza della somma richiesta, ma è tenuto a verificare se, secondo il diritto, tali fatti sono idonei a produrre gli effetti richiesti dalla parte, in particolare verificando l’inesistenza di eccezioni rilevabili d’ufficio, di rito o di merito, ostative all’accoglimento della domanda. Al tempo stesso, la contestazione è sufficiente ad impedire l’adozione del provvedimento, indipendentemente dalla fondatezza nel merito della eccezione del debitore.

[1] In verità, anche l’applicazione dell’articolo 423 comma 1 c.p.c. aveva prodotto una casistica poco rilevante sul piano quantitativo, Cfr Sassani B. e Tiscini R. Provvedimenti anticipatori in Diritto Processuale Civile , agg. V, 2001.

[2] CARRATTA, Ordinanze anticipatorie di condanna (dir. proc. civ.), in Enc. giur., XXII, 1990, aggiornamento, 1995, 4; CECCHELLA, in VACCARELLA, CAPPONI e CECCHELLA, Il processo civile dopo le riforme, Torino, 1992, 122; SASSANI, in CONSOLO, LUISO e SASSANI, Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996, 172; TAVORMINA, Commento agli artt. 163-295 (artt. 7-35, l. n. 353 del 26 novembre 1990), in Il corriere giuridico, 1991, 50; BUCCI, CRESCENZI e MALPICA, Manuale pratico della riforma del processo civile, Padova, 1991, 165; TARZIA, Lineamenti del nuovo processo civile, Milano, 1996, 191; ATTARDI, Le nuove disposizioni del processo civile, Padova, 1991, 92; CARRATTA, A proposito dell’onere di «prendere posizione», in Giur. it., 1997, I, 2, 150.

[3] L. 18.06.2009 n. 69, applicabile ai procedimenti instaurati dopo il 04 luglio 2009.

[4] L. 28.12.2005 n. 263, applicabile ai procedimenti instaurati dopo il 01 marzo 2006.

[5] Del resto, elementi comuni tra l’art. 423 comma 1 e l’art. 186 bis c.p.c. sono i presupposti, ovvero l’istanza di parte e la non contestazione del debito, il contenuto, limitato alla condanna al pagamento di somme di danaro e la natura di titolo esecutivo del provvedimento.

[6] Il fatto che l’art. 183 c.p.c. non citi espressamente le ordinanze ex art. 186 bis c.p.c. tra i provvedimenti che il giudice può adottare in sede di udienza di comparizione non pare di ostacolo, potendo attribuirsi tale lacuna ad un difetto di coordinamento tra le disposizioni, e potendo comunque essere interpretata l’assenza di un limite temporale iniziale come implicito riferimento alla prima udienza di comparizione dinnanzi al giudice.

[7] TARZIA, Lineamenti, cit., 129; CECCHELLA, Il processo civile, cit., 122; ATTARDI, Le nuove disposizioni, cit., 93; CARRATTA, op. ult. cit., 5.

[8] Cfr. Tribunale di Mantova, ordinanza 22 settembre 2011 est. Bernardi, edito su www.ilcaso.it

[9] CARRATTA, op. cit.

[10] SASSANI, op. ult. cit., 174; CIVININI, Le condanne anticipate, in Foro it., 1995, I, 346.

[11] Tale scelta legislativa è discutibile, poiché non si ravvisa la ratio della diversa disciplina riservata a questo provvedimento rispetto all’omologa ordinanza di pagamento ex art. 186 ter c.p.c. per la quale l’idoneità alla iscrizione di ipoteca giudiziale è espressamente contemplata, né si può assimilare alle ordinanze presidenziali in sede di separazione o divorzio (art. 708 comma 3 c.p.c. e art. 4 comma L. divorzio) che pure costituiscono titolo esecutivo ma non sono idonee all’iscrizione di ipoteca giudiziale per la ritenuta instabilità del provvedimento sia in quanto suscettibile di reclamo, sia in quanto sempre modificabile o revocabile dal giudice istruttore nel corso del processo e tipicamente adottato allo stato degli atti (cfr. C. Cost. ord., 24 giugno 2002, n. 272, in G. cost. 2002, p. 1980 ss.).

2. L’efficacia dell’ordinanza ex art. 186 bis c.p.c. e i rimedi esperibili avverso tale provvedimento

Come si è detto, l’ordinanza di condanna al pagamento di somma non contestata ha certamente effetto anticipatoria della statuizione di merito che dovrebbe avere la sua sede naturale nel contenuto decisorio della sentenza.

Si è posto quindi il problema di valutare se a tale natura anticipatoria non si affiancasse anche una natura cautelare.

La risposta, sostanzialmente unanime di dottrina e giurisprudenza, è stata negativa[12].

Il provvedimento cautelare infatti presuppone l’esistenza del periculum in mora e si connota per la strumentalità, pur attenuata dopo l’introduzione della novella del 2005, rispetto al soddisfacimento dell’interesse o del diritto oggetto del giudizio di merito. La natura della ordinanza di pagamento delle somme non contestate non è provvisoria e strumentale, ma definisce direttamente una parte del merito, anticipando l’effetto esecutivo della statuizione.

Di conseguenza, non avendo natura cautelare, è sottratta al rito cautelare uniforme e in particolare è sottratta al rimedio impugnatorio del reclamo al collegio ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c.

Al tempo stesso, il provvedimento anticipatorio di condanna è privo di decisorietà in quanto revocabile e modificabile sia in corso di causa, da parte dello stesso giudice che lo ha emesso, sia in sentenza, da parte del giudice che decide la causa.

E’ stato recentemente confermato il principio di diritto per cui l’ordinanza di condanna al pagamento di somme non contestate è provvedimento endoprocessuale privo di decisorietà in quanto modificabile e revocabile sia in corso di causa sia nella sentenza che definisce il giudizio[13], di conseguenza, si esclude la ricorribilità per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost[14].

A differenza dell’ordinanza presidenziale in sede di separazione, per la quale è previsto lo speciale mezzo di impugnazione nella forma del reclamo alla Corte di Appello ex art. 708 u.s. c.p.c., l’ordinanza anticipatoria di condanna per il pagamento di somme non contestate è provvedimento per il quale non è previsto alcun mezzo di impugnazione.

Poiché l’ultimo comma dell’art. 186 bis c.p.c. stabilisce che l’ordinanza è soggetta alla disciplina delle ordinanze revocabili di cui agli articoli 177, primo e secondo comma c.p.c., e 178, primo comma c.p.c., l’unico strumento a disposizione del debitore per riesaminare la correttezza della decisione è quello di chiedere al medesimo giudice che ha emesso il provvedimento, di revocarlo in corso di causa, o chiedere al giudice che decide la causa di respingere la domanda avversaria, ma subendo, medio tempore, l’eventuale esecuzione azionata dalla parte creditrice in forza dell’ordinanza stessa o dovendo adempiere per compulsum.

I motivi a fondamento della richiesta di revoca o modifica dell’ordinanza possono essere sia la contestazione della esistenza delle condizioni di concedibilità dell’ordinanza, sia circostanze sopravvenute, quali modifiche autorizzate del thema decidendum o eccezioni nuove rilevabili d’ufficio, sia nuove risultanze istruttorie.

L’effetto della modifica o della revoca dell’ordinanza in esame è la perdita della sua efficacia esecutiva, con la conseguenza che l’eventuale esecuzione forzata che sia stata azionata su tale titolo diviene illegittima ex tunc per la sopravvenuta caducazione del titolo stesso[15].

In caso di estinzione del processo, il provvedimento in esame conserva la sua efficacia. Sul punto, si è discusso se la disposizione dovesse interpretarsi come mera permanenza della efficacia di titolo esecutivo senza alcuna stabilizzazione sul piano sostanziale, o se dovesse riconoscersi anche una efficacia di giudicato. Le due alternative portano a conseguenze significativamente diverse sul piano della tutela del debitore, poiché nel primo caso, egli potrebbe contestare il contenuto di accertamento anche in fase di opposizione all’esecuzione o di ripetizione di indebito, mentre nel secondo caso subirebbe l’effetto della immodificabilità dell’accertamento dell’esistenza del debito per l’importo stabilito nell’ordinanza, senza alcuna residua possibilità di impugnazione o contestazione, e considerando che già in corso di giudizio di merito il provvedimento non è di per sé impugnabile, ma lo è solo la sentenza conclusiva che lo confermi, optare per la seconda ipotesi impone al debitore di un particolare onere di diligenza nell’impedire l’estinzione del processo.

Parte della dottrina aveva ritenuto di assimilare l’efficacia dell’ordinanza ex art. 186 bis c.p.c. a seguito di estinzione del giudizio alla stabilità del decreto ingiuntivo in caso di estinzione del giudizio di opposizione. Ai sensi dell’art. 653 comma 1 c.p.c., infatti, in tale ipotesi il provvedimento monitorio che non ne fosse già munito, acquista efficacia esecutiva e matura un effetto comunque preclusivo idoneo a rendere definitivo tra le parti l’accertamento del credito[16].

In questo senso, la Suprema Corte si è espressa ritenendo che l’ordinanza di pagamento di somma non contestata, e non adempiuta, sia idonea a dare prova dello stato di insolvenza del debitore e fondare la istanza di fallimento nei confronti del debitore inadempiente, proprio in forza della sua efficacia preclusiva analoga a quella del decreto ingiuntivo non opposto, o opposto in caso di estinzione del relativo giudizio[17].

Su questo punto, una recente decisione del Consiglio di Stato[18] si è invece espressa in senso contrario, ritenendo che in caso di estinzione del giudizio la stabilità dell’ordinanza di pagamento di somma non contestata sia limitata all’efficacia esecutiva e non comporti alcun accertamento preclusivo, potendo quindi oggetto di cognizione in nuovo giudizio esperibile tra le stesse parti.

Il caso in questione nasceva dall’introduzione di un giudizio di ottemperanza nei confronti della ASL, introdotto dalla società ricorrente dinnanzi al TAR Campania per l’esecuzione dell’ordinanza ex art. 186 bis c.p.c. emessa dal Tribunale Civile di Santa Maria Capua Vetere.

Il Tar dichiarava inammissibile l’azione affermando che l’ordinanza in questione non è equiparabile al giudicato, e quindi insuscettibile di fondare il presupposto per il giudizio d’ottemperanza. La società insisteva in appello evidenziando come il giudizio civile si fosse estinto a seguito di mancata riassunzione dopo la sua cancellazione sicché, ai sensi dell’art. 186 bis comma 2 , l’ordinanza avrebbe conservato la sua efficacia esecutiva e sarebbe stata equiparabile al giudicato. Il Collegio ha ritenuto l’appello infondato, e ritenuto che la conservazione dell’efficacia dell’ordinanza di cui all’art. 186 bis comma 2 c.p.c., nell’ipotesi di estinzione del processo, attenga alla efficacia quale titolo esecutivo, e non quale giudicato, mancando il presupposto dell’accertamento definitivo dei rispettivi rapporti di dare e avere. Secondo il Consiglio di Stato, l’ordinanza ex art. 186 bis cpc è un provvedimento anticipatorio che attiene alla stessa obbligazione di base, e benchè dotato di stabilità nei suoi effetti esecutivi, non è equiparabile ad un accertamento definitivo in quanto l’estinzione del processo non estingue l’azione, ex art. 310 c.p.c. e quindi può instaurarsi tra le parti un nuovo procedimento di merito che conduca alla revoca dell’ordinanza ai sensi dell’art. 177 c.p.c.

[12] Ha negato natura cautelare all’ordinanza in esame anche l’autorevole arresto delle Cass., Sez. Un., 14 novembre 2003, n. 17301.

[13] Corte di Cass. Sez. VI-III, ord. 5 settembre 2017 n. 20789.

[14] Sulla inammissibilità del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. cfr. Trib. Milano 28 febbraio 1994, in Gius, 1994, fasc. 10, 151; sulla inammissibilità del ricorso straordinario in cassazione ex art. 111 cost., ma in riferimento alle ordinanze anticipatorie di condanna di cui all’art. 186 ter e quater c.p.c, cfr. Cass. 17 luglio 1998, n. 6995, in Giust. civ., 1999, I, 1479, con nota di LOMBARDI, Sulla (non) esperibilità del ricorso in Cassazione straordinario avverso l’ordinanza d’ingiunzione, e Cass. 16 dicembre 1998 n. 12609, ivi, 2073, con nota di ID., Sull’ordinanza post-istruttoria e sulla sottoponibilità di essa al rimedio impugnatorio di cui all’art. 111 della Costituzione . OLIVIERI, Verso la riforma del processo civile, in Documenti giustizia, 1989, 43

[15] Cfr. Cass. 20798-2017 citata a nota 13.

[16] SASSANI, op. ult. cit., 177; LUISO, op. ult. cit., 69; CARRATTA, Ordinanze anticipatorie, cit., 9; DIDONE, Appunti sulla tutela sommaria di cui all’art. 186-bis c.p.c. , in Documenti giustizia, 1993, II, 2196; CIVININI, op. cit., 339.

[17] Cass. Civ., sez. I, sent. 15 gennaio 2015 n. 576

[18] Consiglio di Stato, sez. III, sent. 13.03.2019 n. 1677.

3. Conclusioni

Da quanto sopra esposto emergono le intrinseche contraddizioni della disciplina di questo istituto. Da un lato, l’ordinanza di pagamento delle somme non contestate non è concedibile in caso di debitore contumace, e quindi trova scarsissima applicazione poiché se la parte obbligata sceglie di costituirsi in giudizio ha, evidentemente, come scopo appunto quello di sollevare eccezioni alla pretesa avversaria e pertanto solo in rarissime ipotesi potrà maturarsi il presupposto della non contestazione. E dove effettivamente non vi sia contestazione in merito ad una determinata somma, è ragionevole ritenere che le parti ne facciano oggetto di negoziazione assistita, di mediazione civile e commerciale, o di altro strumento di risoluzione alternativa delle controversie prima di instaurare il giudizio, o al più in trattative coltivate in pendenza della lite.

Dall’altro, ove venga comunque concessa, il debitore che subisca il provvedimento anticipatorio di condanna è privo di qualsiasi mezzo di impugnazione, e si trova esposto all’azione esecutiva avversaria. Si noti, peraltro, che non vi è limite di valore all’ammontare della somma che può essere oggetto dell’ordine di pagamento. L’assenza di rimedio impugnatorio avverso l’ordinanza ex art. 186 bis c.p.c. non si giustifica neppure in considerazione della natura del provvedimento, in quanto la mancata contestazione del credito, o delle somme pretese dal creditore, non è manifestazione di acquiescenza da parte del debitore, ovvero di riconoscimento tacito del credito, sicché l’ordinanza in questione non ha ad oggetto l’accertamento di una (parziale) cessazione della materia del contendere[19].

Al tempo stesso, il provvedimento anticipatorio di condanna non è vincolante in ordine alla debenza delle somme delle quali viene ordinato il pagamento, poiché è modificabile e revocabile in corso di causa e dovrà essere confermato (o modificato o revocato) dalla sentenza che definisce il giudizio determina l’ammontare del debito. Di conseguenza, può darsi luogo ad una domanda di ripetizione da parte del debitore ex art. 2033 c.c., che verrà formulata in corso di causa in caso di modifica o revoca dell’ordinanza in pendenza di giudizio, o dovrà essere formulata in separato giudizio ove la domanda di ripetizione discenda dal contenuto decisorio della sentenza[20].

E tuttavia, dopo aver pagato per compulsum, ed aver dovuto attendere l’esito del giudizio per vedere respinta la domanda avversaria, il debitore che abbia diritto alla ripetizione dell’esborso potrebbe incontrare un ostacolo insormontabile al soddisfacimento della sua pretesa ove l’accipiens sia divenuto nelle more insolvibile.

In conclusione, detto istituto appare inidoneo a soddisfare l’interesse del creditore ad ottenere, in tempi rapidi un provvedimento di condanna esecutivo stabile o un titolo idoneo all’iscrizione di ipoteca giudiziale (o suscettibile di ottemperanza, ove il debitore sia una pubblica amministrazione), dall’altro pregiudica il diritto di difesa del debitore per la assenza di uno specifico mezzo di impugnazione, condizionando quindi la possibilità di gravame alla successiva pronuncia della sentenza conclusiva.

[19] Luiso F.P. Diritto Processuale civile, IX ed. Giuffré vol II p. 69

[20] Cass. 25 maggio 2005, n. 11023

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