ALPI – CTU: la disorganizzazione aziendale esclude la colpa grave in capo al pubblico dipendente

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La sentenza n. 174/2013, del 1575/2013, della Corte dei Conti per la Regione Calabria – sezione Giurisdizionale, è l’ultima arrivata, in tema di espletamento di ALPI e CTU.

La Procura della Corte dei Conti, a seguito dell’immensa operazione investigativa effettuata dalla Guardia di Finanza e dal Nucleo di Polizia Tributaria nei confronti di oltre 150 medici e dirigenti dell’’Azienda Ospedaliera Provinciale di Catanzaro per fatti commessi tra il 2004 ed il 2009, ha emesso numerosi atti di citazione a giudizio.

Nella Relazione del Procuratore Regionale della Corte dei Conti dell’8 Marzo 2013, si legge che : “solo nel corso del 2012 gli atti di citazione in materia sanitaria sono stati 20 e con essi è stato richiesto un importo di danno di quasi 3,5 milioni di euro. La maggior parte di essi è stata relativa a dirigenti medici dell’Azienda Ospedaliera Sanitaria Provinciale di Catanzaro che tra il 2004 e il 2008 hanno indebitamente percepito indennità non spettanti per aver esercitato attività libero professionale intramuraria in studi privati in assenza della relativa autorizzazione, violando dolosamente il rapporto di esclusività con l’Azienda Sanitaria.”

La tesi prospettata dalla Procura della Corte dei Conti è stata, nella maggior parte dei casi, ritenuta infondata e non è stata accolta dalla Corte dei Conti.

La Procura della Corte dei Conti ha convenuto a giudizio medici e dirigenti chiedendo il risarcimento del danno erariale causato, secondo la tesi attorea, dall’avere svolto attività libero-professionale intramoenia (c.d. “ALPI) ed attività di Consulenza tecnica d’ufficio senza aver ottenuto la necessaria autorizzazione da parte dell’Azienda Ospedaliera, e percependo, dunque, in modo illegittimo l’indennità di esclusività, la retribuzione di risultato e la retribuzione di posizione, nonché altri proventi scaturenti dall’espletamento di ctu.

La Procura ha chiesto il risarcimento a titolo di danno erariale per un totale di 12 milioni di euro (solo 3,5 milioni per gli atti di citazione emessi nel 2012).

L’ACCUSA

Secondo la tesi della Procura, i dipendenti pubblici, legati all’Azienda Ospedaliera da un rapporto di lavoro esclusivo con esercizio dell’attività intramuraria, non avrebbero richiesto nè ottenuto la necessaria autorizzazione a svolgere attività libero professionale intramuraria né attività di CTU.

La Procura partiva dall’assunto, rivelatosi errato, dell’applicazione anche al personale ospedaliero dell’art. 53 del testo unico del pubblico impiego.

L’art. 53 t.u. 165/2001 prescrive, al comma 2, che : “Le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri d’ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati” e al comma 7 che : “I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati autorizzati dall’amministrazione di appartenenza.”

La Procura, non riscontrando le necessarie autorizzazioni all’espletamento di alpi e ctu ha, pertanto, citato a giudizio il personale pubblico per aver percepito indebitamente le relative indennità di esclusività, e i redditi di lavoro autonomo.

LA DIFESA

La maggior parte dell’attività finita sotto l’indagine della Procura, risalente agli anni 2004, è stata giudicata prescritta dalla Corte dei Conti.

L’eccezione di prescrizione, sollevata dai difensori dei medici e dei dirigenti e accolta dalla Corte, per i fatti risalenti a cinque anni prima della data di notifica dell’invito a dedurre, atto idoneo ad interrompere la prescrizione, è stata contestata dalla Procura che voleva far decorrere l’esordio della prescrizione dalla data degli accertamenti della Guardia di Finanza, sul presupposto che, nella fattispecie, potesse ravvisarsi una ipotesi di “occultamento doloso” del danno che consente di sottrarsi alla regola degli art. 2934 c.c. e 1, co. 2, L. 20/1994, che fa decorrere la prescrizione dalla “conoscibilità obiettiva”.

La Corte ha precisato che non è necessaria una connotazione dolosa della condotta, per spostare il termine della prescrizione, ma è necessario un quid pluris consistente in una attività fraudolenta soggettivamente e diretta oggettivamente ad occultare il danno (Corte dei Conti sez. Calabria, n. 533/2011; 174 – 239/2012).

In tutte le indagini, infatti, non è stata riscontrata una condotta con intenti fraudolenti diretta ad occultare l’esercizio delle prestazioni professionali (alpi e ctu), anche con riferimento all’incameramento di somme relative ad ore lavorative effettuate per prestazioni rese in favore di soggetti terzi.

Tutti i medici e dirigenti, infatti, erano inseriti negli elenchi dei medici autorizzati all’attività intramuraria, hanno utilizzato i relativi bollettari aziendali per la riscossione dei proventi corrisposti dai fruitori delle prestazioni professionali intramurarie e delle relative ctu.

SULL’ART. 53 T.U. 165/2001

La Procura ha contestato l’assenza di qualsiasi autorizzazione rilasciata dall’Azienda Ospedaliera, escludendo dal novero le varie richieste, delibere ed elenchi in cui i medici e i dirigenti venivano segnalati per svolgere l’attività intramuraria.

La Corte ha, però, precisato che l’art. 53 non esclude qualsiasi attività estranea a quella istituzionale e che il rapporto in esclusiva non è incompatibile con l’attività intramuraria, anche per quanto riguarda l’attività c.d. allargata.

Sia i dirigenti sia i medici in rapporto di lavoro in esclusiva possono , ai sensi dell’art. 15 d.lgs. 229/1999, svolgere attività diverse e non assoggettate all’art. 53.

La Corte, in definitiva, ha riconosciuto che l’attività intramuraria dei dirigenti e del personale medico è sottratta all’ambito di applicazione dell’art. 53 del d.lgs. 165/2001 che, invece, si applica agli incarichi di diversa natura e contenuto conferiti al pubblico dipendente da soggetti ESTRANEI all’Amministrazione di appartenenza, dunque, riconducibile all’attività extraistituzionale.

Nel caso specifico, il personale pubblico era retribuito dalla stessa Amministrazione di appartenenza, svolgeva attività libero professionale intramuraria al di fuori degli orari di lavoro istituzionale e rilasciava le relative ricevute dal bollettario aziendale; inoltre molti medici e dirigenti avevano prodotto numerose autocertificazioni e richieste di svolgimento di attività ALPI che non sono mai state impugnate né contestata dalla stessa Azienda.

E’ questo il punto focale che ha reso possibile il rigetto della domanda della Procura.

La Corte dei Conti, pur riconoscendo l’eccezionalità dell’esercizio al rapporto di esclusività dell’attività intramuraria e la relativa disciplina specifica (e la necessità della preventiva autorizzazione rilasciata, non ex art. 53 t.u. 165/2001, bensì secondo l’apposita normativa di settore, ex D.M. del 28/2/1997 e dai Regolamenti AZIENDALI) che garantisce dalla gravosità degli impegni che il rapporto esclusivo comporta, ha escluso che l’attività svolta dal personale medico e dirigenziale, anche in assenza delle dovute autorizzazioni, sia stata posta in essere con l’intento doloso o di colpa grave in quanto l’Azienda Ospedaliera non ha mai contestato né impugnato le autocertificazioni e le richieste informali presentate dal personale pubblico, ed ha reso “legittima” l’attività intramoenia per la quale risulta, inoltre, che l’Azienda aveva rilasciato i relativi bollettini Aziendali ed retribuito le prestazioni effettuate.

La Corte ha escluso, pertanto, l’esistenza della colpa grave, requisito necessario per configurare l’ipotesi di danno erariale, stante la conoscenza da parte degli organi aziendali dell’attività intramoenia effettuata dai medici e dai dirigenti.

SULLA CTU

La Corte ha stabilito che, al contrario della tesi della Procura, all’attività di consulenza tecnica d’ufficio non si applica l’art. 53 t.u. 165/2001 né la disciplina che regola l’attività intramuraria (d.m. 28/2/1997 etc.).

La Corte ha, invece, accolto la tesi prospettate dai difensori dei pubblici dipendenti, secondo cui le consulenze d’ufficio civili e/o amministrative, disciplinate dalla “Circolare del Ministero di Grazia e Giustizia – Direzione Generale Affari Civili e delle Libere Professioni del 4 gennaio 1999”, sono escluse da ogni autorizzazione per via della correlata necessità di tutelare l’indipendenza del magistrato attraverso la garanzia della libera scelta del proprio consulente che sarebbe compromessa ove fosse subordinata ad un’autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza, in considerazione della peculiarità dell’incarico conferito dall’autorità giudiziaria al pubblico dipendente, in cui prevale il profilo del c.d. “munus publicum”, in quanto ausiliario del giudice, rispetto a quello dell’attività di lavoro subordinato o autonomo, (“…si svuoterebbe di contenuto la concreta possibilità di scelta fiduciaria da parte del Giudice, prevista dai vigenti codici di rito, ma si impedirebbe al Giudice, dominus del processo, di avvalersi di quelle nozioni tecniche ritenute indispensabili individuata soltanto in quel determinato soggetto che intende nominare consulente o perito.” Circolare 4/1/1999)

Ciò è in aderenza anche all’art. 63 del codice di procedura civile secondo cui l’attività di consulente tecnico è obbligatoria.

L’attività di CTU non può essere subordinata alla concessione di autorizzazioni ma solo all’obbligo di preventiva comunicazione, ove previsto dal relativo Regolamento Aziendale.

La Corte conclude sancendo in definitiva che non vi è stato danno erariale e che il non rispetto della procedura autorizzatoria è dovuto alla gestione disorganizzata dell’Azienda Sanitaria.

Tutti i medici e dirigenti ospedalieri hanno apportato esclusivamente benefici all’Azienda Sanitaria ed a tutta la collettività perché hanno svolto la propria attività anche al di fuori degli orari di lavoro istituzionale e hanno versato nelle casse dell’Azienda Sanitaria i proventi percepiti nell’espletamento dell’ALPI e delle CTU.

Giancarlo Pitaro

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