Dichiarazione infedele e truffa: c’è un rapporto di specialità?

Tra il delitto di dichiarazione infedele e quello di truffa aggravata ricorre un rapporto di specialità? Commento a sentenza

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Corte di Cassazione -sez. II pen.- sentenza n. 29569 del 15-07-2025

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Indice

1. La questione: violazione dell’art. 640, comma secondo, cod. pen. e degli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 74/2000


Il Tribunale di Reggio Calabria, in accoglimento di una richiesta di riesame, annullava un decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, ritenendo insussistenti sia il fumus del delitto di truffa aggravata, come riportato nell’incolpazione provvisoria, sia il periculum di occultamento o dispersione delle somme indebitamente percepite.
Ciò posto, avverso questo provvedimento ricorreva per Cassazione il pubblico ministero il quale, tra i motivi ivi addotti, deduceva violazione dell’art. 640, comma secondo, cod. pen. e degli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 74/2000, poiché, a suo avviso, il Tribunale aveva erroneamente riqualificato l’ipotesi di reato di truffa aggravata nella fattispecie di natura tributaria prevista dal decreto legislativo citato, escludendo la sussistenza della frode in contestazione e la stessa rilevanza penale della condotta accertata, per mancato raggiungimento della soglia di punibilità delle singole condotte, omettendo in tal guisa di valutare tutti gli ulteriori artifizi e raggiri che impediscono l’operatività del principio di specialità previsto dall’art. 15 cod. pen. e l’ipotizzato assorbimento del delitto di truffa dal delitto di dichiarazione fraudolenta. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon e il Codice Penale e norme complementari 2026 – Aggiornato a Legge AI e Conversione dei decreti giustizia e terra dei fuochi, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon

2. La soluzione adottata dalla Cassazione


La Suprema Corte riteneva il motivo suesposto infondato.
In particolare, tra le argomentazioni che inducevano gli Ermellini ad addivenire a siffatto esito decisorio, si osservava innanzitutto come il giudice di merito avesse reso un’articolata motivazione in ordine alle ragioni poste a sostegno della diversa qualificazione giuridica della condotta ascritta all’indagato e del conseguente annullamento, facendo una corretta applicazione dei principi giurisprudenziali affermati in materia, richiamando quanto osservato dalle Sezioni unite che, seppur con riguardo alle differenti fattispecie di cui agli artt. 2 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000, hanno ritenuto esistente un rapporto di specialità tra le norme incriminatrici tributarie e quella di truffa aggravata ai danni dello Stato, «in quanto qualsiasi condotta fraudolenta diretta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all’interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale, quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni” (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010) posto che, con motivazione che, ad avviso della Suprema Corte, rilevava anche in relazione al rapporto tra il delitto di truffa aggravata e la fattispecie di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 d.lgs. 74/2000, codeste Sezioni hanno precisato che: ”La negazione del rapporto di specialità tra frode fiscale e truffa ai danni dell’Erario, si pone, inoltre, in contraddizione con la linea di politica criminale e con la ratio che ha ispirato il legislatore nella riforma di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000…… una scelta di radicale alternatività rispetto al pregresso modello di legislazione penale tributaria”.
L’affermazione della predetta pronuncia risulta pertanto, per la Corte di legittimità, di inequivocabile chiarezza nella misura in cui stabilisce che qualsiasi condotta di frode al fisco trova la sua risposta repressiva esclusivamente nella legislazione speciale tributaria, senza possibilità di “recupero” di fatti, peraltro nemmeno costituenti reato per omesso superamento delle soglie di punibilità, nell’alveo delle generali ipotesi di truffa aggravata in danno dello Stato.
Di conseguenza, i giudici di piazza Cavour affermavano come il principio affermato dalle Sezioni Unite, con riferimento ai rapporti tra i reati di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e la fattispecie di truffa aggravata, andasse ribadito anche in caso di dichiarazione infedele ex art. 4 d.lgs. 74/2000, fatto meno grave rispetto alle indicate ipotesi di frode fiscale, poiché, anche in tal caso, l’ottenimento di rimborsi non dovuti a seguito della falsa rappresentazione di spese od altri oneri inesistenti, comporta esclusivamente un vantaggio fiscale per il contribuente, senza invece che sussistano ulteriori profitti diversi rispetto a tale operazione effettuata in danno dell’Agenzia delle Entrate.
Tal che se ne faceva discendere da ciò che, anche nel rapporto tra dichiarazione infedele e truffa aggravata, sussiste l’identica ratio già individuata dalle Sezioni Unite, che hanno sottolineato la “generale specialità delle previsioni penali tributarie in materia di frode fiscale, le quali, in quanto disciplinano condotte tipiche e si riferiscono ad un determinato settore di intervento della repressione penale, esauriscono la connessa pretesa punitiva dello Stato” (Sez. U, n. 1235/2011, cit.).
Nel rispetto di questa linea di demarcazione tra l’ambito applicativo delle fattispecie a connotazione truffaldina e le norme incriminatrici di carattere fiscale, si evidenziava in conclusione come, nel caso in esame, il profitto, avuto di mira e conseguito dall’indagato, coincidesse con quello fiscale costituito, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. d) d.lgs. n. 74 del 2000, anche dal fine di ottenere un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito di imposta, il cui perseguimento è posto come scopo della condotta tipica.

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3. Conclusioni: sussiste un rapporto di specialità tra il delitto di dichiarazione infedele e quello di truffa aggravata ai danni dello Stato


La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito se tra il delitto di dichiarazione infedele e quello di truffa aggravata ricorre un rapporto di specialità.
Si fornisce difatti in tale pronuncia una risposta positiva a siffatto quesito, ritendendosi applicabile, pure questo illecito penale tributario, quell’arresto giurisprudenziale del 2010 (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010) secondo il quale vi è un rapporto di specialità tra le norme incriminatrici tributarie e quella di truffa aggravata ai danni dello Stato salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale, quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni.
Da ciò deriva che, in assenza di un profitto volto all’ottenimento di siffatte erogazioni, l’unico reato contestabile è quello previsto dall’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000[1], e non quello di truffa aggravata ai danni dello Stato.
Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba comprendere quale illecito penale sia configurabile in casi di questo genere.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché prova a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.

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Note


[1]Ai sensi del quale: “1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da due anni a quattro anni e sei mesi chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente: a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centomila; b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro due milioni. 1-bis. Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali. 1-ter. Fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che complessivamente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b)”.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

Avvocato e giornalista pubblicista. Cultore della materia per l’insegnamento di procedura penale presso il Corso di studi in Giurisprudenza dell’Università telematica Pegaso, per il triennio, a decorrere dall’Anno accademico 2023-2024. Autore di diverse pubblicazioni redatte per…Continua a leggere

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