La Consulta ritiene non incostituzionali le disposizioni in materia di depenalizzazione previste dal d.lgs. n. 8 del 2016: vediamo in che modo. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon, e il Codice Penale e norme complementari 2026 – Aggiornato a Legge AI e Conversione dei decreti giustizia e terra dei fuochi, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon
Indice
- 1. Dalla guida senza patente alla questione di costituzionalità: il caso sottoposto al Tribunale di Firenze
- 2. Depenalizzazione, recidiva e principio di offensività: i dubbi del giudice a quo sul d.lgs. n. 8/2016 e sull’art. 116 Codice della strada
- 3. La Corte costituzionale respinge le censure: nessun eccesso di delega e ragionevolezza del trattamento sanzionatorio
- 4. Conclusioni: la Corte costituzionale dichiara infondate le questioni
1. Dalla guida senza patente alla questione di costituzionalità: il caso sottoposto al Tribunale di Firenze
Il Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, era chiamato a giudicare, nelle forme del giudizio abbreviato conseguente a giudizio direttissimo e in esito a riunione di procedimenti, una persona imputata dei delitti di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali aggravate, nonché della contravvenzione di guida senza patente da parte di soggetto sottoposto con provvedimento definitivo a misura di prevenzione personale, di cui all’art. 73 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2000, n. 136).
Ebbene, ritenuta sussistente, alla luce delle risultanze processuali, la responsabilità dell’imputato per i delitti di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali, il Tribunale fiorentino osservava, quanto all’imputazione di guida senza patente, che con la stessa risultavano in realtà essere contestati, in fatto, due diversi reati: da un lato, la contravvenzione di cui all’art. 73 cod. antimafia, per avere l’imputato condotto un autoveicolo senza patente nonostante fosse sottoposto, con provvedimento definitivo, alla misura di prevenzione dell’avviso orale, adottata con provvedimento del Questore di Napoli; dall’altro lato, la contravvenzione di cui all’art. 116, comma 15, cod. strada, per aver guidato un autoveicolo senza patente con recidiva nel biennio, facendosene conseguire da ciò che l’imputato avrebbe dovuto essere assolto dal primo dei due reati per insussistenza del fatto, in quanto l’avviso, orale da cui egli era stato attinto, risultava privo della prescrizione dei divieti di cui all’art. 3, comma 4, cod. antimafia: prescrizione in assenza della quale, secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, il reato in questione non si configura mentre sarebbe sussistita, invece, la contravvenzione di cui all’art. 116, comma 15, cod. strada.
Quanto, in particolare, alla recidiva nel biennio, l’imputato era stato infatti condannato già due volte per guida senza patente con recidiva nel biennio e il nuovo fatto era stato commesso il 5 gennaio 2020, quindi entro i due anni dall’ultimo episodio precedente, tanto ove si consideri la data di esecutività del decreto penale di condanna (12 gennaio 2019), quanto ove si abbia riguardo alla data del fatto con esso giudicato (23 ottobre 2018).
Orbene, a fronte di tale stato delle cose, l’organo giudicante riteneva tuttavia che, ai fini di una corretta decisione in ordine alla responsabilità dell’imputato per il reato da ultimo indicato, ed eventualmente al relativo trattamento sanzionatorio, si rendesse necessario sollevare, in sequenza, quattro gruppi di questioni di legittimità costituzionale. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon, e il Codice Penale e norme complementari 2026 – Aggiornato a Legge AI e Conversione dei decreti giustizia e terra dei fuochi, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon
2. Depenalizzazione, recidiva e principio di offensività: i dubbi del giudice a quo sul d.lgs. n. 8/2016 e sull’art. 116 Codice della strada
Il Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, alla stregua della situazione giudiziaria venutasi a creare, come appena fatto presente, reputavano opportuno sollevare talune questioni di legittimità costituzionale, e segnatamente: questioni di legittimità costituzionale: dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67), «limitatamente alle parole “In tal caso, le ipotesi aggravate sono da ritenersi fattispecie autonome di reato” (in via generale o, in subordine, con riguardo al solo reato ex art. 116 co. 15 d.lgs. 285/1992)», e, in via consequenziale, dell’art. 5 del medesimo d.lgs. n. 8 del 2016, in riferimento all’art. 76 della Costituzione; b) in via subordinata, dell’art. 116, comma 15, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui prevede la rilevanza penale della guida senza patente nel caso di recidiva nel biennio, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost.; c) in via ulteriormente subordinata, dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 8 del 2016, «nella parte in cui non ha previsto (in via generale o, in subordine, in relazione al solo reato ex art. 116 co. 15 d.lgs. 285/1992) che, con riguardo alle ipotesi aggravate ora da ritenersi fattispecie autonome di reato, il giudice per il calcolo della pena continui ad applicare la disciplina sanzionatoria prevista prima dell’intervento del d.lgs. 8/2016», in riferimento all’art. 76 Cost.; d) in via di ulteriore ed estremo subordine, dell’art. 116, comma 15, cod. strada, nella parte in cui – nell’ipotesi di guida senza patente con recidiva nel biennio – prevede che si applichi la pena dell’arresto fino a un anno e dell’ammenda da euro 2.257 a euro 9.032, anziché la pena dell’ammenda da euro 5.000 a euro 30.000, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost..
In particolare, il giudice a quo dubitava, in via principale, come appena visto, della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 8 del 2016, nella parte in cui, al secondo periodo, reca la previsione: «[i]n tal caso, le ipotesi aggravate sono da ritenersi fattispecie autonome di reato» atteso che siffatta norma censurata violerebbe l’art. 76 Cost., ponendosi in contrasto con i principi e i criteri direttivi enunciati dalla legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili): legge volta a realizzare – quanto alle deleghe legislative con essa conferite – un alleggerimento del sistema penale coerente con il principio di extrema ratio nel ricorso alla pena.
In effetti, per il giudice rimettente, l’art. 1 del d.lgs. n. 8 del 2016 ha dato attuazione alla cosiddetta depenalizzazione “cieca” prefigurata dall’art. 2, comma 2, lettera a), della legge n. 67 del 2014, il quale si limitava, peraltro, a prevedere la trasformazione in illeciti amministrativi di tutti i reati puniti con la sola pena della multa o dell’ammenda (ad eccezione di quelli riconducibili alle materie successivamente elencate), senza autorizzare il legislatore delegato a mantenere la rilevanza penale, come fattispecie autonome, di eventuali ipotesi aggravate punite con pena detentiva, militando in tale direzione il rilievo che, in occasione della precedente depenalizzazione “cieca” dei reati puniti con sola pena pecuniaria, disposta dall’art. 32 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), il secondo comma di tale articolo aveva espressamente escluso dal suo ambito applicativo le fattispecie di reato che, nelle ipotesi aggravate, fossero punite con pena detentiva, anche se alternativa a quella pecuniaria.
Ebbene, a fronte di tale precedente legislativo, la mancanza di una analoga limitazione nell’art. 2, comma 2, lettera a), della legge n. 67 del 2014, per il giudice a quo, andrebbe interpretata nel senso che la nuova depenalizzazione doveva investire – rispetto ai reati puniti con sola pena pecuniaria – anche le eventuali ipotesi aggravate punite con pena detentiva.
Ordunque, escludendo tali ipotesi aggravate dalla depenalizzazione e trasformandole in fattispecie autonome di reato, per il Tribunale fiorentino, il legislatore delegato ne avrebbe, d’altra parte, di fatto inasprito il trattamento sanzionatorio, in assenza di qualsiasi legittimazione da parte della legge delega e in contrasto con la logica, ad essa sottesa, di ricorso minimo al diritto penale e di razionalizzazione del sistema giustizia dato che, prima dell’intervento del d.lgs. n. 8 del 2016, la guida senza patente con recidiva nel biennio, in quanto costituente una fattispecie aggravata, risultava soggetta al giudizio di bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti concorrenti, ai sensi dell’art. 69 del codice penale: giudizio che, in caso di ritenuta prevalenza o equivalenza di queste ultime, comportava l’applicabilità della sola pena pecuniaria prevista per la fattispecie base. La trasformazione della fattispecie in autonoma ipotesi di reato implica invece che, anche in presenza di circostanze attenuanti, si debba comunque applicare la pena detentiva.
Orbene, a fronte di ciò, si notava come la Consulta si fosse, peraltro, già occupata di una vicenda «per certi versi simile» con la sentenza n. 354 del 2002 visto che la norma all’epoca censurata (sia pure per profili diversi dalla violazione dell’art. 76 Cost.) era l’art. 688, secondo comma, cod. pen., che puniva con l’arresto da tre a sei mesi la persona colta in stato di manifesta ubriachezza in un luogo pubblico o aperto al pubblico, allorché il fatto fosse commesso da chi aveva già riportato una condanna per un delitto non colposo contro la vita o l’incolumità individuale.
Ebbene, per il giudice a quo, similmente che nel caso in esame, in quell’occasione, il decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205) aveva trasformato in illecito amministrativo la sola fattispecie base del reato di ubriachezza prevista dal primo comma dell’art. 688 cod. pen., che prescindeva dalla condizione personale dell’agente, con la conseguenza che la fattispecie del secondo comma – costituente in precedenza una ipotesi aggravata – si era trasformata in fattispecie autonoma di reato, avendo il Giudice delle leggi dichiarato, quindi, costituzionalmente illegittima la norma censurata – oltre che per la ragione di cui si dirà poco più avanti – per la «intrinseca irrazionalità» del risultato che si era venuto in tal modo a produrre, consistito non soltanto nella depenalizzazione della fattispecie base, ma anche nell’inasprimento del trattamento sanzionatorio della vecchia fattispecie aggravata, per effetto della sua sottrazione al bilanciamento con le attenuanti.
A fronte di ciò, il giudice rimettente formulava la censura ora «in via generale», cioè con riguardo a tutti i reati rientranti nell’ambito applicativo dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 8 del 2016, fermo restando che, in via subordinata, peraltro, nell’eventualità in cui la Consulta ritenesse «troppo esteso tale petitum», quest’organo giudicante lo limitava al solo rapporto della norma sottoposta a scrutinio con il reato di cui all’art. 116, comma 15, cod. strada.
Ad ogni modo, in entrambe le prospettive, la questione sarebbe rilevante nel giudizio principale, giacché, ove essa fosse accolta, il rimettente, anziché emettere sentenza di condanna, avrebbe dovuto assolvere l’imputato dalla contestazione di guida senza patente con recidiva nel biennio perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
A parere del giudice a quo, del resto, l’accoglimento della questione avrebbe dovuto inoltre comportare la dichiarazione di illegittimità costituzionale in via consequenziale della norma di coordinamento di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 8 del 2016, in base alla quale quando i reati trasformati in illeciti amministrativi da tale decreto legislativo prevedono ipotesi aggravate fondate sulla recidiva e sottratte alla depenalizzazione, «per recidiva è da intendersi la reiterazione dell’illecito depenalizzato».
In via subordinata, il Tribunale di Firenze sollevava anche questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., dell’art. 116, comma 15, cod. strada, nella parte in cui – dopo la depenalizzazione della fattispecie base del reato di guida senza patente ad opera del d.lgs. n. 8 del 2016 – continua ad attribuire rilevanza penale al fatto commesso da chi sia recidivo nel biennio.
Nel dettaglio, secondo il rimettente, si sarebbe venuta anche per questo verso a creare una situazione analoga a quella censurata dalla citata sentenza n. 354 del 2002 in rapporto al reato di ubriachezza visto che, nella circostanza, i giudici di legittimità costituzionale avevano rilevato che, a seguito dell’avvenuta depenalizzazione della fattispecie base prevista dal primo comma dell’art. 688 cod. pen., l’avere riportato una precedente condanna per delitto non colposo contro la vita o l’incolumità individuale, pur essendo evenienza del tutto estranea al fatto-reato e priva di correlazione necessaria con lo stato di ubriachezza, rendeva punibile una condotta che, se posta in essere da ogni altra persona, non assumeva alcun disvalore sul piano penale, in modo quindi tale che la norma incriminatrice finiva per punire, non tanto l’ubriachezza in sé, quanto piuttosto una qualità personale del soggetto, imprimendo così alla contravvenzione «i tratti di una sorta di reato d’autore, in aperta violazione del principio di offensività del reato».
In particolare, con riguardo alla guida senza patente si registrerebbe pertanto – a parere del rimettente – una «criticità simile»: un fatto che per la generalità dei consociati non costituisce illecito penale assume tale connotazione se commesso da chi sia recidivo nel biennio dal momento che, benché in questo caso il collegamento tra requisito soggettivo e condotta illecita appaia più stretto che non nell’ipotesi dell’ubriachezza, l’aver commesso una violazione analoga nei due anni precedenti costituirebbe comunque anch’esso un elemento estraneo al fatto-reato, privo di qualsiasi incidenza sull’offesa al bene giuridico protetto: il pericolo per la sicurezza della circolazione stradale resterebbe, infatti, identico tanto se a condurre veicoli senza patente sia un soggetto recidivo nel biennio, quanto se sia una qualunque altra persona.
Risulterebbe di conseguenza violato, per il giudice a quo, l’art. 25, secondo comma, Cost., che attraverso il richiamo al «fatto commesso» annette rilievo fondamentale all’azione criminosa per il suo obiettivo disvalore, e non solo in quanto manifestazione di pericolosità sociale, richiamandosi all’uopo altresì la copiosa giurisprudenza costituzionale in materia di limiti al bilanciamento di circostanze attenuanti con la recidiva reiterata, rilevando come fin dalla sentenza n. 251 del 2012 la Consulta abbia ritenuto costituzionalmente illegittima una norma «che indirizz[i] l’individuazione della pena concreta verso un’abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata, a detrimento delle componenti oggettive del reato», in particolare facendo sì che la recidiva determini un uguale trattamento per fattispecie significativamente diverse sul piano dell’offensività.
Ciò posto, ricordava ancora il rimettente che, nella sentenza n. 211 del 2022, relativa al reato di guida senza patente commesso da chi sia sottoposto a misure di prevenzione, la Corte costituzionale ha affermato che il principio di offensività del reato osta a disposizioni che attribuiscano rilevanza penale a qualità personali dei soggetti o a loro comportamenti pregressi, salvo che tale trattamento specifico e differenziato risponda alla necessità di preservare altri interessi meritevoli di tutela, tanto più se si considera che, se quest’ultima evenienza è stata ravvisata nel caso allora in discussione, dato che la configurazione della qualità di sottoposto a misura di prevenzione personale come elemento costitutivo della fattispecie criminosa rispondeva alla necessità di porre limitazioni agli spostamenti, di impedire o ostacolare la perpetrazione di attività illecite e di rendere meno agevole la sottrazione di soggetti pericolosi ai controlli dell’autorità, altrettanto non potrebbe dirsi per la guida senza patente con recidiva nel biennio, dato che la precedente commissione del medesimo illecito da parte dell’agente non aggiungerebbe alcunché alla fattispecie sotto il profilo dell’offensività.
Non si giustificherebbe, quindi, per il Tribunale di Firenze, una così marcata disparità di trattamento rispetto alla condotta di chi non si sia reso responsabile di analoga violazione nei due anni anteriori, tenuto conto altresì del fatto che la recidiva potrebbe eventualmente giustificare un aggravamento della pena (com’era quando la fattispecie base della guida senza patente costituiva reato), ma non assurgere a elemento discriminante tra ciò che è penalmente rilevante e ciò che non lo è.
Né gioverebbe obiettare che, in materia di particolare tenuità del fatto, l’abitualità del comportamento – e quindi l’avvenuta commissione di altri fatti analoghi – costituisce una condizione ostativa all’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. visto che, come sottolineato dalla Consulta nell’ordinanza n. 279 del 2017, il fatto particolarmente lieve, cui fa riferimento la citata disposizione del codice penale, è comunque un fatto offensivo, costituente reato e che il legislatore preferisce non punire: laddove la norma censurata fa dipendere, invece, dalla recidiva la stessa rilevanza penale del fatto e l’applicazione di una pena detentiva, radicalmente diversa dalla sanzione amministrativa pecuniaria prevista per l’illecito in assenza di recidiva.
Andrebbe considerato, inoltre, che la recidiva di cui all’art. 99 cod. pen. (configurata come circostanza aggravante), alla luce dell’interpretazione adeguatrice della giurisprudenza costituzionale e comune e per effetto della sentenza n. 185 del 2015 della Corte costituzionale, è sempre facoltativa, nel senso che l’aumento di pena presuppone un accertamento della concreta significatività del nuovo episodio sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo, tanto più se si considera che, nel caso dell’art. 116, comma 15, cod. strada, la recidiva va invece intesa, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 8 del 2016, come mera reiterazione dell’illecito depenalizzato, con conseguente rigido automatismo tra reiterazione e rilevanza penale del fatto, dovendosi escludere, alla luce del tenore letterale delle due disposizioni, la praticabilità di interpretazioni adeguatrici che richiedano una verifica da parte del giudice della significatività del nuovo episodio nei sensi dianzi indicati.
Precisato ciò, il rimettente reputava violato, da ultimo, anche l’art. 27, terzo comma, Cost., in quanto una pena correlata a una condizione soggettiva avulsa rispetto all’offesa al bene giuridico protetto sarebbe inevitabilmente avvertita come ingiusta dal condannato, rimanendo di conseguenza inidonea a realizzare la sua funzione rieducativa.
Compiuta questa prima disamina, per il giudice a quo, le questioni sarebbero esse pure rilevanti nel giudizio a quo, per la medesima ragione indicata a proposito della questione sollevata in via principale.
In via ulteriormente subordinata, per l’eventualità in cui la Consulta non avesse accolto le questioni relative alla persistente rilevanza penale dell’illecito censurato, il Tribunale di Firenze sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 8 del 2016, in riferimento all’art. 76 Cost., nella parte in cui non prevede che, con riguardo alle ipotesi aggravate dei reati puniti con sola pena pecuniaria, ora da ritenere fattispecie autonome di reato, il giudice continui ad applicare per il calcolo della pena la disciplina sanzionatoria prevista prima dell’intervento del citato decreto legislativo dato che, a suo avviso tale norma censurata – depenalizzando le fattispecie base dei reati puniti con la sola pena pecuniaria e trasformando in fattispecie autonome le vecchie ipotesi aggravate per le quali era prevista la pena detentiva – avrebbe reso più severo il trattamento sanzionatorio di queste ultime senza che un tale esito fosse autorizzato dalla legge delega e in contrasto con la logica che ne ispirava l’intero impianto, improntato alla valorizzazione dei principi di frammentarietà, offensività del reato e sussidiarietà della sanzione penale (e di quella detentiva in particolare), fermo restando che anche tale censura era formulata con riguardo a tutti i reati rientranti nell’ambito applicativo dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 8 del 2016 o, in subordine, in relazione al solo reato di cui all’art. 116, comma 15, cod. strada.
Sempre per il rimettente, per giunta, la questione sarebbe del pari rilevante nel giudizio principale visto che potrebbero riconoscersi a favore dell’imputato le circostanze attenuanti generiche, in considerazione della giovane età al momento del fatto e della sua travagliata adolescenza, in guisa tale che, se la questione fosse accolta, occorrerebbe procedere – in applicazione della disciplina sanzionatoria vigente prima delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 8 del 2016 – al bilanciamento tra le attenuanti generiche e la vecchia aggravante della recidiva nel biennio: bilanciamento che andrebbe risolto in termini quanto meno di equivalenza, con il risultato di rendere applicabile la sola pena dell’ammenda.
In via di ulteriore ed estremo subordine, nel caso di mancato accoglimento di tutte le precedenti questioni, il rimettente chiedeva ai giudici di legittimità costituzionale di dichiarare costituzionalmente illegittimo l’art. 116, comma 15, cod. strada nella parte in cui – nell’ipotesi di recidiva nel biennio – prevede l’applicazione della pena dell’arresto fino a un anno, oltre all’ammenda da euro 2.257 a euro 9.032, anziché la pena dell’ammenda da euro 5.000 a euro 30.000.
Ad avviso del giudice a quo, in effetti, ove pure si ritenesse costituzionalmente legittima la nuova fattispecie autonoma di guida senza patente con recidiva nel biennio, non si potrebbe però – alla luce dei già evocati principi di cui agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost. – far discendere da un elemento estraneo al reato, quale appunto la recidiva, l’applicazione di una pena detentiva, rammentandosi a tal proposito come il Giudice delle leggi, con la sentenza n. 94 del 2023, abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui, relativamente ai delitti puniti con la pena edittale dell’ergastolo, prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata, ritenendo in tal modo che la recidiva – quand’anche reiterata – non possa determinare, inibendo l’effetto diminuente delle circostanze attenuanti, l’applicazione di una pena detentiva perpetua nelle situazioni in cui in sua assenza il giudice potrebbe applicare una pena detentiva (elevata sì, ma) temporanea.
Ebbene, per il giudice rimettente, la situazione venutasi a creare nel caso di specie, sia pure a un diverso livello, sarebbe simile posto che, se è legittimo annettere alla recidiva un inasprimento quantitativo (entro certi limiti) della pena, non lo sarebbe invece far conseguire ad essa l’applicazione di una pena di natura diversa e decisamente più severa di quella altrimenti applicabile.
A fronte di tale stato delle cose, il giudice a quo individuava, quale soluzione alternativa costituzionalmente adeguata, la sostituzione della pena censurata con l’ammenda per un importo pari a quello della sanzione amministrativa pecuniaria applicabile nell’ipotesi semplice di guida senza patente, ai sensi dell’art. 1, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 8 del 2016 (da 5.000 a 30.000 euro), deducendo contestualmente che la significativa ampiezza della forbice edittale consentirebbe di tenere conto, al suo interno, della recidiva, mentre la perdurante rilevanza penale del fatto varrebbe comunque a differenziare l’ipotesi della recidiva nel biennio dall’ipotesi semplice.
Tali conclusive questioni sarebbero pertanto, per il giudice fiorentino, rilevanti qualora le precedenti non fossero accolte, giacché in tal caso per determinare il trattamento sanzionatorio occorrerebbe partire dalla nuova cornice edittale prevista per la nuova fattispecie autonoma della guida senza patente con recidiva nel biennio, fermo restando che, quale notazione conclusiva, si affermava come fosse da escludersi che le norme censurate si prestino a una interpretazione costituzionalmente conforme, stante il loro chiaro e univoco tenore letterale, al quale si sarebbe di fatto attenuta l’interpretazione datane dalla costante giurisprudenza di legittimità.
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3. La Corte costituzionale respinge le censure: nessun eccesso di delega e ragionevolezza del trattamento sanzionatorio
La Corte costituzionale – dopo avere ripercorso le questioni prospettate dal giudice rimettente e reputato l’eccezione sollevata dalla parte costituita (ossia l’Avvocatura dello Stato) in punto di inammissibilità non meritevole di accoglimento – le riteneva comunque infondate.
Nel dettaglio, era reputata innanzitutto infondata la questione sollevata in via principale, con la quale si denunciava un supposto vizio di eccesso di delega, facendo presente, in via preliminare, che, per costante giurisprudenza costituzionale, «la previsione di cui all’art. 76 Cost. non osta all’emanazione, da parte del legislatore delegato, di norme che rappresentino un coerente sviluppo e un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, dovendosi escludere che la funzione del primo sia limitata ad una mera scansione linguistica di previsioni stabilite dal secondo» (tra le molte, sentenze n. 36 del 2025 e n. 96 del 2020) visto che la verifica di conformità della norma delegata a quella delegante deve quindi svolgersi attraverso un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli, riguardanti, da un lato, le disposizioni che determinano l’oggetto, i principi e i criteri direttivi indicati dalla legge di delegazione e, dall’altro, le disposizioni stabilite dal legislatore delegato, da interpretare nel significato compatibile con la delega (ex plurimis, sentenze n. 36 del 2025, n. 129 del 2024 e n. 166 del 2023).
Nella specie, si osservava che la legge di delegazione n. 67 del 2014 persegue nel suo complesso –«l’obiettivo di deflazionare il sistema penale, sostanziale e processuale, in ossequio ai principi di frammentarietà, offensività e sussidiarietà della sanzione criminale atteso che la chiara finalità politico-criminale delle deleghe recate dalla suddetta legge è rinvenibile nell’esigenza di un alleggerimento del sistema penale coerente con il principio della extrema ratio del ricorso alla pena» (sentenze n. 81 del 2025 e n. 88 del 2024), deducendo al contempo che, in questa prospettiva, l’art. 2 della citata legge ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi «per la riforma della disciplina sanzionatoria dei reati e per la contestuale introduzione di sanzioni amministrative e civili» (comma 1), sulla base di principi e criteri direttivi che contemplano, come prima linea d’intervento, la trasformazione in illeciti amministrativi di un insieme di figure criminose, selezionate con due tecniche distinte e, in particolare, da un lato, mediante una clausola generale che prevede la depenalizzazione di «tutti i reati» puniti con «la sola pena della multa o dell’ammenda», ad eccezione di quelli riconducibili a determinate materie (comma 2, lettera a: cosiddetta depenalizzazione “cieca”); dall’altro lato, tramite l’elencazione “nominativa” di ulteriori fattispecie attratte nell’operazione (comma 2, lettere da b a d).
Del resto, con l’art. 1 del d.lgs. n. 8 del 2016 ,il legislatore delegato ha dato attuazione alla delega relativa alla depenalizzazione “cieca”, stabilendo che «[n]on costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda» (comma 1), fatte salve talune esclusioni (commi 3 e 4), e fissando quindi i criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie per le violazioni depenalizzate (commi 5 e 6).
Ebbene, per quello che rilevava in tale occasione, il Giudice delle leggi evidenziava che il comma 2 del medesimo art. 1 chiarisce che la depenalizzazione disposta dal comma 1 «si applica anche ai reati in esso previsti che, nelle ipotesi aggravate, sono puniti con la pena detentiva, sola, alternativa o congiunta a quella pecuniaria» (primo periodo), precisando ulteriormente che, «[i]n tal caso, le ipotesi aggravate sono da ritenersi fattispecie autonome di reato» (secondo periodo), visto che proprio su quest’ultima previsione si incentra il dubbio di legittimità costituzionale del giudice rimettente.
Ad avviso del Tribunale fiorentino, invero, come già visto in precedenza, essa risulterebbe incompatibile con i dettami della legge delega, il cui art. 2, comma 2, lettera a), si limitava a prevedere la trasformazione in illeciti amministrativi di tutti i reati puniti con sola pena pecuniaria: non consentendo – in assunto – con ciò al legislatore delegato di mantenere la rilevanza penale, come fattispecie autonome, delle ipotesi aggravate di tali reati punite (anche o soltanto) con pena detentiva, notandosi al contempo come codesta tesi sarebbe corroborata dal rilievo che, in occasione della precedente depenalizzazione “cieca” dei reati puniti con pena pecuniaria prevista dall’art. 32 della legge n. 689 del 1981, il secondo comma di tale articolo ne aveva espressamente escluso l’applicabilità ai «reati che, nelle ipotesi aggravate, [fossero] punibili con pena detentiva, anche se alternativa a quella pecuniaria».
In effetti, secondo tale opzione ermeneutica, l’assenza di una previsione similare nella legge n. 67 del 2014 andrebbe interpretata nel senso che, negli intenti del legislatore delegante, la nuova depenalizzazione doveva investire i reati in questione nella loro interezza, sia quanto alla fattispecie base, sia quanto alle ipotesi aggravate e, pertanto, il Governo, alla luce di ciò, non avrebbe potuto pertanto lasciare ferma la rilevanza penale di queste ultime, trasformandole in autonome figure di reato, con il risultato – antitetico rispetto agli obiettivi generali della legge di delegazione – di inasprirne il trattamento sanzionatorio, in ragione della loro sottrazione al giudizio di bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti concorrenti (giudizio che, ove queste ultime fossero ritenute equivalenti o prevalenti, avrebbe reso applicabile la sola pena pecuniaria prevista per la fattispecie base).
Ebbene, per la Consulta, tale tesi non poteva essere condivisa, il che veniva ritenuto alla stregua delle seguenti argomentazioni: “In sede di attuazione della delega, il legislatore delegato si è posto in effetti il problema di stabilire se – a fronte della mancanza, nella legge di delegazione, di una disposizione preclusiva analoga a quella dell’art. 32, secondo comma, della legge n. 689 del 1981 – la depenalizzazione dei reati puniti con sola pena pecuniaria, prevista dall’art. 2, comma 2, lettera a), della legge n. 67 del 2014, dovesse o meno estendersi alle figure criminose che rispondevano a tale condizione quanto alla fattispecie base, ma le cui ipotesi aggravate risultavano represse con pena detentiva. Il Governo ha recepito, sul punto, le indicazioni della Commissione di studio costituita con decreto del Ministro della giustizia 27 maggio 2014 «per elaborare proposte in tema di revisione del sistema sanzionatorio e per dare attuazione alla legge delega 28 aprile 2014, n. 67 in materia di pene detentive non carcerarie e di depenalizzazione»: ha ritenuto, cioè, di dover «attribuire il massimo ambito applicativo alla clausola generale» di depenalizzazione recata dalla legge delega, facendone beneficiare anche i reati dianzi indicati (così la relazione illustrativa dello schema preliminare del d.lgs. n. 8 del 2016, che parafrasa il punto 5 della relazione sulla depenalizzazione della suddetta Commissione). Questa soluzione asseconda e valorizza, in effetti, le generali finalità di deflazione del sistema penale sottese alla legge di delegazione. Nell’operare in tale direzione, il legislatore delegato – sempre in adesione alle proposte della Commissione – ha lasciato, tuttavia, doverosamente ferma la rilevanza penale delle fattispecie aggravate dei reati di cui si discute, per le quali la normativa allora vigente prevedeva, in ragione del più accentuato disvalore del fatto, anche o soltanto la pena della reclusione o dell’arresto. Contrariamente a quanto mostra di ritenere il rimettente, infatti, tali fattispecie non sarebbero potute comunque rientrare nel perimetro applicativo del criterio di delega, il quale non riferiva la condizione di operatività della depenalizzazione “cieca” – l’essere, cioè, il reato punito unicamente con pena pecuniaria – alla sola fattispecie base, così da rendere irrilevante il diverso trattamento sanzionatorio eventualmente riservato alle ipotesi aggravate. La trasformazione di tali ipotesi aggravate in fattispecie autonome di reato – con ogni effetto a ciò conseguente, anche se sfavorevole – rappresenta, d’altro canto, un portato ineludibile della soluzione adottata: è evidente, infatti, che le vecchie aggravanti non potevano sopravvivere come tali una volta venuta meno la rilevanza penale della fattispecie base. Le considerazioni ora esposte trovano, d’altra parte, conforto nei pareri espressi dalle commissioni parlamentari sullo schema di decreto: pareri che, come più volte rilevato da questa Corte, pur non essendo vincolanti, né esprimendo interpretazioni autentiche della legge delega, costituiscono pur sempre elemento che contribuisce alla corretta esegesi di quest’ultima (ex plurimis, sentenze n. 81 del 2025, n. 96 del 2020, n. 127 del 2017 e n. 250 del 2016; analogamente, sentenze n. 79 del 2019 e n. 47 del 2014). Nella specie, mentre il parere della 2a Commissione permanente (Giustizia) del Senato della Repubblica nulla ha obiettato sul punto, il parere della 2a Commissione permanente (Giustizia) della Camera dei deputati ha condiviso in modo espresso «la scelta relativa alle fattispecie penali punite con sola pena pecuniaria nell’ipotesi base e, nella ipotesi aggravata, anche con pene detentive, secondo cui la fattispecie base è depenalizzata mentre l’aggravante diventa una autonoma fattispecie di reato»”.
Di conseguenza, alla stregua di siffatte considerazioni, valevano, per la Corte, all’evidenza, a escludere altresì la fondatezza del sospetto di illegittimità costituzionale della disposizione censurata avanzato dal rimettente, in via subordinata, con riferimento al solo reato di guida senza patente, di cui all’art. 116, comma 15, cod. strada, così come si reputava che venisse anche meno anche la censura mossa «in via consequenziale» dal rimettente alla disposizione di coordinamento di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 8 del 2016, in forza della quale, quando le ipotesi aggravate escluse dalla depenalizzazione si basano sulla recidiva (come nel caso della guida senza patente con recidiva nel biennio), per «recidiva» deve intendersi «la reiterazione dell’illecito depenalizzato», trattandosi, infatti, pure in questo caso, di un corollario logico della soluzione adottata dal legislatore delegato. Come si legge nella relazione illustrativa dello schema preliminare del decreto legislativo, difatti, «[i]n assenza della norma di coordinamento, la fattispecie aggravata sarebbe stata destinata a “cadere” in quanto sarebbe venuto meno quel suo elemento costitutivo rappresentato appunto dalla “recidiva”, non essendo più possibile riferire tale istituto giuridico ad un illecito amministrativo».
Chiarito ciò, erano stimate parimenti infondate le questioni sollevate in via subordinata, che investono in modo specifico l’attuale assetto sanzionatorio della guida senza patente delineato dall’art. 116, comma 15, cod. strada, nella parte in cui continua ad annettere rilievo penale all’illecito commesso da chi sia recidivo nel biennio.
In particolare, dopo essersi fatto presente che, prima della riforma operata dal d.lgs. n. 8 del 2016, la conduzione di veicoli a motore senza la corrispondente patente di guida – perché mai conseguita, ovvero revocata o non rinnovata per mancanza dei requisiti fisici e psichici – era punita dal citato art. 116, comma 15, cod. strada con la pena dell’ammenda da euro 2.257 a euro 9.032 (primo periodo del comma 15); in caso di recidiva nel biennio si applicava altresì l’arresto fino ad un anno (secondo periodo). La giurisprudenza di legittimità non dubitava che tale ultima ipotesi configurasse una circostanza aggravante, e non già un’autonoma figura di reato (Corte di Cassazione, Sezione quarta penale, sentenza 30 aprile-1° ottobre 2014, n. 40617; sentenza 12-30 gennaio 2012, n. 3566) e che a seguito dell’intervento di depenalizzazione disposto dall’art. 1 del d.lgs. n. 8 del 2016, nei termini che si sono dianzi ricordati, la guida senza patente risulta quindi punita, in via generale, con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 30.000, sostituitasi alla pregressa ammenda in base al comma 5, lettera b), del citato art. 1 (salvi i successivi aggiornamenti disposti ai sensi dell’art. 195, comma 3, cod. strada) fermo restando che, quando, però, vi sia recidiva nel biennio il fatto integra una autonoma ipotesi di reato, punita con l’arresto fino a un anno e l’ammenda da 2.257 a 9.032 euro (Corte di Cassazione, Sezione quarta penale, sentenza 4 giugno-4 luglio 2024, n. 26285, ove si esclude che la fattispecie possa ritenersi sanzionata attualmente con la sola pena detentiva), reato del quale la recidiva integra un elemento costitutivo (tra le altre, Corte di Cassazione, Sezione quarta penale, sentenza 28 gennaio-4 marzo 2025, n. 8871; sentenza 10 maggio-15 settembre 2017, n. 42285), si reputava utile per di più rilevare che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, la recidiva deve ritenersi a tal fine integrata tanto dal precedente giudiziario specifico (segnatamente in relazione ai fatti commessi prima della riforma), quanto – alla luce del disposto dell’art. 5 del d.lgs. n. 8 del 2016 – da una precedente violazione amministrativa, purché definitivamente accertata (ex plurimis, Corte di Cassazione, Sezione quarta penale, sentenza 6-12 maggio 2025, n. 17795; sentenza 6 aprile-14 giugno 2018, n. 27398), non essendo sufficiente la mera contestazione dell’illecito (Corte di Cassazione, Sezione quarta penale, n. 8871 del 2025; sentenza 12 ottobre-8 novembre 2023, n. 44905), tenuto conto altresì del fatto che, anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 8 del 2016, la giurisprudenza di legittimità appariva inoltre orientata nel senso che, ai fini della configurabilità della recidiva nel biennio, rilevasse come dies a quo la data del passaggio in giudicato della sentenza relativa al fatto precedente e non quella di commissione di tale fatto (tra le altre, Corte di Cassazione, Sezione quarta penale, 30 aprile-1° ottobre 2014, n. 40617): indirizzo ribadito dopo la riforma (Corte di Cassazione, Sezione quarta penale, 30 settembre-31 ottobre 2016, n. 45769) e che appare riferibile, mutatis mutandis, anche alla reiterazione dell’illecito depenalizzato (nel senso che il biennio decorrerà dal momento in cui il relativo accertamento diviene definitivo).
Tanto puntualizzato, i giudici di legittimità costituzionale stimavano oltre tutto necessario ricordare che, secondo il rimettente, la previsione come ipotesi di reato della guida senza patente nel caso di recidiva nel biennio violerebbe i principi di eguaglianza, di offensività del reato e della funzione rieducativa della pena (artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost.), basandosi costui, nella sostanza, le sue censure su una duplice linea argomentativa, così formulata: “Sotto un primo profilo, nella ordinanza di rimessione si sostiene che la norma censurata farebbe dipendere la rilevanza penale di un fatto, che per ogni altra persona resta sanzionato solo in via amministrativa, da una condizione soggettiva dell’agente (la recidiva nel biennio) priva di incidenza sull’offesa al bene giuridico protetto. In tal modo, la disposizione verrebbe a configurare – similmente a quanto era avvenuto a suo tempo per la contravvenzione di ubriachezza (art. 688, secondo comma, cod. pen.), rimossa dalla sentenza n. 354 del 2002 di questa Corte – una responsabilità penale cosiddetta “d’autore”, non tollerabile sul piano costituzionale. Sotto un secondo e concorrente profilo, il Tribunale di Firenze ‒ richiamando la giurisprudenza di questa Corte relativa al divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata – ritiene che la norma denunciata enfatizzi oltre misura il peso della recidiva sul piano sanzionatorio, rendendolo soverchiante rispetto alle componenti oggettive del fatto. Secondo il giudice a quo, la recidiva potrebbe giustificare, bensì, un incremento (entro certi limiti) della pena, ma non assurgere a discrimen tra ciò che rientra nell’area di rilevanza penale e ciò che esula da essa”.
Ebbene, per il Giudice delle leggi, anche in questo caso, la prospettazione del rimettente non poteva essere condivisa.
Nel dettaglio, quanto alla prima linea argomentativa, si osservava come la Consulta abbia, in effetti, affermato che il principio di offensività del reato, desumibile dall’art. 25, secondo comma, Cost. – il quale impegna il legislatore a limitare la repressione penale ai comportamenti che nella loro configurazione astratta appaiano offensivi di beni meritevoli di protezione, anche solo nella forma dell’esposizione a pericolo (ex plurimis, sentenza n. 211 del 2022) –, osta alla previsione di fattispecie penali che «abbia[no], come presupposto, una qualità della persona non connessa alla condotta» (sentenza n. 116 del 2024), come pure a disposizioni che stabiliscano trattamenti penali più severi fondati su qualità personali derivanti dal precedente compimento di atti «del tutto estranei al fatto-reato» (sentenza n. 249 del 2010).
Orbene, la Corte notava come, in questa logica, si fosse escluso che la qualità di condannato per delitti non colposi contro la vita o l’incolumità individuale possa essere elevata a elemento costitutivo del reato di ubriachezza (sentenza n. 354 del 2002); o che la qualità di migrante irregolare possa integrare una circostanza aggravante di ordine generale, riferibile a qualsiasi reato (sentenza n. 249 del 2010); ovvero ancora che la configurabilità dei reati di possesso ingiustificato di chiavi alterate o grimaldelli (art. 707 cod. pen.) e di possesso ingiustificato di valori (art. 708 cod. pen.) possa essere collegata alla condizione di condannato per mendicità, di ammonito, di sottoposto a misura di sicurezza personale o a cauzione di buona condotta (in questo senso, sulla base di uno scrutinio di ragionevolezza, sentenze n. 14 del 1971 e n. 110 del 1968), nonché, limitatamente al secondo reato, a quella di condannato per delitti determinati da motivi di lucro o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio (sentenza n. 370 del 1996), fermo restando che, in senso contrario, la medesima Consulta si è espressa, quanto alla condizione da ultimo indicata, con riguardo al reato di possesso ingiustificato di chiavi alterate o grimaldelli, ritenendo non irragionevole che, a fronte di una condotta che deve presentare una potenziale proiezione verso l’offesa al patrimonio, il legislatore tenga conto delle precedenti condanne riportate dal soggetto attivo per reati aggressivi del medesimo bene, o comunque connotati da finalità di lucro, in quanto idonee a rendere maggiormente concreta detta proiezione offensiva (sentenza n. 225 del 2008).
Con particolare riguardo alla contravvenzione prevista dall’art. 73 cod. antimafia, originariamente contestata nel giudizio a quo, si faceva presente come gli stessi giudici di legittimità costituzionale abbiano ritenuto, del pari, non costituzionalmente illegittima l’incriminazione della condotta di guida in mancanza del titolo abilitativo da parte di soggetto sottoposto a misura di prevenzione personale, allorché il prevenuto non abbia la patente per non averla mai richiesta o perché, pur avendola richiesta, gli sia stata negata, oppure gli sia stata revocata in ragione dell’applicazione della misura di prevenzione, essendo tale incriminazione finalizzata a tutelare l’ordine pubblico, in correlazione alla necessità di porre limitazioni agli spostamenti, di impedire o ostacolare la perpetrazione di attività illecite e di rendere meno agevole la sottrazione ai controlli dell’autorità da parte di soggetti pericolosi (sentenza n. 211 del 2022), evidenziandosi al contempo che, proprio sulla base dei predetti principi, la Corte di legittimità è pervenuta, per converso, ad una pronuncia di illegittimità costituzionale con riguardo al caso in cui il prevenuto abbia guidato autoveicoli senza patente per essere stata la stessa sospesa o revocata per cause ricollegabili, non già alla misura di prevenzione, ma alla violazione di norme del codice della strada (quale quella sui limiti di tasso alcolemico del conducente). In una simile evenienza, che non lascia emergere la prospettiva di tutela dianzi indicata, «[s]ia per il prevenuto, sia per gli altri soggetti, la successiva condotta di guida con patente sospesa o revocata per violazioni di norme del codice della strada non può non avere lo stesso trattamento giuridico»: deve costituire, cioè, illecito amministrativo, «salva l’ipotesi della recidiva nel biennio» (sentenza n. 116 del 2024).
Precisato ciò, venendo allora proprio all’ipotesi fatta salva da quest’ultima sentenza, si rilevava come la fattispecie in esame, al di là degli apparenti punti di contatto, risultasse essere significativamente dissimile da quella sulla quale si è pronunciata la sentenza n. 354 del 2002, specificamente evocata dal giudice a quo.
Se, in tale sentenza, invero, la Corte costituzionale ha rilevato che, a seguito della depenalizzazione della fattispecie base del reato di ubriachezza attuata dal d.lgs. n. 507 del 1999, la precedente condanna dell’agente per un delitto non colposo contro la vita o l’incolumità individuale – già integrativa di una circostanza aggravante – veniva ad assumere «le fattezze di un marchio, che nulla il condannato [poteva] fare per cancellare e che vale[va] a qualificare [come penalmente rilevante] una condotta che, ove posta in essere da ogni altra persona, non configurerebbe illecito penale», oltre al fatto che la circostanza poi che il precedente penale che veniva in rilievo fosse «evenienza del tutto estranea al fatto-reato» e «privo di una correlazione necessaria con lo stato di ubriachezza», rendeva chiaro che la norma incriminatrice finiva col punire non tanto l’ubriachezza in sé, quanto una qualità personale del soggetto, così che la contravvenzione assumeva «i tratti di una sorta di reato d’autore, in aperta violazione del principio di offensività del reato», nell’odierno frangente, di contro, il precedente che viene in rilievo non può dirsi privo di correlazione con la condotta di guida senza patente sanzionata dalla norma censurata, essendo costituito dalla commissione, definitivamente accertata, del medesimo illecito, dovendosi a quest’ultimo intendersi infatti riferita, nel contesto della norma incriminatrice, la formula «[n]ell’ipotesi di recidiva nel biennio», non essendo dunque sufficiente – come invece ai fini della recidiva specifica di cui all’art. 99, secondo comma, numero 1), cod. pen. – la commissione di una violazione semplicemente della «stessa indole», facendosene conseguire da ciò che, nel caso in esame, «il collegamento tra requisito soggettivo e condotta illecita è più stretto rispetto al caso dell’ubriachezza».
Oltre a ciò, si notava, una volta fattosi presente che la recidiva, d’altra parte, per assumere rilievo agli effetti dell’art. 116, comma 15, secondo periodo, cod. strada, deve manifestarsi entro un arco temporale assai circoscritto: due anni, a decorrere – secondo la tesi più accreditata – dall’accertamento definitivo del precedente illecito, come non si possa ritenere, dunque, che tale accertamento assuma – come la precedente condanna cui aveva riguardo l’art. 688, secondo comma, cod. pen. – «le fattezze di un marchio, che nulla potrebbe fare il condannato per cancellare» (sentenza n. 354 del 2002, già citata): decorso il biennio senza che il soggetto abbia reiterato la violazione, egli torna a porsi – riguardo agli eventuali successivi fatti di guida senza patente – nella medesima condizione della generalità dei consociati.
Con riguardo, poi, alla seconda linea argomentativa che sorreggeva le censure del rimettente, si ricordava come la Consulta, al pari della giurisprudenza di legittimità, avesse individuato la ragione atta a giustificare gli aumenti di pena previsti dall’art. 99 cod. pen. per i vari casi di recidiva, non solo nella più elevata pericolosità del reo attestata dai suoi trascorsi criminali, ma anche nel maggior grado di colpevolezza ravvisabile in capo a chi «non rinuncia alla commissione di nuovi reati, pur essendo già stato destinatario di un ammonimento individualizzato sul proprio dovere di rispettare la legge penale, indirizzatogli con le precedenti condanne» (sentenza n. 73 del 2020; nella giurisprudenza di legittimità, in analogo ordine d’idee, Corte di Cassazione, Sezioni unite penali, 27 maggio-5 ottobre 2010, n. 35738), vale a dire un maggior grado di colpevolezza che a sua volta si traduce in una più elevata gravità (soggettiva) del reato.
Del resto, nell’ampia giurisprudenza concernente il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata stabilito dall’art. 69, quarto comma, cod. pen. – giurisprudenza ripercorsa, in sintesi, quanto alle pronunce anteriori, nella sentenza n. 94 del 2023 (punto 10 del Considerato in diritto) e alla quale faceva appello il giudice a quo – si osservava come la Corte costituzionale abbia posto, peraltro, l’accento sull’esigenza di mantenere «un conveniente rapporto di equilibrio tra la gravità (oggettiva e soggettiva) del singolo fatto di reato e la severità della risposta sanzionatoria, evitando in particolare quella che la sentenza “capostipite” n. 251 del 2012 già aveva definito l’”abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata, a detrimento delle componenti oggettive del reato”» (sentenza n. 141 del 2023; negli stessi termini, altresì, sentenza n. 188 del 2023), ossia un fenomeno, questo, che è stato ravvisato nella “sterilizzazione”, indotta dal divieto in parola, dell’effetto mitigatore di determinate circostanze attenuanti, e particolarmente di quelle espressive di una ridotta offensività del fatto, cui sovente si accompagna la previsione di una pena nettamente inferiore a quella base del reato (con riguardo a queste, sentenze n. 205 del 2017, n. 106 e n. 105 del 2014, n. 251 del 2012): il che rischiava di rendere la pena inflitta non proporzionata al singolo fatto per il quale il soggetto era giudicato, in contrasto con i principi costituzionali evocati dall’odierno rimettente.
Tra l’altro, sempre ad avviso della Consulta, se le ricordate affermazioni risultano estensibili, con i dovuti adattamenti, all’ipotesi in cui la recidiva (o reiterazione dell’illecito) sia configurata – come nel caso in esame – non quale circostanza aggravante, ma come elemento che determina il passaggio da una violazione amministrativa a una fattispecie di reato (ciò, pur in presenza del dato differenziale rappresentato dal fatto che la recidiva di cui all’art. 99 cod. pen. riguarda i soli delitti non colposi, mentre nella specie si discute di un illecito punibile anche a titolo di colpa), nell’odierno frangente, tuttavia, il predetto fenomeno di abnorme sopravvalutazione delle componenti soggettive dell’illecito non appare riscontrabile, occorrendo in proposito doveroso osservare che la guida senza patente – la cui disciplina è passata attraverso un’alternanza di interventi di penalizzazione e depenalizzazione (ripercorsi analiticamente nella sentenza della Consulta n. 211 del 2022, punto 5 del Considerato in diritto) – rappresenta comunque un illecito di significativo disvalore nel quadro di quelli contemplati dal codice della strada, consistendo nel compimento di un’attività intrinsecamente pericolosa per la sicurezza della circolazione stradale, e dunque per l’incolumità di persone e cose – quale la conduzione di veicoli a motore –, in difetto del titolo abilitativo che attesta l’idoneità del soggetto ad esercitarla, tanto più se si considera che, già nella disciplina antecedente al d.lgs. n. 8 del 2016, quando il fatto assumeva in generale rilevanza penale, la recidiva nel biennio provocava un mutamento qualitativo della risposta punitiva, essendo configurata come circostanza aggravante autonoma, che implicava l’aggiunta di una pena detentiva alla pena pecuniaria prevista per l’ipotesi base, tanto più se si considera che la trasformazione di quest’ultima in illecito amministrativo ha ampliato lo scarto, ma senza con ciò rendere la reazione sanzionatoria alla nuova violazione eccedente i limiti della proporzionalità al fatto, così come si ritiene inidonea a produrre tale effetto la soluzione di prevedere che la reiterazione in un ristretto arco temporale della medesima violazione renda applicabile al suo autore, in luogo della sanzione amministrativa pecuniaria ordinariamente prevista, sanzioni di natura penale, e ciò, tenendo conto che si discute di un reato di tipo contravvenzionale, punito bensì, oltre che con la pena dell’ammenda (di ammontare, peraltro, sensibilmente inferiore a quello della sanzione amministrativa), anche con la pena dell’arresto, ma in limiti edittali contenuti – fino a un anno, e dunque con un minimo di soli cinque giorni, ai sensi dell’art. 25 cod. pen. (che notoriamente è quello che più conta nella prassi giudiziaria) – e tali da rendere la pena stessa, nei congrui casi, attualmente sostituibile con la pena pecuniaria anche se applicata nella misura massima (art. 53, primo comma, della legge n. 689 del 1981).
D’altronde, sempre ad avviso del Giudice delle leggi, siffatta conclusione non appare inficiata nemmeno dal rilievo che la recidiva prevista dall’art. 116, comma 15, cod. strada, diversamente da quella contemplata dall’art. 99 cod. pen., non abbia carattere facoltativo, non richieda, cioè, ai fini della sua applicazione, una verifica in concreto da parte del giudice della significatività della nuova violazione quale indice di una più accentuata colpevolezza e pericolosità dell’agente, considerato il fatto che i due principali elementi sui quali tale verifica deve basarsi – vale a dire la natura e il tempo di commissione dei fatti precedenti (ex plurimis, sentenze n. 185 del 2015 e n. 192 del 2007) – formano nella specie oggetto di tipizzazione normativa (la violazione deve essere la medesima, la reiterazione deve aversi entro un ristretto lasso temporale).
Alla luce delle considerazioni che precedono, per la Corte, si doveva dunque escludere che, oltre alla dedotta violazione del principio di offensività, vi fosse anche quella del principio di eguaglianza – non potendo il diverso trattamento riservato a chi sia recidivo nel biennio ritenersi privo di giustificazione o sproporzionato – come pure della funzione rieducativa della pena – la quale non si presta nella specie ad essere apprezzata come iniqua, e perciò inidonea alla rieducazione, da parte del condannato.
Non fondata, inoltre, era stimata anche la questione, sollevata in via ulteriormente subordinata, con la quale il giudice rimettente chiede che l’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 8 del 2016 sia dichiarato costituzionalmente illegittimo, sotto il profilo dell’eccesso di delega, nella parte in cui non prevede che, con riguardo alle ipotesi aggravate ora trasformate in fattispecie autonome di reato, il giudice per il calcolo della pena continui ad applicare la disciplina sanzionatoria prevista prima della riforma, il che emergeva già in relazione a quanto già enunciato dalla medesima Consulta, nella pronuncia qui in commento, in relazione alla questione sollevata in via principale.
Allo stesso modo, le considerazioni già svolte relativamente alle questioni sollevate in via subordinata, valevano, per la Consulta ad escludere, anche la fondatezza delle questioni sollevate in via di estremo subordine con riferimento ai medesimi parametri (artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost.), intese ad ottenere la sostituzione della pena attualmente prevista per la guida senza patente con recidiva nel biennio (arresto fino a un anno e ammenda da euro 2.257 a euro 9.032) con quella dell’ammenda da euro 5.000 a euro 30.000, e ci, sull’assunto che la recidiva nel biennio possa giustificare al più, nella specie, la previsione della sola pena pecuniaria.
I giudici di legittimità costituzionale, di conseguenza, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, dichiaravano le questioni summenzionate tutte infondate.
4. Conclusioni: la Corte costituzionale dichiara infondate le questioni
La decisione in esame desta un certo interesse, dato che, con essa, si ritiene che la depenalizzazione di diversi reati avvenuta con il d.lgs., 15 gennaio 2016, n. 8, non possa ritenersi costituzionalmente illegittima (perlomeno alla stregua delle censure prospettata da questo giudice a quo).
Tal che ne consegue che, per effetto di codesta sentenza, il regime normativo introdotto da tale atto avente forza di legge continua a rimanere vigente.
Questa è dunque la principale novità che connota la pronuncia qui in commento.
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