Commercialisti: annullamento periodi contributivi per incompatibilità con l’esercizio della libera professione (Cass. n. 21268/2012)

Redazione 29/11/12
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza depositata il 4.12.06 la Corte d’appello di Roma rigettava il gravame contro la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva respinto la domanda di S.R. contro l’annullamento, disposto dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti, delle annualità contributive dal 1983 al 1998 per incompatibilità dell’esercizio della libera professione di dottore commercialista con l’assunzione nel periodo suddetto, da parte dell’attore, della carica di socio accomandatario della S.a.s. ASA. Per la cassazione di tale sentenza ricorre lo S. affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 21 del 1986, art. 22, nonchè vizio di motivazione nella parte in cui l’impugnata sentenza ha ritenuto che, ai fini dell’integrazione del requisito dell’esercizio continuativo della libera professione richiesto per l’iscrizione alla Cassa di previdenza, la mera investitura formale della carica di socio accomandatario di una S.a.s. escluda di per sè la libertà dell’attività professionale espletata in favore della società medesima e in favore di altri.

Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 21 del 1986, art. 22, e D.P.R. n. 1067 del 1953, art. 3, nonchè vizio di motivazione, laddove la Corte territoriale ha ritenuto che la suddetta Cassa di Previdenza possa, pur in assenza di una norma attributiva del relativo potere, annullare periodi contributivi durante i quali la professione di dottore commercialista sia stata svolta in situazione di incompatibilità, ove detta situazione non abbia condotto alla cancellazione dall’albo del professionista.

Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1067 del 1953, artt. 1 e 3, in combinato disposto con l’art. 420 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, per mancata ammissione della prova testimoniale con cui il ricorrente aveva chiesto di dimostrare che, ad onta della formale assunzione della carica di socio accomandatario della S.a.s. ASA, in realtà non aveva esercitato alcuna attività commerciale per conto della società medesima, limitandosi a svolgere nel suo interesse meri compiti di amministrazione del patrimonio aziendale e incarichi di consulenza contabile e fiscale, all’uopo emettendo regolari parcelle caricate del contributo del 2%.

Deve osservarsi che sul secondo motivo, che riveste carattere potenzialmente pregiudiziale ed assorbente rispetto alle ulteriori censure, persistono contrasti nella giurisprudenza di questa S.C., nel senso che alcune pronunce negano il potere della Cassa di annullare periodi contributivi durante i quali la professione di dottore commercialista sia stata svolta in situazione di incompatibilità, ove detta situazione non abbia condotto alla cancellazione dall’albo del professionista (cfr., ad esempio, Cass. 13.4.96 n. 3493; Cass. 12.7.88 n. 4572; Cass. 6.7.88 n. 4441), mentre altre sentenze lo riconoscono (cfr., ad esempio, Cass. 25.1.88 n. 618; Cass. 4.4.03 n. 5344) od affermano il potere di accertare il requisito dell’esercizio della professione, periodicamente e comunque prima dell’erogazione dei trattamenti previdenziali od assistenziali (cfr. Cass. 15.4.05 n. 7830; Cass. 13.3.03 n. 5344).

L’ultima pronuncia esattamente in termini – vale a dire riguardo alla possibilità, per la Cassa, di accertare autonomamente l’esistenza di cause di incompatibilità prima di erogare il trattamento richiestole – emessa dalla Sezione Lavoro di questa S.C. è la n. 13853 del 15.6.09, che ritiene che ogni verifica non solo sullo svolgimento, in punto di fatto, dell’esercizio della professione, ma anche sulla legittimità di quell’esercizio, implica inevitabilmente la verifica del diritto all’iscrizione all’albo, il che trascende i poteri della Cassa di Previdenza, trattandosi di potere proprio del solo Consiglio dell’Ordine e da esercitarsi con le garanzie previste dal D.P.R. n. 1067 del 1953, art. 34, in tema di “Cancellazione dall’albo o dall’elenco” (vale a dire audizione dell’interessato e possibilità di proporre ricorso al Consiglio nazionale, ricorso avente efficacia sospensiva del provvedimento di cancellazione).

Sempre la summenzionata sentenza n. 13853/09 ritiene che il potere della Cassa di rendere inefficaci alcuni periodi, ai fini previdenziali, in ragione della rilevata esistenza di situazioni di incompatibilità non può ricavarsi dal regolamento emanato dalla Cassa medesima il 24.6.94, giacchè il potere regolamentare delegato atteneva solo – ai sensi della L. 29 gennaio 1986, n. 21, art. 22, comma 3, – all’accertamento della sussistenza dei requisito dell’esercizio della professione, per cui la Cassa poteva sì determinare detti criteri, anche nel modo più ampio, ma non poteva decidere su questioni, come l’esistenza di cause di incompatibilità, attribuite, senza deroghe di sorta, ad un organo diverso e cioè al Consiglio dell’Ordine.

Infine, la citata sentenza n. 13853/09 aggiunge che manca, nell’ordinamento della Cassa Dottori commercialisti, una disposizione analoga a quelle vigenti per la Cassa Avvocati e Procuratori, e per la cassa Geometri. Per i primi, la L. n. 319 del 1975, art. 2, comma 3, così recita: “In ogni caso l’attività professionale svolta in una delle situazioni di incompatibilità di cui al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 3, e successive modificazioni, ancorchè l’incompatibilità non sia stata accertata e perseguita dal Consiglio dell’Ordine competente, preclude sia l’iscrizione alla Cassa, sia la considerazione, ai fini del conseguimento di qualsiasi trattamento previdenziale forense, del periodo di tempo in cui l’attività medesima è stata svolta”).

Per i Geometri la L. n. 773 del 1982, art. 22, comma 4, dispone: “E’ inefficace a tutti gli effetti l’iscrizione alla cassa di coloro che siano o siano stati illegittimamente iscritti all’albo professionale in violazione delle disposizioni di cui al R.D.L. 11 febbraio 1929, n. 274, art. 7”.

Osserva, invece, Cass. 4.4.03 n. 5344 che in casi analoghi a quello per cui oggi è causa non si pone una questione di verifica (anche solo incidentale) di legittimità dell’iscrizione all’albo, quanto di titolarità del potere di verifica, da parte della Cassa, dell’esercizio della libera professione, che costituisce, per gli iscritti all’albo, requisito fondamentale, ma non esclusivo per l’iscrizione alla Cassa medesima (L. n. 100 del 1963, ex art. 2).

Secondo, infatti, il D.P.R. n. 1067 del 1953, art. 3, sull’Ordinamento della professione di Dottore commercialista, per esercitare la professione è necessaria (artt. 2 e 6), oltre al titolo professionale, l’iscrizione nell’albo del circondario in cui viene esercitata l’attività professionale, incompatibile – tra altre – con l’esercizio del commercio, in nome proprio o in nome altrui.

D’altra parte, prosegue la sentenza n. 5344/03, se la legge istitutiva della Cassa si limitava a prevedere (L. n. 100 del 1963, art. 11, lett. b) che per esservi iscritti occorreva, oltre all’iscrizione all’albo, l’esercizio della libera professione, la legge di riforma della Cassa (29.1.1986 n. 21) contiene due disposizioni che abilitano e, anzi, impongono alla Cassa di verificare la sussistenza del requisito del legittimo esercizio della professione. Infatti, per l’art. 20, e art. 22, comma 3, di tale ultima legge, la Cassa accerta “la sussistenza del requisito dell’esercizio della professione… comunque prima dell’erogazione dei trattamenti previdenziali e assistenziali” effettuando, “all’atto della domanda di pensione”, controlli finalizzati ad accertare la “corrispondenza tra le comunicazioni inviate (le)… e le dichiarazioni annuali dei redditi e del volume di affari… (degli) ultimi quindici anni”, anche per “conoscere elementi rilevanti quanto all’iscrizione e alla contribuzione”.

In altre parole, sempre secondo Cass. 4.4.03 n. 5344, la Cassa, prima dell’erogazione dei trattamenti, è tenuta ex lege a verificare l’esistenza del requisito del legittimo esercizio della professione, che si manifesta, tra l’altro, nell’assenza di situazioni d’incompatibilità.

In conclusione, poichè sulla questione oggetto del giudizio si riscontrano persistenti contrasti giurisprudenziali, la causa va rinviata a N.R. per acquisire una relazione dell’Ufficio del Massimario.

 

P.Q.M.

La Corte, rilevato che sulla questione oggetto del giudizio si riscontrano persistenti contrasti giurisprudenziali, dispone il rinvio della causa a N.R. per acquisire una relazione dell’Ufficio del Massimario.

Redazione