La disciplina delle pratiche commerciali scorrette verso i consumatori: il decreto legislativo n° 146 del 2007 che modifica gli articoli da 18 a 27 del codice del consumo (dlgs n° 206 del 2005)

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§ 1) La disciplina delle pratiche commerciali scorrette verso i consumatori: definizione ed ambito di applicazione.
 
            Il Decreto Legislativo n° 146 del 2007, dando attuazione alla Direttiva CE n° 29 del 2005, ha introdotto nell’ordinamento italiano una disciplina pressoché completa delle pratiche commerciali scorrette che le imprese ed i liberi professionisti che esercitano professioni regolamentate (tutti definiti “professionisti”[1], definizione in cui rientrano anche coloro che agiscono in nome e per conto o soltanto per conto di un professionista, cioè i rappresentanti o gli agenti) possono tenere verso i consumatori ed un sistema di tutela di cui questi ultimi possono avvalersi verso chi esercita tali pratiche scorrette.
            La disciplina delle pratiche commerciali scorrette è stata introdotta nel “Codice del consumo”, vale a dire il Decreto Legislativo n° 206 del 2005, sostituendo gli articoli che vanno da 18 a 27, che prima contenevano la sola disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa illecita e che costituiscono i Capi I, II e III del Titolo III di questo atto normativo.
 
            Ai sensi del 1° comma dell’articolo 19 del Dlgs 206/2005, così come riformato dal Dlgs 146/2007, queste norme si applicano alle pratiche commerciali scorrette tra i professionisti come sopra definiti ed i consumatori (cioè le persone fisiche che in queste pratiche commerciali non agiscono per fini che rientrano nell’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta) poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto o servizio (compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni, secondo la lettera c dell’art. 18). Esse non pregiudicano (2° comma):
a)      l’applicazione delle disposizioni normative in materia contrattuale, in particolare delle norme sulla formazione, validità od efficacia del contratto contenute nel Codice Civile o nelle leggi speciali;
b)      l’applicazione delle disposizioni normative, comunitarie o nazionali, in materia di salute e sicurezza dei prodotti;
c)      l’applicazione delle disposizioni normative che determinano la competenza giurisdizionale;
d)     l’applicazione delle disposizioni normative relative allo stabilimento, ai regimi di autorizzazione, o di quelle dei codici deontologici o delle altre norme specifiche che disciplinano le professioni regolamentate (le c.d. “professioni intellettuali”) finalizzate a garantire livelli elevati di correttezza professionale.
 
In caso di contrasto le disposizioni contenute in Regolamenti o Direttive comunitarie e nelle relative norme nazionali di recepimento che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette prevalgono sulle norme generali degli articoli da 18 a 27 – quater del Dlgs 206/2005 (3° comma). Pensiamo, per esempio, alle norme sui viaggi “tutto compreso”, di cui agli artt. 82 – 100 del Dlgs 206/2005 o sul c.d. “overbooking”, disciplinato dal Regolamento CE n° 261 del 2004 od a quelle di tutela degli acquirenti di multiproprietà di cui agli artt. 69 – 81 del Dlgs 206/2004, che, come le prime, derivano dall’attuazione di una Direttiva CE nel nostro ordinamento[2]. Infine, le norme sulle pratiche commerciali scorrette non si applicano in materia di certificazione e di indicazioni sul titolo dei metalli preziosi (4° comma).
 
L’attuale 1° comma dell’art. 20 del Dlgs 206/2005 vieta le pratiche commerciali scorrette. Per “pratica commerciale” si intende ogni relazione fra professionisti e consumatori che si sostanza in “qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale, compresa la pubblicità […], posta in essere da un professionista in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto (bene o servizio o diritto di godimento) ai consumatori” (lettera d dell’art. 18).
Una pratica commerciale è scorretta “se è contraria alla diligenza professionale[3] ed è falsa od idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge od al quale è diretta” (art. 20, 2° comma). Questo vale anche se la pratica commerciale scorretta (pensiamo, per esempio, alla pubblicità ingannevole) non è diretta ad un singolo consumatore, ma ad un gruppo di consumatori, sempre se essa altera od è idonea ad alterare il comportamento del consumatore medio. L’alterazione, attuale o soltanto potenziale del comportamento medio del consumatore consiste nella alterazione della sua capacità di prendere una decisione commerciale consapevole e quindi nell’indurlo “ad assumere una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso”, cioè “ad acquistare o meno un prodotto, in che modo farlo ed a quali condizioni, se pagare integralmente o parzialmente, se tenere un prodotto o disfarsene e se esercitare un diritto contrattuale in relazione al prodotto”[4], intendendo per prodotto un bene o servizio o diritto (lettere e, m e c dell’art. 18).
Se una pratica commerciale non è idonea ad alterare il comportamento di tutti i consumatori a cui è rivolta, ma soltanto di quelli “particolarmente vulnerabili […] a motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro età od ingenuità” e questo fatto è ragionevolmente prevedibile dall’operatore economico professionale che la pone in essere, la scorrettezza è valutata in relazione al comportamento del consumatore medio appartenente a questo gruppo di soggetti più vulnerabili. E’ fatta salva la pratica pubblicitaria comune consistente in dichiarazioni esagerate o che non vanno prese alla lettera (art. 20, 3° comma).
 
Infine, le pratiche commerciali scorrette si dividono in due gruppi (4° comma):
a)      quelle ingannevoli, di cui agli artt. 21, 22 e 23 e
b)      quelle aggressive, di cui agli artt. 24, 25 e 26 del Dlgs 206/2005.
 
In particolare, le pratiche commerciali elencate dagli artt. 23 e 26 sono considerate in ogni caso scorrette, senza possibilità, pertanto, di prova contraria (5° comma).
Esaminiamo ora in dettaglio le pratiche commerciali scorrette iniziando da quelle ingannevoli.
 
 
§ 2) Le pratiche commerciali ingannevoli: la definizione generale di esse (art. 21) e l’omissione ingannevole di informazioni (art. 22).
 
            Ai sensi dell’art. 21, una pratica commerciale è considerata ingannevole se contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure corretta, è idonea in qualsiasi modo ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso attraverso la sua induzione in errore su uno o più dei seguenti elementi della relazione commerciale:
a)      l’esistenza o la natura del prodotto;
b)      le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l’esecuzione, la composizione, gli accessori, l’assistenza post-vendita al consumatore ed il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto;
c)      la portata degli impegni del professionista, i motivi della pratica commerciale e la natura del processo di vendita, qualsiasi dichiarazione o simbolo relativi alla sponsorizzazione od all’approvazione dirette o indirette del professionista o del prodotto;
d)      il prezzo o il modo in cui questo e’ calcolato o l’esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo;
e)      la necessità di una manutenzione, ricambio, sostituzione o riparazione;
f)        la natura, le qualifiche e i diritti del professionista o del suo agente, quali l’identità, il patrimonio, le capacità, lo status, il riconoscimento, l’affiliazione[5] o i collegamenti e i diritti di proprietà industriale, commerciale o intellettuale o i premi e i riconoscimenti di cui egli dispone o che ha ricevuto;
g)      i diritti del consumatore, incluso il diritto di sostituzione o di rimborso ai sensi dell’articolo 130 del “Codice del consumo” (Dlgs 206/2007) sulle garanzie della vendita dei beni di consumo (comma 1°).[6]
E’ altresì considerata ingannevole una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, induce o e’ idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso e comporti:
a)      una qualsivoglia attività di commercializzazione del prodotto che ingenera confusione con i prodotti, i marchi, la denominazione sociale e gli altri segni distintivi di un concorrente, compresa la pubblicità comparativa illecita;
b)      il mancato rispetto da parte del professionista degli impegni contenuti nei codici di condotta (cioè nei codici di autoregolamentazione di una categoria di operatori economici di cui all’art. 27 – bis del “Codice del consumo”) che il medesimo si e’ impegnato a rispettare, ove si tratti di un impegno fermo e verificabile, ed il professionista indichi in una pratica commerciale che e’ regolata dal codice (comma 2°).
Inoltre, sono considerate scorrette sia la pratica commerciale che, riguardando prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori, omette di darne notizia in modo da indurre i consumatori stessi a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza, sia quella che, in quanto suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, può, anche indirettamente, minacciare la loro sicurezza (commi 3° e 4°).
Mentre l’art. 21 regola le pratiche commerciali ingannevoli perché non danno informazioni veritiere o le danno in modo da indurre in errore il consumatore, l’art. 22 disciplina le c.d. “omissioni ingannevoli”, stabilendo che sono considerate ingannevoli, sia pur tenendo conto di tutte le caratteristiche e le circostanze del caso (in primo luogo i limiti tecnici del mezzo di comunicazione impiegato), quelle pratiche commerciali che omettono di fornire informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno nel caso concreto per prendere una decisione commerciale consapevole o la cui omissione è idonea ad indurlo a prendere una decisione che altrimenti non avrebbe preso (1° comma).
Sono considerate omissioni ingannevoli anche quelle pratiche commerciali in cui un professionista “occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti” di cui al capoverso precedente o quando non viene indicato lo scopo commerciale della pratica stessa, qualora questi elementi non risultino in modo evidente dal contesto della relazione fra le parti e quando ciò induca o sia idoneo ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso (2° comma). Inoltre, per decidere se vi è una omissione di informazioni si deve tenere conto in primo luogo delle restrizioni in termini di spazio e di tempo che sono imposte dal mezzo di comunicazione impiegato per trasmetterle nella pratica commerciale e di qualsiasi altra misura adottata dal professionista per rendere disponibili le informazioni rilevanti ai consumatori con altri mezzi (3° comma).
Sono poi considerate rilevanti tutte le informazioni previste dal diritto comunitario e dalle relative norme nazionali di recepimento nelle norme che prevedono obblighi di informazione nelle comunicazioni commerciali[7], compresa la pubblicità o la commercializzazione, cioè tutte le fasi del processo di vendita del prodotto o servizio (comma 5°). Nel caso di un “invito all’acquisto” (cioè, ai sensi della lettera i dell’art. 19, di una comunicazione commerciale indicante le caratteristiche ed il prezzo del prodotto in forme appropriate rispetto al mezzo di comunicazione impiegato e, pertanto, tale da consentire al consumatore di effettuare un acquisto consapevole) sono considerate rilevanti, ai sensi del comma 1°, le informazioni seguenti, qualora non risultino già evidenti dal contesto della relazione commerciale:
a)      le caratteristiche principali del prodotto in misura (spazio, tempo, dimensione del carattere di stampa, ecc.) adeguata al mezzo di comunicazione ed al prodotto stesso;
b)      l’indirizzo geografico e l’identità del professionista, come la sua denominazione sociale e, ove questa informazione sia pertinente, l’indirizzo geografico e l’identità del professionista per conto del quale egli agisce;
c)      il prezzo comprensivo delle imposte o, se la natura del prodotto comporta l’impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo e, se del caso, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali oppure, qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l’indicazione che tali spese potranno essere addebitate al consumatore;
d)     le modalità di pagamento, consegna, esecuzione e trattamento dei reclami qualora queste ultime siano difformi dagli obblighi imposti dalla diligenza professionale;
e)      l’esistenza di un diritto di recesso o di scioglimento del contratto per i prodotti e le operazioni commerciali che comportino tale diritto[8] (4° comma).
 
§ 3) Le pratiche commerciali considerate in ogni caso ingannevoli (art. 23).
Infine, ai sensi dell’art. 23 sono considerate in ogni caso ingannevoli le seguenti pratiche commerciali consistenti nei seguenti comportamenti od attività:
1)      affermazione non rispondente al vero, da parte di un professionista, di essere firmatario di un codice di condotta di cui all’art. 27 – bis del Dlgs 206/2005;
2)      esibire un marchio di fiducia, un marchio di qualità o un marchio equivalente senza aver ottenuto la necessaria autorizzazione dal titolare del marchio;
3)      asserire, contrariamente al vero, che un codice di condotta ha l’approvazione di un organismo pubblico o di altra natura;
4)      asserire, contrariamente al vero, che un professionista, le sue pratiche commerciali od un suo prodotto sono stati autorizzati, accettati o approvati, da un organismo pubblico o privato o che sono state rispettate le condizioni dell’autorizzazione, dell’accettazione o dell’approvazione ricevuta;
5)      invitare all’acquisto di prodotti ad un determinato prezzo senza rivelare l’esistenza di ragionevoli motivi che il professionista può avere per ritenere che egli non sarà in grado di fornire o di far fornire da un altro professionista quei prodotti o prodotti equivalenti a quel prezzo entro un periodo ed in quantità ragionevoli in rapporto al prodotto, all’entità della pubblicità fatta del prodotto ed al prezzo offerti;
6)      invitare all’acquisto di prodotti ad un determinato prezzo e successivamente:
rifiutare di mostrare l’articolo pubblicizzato ai consumatori, oppure
rifiutare di accettare ordini per l’articolo o di consegnarlo entro un periodo di tempo ragionevole, oppure fare la dimostrazione dell’articolo con un campione difettoso, con l’intenzione di promuovere un altro prodotto;
7)      dichiarare, contrariamente al vero, che il prodotto sarà disponibile solo per un periodo molto limitato o che sarà disponibile solo a condizioni particolari per un periodo di tempo molto limitato, in modo da ottenere una decisione immediata e privare i consumatori della possibilità o del tempo sufficiente per prendere una decisione consapevole;
8)      impegnarsi a fornire l’assistenza post-vendita a consumatori con i quali il professionista ha comunicato prima dell’operazione commerciale in una lingua diversa dalla lingua ufficiale dello Stato membro in cui il professionista e’ stabilito e poi offrire concretamente tale servizio soltanto in un’altra lingua, senza che questo sia chiaramente comunicato al consumatore prima del suo impegno a concludere l’operazione;
9)      affermare, contrariamente al vero, o generare comunque l’impressione che la vendita del prodotto e’ lecita;
10) presentare i diritti conferiti ai consumatori dalla legge come una caratteristica propria dell’offerta fatta dal professionista[9];
11) salvo quanto previsto dal Decreto Legislativo n° 177 del 2005, il “Testo unico della radiotelevisione”, e successive modificazioni, impiegare contenuti redazionali nei mezzi di comunicazione per promuovere un prodotto, qualora i costi di tale promozione siano stati sostenuti dal professionista senza che ciò emerga dai contenuti o da immagini o da suoni chiaramente individuabili per il consumatore;
12) formulare affermazioni di fatto inesatte per quanto riguarda la natura e la portata dei rischi per la sicurezza personale del consumatore o della sua famiglia se egli non acquistasse il prodotto;
13) promuovere un prodotto simile a quello fabbricato da un altro produttore in modo tale da fuorviare deliberatamente il consumatore inducendolo a ritenere, contrariamente al vero, che il prodotto e’ fabbricato dallo stesso produttore;
14) avviare, gestire o promuovere un sistema di promozione (e, molto spesso, anche di vendita) a carattere piramidale[10] nel quale il consumatore fornisce un contributo in cambio della possibilità di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall’entrata di altri consumatori nel sistema piuttosto che dalla vendita o dal consumo di prodotti o servizi direttamente od attraverso altri componenti della struttura. Questa norma è particolarmente importante perché porta la tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidali dalla Legge n° 173 del 2005 a quella delle pratiche commerciali scorrette oggi contenuta nel “Codice del consumo” riformato dal Dlgs 146/2005. Infatti, l’art. 5 del Dlgs 146/2007 abroga gli artt. 5, comma 1°, e 7, commi 1° e 2°, della Legge 173/2005 che contenevano le norme originarie di questa forma di tutela dei consumatori, lasciando in vigore solo l’art. 6 di questa Legge che individua gli elementi presuntivi[11] della sussistenza di una struttura di vendita piramidale illecita in quanto pratica commerciale scorretta[12]. Inoltre rimane in vigore il 2° comma dell’art. 5 della Legge 173/2005 che vieta “la promozione e l’organizzazione di tutte quelle operazioni, quali giochi, piani di sviluppo, catene di Sant’Antonio, che configurano la possibilità di un guadagno attraverso il puro e semplice reclutamento di altre persone ed in cui il diritto a reclutare si trasferisce all’infinito previo il pagamento di un corrispettivo”;
15) affermare, contrariamente al vero, che il professionista e’ in procinto di cessare l’attività o traslocare;
16) affermare che alcuni prodotti possono facilitare la vincita in giochi basati sulla sorte;
17) affermare, contrariamente al vero, che un prodotto ha la capacità di curare malattie, disfunzioni o malformazioni;
18) comunicare informazioni inesatte sulle condizioni di mercato o sulla possibilità di ottenere il prodotto allo scopo d’indurre il consumatore all’acquisto a condizioni meno favorevoli di quelle normali di mercato;
19) affermare in una pratica commerciale che si organizzano concorsi o promozioni a premi senza poi attribuire i premi descritti o un equivalente ragionevole;
20) descrivere un prodotto come gratuito o senza alcun onere, se il consumatore deve pagare un supplemento di prezzo rispetto al normale costo necessario per rispondere alla pratica commerciale e ritirare o farsi recapitare il prodotto;
21) includere nel materiale promozionale una fattura o analoga richiesta di pagamento che lasci intendere, contrariamente al vero, al consumatore di aver già ordinato il prodotto;
22) dichiarare o lasciare intendere, contrariamente al vero, che il professionista non agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, o presentarsi, contrariamente al vero, come un consumatore;
23) lasciare intendere, contrariamente al vero, che i servizi post-vendita relativi a un prodotto o servizio siano disponibili in uno Stato membro diverso da quello in cui e’ (o è stato[13]) venduto il prodotto.
 
§ 4) Le pratiche commerciali aggressive.
 
            L’art. 24 del Dlgs 206/2005, sempre riformato dal Dlgs 146/2007, definisce pratiche commerciali aggressive quelle che, nella fattispecie concreta e tenuto conto di tutte le caratteristiche e le circostanze del caso, “mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o ad un indebito condizionamento, limitano o sono idonee a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto (o servizio, o diritto) e, pertanto, lo inducono o sono idonee ad indurlo ad assumere una decisione commerciale[14] che non avrebbe altrimenti preso”.
 
Per determinare se una pratica commerciale comporta, ai fini di queste norme, molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, l’art. 25 stabilisce che vanno presi in considerazione i seguenti elementi:
a.       i tempi, il luogo, la natura o la persistenza di questi comportamenti del professionista;
b.      il ricorso alla minaccia fisica o verbale;
c.       lo sfruttamento da parte del professionista di qualsivoglia evento tragico o circostanza specifica di gravità tale da alterare la capacità di valutazione del consumatore, al fine di influenzarne la sua decisione relativa al prodotto;
d.      qualsiasi ostacolo non contrattuale, oneroso o sproporzionato, imposto dal professionista qualora un consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compresi il diritto di risolvere un contratto o quello di cambiare prodotto o di rivolgersi ad un altro professionista;
e.       qualsiasi minaccia di promuovere un’azione legale ove tale azione sia manifestamente temeraria o infondata.
 
Infine, per l’art. 26 sono considerate in ogni caso aggressive le seguenti pratiche commerciali:
1.      creare l’impressione che il consumatore non possa lasciare i locali commerciali fino alla conclusione del contratto;
2.      effettuare visite presso l’abitazione del consumatore, ignorando gli inviti del consumatore a lasciare la sua residenza o a non ritornarvi, fuorché nelle circostanze e nella misura in cui siano giustificate dalla legge nazionale ai fini dell’esecuzione di un’obbligazione contrattuale;
3.      effettuare ripetute e non richieste sollecitazioni commerciali per telefono, via fax, per posta elettronica o mediante altro mezzo di comunicazione a distanza, fuorché nelle circostanze e nella misura in cui siano giustificate dalla legge nazionale ai fini dell’esecuzione di un’obbligazione contrattuale, fatti salvi l’articolo 58 del Dlgs 206/2005 e l’articolo 130 del Decreto Legislativo 30 n° 196 del 2003 (che prevedono i casi in cui sia stato acquisito dal professionista il consenso preventivo del consumatore all’utilizzo della tecnica di comunicazione a distanza, con alcune eccezioni in cui è sufficiente che egli non si sia dichiarato esplicitamente contrario);
4.      imporre al consumatore che intenda presentare una richiesta di risarcimento del danno in virtù di una polizza di assicurazione di esibire documenti che non possono ragionevolmente essere considerati pertinenti per stabilire la fondatezza della sua richiesta od omettere sistematicamente di rispondere alla relativa corrispondenza, al fine di dissuadere il consumatore dall’esercizio dei suoi diritti contrattuali;
5.      salvo quanto previsto dal Decreto Legislativo n° 177 del 2005, contenente il “Testo unico della radiotelevisione”, e successive modificazioni, includere in un messaggio pubblicitario un’esortazione diretta ai bambini affinché acquistino o convincano i genitori o altri adulti ad acquistare loro i prodotti reclamizzati;
6.      esigere il pagamento immediato o differito o la restituzione o la custodia di prodotti che il professionista ha fornito, ma che il consumatore non ha richiesto, salvo quanto previsto dall’articolo 54, comma 2°, secondo periodo del Dlgs 206/2005;
7.      informare esplicitamente il consumatore che, se non acquista il prodotto o il servizio saranno in pericolo il lavoro o la sussistenza del professionista;
8.      lasciare intendere, contrariamente al vero, che il consumatore abbia già vinto, vincerà o potrà vincere compiendo una determinata azione un premio o una vincita equivalente, mentre in effetti non esiste alcun premio ne’ vincita equivalente oppure che qualsiasi azione volta a reclamare il premio o l’altra vincita equivalente e’ subordinata al versamento di denaro od al sostenimento di costi da parte del consumatore.
 
 
            § 5) La tutela dei consumatori contro le pratiche commerciali scorrette.
 
            Sin dal 1992, in forza del Decreto Legislativo n° 74, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (c.d. “Autorità Antitrust”), istituita dalla Legge n° 287 del 1990, è l’organo incaricato dell’applicazione della disciplina, contenuta nello stesso Decreto, in materia di pubblicità ingannevole e, dal 2000, in forza del Decreto Legislativo n° 67, di quella in materia di pubblicità comparativa. Oggi queste sue competenze sono confermate ed estese a tutte le pratiche commerciali scorrette rivolte ai consumatori[15] dal Dlgs 146/2007 che ha riformato l’art. 27 del Dlgs 206/2005.
            L’Autorità Antitrust, nel caso di pratiche commerciali scorrette rivolte ai consumatori si può attivare sia d’ufficio, sia a seguito di una istanza (denuncia) di parte (art. 27, 2° comma) che può essere effettuata da “ogni soggetto od organizzazione che ne abbia interesse”, cioè:
a)      singoli consumatori (come si ricava dal termine “soggetto”, cioè persona fisica);
b)      associazioni di consumatori (tutte e non solo quelle rappresentative a livello nazionale inserite nell’elenco tenuto dal Ministero delle Attività Produttive di cui all’art. 137 del Dlgs 206/2005 e che fu istituito dall’art. 5 della Legge n° 281 del 1998, oggi abrogata dallo stesso Decreto);
c)      imprese concorrenti di quelle che effettuano queste pratiche commerciali scorrette, soprattutto qualora esse siano suscettibili di raggiungere e danneggiare non un singolo, ma una pluralità di consumatori (come, per esempio, le pratiche della pubblicità ingannevole e comparativa illecita);
d)     ogni Pubblica Amministrazione che ne ha interesse in relazione ai propri fini istituzionali (come, per esempio, il Ministero delle Attività Produttive, già dell’Industria, od una Camera di Commercio, ma anche una Regione od una Provincia od un Comune), anche su denuncia o segnalazione del pubblico (cittadini, imprese, associazioni di consumatori).
Questo elenco di soggetti, oggi sintetizzato nell’espressione “ogni soggetto od organizzazione che ne abbia interesse” del 2° comma dell’art. 27, altro non è che quello, più dettagliato, che era riportato dall’originale ed oggi abrogato 2° comma dell’art. 26 del “Codice del consumo”, il Dlgs 206/2005.
L’Autorità Antitrust si avvale dei poteri investigativi ed esecutivi che le derivano dal Regolamento CE n° 2006 del 2004 sulla cooperazione fra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori e può farlo anche in relazione alle infrazioni non transfrontaliere, dato che il suo intervento è indipendente dal fatto che i consumatori interessati si trovino nel territorio dello Stato membro dell’Unione Europea in cui è stabilito il professionista che opera con pratiche commerciali scorrette od in un altro Stato membro (sempre 2° comma dell’art. 27)
 
            La denuncia, da cui parte l’istruttoria dell’Autorità, deve contenere i dati identificativi del denunciante (non sono ammissibili denunce anonime), la copia o, se questa non può essere allegata, l’indicazione puntuale della pratica commerciale denunciata ed i motivi per i quali la si ritiene scorretta ai sensi del Dlgs 206/2005 riformato dal Dlgs 146/2007.
            L’indirizzo a cui inviare la denuncia in carta semplice con raccomandata con avviso di ricevimento è: Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – Piazza G. Verdi, 6/A – 00198 ROMA. La denuncia od, almeno, la segnalazione di una pratica commerciale ritenuta scorretta può essere fatta anche al numero verde 800 – 1 – 6666 – 1, attivo dal Lunedì al Venerdì, dalle ore 10,00 alle ore 14,00.
Nel caso di pubblicità ingannevole o comparativa illecita l’Autorità Antitrust può richiedere la copia del messaggio pubblicitario ingannevole o illecito all’operatore pubblicitario od al proprietario del mezzo di diffusione, avvalendosi, nel caso di inottemperanza di questi, dei poteri previsti dall’art. 14, commi 2°, 3° e 4° della Legge n° 287 del 1990, per ottenerlo coattivamente.
            Inoltre, per lo svolgimento di questi suoi compiti l’Autorità Antitrust può avvalersi della Guardia di Finanza che agisce con i poteri ad essa attribuiti per gli accertamenti dell’IVA, dell’IRPEF e  dell’IRES (2° comma dell’art. 27 del Dlgs 206/2005). Questa norma comporta un grande potenziamento dell’attività di indagine e di accertamento dell’Autorità, che, prima e per la sola pubblicità ingannevole e comparativa illecita, poteva avvalersi soltanto del proprio personale.
 
            Se l’Autorità accerta la scorrettezza della pratica commerciale, può imporre con decisione motivata al professionista il divieto di diffondere o di continuare la diffusione di essa e, per eliminare gli effetti prodotti dalla stessa pratica, l’obbligo di rendere pubblica la decisione dell’Autorità (anche per estratto) a sue spese a mezzo stampa, oppure attraverso la radio o la televisione, nonché, eventualmente, attraverso la diffusione di un’apposita dichiarazione di rettifica. A questi provvedimenti si aggiunge una sanzione amministrativa pecuniaria, che, tenuto conto della gravità e della durata della violazione, può andare da 5.000 a 500.000 Euro e che, nel caso la pratica commerciale scorretta possa comportare un pericolo per la salute o la sicurezza dei consumatori oppure sia rivolta a bambini e adolescenti, non può essere inferiore a 50.000 Euro (art. 27, commi 2°, 8° e 9°).
            Nelle more del procedimento, l’Autorità può disporre con provvedimento motivato la sospensione provvisoria della pratica commerciale scorretta in caso di particolare urgenza (art. 27, comma 3°).
            Nei casi riguardanti comunicazioni commerciali (pubblicità od altro) inserite sulle confezioni di prodotti, l’Autorità, nell’adottare i provvedimenti indicati nei commi 3° ed 8° dell’art. 27, assegna per l’esecuzione di essi un termine che tenga conto dei tempi tecnici necessari per l’adeguamento (comma 10°).
 
            Ad eccezione dei casi di manifesta scorrettezza e gravità l’Autorità può non procedere all’accertamento dell’infrazione se ottiene dal professionista responsabile della pratica commerciale scorretta il suo idoneo impegno a porre fine all’infrazione, cessando la diffusione della stessa o modificandola in modo da eliminare i motivi della sua illegittimità. In tal caso, l’Autorità può anche obbligare il professionista alla pubblicazione a sue spese della dichiarazione di assunzione dell’impegno in questione (art. 27, comma 7°).
 
            Se il proprietario del mezzo di comunicazione (televisione, radio, giornale, periodico, ecc.) non fornisce all’Autorità Antitrust tutti i dati in suo possesso per identificare il committente della pubblicità ingannevole o comparativa illecita  o se chiunque ne sia richiesto sempre dall’Autorità non fornisce le informazioni o i documenti domandati[16], comprese le prove dell’esattezza materiale dei dati di fatto connessi alla pratica commerciale contestata, essa gli applica una sanzione amministrativa pecuniaria che può andare da 2.000 a 20.000 Euro e, nel caso di fornitura di informazioni o documentazioni non veritiere[17], da 4.000 a 40.000 Euro (art. 27, commi 4° e 5°).
            Infine, se i provvedimenti d’urgenza e le decisioni inibitorie o di rimozione degli effetti della pratica commerciale scorretta dell’Autorità Antitrust o gli impegni di cui al comma 7° non vengono rispettati dal professionista, l’Autorità gli applica una sanzione amministrativa pecuniaria che va da 10.000 a 150.000 Euro e, nel caso di reiterata violazione di questi provvedimenti o decisioni od impegni, essa può disporre la sospensione dell’attività di impresa per un periodo non superiore a 30 giorni (comma 12°).
            Il pagamento delle sanzioni amministrative pecuniarie previste nell’art. 27 deve avvenire entro 30 giorni dalla notifica del provvedimento dell’Autorità al destinatario (comma 13°).
 
            Il procedimento istruttorio che l’Autorità deve seguire nei casi di pubblicità ingannevole e comparativa e che deve garantire “il contraddittorio fra le parti, la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione” (art. 27, comma 11°) per le pratiche di pubblicità ingannevole e comparativa illecita è oggi ancora disciplinato dal DPR n° 284 del 2003[18], il cui art. 2 elenca i contenuti della denuncia e le modalità in cui deve essere prodotta la copia del messaggio pubblicitario. Dell’avvio dell’istruttoria si deve sempre dare notizia al professionista interessato (cioè, nel caso di pubblicità scorretta, al suo committente), e, se questi non è conosciuto, l’Autorità può richiederne l’identità al proprietario del mezzo di comunicazione che ha diffuso la pratica commerciale[19]. Inoltre, essa può richiedere a qualsiasi soggetto che ne sia in possesso le informazioni ed i documenti rilevanti per l’accertamento dell’infrazione (art. 27, comma 3°).
Nel corso del procedimento l’Autorità può invertire l’onere della prova disponendo che sia il professionista che si è avvalso della pratica commerciale contestata e non il denunciante a fornire le prove dell’esattezza materiale dei dati di fatto connessi a tale pratica se tale esigenza risulti giustificata dalle circostanze del caso specifico e ciò non leda i diritti e gli interessi legittimi del professionista o di qualsiasi altra parte del procedimento. Se la prova richiesta è omessa o ritenuta insufficiente, i dati di fatto dovranno essere considerati inesatti e la pratica commerciale sarà considerata scorretta (comma 5°).
 
Contro la decisione dell’Autorità Antitrust si può ricorrere esclusivamente al Giudice Amministrativo (comma 13°). In particolare, qualora la pratica commerciale sia stata assentita con un provvedimento amministrativo avente per oggetto anche la verifica del carattere non scorretto della stessa, la tutela dei soggetti e delle organizzazioni che vi abbiano interesse è esperibile in via giurisdizionale con ricorso al Giudice Amministrativo avverso il predetto provvedimento (comma 14°).
 
            E’ fatta salva la competenza del Giudice Ordinario per quanto riguarda il risarcimento del danno causato dalla pratica commerciale scorretta, per esempio, se questa configura un caso di concorrenza sleale a norma dell’art. 2598 del Codice Civile o di violazione della disciplina del diritto d’autore (Legge n° 633 del 1941 e successive modificazioni) o del marchio di impresa (Decreto Legislativo n° 30 del 2005) o delle denominazioni di origine riconosciute e protette in Italia e di altri segni distintivi di imprese, beni e servizi concorrenti. Inoltre è fatta salva la competenza per quel che riguarda tutti gli altri provvedimenti (per esempio, inibitori) che lo stesso Giudice Ordinario può adottare in questi casi (comma 15°).
 
            L’Autorità Antitrust, quando si occupa di pratiche commerciali scorrette può avere rapporti con altre Autorità Indipendenti di garanzia: in particolare, collabora, secondo quanto stabilito dalla legge, con l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (istituita dalla Legge n° 249 del 1997 e prima Garante per la Radiodiffusione e l’Editoria), che, al termine dell’istruttoria svolta dall’Autorità Antitrust e prima della sua decisione, deve esprimere il proprio parere non vincolante sulla correttezza o meno delle pratiche commerciali diffuse a mezzo stampa, radio, televisione o altro mezzo di telecomunicazione (comma 6°).
 
      Infine, l’eventuale ricorso delle parti (consumatori, concorrenti e loro associazioni ed il professionista che si avvale della pratica commerciale contestata) ad un organismo volontario ed autonomo di autodisciplina, volto ad inibire la continuazione della pratica commerciale, può portare, se entrambe le parti lo convengono, ad una sospensione del procedimento avviato presso l’Autorità Antitrust, su decisione di essa, della durata massima di trenta giorni in attesa della pronuncia dell’organismo di autodisciplina. Il ricorso all’organismo di autodisciplina può essere fatto anche in via preventiva rispetto a quello all’Autorità Antitrust ed il suo esito non pregiudica il ricorso a quest’ultima od al Giudice competente ai sensi dell’art. 27 (art. 27 – ter).
      Questi organismi autonomi di autodisciplina sono quelli che hanno il compito di far rispettare i codici di condotta che le associazioni o le organizzazioni imprenditoriali e professionali possono adottare in relazione ad una o più pratiche commerciali o ad uno o più settori imprenditoriali specifici e che definiscono il comportamento dei professionisti che si impegnano a rispettare tali codici con l’indicazione del soggetto responsabile o dell’organismo incaricato del controllo della loro applicazione.
Tali codici devono essere accessibili dal consumatore anche per via telematica, vanno redatti in lingua italiana ed inglese, devono garantire almeno la protezione dei minori e la dignità umana, essere diffusi presso gli operatori del settore e della loro esistenza ed applicabilità nel caso concreto[20] il professionista deve informare preventivamente il consumatore, quindi, almeno prima della conclusione del contratto (art. 27 – bis).
 
L’Autorità Antitrust e le associazioni od organizzazioni imprenditoriali e professionali che adottano i codici di condotta di cui all’art. 27 – bis comunicano periodicamente al Ministero dello Sviluppo Economico[21] le decisioni adottate ai sensi degli artt. 27 e 27 – ter del Dlgs 206/2005 riformato dal Dlgs 146/2007 sulle pratiche commerciali scorrette verso i consumatori e questo provvede a diffonderle, almeno in forma sintetica ed assieme alle altre informazioni utili ai consumatori che vogliano tutelarsi rispetto alle pratiche commerciali che ritengono scorrette, sul proprio sito web: www.sviluppoeconomico.gov.it (art. 27 – quater).
 
Infine, l’art. 2 del Dlgs 146/2007, modificando l’art. 57 del Dlgs 206/2005 e l’art. 14 del Decreto Legislativo n° 190 del 2005, qualifica come pratiche commerciali scorrette le forniture non richieste dal consumatore (per le quali questo non è tenuto a nessuna prestazione corrispettiva, in primo luogo il pagamento del prezzo, e per le quali l’assenza di risposta del consumatore non implica il suo consenso) previste dalla disciplina dei contratti a distanza, compresi quelli che hanno per oggetto servizi finanziari[22], e da quella dei contratti negoziati fuori dai contratti commerciali. Pertanto, anche ad esse si applica la disciplina di cui agli articoli da 18 a 27 – quater del Dlgs 206/2005 riformati dal Dlgs 146/2007.
 
 
                                                                                                           Gianfranco Visconti
 
Consulente di direzione aziendale
 


[1] Dalla lettera b) dell’art. 18 del Dlgs 206/2005 riformato dal Dlgs 146/2007.
[2] Qualche problema di coordinamento può, invece, porsi con le norme contenute nel Decreto Legislativo n° 122 del 2005 sulla tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire che non derivano dal recepimento di norme comunitarie ma dalla Legge Delega n° 210 del 2004.
[3] Per “diligenza professionale” si intende il normale grado della specifica competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori si attendono da un operatore economico professionale (impresa o libero professionista) sulla base dei principi generali di correttezza e di buona fede nei rapporti contrattuali, la c.d. “buona fede oggettiva” (lettera h dell’art. 18).
[4] La “decisione di natura commerciale”, pertanto, può tradursi nel compiere un’azione (commissiva) o nell’astersi dal compierla (omissiva).
[5] Per esempio, in franchising (contratto regolato dalla Legge n° 129 del 2004).
[6] Dall’art. 21 si deduce che esso oggi tutela i consumatori contro la pubblicità ingannevole, assieme agli artt. 22, 23 e 27 del Dlgs 206/2005 riformati dal Dlgs 146/2007. Il Decreto Legislativo n° 145 del 2007 tutela, invece, i professionisti dalla pubblicità ingannevole o comparativa illecita di altri professionisti (art. 1° del Dlgs 145/2007).
[7] Pensiamo, per esempio, agli obblighi di informazione di cui agli artt. 47 (contratti negoziati fuori dai locali commerciali), 52 (contratti a distanza), , 70 (acquisto di multiproprietà), 86, 87 ed 88 (servizi turistici) del “Codice del consumo” (Dlgs 206/2005), tutte norme, in origine, di derivazione comunitaria.
[8] Si veda, per esempio, il diritto di recesso previsto dagli artt. 47 (contratti negoziati fuori dai locali commerciali), 64 – 67 (contratti a distanza), 73 (acquisto di multiproprietà), 90 – 92 (servizi turistici) del “Codice del consumo” (Dlgs 206/2005).
[9] Per esempio (caso classico), i diritti derivanti dalle garanzie della vendita di beni mobili di cui agli artt. 128 e seguenti del “Codice del consumo” (Dlgs 206/2005).
[10] Sono, questi, i sistemi c.d. di “multi level marketing” o “marketing multilivello”.
[11] E’ questa, secondo noi, una “presunzione relativa”, cioè a cui è possibile dare una prova contraria, ai sensi degli artt. 2727 e 2728 del Codice Civile.
[12] Questi elementi presuntivi sono i seguenti:
1)      l’eventuale obbligo del soggetto reclutato di acquistare dall’impresa organizzatrice, ovvero da un altro componente della struttura, una rilevante quantità di prodotti senza che sia previsto il diritto alla restituzione del prezzo dei beni ancora vendibili, in misura non inferiore al 90 per cento del costo originario, nel caso di mancata o parzialmente mancata vendita al pubblico;
2)      l’eventuale obbligo del soggetto reclutato di corrispondere, all’atto del reclutamento e comunque quale condizione per la permanenza nell’organizzazione, all’impresa organizzatrice o ad un altro componente della struttura, una somma di denaro o titoli di credito (cambiali, assegni, ecc.) od altri valori mobiliari e benefici finanziari in genere di rilevante entità ed in assenza di una reale controprestazione;
3)      l’eventuale obbligo del soggetto reclutato di acquistare, dall’impresa organizzatrice o da un altro componente della struttura, materiali, beni o servizi, compresi materiali didattici e corsi di formazione, non strettamente inerenti e necessari alla attività commerciale in questione e comunque non proporzionati al volume  dell’attività svolta (cioè alla quantità od al numero dei beni e/o dei servizi venduti).
[13] Dal momento che queste norme tutelano il consumatore lungo tutto l’arco della relazione o pratica commerciale intrattenuta col professionista.
[14] La definizione di “decisione commerciale” è riportata nel primo paragrafo di questo studio.
[15] Identificate, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, dagli artt. 21 – 26 del Dlgs 206/2005 riformati dal Dlgs 146/2007.
[16] Sempre che non vi sia un giustificato motivo per la mancata fornitura delle informazioni o dei documenti all’Autorità Antitrust.
[17] Quindi anche soltanto inesatte.
[18] L’Autorità Antitrust deve ancora emanare un nuovo regolamento su questa materia, come previsto sempre dal comma 11° dell’art. 27 del Dlgs 206/2005 riformato dal Dlgs 146/2007.
In attesa di questo nuovo regolamento, riteniamo che al procedimento istruttorio per l’accertamento della scorrettezza delle pratiche commerciali di cui agli attuali artt. 21 – 26 del Dlgs 206/2005 si possano applicare, per analogia con le pratiche di pubblicità ingannevole e comparativa sleale, le norme del DPR 284/2003.
[19] Che, se non la fornisce, incorre nelle sanzioni amministrative pecuniarie citate in precedenza.
[20] In quanto il professionista ha aderito al codice di condotta.
[21] Già Ministero dell’Industria e poi Ministero delle Attività Produttive.
[22] Espressione sintetica in cui rientrano tutti i servizi bancari, finanziari, creditizi, di pagamento, di investimento, assicurativi e di previdenza individuale (art. 2, lettera b, del Dlgs 190/2005).

Visconti Gianfranco

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