Valutazioni primarie e giudizi di valore, ovvero Theodor Geiger e la barba dell’imperatore, dalla Comunità di valori al disorientamento dei valori

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Si potranno abituare gli uomini ad adorare una sola immagine: essi avranno pur sempre mille dei”.(468, T. Geiger, La barba dell’imperatore, in Saggi sulla società industriale, UTET, 1970).

Per Weber “non è possibile definire un gruppo politico – e neppure lo stato – indicando lo scopo del suo agire di gruppo”, in quanto vi sono scopi perseguiti da tutti e ogni scopo è stato già oggetto di attenzione, la definizione può avvenire solo attraverso il mezzo usato, che per lo stato è la rivendicazione monopolistica dell’uso della forza (P. Rossi, Weber e Hegel, 269, in Max Weber. Una idea di Occidente, Donzelli ed.. 2007), si pone comunque il problema dei valori su cui l’agire poggia, la loro pretesa di validità universale e la necessità di una loro scelta, nonché la valutazione razionale di essi, che questo dovrebbe comportare.

Geiger osserva che “dietro ai giudizi di valore si celano i nostri rapporti emotivi e volitivi con gli oggetti del nostro ambiente, con gli eventi che osserviamo a cui siamo esposti, le nostre rappresentazioni di condizioni che desideriamo promuovere o evitare”, designa questi rapporti emotivi come valutazioni primarie, atti fondamentali nella catena di valutazioni che è la nostra vita quotidiana, i giudizi di valore che su queste valutazioni si fondano sono per lo più soggettivi ma vengono trasformati in oggettivi, quali enunciati valutativi giudicanti di una precisa qualità dell’oggetto. (T. Geiger, Saggi sulla società industriale, 449-452, UTET, 1970), il giudizio ne è rafforzato se risulta generalizzato nell’ambiente, tali reazioni risultano inoltre particolarmente forti se riguardano non tanto gusti o aspetti estetici, bensì valutazioni morali fondamentali nei rapporti sociali, dove sanzioni e premi vengono a consolidare il giudizio.

Vi è, secondo Geiger, una fondamentale impossibilità di conoscenza dei valori, essendo i valori non oggetto del conoscere, “bensì contenuti della conoscenza” (456, Cit.), la corrispondenza si ha solo in un rapporto fondato sulla fede non esistendo una corrispondenza oggettiva, solo “la unanimità sociale di chi giudica fa credere alla veridicità oggettiva del giudizio” (456, Cit.), tuttavia una volta persa l’innocenza teoretica-conoscitiva questa non si ristabilisce, mentre nelle valutazioni primarie vi è l’accettazione della discordanza, nelle idee di valore interviene l’assolutizzazione dell’idea, l’impossibilità della discordanza nella socializzazione di massa dei valori; nel frantumarsi della unitarietà sociale nasce un conflitto oggettivo obbligato dall’idea di valore stesso, circostanza che conduce al necessario rafforzarsi di una oggettivazione del valore.

Riunendosi nel pathos di una causa comune questa acquista una natura bellicosa, l’idea di valore diventando assoluto esprime un significato positivo tale da esistere come rappresentazione del “bene” in contraltare al “male”, quest’ultimo diventa volontà o azione negativa rispetto ad una Legge di per sé buona segnalata linguisticamente, esteticamente affascinante ma solo come forma perché ontologicamente ottuso il “male” viene quindi a personificarsi ( E. de Concilis, Budrillard e intelligenza del Male,67-91 in La plurivocità del male, a cura di A. Meccariello, Aracne, 2009), nel valore è insita la richiesta normativa che in una società frammentata può diventare conflittuale, socializzazioni di sentimenti di valore in conflitto tra loro, ma sono i simboli che li raccolgono in quanto permettono le identificazioni delle diverse interpretazioni dello stesso valore in un unico essere, una identità che diventa compatta.

Geiger nel sottolineare la necessità delle libere valutazioni pone al contempo l’accento sulla pericolosità dei valori, del suo trasformarsi in un culto collettivo, nel rischio della contraddizione tra razionalità dei mezzi e irrazionalità estatica, del pericolo dei passaggi da una esaltazione all’altra, da un opposto all’altro, dall’accettazione pura e dal suo rifiuto nella delusione, occorre pertanto “intellettualizzare l’uomo, si che sappia fronteggiare la propria tecnica e il proprio apparato esistenziale razionale” (479, Geiger, cit.).

Se nel campo etico-politico non ci sono “né verità assolute, né verità relative e parziali, perché i predicati vero/falso sono fuori luogo. Ci sono scelte”. (102, P. Flores D’Arcaix, Addio alla verità? Addio all’essere!, in Micro Mega.  Almanacco di filosofia,5/2011), non per questo si può rinunciare alla verità sui fatti, come ci ricorda Flores D’Arcais, se non si vuole sprofondare in un nichilismo autodistruttivo,  i valori nascono da libere valutazioni sui fatti, dall’umanesimo che è nell’uomo, quello che lo stesso Geiger chiama “umanesimo intellettuale”, l’uso distorto distruttivo, dei valori fa sì che questi vengano visti come qualcosa di negativo, ma è nell’essere umano la necessità di avere valori, è la correttezza in termini di relazioni umane che li rendono positivi o negativi.

E’ in quello che Alberoni chiama lo stato nascente che l’individuo scopre di possedere diritti fondamentali, dal consolidarsi nelle istituzioni del magma ribollente del movimento, “Essi , perciò, nascono come sintesi storica del superamento delle contraddizioni che hanno generato la rivolta dello stato nascente, dell’esigenza di reciprocità e del rispetto di ciò che è essenziale in quel momento . Essi sono dei limiti posti al sistema esterno, respinto nelle sue ingiuste pretese, ma anche limiti alle richieste totalitarie del sistema interno” (243, F. Alberoni, Genesi, Garzanti, 1989), non possono pertanto non esservi valori debitamente valutati essendo sempre possibile la menzogna, il male quale misto di verità che si evidenzia e scopre solo nel momento del suo assolutizzarsi, l’arbitrio può risiedere quindi anche nella rivendicazione pluralistica e conflittuale di diritti trasformati nell’abuso. (R. De Monticelli).

La legge che i valori impongono è di per sé ambivalente in quanto da una parte è condizione dell’esistenza umana, ma dall’altra limitazione all’esistenza stessa, tuttavia, osserva Kraucer, la stessa trasgressione è doppia potendo essere tensione verso il possibile o semplice adesione alle potenze pulsionali, la normazione dei valori può quindi risolversi nella semplice messa al bando di quello che è superiore, ma questo doppio essere è insito nella legge stessa che raccoglie in sé sia la violenza fondatrice che dell’esistere, in quanto rapporto il quale può diventare ambiguo con il “male”, così che il “bene” ha bisogno del “male, per manifestarsi, lo stesso rapporto i valori identificativi hanno con la trasgressione, vi è comunque sempre alla base l’ambivalenza della libertà (V. Cuomo, Il detective e la singolarità del crimine, in La plurivocità del male, a cura di A. Meccariello, Aracne, 2009).

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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