Usura

Redazione 18/11/19
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Come è noto, l’autonomia contrattuale, e più in generale l’autonomia privata, sono soggette ad alcuni limiti posti dall’ordinamento giuridico, derivanti dal rispetto delle norme imperative e dalle clausole generali dell’ordinamento quali l’ordine pubblico e il buon costume, nonché la buona fede; un ulteriore limite è costituito dalla tutela che l’ordinamento riconosce al terzo.

La disciplina dell’usura

La legge n. 108/1996, ad esempio, rappresenta un limite all’autonomia delle parti vincolando le stesse a pattuire gli interessi al di sotto di una determinata soglia prevista per legge, pena la nullità della clausola. La disciplina dell’istituto giuridico dell’usura, modificato sensibilmente con la succitata L. n. 108/1996 prima e con il D.L. n. 70/2011 poi, appare particolarmente complessa nell’ordinamento italiano in quanto alle disposizioni di diritto civile, le quali individuano le conseguenze, in termini di rimedi/sanzioni derivanti dalla natura usuraria del contratto, si affiancano quelle di diritto penale.

Dal punto di vista penalistico, la L. n. 108/1996 ha modificato l’art. 644, comma 1, c.p., eliminando l’elemento dello stato di bisogno o di difficoltà economico-finanziaria dalla struttura del reato di usura. Affinché sussista il reato di usura, infatti, è sufficiente che si realizzi la semplice promessa, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, di interessi o altri vantaggi usurari, a prescindere dall’esistenza dell’elemento soggettivo dell’approfittamento dello stato di bisogno altrui il quale rileva ora unicamente quale circostanza aggravante.

Da un punto di vista civilistico, invece, la materia risulta essere normata dal secondo comma dell’articolo 1815 del Codice Civile, quest’ultimo modificato con la L. n. 108/1996. In particolare la clausola contenente la pattuizione di interessi usurari è sanzionata con la nullità: nessun interesse è dovuto all’istituto bancario (laddove invece la previgente disposizione prevedeva la nullità della clausola e la debenza degli interessi nella sola misura legale), con la conseguenza che la sussistenza di una clausola che prevede interessi usurari determina la conversione del contratto di mutuo a titolo oneroso in contratto a titolo gratuito. Appare evidente come nella logica di un necessario contemperamento di interessi, il legislatore abbia inteso fare prevalere il principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost. rispetto a quello della libera iniziativa economica dei privati (art. 41 Cost).

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Gli interessi usurari

L’art. 1815, comma 2, c.c., facendo riferimento agli interessi usurari convenuti, trova sicura applicazione alle ipotesi di usura originaria e cioè a quelle ipotesi nelle quali le parti hanno determinato l’ammontare del tasso di interesse (usurario) nella fase di stipulazione del contratto. Nulla, invece, stabilisce con riguardo ai casi di usura sopravvenuta, ai casi, cioè, nei quali il superamento del tasso soglia si determina in un momento successivo rispetto a quello di genesi del contratto.

Le decisioni della Suprema Corte a Sezioni Uniti

Con decisione n. 16303/2018, le Sezioni Unite hanno stabilito che il giudizio in punto di usurarietà si basa sul raffronto tra un dato concreto (lo specifico TEG applicato nell’ambito del contratto oggetto di contenzioso) e un dato astratto (il TEGM rilevato con riferimento alla tipologia di appartenenza del contratto in questione), sicché – se detto raffronto non viene effettuato adoperando la medesima metodologia di calcolo – il dato che se ne ricava non può che essere in principio viziato: c.d. principio di simmetria/omogeneità di confronto. In altra circostanza, le Sezioni Unite hanno altresì escluso la configurabilità della c.d. usura sopravvenuta, affermando che “allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della Legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula

Con la sentenza 17 ottobre 2019, n. 26286 la Suprema Corte di Cassazione statuisce importanti principi di diritto in materia di rapporti bancari, affrontando sia la questione relativa al possibile cumulo tra interessi corrispettivi e moratori, ai fini del raggiungimento del tasso anti-usura, sia quella inerente la valenza e gli effetti della c.d. “clausola di salvaguardia”, spesso inserita nei contratti stipulati con gli istituti di credito.

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