La consulenza tecnica d’ufficio non può esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume

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Il Tribunale di Avellino, in persona della dott.ssa Valentina Pierri, con la sentenza n. 345 depositata il 22 febbraio 2017,  adeguandosi ad una giurisprudenza ormai consolidata, ha rigettato la domanda proposta da una società correntista della banca e dal suo fideiussore, per difetto di prova documentale.

 

Gli attori contestano alla banca di aver applicato, in forza di clausole contrattuali nulle, ai contratti di conto corrente in essere tra le parti, la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, nonché commissioni e spese indebite e chiedono, pertanto, di accertare e rideterminare il saldo preteso dall’istituto di credito.

 

Il giudice sottolinea che, la giurisprudenza di legittimità ha recentemente ribadito che, in tali ipotesi, l’attore secondo i canoni comuni sanciti dall’art. 2697 c.c., ha l’onere di provare i fatti che costituiscono il fondamento del diritto e deve versare agli atti del processo tutta la documentazione utile a consentire di accertare correttamente l’ammontare della azionata pretesa restitutoria, peraltro, già inviata dall’Istiuto di credito al correntista (ex multis Cass., 7 maggio 2015, n. 9201).

 

Ma, nel giudizio de quo, gli attori  non hanno depositato tutti gli estratti conto, tant’è che il Tribunale sottolinea che “parte attrice non ha assolto in maniera sufficiente all’onere probatorio su di essa incombente, in quanto ha allegato solo una scarna documentazione contabile (pochi estratti conto)   afferente ai    rapporti contestati,   limitandosi ad instare, sin   dall’atto  di citazione, per la emanazione di un ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. nei confronti della banca convenuta”.

 

La particolarità della causa consiste nel fatto che nel corso del giudizio l’ordine di esibizione era invece stato disposto, contrariamente a quello che è ormai l’orientamento giurisprudenziale consolidato,  da un precedente Giudice rispetto all’estensore della sentenza.

 

Ebbene, il Tribunale di Avellino, re melius perpensa, ha considerato inammissibile l’istanza istruttoria spiegata da parte attrice ex art. 210 c.p.c., sia perché afferente a documenti ad essa direttamente accessibili, sia perché formulata  in modo generico, rammentando come l’ordine di esibizione debba riguardare documenti che siano specificamente indicati dalla parte richiedente, dei quali sia noto, o almeno assertivamente indicato, un preciso contenuto, influente per la decisione della causa, che come tali risultino indispensabili al fine della prova dei fatti controversi, che concernano fatti o elementi la cui prova non sia acquisibile aliunde.

 

Il giudice ha quindi ritenuto che uno strumento residuale e ufficioso  quale è l’ordine di esibizione, non può avere fini meramente esplorativi perché ciò urta  contro quanto disposto dall’art. 94 disp. att. c.p.c., e dall’art. 117 del D.Lgs. n. 385 del 1993.

 

Inoltre, in base a quanto previsto dall’art. 119 del suddetto decreto, il diritto del cliente di ottenere dalla banca la consegna di copia della documentazione relativa alle operazioni dell’ultimo decennio, si configura come un diritto sostanziale la cui tutela è riconosciuta come situazione giuridica finale e non strumentale.

 

Dalla inammissibilità processuale dell’invocato ordine di esibizione della documentazione contabile inerente ai due rapporti contestati, consegue la mancanza in atti, secondo il giudice, alla scadenza dei termini concessi a norma dell’art. 183 comma 6 c.p.c., di documentazione sufficiente alla ricostruzione dei rapporti controversi e la conseguente inammissibilità ex post della disposta consulenza tecnica d’ufficio (che sarebbe parimenti esplorativa).

 

In altri termini, secondo il Tribunale di Avellino, si è dato ingresso ad un inammissibile aggiramento della sopravvenuta decadenza della parte attraverso una sorta di “delega in bianco” al CTU per l’acquisizione del materiale istruttorio necessario alla verifica della fondatezza della domanda, colpevolmente non prodotto nei termini perentori di cui all’art. 183 comma 6 c.p.c. dalla parte che ne aveva interesse”.

 

Da tanto discende la dichiarazione di inutilizzabilità della documentazione acquisita dal CTU nel corso delle operazioni peritali ai fini della decisione, palesandosi la predetta attività acquisitiva come una chiara violazione dei criteri distributivi dell’onere probatorio,

 

La funzione della consulenza tecnica d’ufficio è infatti quella di fornire all’attività valutativa del giudice l’apporto di cognizioni tecniche che questi non possiede e non certo quella di esonerare una parte dalla prova anche documentale dei fatti dedotti e della quale è onerata: la conseguenza è che la consulenza tecnica d’ufficio non può essere disposta al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è, pertanto, legittimamente negata dal giudice se la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerta di prove ovvero a compiere un’attività esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati.

Sulla base di quanto sopra esposto il Tribunale di Avellino ha rigettato le domande formulate dagli attori.

 

Sentenza collegata

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Avv. De Luca Maria Teresa

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