Sequestro preventivo: annullato per difetto di querela dell’incapace (Cass. pen. n. 19180/2013)

Redazione 03/05/13
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Osserva

Con ordinanza del 3 maggio 2012, il Tribunale di Ragusa in sede di riesame ha confermato il decreto di sequestro preventivo di vari cespiti immobiliari oggetto di divisione ereditaria nei confronti di N. G., in riferimento al reato di circonvenzione del fratello N. A..
Propone ricorso per cassazione il difensore di N. G. il quale dopo ampia narrativa della vicenda concernente la divisione dei beni fra i due fratelli e del valore sostanzialmente equivalente delle relative quote, e dell’iter del procedimento, deduce violazione di legge in riferimento ali’art. 649 cod. pen., e conseguente nullità del provvedimento cautelare, in quanto nella specie il reato non sarebbe procedibile ai sensi del secondo comma dell’art. 649 cod. pen., per difetto di querela. Si contesta infatti la diversa tesi del Tribunale fondata su pronunce non riferibili al caso di specie, trattandosi non di sequestro probatorio ma di sequestro preventivo. Si lamenta poi totale carenza di motivazione in ordine al fumus ed al periculum, in quanto il Tribunale si sarebbe limitato a fare riferimento in modo acritico alla denuncia, senza tener conto dei rilievi del ricorrente e senza verificare la antigiuridicità del fatto, stante una precedente procura generale rilasciata dal fratello prima dell’ictus, e tenuto conto del valore effettivo dei cespiti cui si è riferita la divisione.
Con successiva memoria, la difesa dell’indagato ha ulteriormente ribadito e puntualizzato le già rassegnate conclusioni, mettendo in luce le differenze tra sequestro probatorio e sequestro preventivo.
Il ricorso è fondato, in quanto il provvedimento di sequestro preventivo è stato adottato e mantenuto in sede di riesame, facendo leva su una giurisprudenza di questa Corte peraltro circoscritta al profilo della non conferenza del tema del difetto di una condizione di procedibilità per mancanza di querela, prospettato in sede di riesame del sequestro probatorio. Questa Corte ha infatti avuto modo di affermare che il sequestro probatorio, essendo un mezzo di ricerca della prova, non presuppone un accertamento dell’esistenza del reato, bensì la semplice indicazione di un reato astrattamente configurabile, oltre alla rilevanza probatoria del’oggetto che si intende acquisire in relazione al reato ipotizzato; ne consegue che è legittimo il sequestro di documenti falsi anche ove non sia stata presentata la querela in relazione all’ipotizzabile reato di falso in scrittura privata, atteso peraltro che, nel procedimento di riesame di un provvedimento di sequestro, non è ammissibile l’esame della questione di improcedibilità per mancanza di querela, attenendo detta questione al merito dell’imputazione. (Sez. 5, n. 7278 del 22/01/2001 – dep. 21/02/2001, ********** e altri, Rv. 218431) Va infatti osservato, al riguardo, che, a norma dell’art. 346 cod. proc. pen., l’ordinamento prevede che in mancanza di una condizione di procedibilità che può ancora sopravvenire, possono essere compiuti gli atti di indagine necessari ad assicurare le fonti di prova e, se vi è pericolo nel ritardo, possono essere assunte le prove previste in tema di incidente probatorio dall’art. 392 dello stesso codice. A norma, poi, dell’art. 112 delle relative disposizioni di attuazione, è previsto che la polizia giudiziaria riferisca senza ritardo, e in taluni casi anche oralmente, l’attività di indagine svolta a norma dell’art. 346 del codice.
Dunque, il sistema prevede che, in assenza della condizione di procedibilità – per quel che qui interessa – della querela, siano, da un lato, consentiti soltanto atti assicurativi delle fonti di prova, per evitarne, evidentemente, la dispersione o il deterioramento; mentre, sotto altro profilo, una siffatta dimensione “conservativa”, viene funzionalmente giustificata solo nei casi ( e quindi nei limiti) in cui la condizione di procedibilità possa ancora sopravvenire: in linea, d’altra parte, con la generale previsione dettata dall’art. 345 cod. proc. pen., in forza del quale archiviazione e proscioglimento non assumono portata preclusiva ai fini dell’esercizio della azione penale contro la stessa persona e per lo stesso fatto se in seguito sia proposta querela.
Ben diversa è, invece, la disposizione dettata in tema di arresto in flagranza dall’art. 381, comma 3, cod. proc. pen., dal momento che è stabilito che, ove si tratti di delitto perseguibile a querela, l’arresto può essere eseguito soltanto se la querela venga proposta, anche con dichiarazione orale, resa agli agenti operanti; all’inverso, se l’avente diritto dichiara di rimettere la querela, l’arrestato è posto immediatamente in libertà. Pertanto, atti di arresto e a fortiori misure cautelari personali presuppongono la sussistenza della condizione di procedibilità rappresentata dalla querela, restando quelle misure inibite anche nelle ipotesi in cui la condizione di procedibilità possa ancora intervenire. D’altra parte, sussistendo, ove manchi detta condizione, i presupposti per una immediata archiviazione del procedimento, l’adozione di misure cautelaci – personali o reali che siano – risulterebbe in antologica contraddizione rispetto alla riconosciuta presenza di una condizione preclusiva all’esercizio della azione penale. Sul punto, d’altra parte, può rammentarsi che questa Corte, in una vicenda del tutto analoga alla presente, ha avuto modo di precisare, sia pure in passato, che l’esistenza di una causa di non punibilità deve essere sommariamente verificata anche nella fase del riesame, pur non essendo immediatamente possibile provvedere alla declaratoria della stessa ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. Il giudice qualora ritenga la sua sussistenza deve trame tutte le conseguenze opportune nell’ambito della verifica dell’astratta configurabilità del reato ipotizzato. (Fattispecie relativa al sequestro di un conto corrente in presenza della sussistenza della causa di non punibilità prevista dall’art. 649, comma 1, cod. proc. pen. in quanto la persona offesa del reato di appropriazione indebita e circonvenzione d’incapace era l’ascendente dell’indagato). (Sez. 2, n. 862 del 02/12/2002 – dep. 13/0112003, *****, Rv. 223479. In senso analogo v. anche Cass., Sez. III, 7 maggio 1996, *******, RV 204729).
Ebbene, nella vicenda in esame deve ribadirsi che il soggetto passivo del delitto di circonvenzione di incapace (art. 643 cod. pen.), titolare del diritto di querela nei casi previsti dal secondo comma dell’art. 649 cod. pen. (fatti commessi a danno di congiunti), è soltanto l’incapace- ossia il soggetto che abbia subito la circonvenzione – quale portatore dell’interesse tutelato dalla norma incriminatrice, e non anche il terzo che abbia subito danni in conseguenza degli atti dispositivi posti in essere dall’incapace medesimo; il terzo, infatti, riveste solo la qualità di persona danneggiata dal reato ed è pertanto, come tale, legittimato solamente ad esercitare l’azione civile ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. (Sez. 2, n. 8034 del 21/05/1997 – dep. 02/09/1997, P.M. in proc. *********, Rv. 208378). Pertanto, poichè dagli atti acquisiti risulta che la “denunzia-querela” dalla quale ha tratto origine il procedimento è stata presentata da soggetti diversi dalla persona offesa, l’atto in questione non integra, per difetto di legittimazione dei proponenti, una valida querela, con la conseguenza che devono essere nella specie annullati tanto l’ordinanza impugnata che il provvedimento di sequestro preventivo, con la correlativa restituzione dei beni all’avente diritto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e il provvedimento di sequestro preventivo e dispone la restituzione dei beni all’avente diritto. Manda alla Cancelleria perchè provveda ai sensi dell’art. 626 cod. proc. pen.

Redazione