Misura cautelare: la pericolosità del soggetto deve essere valutata in proporzione diretta al tempo intercorrente tra il momento e la decisione (Cass. n. 222/2013)

Redazione 07/01/13
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Svolgimento del processo

Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Messina confermò l’ordinanza emessa il 28 marzo 2012 dal Gip del tribunale di Messina, che aveva applicato a F. M. la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione al reato di acquisto e detenzione a fine di spaccio di circa 50 gr. di cocaina il 20.9.2008. In particolare alla F. viene contestato di avere contribuito in modo determinante all’acquisto di sostanza stupefacente effettuato da T. S. reperendo un soggetto disposto a fare da corriere che, ricevuta la droga in Milazzo da D. G. la trasportò nell’isola di ****** e la consegnò al T.
L’indagata propone personalmente ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione degli artt. 273 e 274 cod. proc. pen.; insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari; travisamento del fatto. Lamenta che il tribunale del riesame ha omesso di considerare che ella, neppure a titolo di concorso, aveva contribuito ad una qualche attività di spaccio. La droga era destinata ad uso esclusivamente personale e comunque vi erano gli elementi per ritenere il consumo di gruppo. Ella si era prodigata a trovare l’intermediario solo perché voleva acquistare la droga per consumarla. Non vi è prova che fosse a conoscenza delle intenzioni del T, e dell’effettivo quantitativo di sostanza stupefacente. Osserva inoltre che non sussistono le esigenze cautelari in ordine al pericolo di reiterazione del reato, perché i veri colpevoli sono stati già arrestati, l’associazione cui partecipava il T. è stata smantellata, i fatti risalgono al 2008 e il reato è stato commesso nell’isola di ****** in un periodo in cui svolgeva lavoro stagionale.
2) violazione degli artt. 275 e 309, comma 6, cod. proc. pen., inadeguatezza ed eccessiva gravità della misura cautelare. Lamenta che il tribunale ha omesso di considerare che ora alla ricorrente sarebbe impossibile continuare a frequentare soggetti dediti alla attività di spaccio. Nemmeno ha considerato che vi sono le condizioni per l’applicazione della attenuante di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. 309 del 1990.

Motivi della decisione

Il motivo relativo ai gravi indizi di colpevolezza è infondato. L’ordinanza impugnata ha infatti fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto, sulla base del contenuto delle conversazioni intercettare che almeno una parte della sostanza stupefacente consegnata dal T. alla F. come corrispettivo dell’aiuto da costei datogli per fargli pervenire la droga da Messina, era stato dalla donna destinato allo spaccio al minuto.
E’ invece fondato il motivo relativo alla sussistenza delle esigenze cautelari e della adeguatezza della misura applicata.
Va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «il principio di proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza, opera come parametro di commisurazione delle misure cautelari alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, tanto al momento della scelta e della adozione del provvedimento coercitivo, che per tutta la durata dello stesso, imponendo una costante verifica della perdurante idoneità della misura applicata a fronteggiare le esigenze che concretamente permangano o residuino, secondo il principio della minor compressione possibile della libertà personale>> (Sez. Un., 31.3.201 I, n. 16085, E ******, m. 249324).
In particolare, per quanto concerne il tempo trascorso dalla commissione del fatto alla applicazione della misura, il principio enunciato è che «in tema di misure cautelari, il riferimento in ordine al “tempo trascorso dalla commissione del reato” di cui all’art. 292, comma secondo, lett. c) cod. proc. pen., impone al giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari. (Fattispecie di ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa in relazione a fatti commessi più di tre anni prima)» (Sez. Un., 24.9.2009, n. 40538, ********, m. 244377).
Più specificamente, è stato affennato che <<in tema di misure coercitive, la distanza temporale tra i fatti e il momento della decisione cautelare, giacché tendenzialmente dissonante con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare, comporta un rigoroso obbligo di motivazione sia in relazione a detta attualità sia in relazione alla scelta della misura. (Fattispecie di intervenuta adozione della custodia cautelare in carcere per fatti risalenti a tre anni prima)» (Sez. VI, 10.6.2009, n. 27865, ******, m. 244417); che <<in tema di misure cautelari, la disposizione di cui all’art. 292 comma secondo lett. c) cod. proc. pen. — che prevede tra i requisiti dell’ordinanza lo specifico riferimento al “tempo trascorso dalla commissione del reato” – impone al giudice di motivare circa il punto menzionato sotto il profilo della valutazione della pregnanza della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al “tempus commissi de1icti” dovendosi ritenere che ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponda un affievolimento delle esigenze cautelari» (Sez. II, 8.5.2008, n. 21564, Mezzatenta, m. 240112); che <<In materia di misure cautelari personali, qualora venga richiesta la custodia in carcere per reati commessi dall’imputato in epoca non recente, il giudice, nell’esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano la misura richiesta ai sensi dell’art. 292 comma 2 lett. c) cod. proc. pen., deve procedere ad individuare, in modo particolarmente specifico e dettagliato, gli elementi concludenti atti a cogliere l’attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione criminosa fronteggiabile soltanto con la permanenza in carcere, evidenziando il perdurante collegamento dell’imputato con l’ambiente in cui il delitto è maturato e, quindi, la sua concreta proclività a delinquere» (Sez. VI, 15.1.2003, n. 10673, *******************, m. 223967).
Orbene, nella specie, l’ordinanza impugnata da atto che alla ricorrente è stato addebitato un solo episodio di detenzione a fini di spaccio avvenuto nel settembre del 2008, mentre la misura cautelare è stata applicata solo il 28 marzo 2012, ossia ben tre anni e mezzo dopo. Ora, a fronte di un periodo temporale di tre anni e mezzo dai fatti oggetto di contestazione, il tribunale del riesame ha completamente omesso di compiere la necessaria e rigorosa valutazione sulla effettiva concretezza ed attualità delle esigenze cautelari, essendosi limitato a richiamare, del tutto genericamente e con frase di stile, «una pericolosa contiguità della stessa con soggetti gravitanti nel settore del narcotraffico>>, frase che del resto non sarebbe stata sufficiente a motivare una concreta ed attuale sussistenza di esigenze cautelari nemmeno se il fatto fosse stato prossimo alla applicazione della misura. In ogni caso, non si è in presenza di una specifica esaustiva motivazione sulle ragioni per cui permanga dopo il tempo trascorso l’attualità del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quello per cui si procede, anche nell’intensità tale da non consentire misure meno gravi, non risultando tra l’altro in motivazione indicazioni sull’eventuale effettiva attuale permanenza delle condotte addebitate all’indagata. Non vengono indicati elementi da cui desumere l’attualità e la concretezza dei contatti con ambienti criminali, o condotte specifiche da cui desumere allo stato il rischio di commissione di reati della stessa specie. La motivazione è altresì del tutto generica e di mero stile anche in ordine alla valutazione della scelta della misura cautelare, anche relativamente alla quale la motivazione deve essere particolarmente rigorosa stante la distanza temporale dai fatti.
L’ordinanza impugnata deve quindi essere annullata limitatamente alle esigenze cautelari con rinvio al tribunale di Messina per nuovo esame.

 

Per questi motivi

La Corte Suprema di Cassazione
annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al tribunale di Messina per nuovo esame.

Così decise in Roma, nella sede della Certe Suprema di Cassazione, l’11 dicembre 2012.

Redazione