La Cassazione si pronuncia sulla causa speciale di non punibilità della provocazione (Cass. pen., n. 40344/2013)

Redazione 30/09/13
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Svolgimento del processo

Con sentenza in data 19.7.11 il giudice di Pace di Sant’Elpidio a Mare dichiarava Z.P. responsabile del reato di cui all’art. 594 c.p., comma 1, ascrittole perchè, dopo aver fatto ingresso nell’esercizio gestito da T.A., ne aveva offeso l’onore e il decoro in presenza di una pluralità di clienti, urlando all’indirizzo della T. accuse di averla “imbrogliata” e di essersi impossessata in tal modo di un’abitazione di proprietà di essa Z., fatto acc. in data (omissis).

Per tale reato era stata inflitta all’imputata la pena di Euro 300,00 di multa previa concessione delle attenuanti generiche.

Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore,deducendo:

1 – inidoneità della espressione usata ad integrare l’elemento oggettivo,nonchè il dolo del reato contestato.

2 – mancata applicazione della esimente prevista dall’art. 599 c.p..

Evidenziava a sostegno del gravame la situazione in cui si era verificato l’episodio, rilevando che il Giudice non aveva tenuto conto del contesto.

In tal senso osservava che la Z. aveva rivolto alla persona offesa frase che costituiva manifestazione di un diritto di critica, atteso che la persona offesa aveva assunto il possesso illegittimo di un immobile di proprietà del padre dell’imputata, che era stato dato in locazione alla zia della predetta persona offesa,con divieto di sublocazione. In tal senso la difesa evidenziava che l’episodio in contestazione era avvenuto nella immediatezza del fatto ingiusto realizzato dalla persona offesa e dunque riteneva applicabile l’invocata esimente ex art. 599 c.p. Richiamando giurisprudenza di questa Corte – Sez. 5^ – 26.5.2009, n. 21709 – per cui ..la caratterizzazione di ingiustizia deve essere parametrata non già all’ipotetica illegittimità del comportamento dell’imputato, quanto piuttosto alla conformità della condotta dell’ingiuriato alle ordinarie regole del vivere civile.

Per tali motivi chiedeva pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Il ricorso deve ritenersi privo di fondamento.

Invero – premesso che la difesa della ricorrente non contesta il verificarsi del fatto con le modalità descritte nel capo d’imputazione innanzi richiamato – deve rilevarsi che nella specie non si ravvisano i presupposti della applicazione dell’esimente prevista dall’art. 599 c.p., comma 2.

A riguardo va evidenziato in primo luogo che secondo i canoni giurisprudenziali, l’applicazione della esimente non resta di per sè esclusa dalla circostanza che il c.d. fatto ingiusto addebitabile alla persona offesa dal reato sia riferito a comportamento manifestato verso persona diversa dall’imputatola allo stesso legata da rapporto di contiguità, (v. in tal senso Cass. Sez. 5^ – 21.11.2007, n. 43087 – RV 238502-). Pertanto, in astratto,non si ritiene nella specie improponibile il motivo di ricorso.

Tuttavia va evidenziato che le censure difensive,con le quali ci si riferisce ad una illegittima permanenza della persona offesa dal reato in un immobile del quale era stata concessa la locazione dal genitore dell’imputata ad un’altra personali per sè non configura l’ipotesi di una condotta intrinsecamente ingiusta e lesiva delle regole di comune convivenza.

Sul punto giova annoverare il principio sancito da questa Corte con sentenza Sez. 5^ – del 9/12/1986, n. 13942, Tivioli – secondo la quale – per l’applicabilità dell’esimente della provocazione,prevista per i reati di ingiuria e di diffamazione dall’art. 599 c.p., comma 2, occorre che la reazione sia conseguenza di un fatto che per la sua intrinseca illegittimità o per la sua contrarietà alle norme del vivere civile,abbia in sè la potenzialità di suscitare un giustificato turbamento nell’animo dell’agente.

Alla stregua dei rilievi difensivi,riferibili ad una situazione di generica illegalità del comportamento manifestato dalla persona offesa,non ricorrono pertanto i presupposti per l’applicazione della esimente indicata dall’art. 599 c.p., comma 2.

Infine si osserva che la sentenza impugnata rende specifica motivazione,del tutto coerente con le risultanze processuali, in merito alle prove del fatto contestato e della responsabilità dell’imputata,onde la decisione si presenta esente da vizi di legittimità. Deve dunque essere pronunziato il rigetto del ricorso, a cui consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 30 aprile 2013.

Redazione