Il trasferimento di una serie di contratti di lavoro ad altro datore non integra la cessione del ramo di azienda (Cass. n. 21710/2012)

Redazione 04/12/12
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Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Genova, P.M. conveniva in giudizio la Telecom Italia s.p.a., unitamente alla TNT Logistics Italia s.p.a (in seguito divenuta ********************* s.r.l.), per sentir dichiarare la nullità, per frode alle leggi in materia di licenziamenti individuali e collettivi, del provvedimento di cessione di ramo d’azienda eseguito da Telecom Italia nel marzo 2002 e del trasferimento del ricorrente presso la cessionaria TNT Logistics avvenuto nel marzo 2003, deducendo che la partizione aziendale della funzione logistica della Telecom Italia s.p.a. non era preesistente all’accordo perfezionato con la TNT Logistics nel febbraio 2003.

Chiedeva pertanto l’accertamento della persistenza del suo rapporto di lavoro subordinato con la Telecom Italia, con conseguente reintegra nel suo posto di lavoro presso gli uffici di (omissis).

La società Telecom si costituiva eccependo la carenza di interesse ad agire del P., e, nel merito, deducendo la piena legittimità del trasferimento di ramo d’azienda ex art. 2112 c.c..

Si costituiva altresì la TNT Logistics Italia s.p.a., contestando la fondatezza della domanda.

Il Tribunale, senza dare ingresso alle prove richieste, accoglieva la domanda, dichiarando la nullità della cessione del contratto di lavoro dalla società Telecom Italia alla TNT Logistics Italia, dichiarando persistente un rapporto di lavoro subordinato tra il ricorrente e la prima società.

Proponeva appello quest’ultima, reiterando la richiesta di ammissione della prova testimoniale, e chiedendo comunque l’acquisizione, attraverso i poteri ufficiosi di cui all’art. 421 c.p.c., degli allegati al contratto di trasferimento d’azienda.

Resisteva il P., mentre la società ********************* restava contumace.

Con sentenza del 15 dicembre 2009, la Corte d’appello di Genova respingeva il gravame.

Per la cassazione ricorre la società Telecom Italia, affidato a due motivi.

Resistono il P. e la società ********************* s.r.l. con controricorso, quest’ultima proponendo ricorso incidentale affidato ad unico motivo.

Motivi della decisione

1. I ricorsi avverso la medesima sentenza debbono riunirsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

1.1 Deve poi respingersi l’istanza, proposta dalla società Telecom, diretta alla riunione dei vari procedimenti, aventi analogo contenuto, pendenti dinanzi a questa Corte.

Ed invero, premesso che la riunione deve essere disposta tra le cause che si trovino nella stessa fase processuale (mentre nella specie sono state indicate cause che per la gran parte debbono ancora essere fissate per la discussione), deve evidenziarsi che l’obbligo di riunione è derogabile laddove la trattazione congiunta renda troppo gravoso o comunque ritardi eccessivamente la definizione del processo (art. 151 d.a. c.p.c, novellato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 19).

2. Ciò premesso si osserva.

2.1 Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 100 c.p.c., oltre ad un vizio di motivazione, per avere la Corte di merito ritenuto che il mutamento di datore di lavoro integrasse di per sè l’interesse ad agire di cui al menzionato art. 100 c.p.c..

Lamenta al riguardo che tutti i dipendenti trasferiti alla TNT (ora ****) avevano conservato intatto il loro trattamento economico e normativo, come quello assicurativo e contributivo. Considerato poi che l’assegnazione del P. al reparto logistico rientrava nei poteri del datore di lavoro (non configurando neppure un trasferimento in senso tecnico, restando immutato il luogo di esecuzione della prestazione), ed una volta ceduto il reparto ad altro datore di lavoro, la mancanza di specifiche allegazioni circa i diritti lesi dall’operazione avrebbe dovuto comportare l’inammissibilità della domanda per carenza di interesse ad agire.

2.2 Il motivo è infondato. Questa Corte ha più volte osservato che l’interesse ad agire, in termini generali, si identifica nell’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice. In particolare, nell’azione di mero accertamento, esso presuppone uno stato di incertezza oggettiva sull’esistenza di un rapporto giuridico, tale da arrecare all’interessato un pregiudizio concreto ed attuale, che si sostanzia in un’illegittima situazione di fatto continuativa e che, perciò, si caratterizza per la sua stessa permanenza (Cass. 9 maggio 2012 n. 7096; Cass. ord. 27 gennaio 2011 n. 2051; Cass. 17 maggio 2006 n. 11536). La sentenza impugnata risulta in linea con i principi esposti, versandosi in ipotesi di incertezza oggettiva sull’esistenza di un rapporto giuridico, non eliminabile senza l’intervento del giudice, tale da arrecare all’interessato un pregiudizio concreto ed attuale che, come evidenziato dalla Corte di merito, ben può ravvisarsi nel mutamento del datore di lavoro, ed in sostanza del rapporto di lavoro medesimo.

La conclusione risulta corretta anche alla luce dell’art. 2740 c.c., comma 1, secondo cui “il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”, rilevando dunque per il creditore anche la consistenza patrimoniale dell’impresa debitrice.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2697 e 2112 c.c., nonchè dell’art. 421 c.p.c., oltre ad “insufficiente motivazione”. Lamenta che il giudice di appello respinse il gravame ritenendo che la mancata produzione degli allegati al contratto di trasferimento non consentiva neppure di comprendere quale sarebbe stato l’oggetto della cessione, che invece risultava chiaramente individuato negli atti del giudizio e nel contratto di cessione prodotto, quale l’attività di magazzinaggio, allestimento ordini e distribuzione, senza neppure ammettere le prove testimoniali richieste sul punto. Deduce che la funzione logistica comprendeva (nel 2001) attività di natura amministrativa ed operativa, comprendenti sei centri di raccolta (CDR), ai quali si affiancavano su tutto il territorio nazionale 110 microstrutture; che l’attività logistica Telecom era distinta per ognuna delle quattro articolazioni nelle quali la ******à era divisa: Datacom, **************, Clienti residenziali, Rete. Deduceva la ricorrente che anche le attività impiegatizie di supporto erano distinte per ogni singola Business Unit.

Successivamente (nel 2002) le attività impiegatizie di supporto per la Fonia Business e ******** confluirono nella Rete, mentre la funzione di logistica c.d. residenziale rimase nell’ambito delle Direzione Clienti residenziali.

Ancora dopo, le singole “Business Unit” furono soppresse e fu creata una unica struttura organizzativa aziendale unitaria denominata “Domestic Wireline”, nella quale ovviamente confluirono tutte le strutture di Logistica, sia quella operativa che quella di natura amministrativa.

Tale ultima decisione organizzativa, determinò non solo la creazione di un’unica struttura di logistica, ma anche la confluenza in essa di tutti i presidi territoriali, come i centri di raccolta ed i micro- magazzini.

Tale decisione organizzativa determinò altresì la creazione di sei Presidi Territoriali di Logistica aventi sede a (omissis). In detti Presidi Territoriali di Logistica confluirono i sei centri di raccolta (CDR), le strutture di micro magazzino territoriali e parte delle attività impiegatizie di supporto, prima divise per ciascuna “Business Unit”, tra cui anche la struttura del(la) ricorrente.

Deduceva pertanto che le suddette attività, oggetto di cessione, nella articolazione derivante dagli aspetti organizzativi sopra evidenziati, costituivano un ramo funzionalmente autonomo riconducibile alle previsioni di cui all’art. 2112 c.c. nella sua versione precedente la novella del 2003, ove era fatto riferimento a parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità.

Il motivo è infondato.

Essendo il trasferimento in questione precedente l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32 non v’è dubbio che esso dovesse riguardare una entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità, il che presuppone una preesistente realtà produttiva autonoma, e non anche una struttura produttiva creata “ad hoc” in occasione del trasferimento, o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo (cfr., per tutte, Cass. 13 ottobre 2009 n. 21697; Cass. n. 2489 del 2008, Cass. n. 8017 del 2006). La ricorrente espone nuovamente le vicende organizzative della sezione Logistica, riproducendo anche in questa sede i capitoli di prova per testi richiesta nelle fasi di merito, senza tuttavia adeguatamente contestare (ovvero limitandosi a negare) quanto rilevato dalla Corte di merito e cioè che la mancanza degli allegati al contratto di cessione, ai quali questo faceva continui richiami, impediva anche di individuare l’oggetto della cessione, mentre anche le deduzioni della società ed i capitoli di prova richiesti non consentivano di chiarire l’autonomia funzionale della struttura (qualificata “logistica”), nonchè gli elementi materiali e/o immateriali oggetto di trasferimento ed idonei a costituire una articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, preesistente al trasferimento e che conservi nel trasferimento la propria identità. E’evidente che a tal fine non è sufficiente dedurre che l’oggetto del trasferimento riguardava “le attività di magazzinaggio, allestimento ordini, consegna e distribuzione” (pag.

13 ricorso), difettando una chiara deduzione circa i requisiti sopra menzionati. La Corte territoriale ha poi ritenuto irrilevanti le prove testimoniali richieste, considerando che anch’esse non contenevano alcun riferimento a circostanze da cui potesse evincersi la preesistente autonomia funzionale dell’entità oggetto del trasferimento. La ricorrente si limita a riportare l’ampio capitolato di prova, deducendo, all’opposto, che da esso poteva evincersi quanto sopra, senza evidenziare in base a quali specifiche circostanze, demandando quindi a questa S.C. un inammissibile apprezzamento di fatto. Infondata, in tale contesto, risulta anche la denunciata violazione dell’art. 421 c.p.c., posto che l’esercizio dei poteri ufficiosi, come evidenziato nella medesima sentenza 14 agosto 2008 n. 21671 di questa Corte, invocata dalla ricorrente, presuppone che le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine e che il giudice reputi insufficienti le prove già acquisite, e sempre che tali fatti siano stati puntualmente allegati (ex plurimis, Cass. 4 maggio 2012 n. 6753; Cass. 11 marzo 2011 n. 5878).

Come evidenziato nella sentenza n. 5878/11, l’iniziativa ufficiosa non può essere volta a supplire ad una carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della domanda, ma solo a colmare eventuali lacune delle risultanze di causa.

Nella specie sia il Tribunale che la Corte d’appello hanno ritenuto del tutto carente la deduzione stessa (sia diretta che indiretta, quale evincibile dal capitolato testimoniale) circa la preesistenza e l’autonomia funzionale dell’attività economica ceduta, e ciò non ha formato oggetto di specifica contestazione ad opera della ricorrente, limitatasi a sostenere il contrario.

3. Il ricorso principale deve pertanto essere rigettato.

4. Per le medesime ragioni esposte sub) 1 deve altresì respingersi il ricorso incidentale condizionato proposto dalla società ****, circa la carenza di interesse ad agire del P., avendo egli mantenuto intatti i diritti acquisiti con la cessionaria.

5. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Condanna ciascuna delle ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, in favore del P., pari ad Euro 50,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.

Redazione