Giudizio direttissimo: se la sentenza viene emessa dal Giudice durante il termine feriale il termine per impugnazione è sospeso (Cass. pen. n. 10347/2013)

Redazione 06/03/13
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Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 1.9.2011 il cittadino marocchino H.A. è stato condannato dal Tribunale di Verona, con rito abbreviato ed in esito alla convalida dell’arresto, per il reato di evasione dagli arresti domiciliari, consumato il (omissis). Risulta dalla sentenza e dal ricorso che l’imputato era stato arrestato lo stesso (omissis), dopo essere stato trovato fuori dell’abitazione; in esito alla convalida dell’arresto ed alla conseguente instaurazione del giudizio direttissimo, l’imputato ha richiesto i termini a difesa e, all’esito, il rito abbreviato con il quale il giudizio è stato definito all’udienza dell’1 settembre. L’atto di appello, avente ad oggetto solo punti della decisione afferenti il merito (responsabilità e trattamento sanzionatorio), è stato proposto in data 29 settembre.

1.1 Con sentenza del 1-16.3.2012, deliberata in esito al contraddittorio di udienza, la Corte d’appello di Venezia ha dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione proposta nell’interesse dell’ H.A. e disposto l’esecuzione della prima sentenza.

Il Giudice territoriale osservava che la sentenza di primo grado era stata deliberata l’1.9.2011 con motivazione contestuale, in esito al giudizio direttissimo che aveva fatto seguito alla precedente convalida di arresto.

Dava atto che non risultava a verbale alcuna espressa rinuncia alla sospensione dei termini ma, richiamando l’insegnamento di Sez. 3 sent. 19982/2011, giudicava che la decorrenza del termine dei quindici giorni per l’appello, applicabile nella fattispecie ai sensi della lettera A dell’art. 585.1 c.p.p., non fosse soggetta alla sospensione feriale, in ragione dell’urgenza insita nel rito direttissimo.

Da qui la ritenuta tardività dell’impugnazione, presentata il 29 settembre in luogo del giorno 16, ultimo da ritenersi utile allo scopo.

2. Nell’interesse dell’imputato ricorre il difensore fiduciario contestando, con unico articolato motivo di violazione di legge e vizi della motivazione, la ritenuta inammissibilità dell’appello, richiedendo l’annullamento della relativa sentenza.

Secondo il ricorrente, la L. n. 742 del 1969, art. 1, comma 2 subordinerebbe, senza eccezioni, l’inefficacia della sospensione dei termini procedurali nei confronti di imputati in stato di custodia cautelare alla condizione tassativa di una espressa o tacita ma inequivoca rinuncia.

Ciò varrebbe anche nel caso del giudizio direttissimo, tra l’altro risultando la giurisprudenza richiamata dalla Corte veneta contrastata da pronunce contrarie (tra cui Sez. 5, sent 486/1996): la deroga all’operare dell’istituto della sospensione feriale dei termini sarebbe infatti prevista solo nell’interesse dell’imputato che si trovi in custodia cautelare per il giudizio, a lui ed al difensore essendo attribuita la discrezionale scelta in ordine all’eventuale rapida definizione del giudizio. Nel nostro caso l’imputato aveva invece espressamente richiesto un termine a difesa e, all’esito, il rito abbreviato. In definitiva, la Corte distrettuale avrebbe valorizzato esclusivamente l’originario rito direttissimo, senza confrontarsi con le concrete scelte processuali dell’imputato, ostative alla configurabilità di alcuna rinuncia, espressa o tacita, alla sospensione.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è fondato, nei termini che seguono.

3.1 Va preliminarmente osservato che:

– l’appello originario non si doleva dell’avvenuta celebrazione del giudizio, enunciando censure afferenti esclusivamente il merito della prima decisione. E l’odierno ricorso contesta solo, rispetto all’intera vicenda processuale finora occorsa, il punto della ritenuta tardività di tale originario atto di appello.

– la Corte veneta ha spiegato la propria deliberazione con il mero richiamo all’insegnamento contenuto nella sentenza di legittimità sopra richiamata, interpretata (implicitamente ma necessariamente) nel senso di un’affermazione di permanente inoperatività della sospensione feriale dei termini nel caso di giudizio direttissimo. In particolare, il Giudice d’appello non ha argomentato di una intervenuta rinuncia tacita alla sospensione, quanto al “fatto del procedimento” avendo dato atto solo dell’assenza di alcuna espressa rinuncia.

3.2 La questione di diritto che viene all’esame di questa Corte di legittimità è, pertanto, esclusivamente quella “se nel caso di sentenza deliberata in esito a giudizio direttissimo che segua la convalida dell’arresto in flagranza, in assenza di espressa rinuncia i termini per l’eventuale successiva impugnazione rimangano o meno sospesi ai sensi della L. n. 742 del 1969, art. 2, comma 1”.

3.3 Osserva in via preliminare questa Corte suprema che la disciplina ex lege n. 742 del 1969 costituisce normativa speciale che, per esplicita scelta del legislatore, riguarda pure i procedimenti ed i processi con imputati detenuti (detenzione che, per sè, dal punto di vista sistematico ben potrebbe invece costituire un’autonoma e permanente causa di urgenza). Anche per costoro il legislatore ha scelto di subordinare il compimento di atti procedurali all’esplicita richiesta loro o dei loro difensori, che si manifesta attraverso l’espressa rinuncia alla sospensione (ed anche la giurisprudenza che ammette la rinuncia desunta da condotte o iniziative implicitamente significative della volontà di rinunciare alla sospensione dei termini processuali ribadisce tuttavia che la deroga è prevista nell’interesse dell’imputato: Sez. 4, sent. 40951/2002).

E’ significativo poi rilevare che gli altri casi per i quali la L. n. 742 del 1969, art. 2, comma 1 prevede l’inoperatività della sospensione feriale dei termini si riferiscono (ad eccezione dell’ipotesi relativa ai termini delle indagini preliminari per i reati di criminalità organizzata) a peculiari situazioni contingenti dello specifico procedimento: reati la cui prescrizione maturi durante la sospensione o nei successivi quarantacinque giorni; ipotesi in cui durante il medesimo periodo scadano o siano prossimi a scadere i termini della custodia cautelare; ipotesi in cui occorra procedere con la massima urgenza nel periodo feriale al compimento di atti rispetto ai quali opera la sospensione dei termini stabilita dall’articolo 1, nelle indagini preliminari o ai sensi dell’art. 467 c.p.p.; atti previsti dall’art. 360 c.p.p.. La necessità che le esigenze derogatorie trovino spiegazione e fonte nella peculiarità della singola fattispecie trova evidente e insuperabile riscontro nella previsione, per tutti tali casi, di un obbligo (del giudice o del pubblico ministero) di motivare in apposito provvedimento le specifiche ragioni di urgenza (del processo o dei singoli atti) e la natura degli atti da compiere.

Giova ricordare, perchè ulteriormente significativo, che pacifico è l’insegnamento di legittimità per cui anche nel caso di richiesta di riesame (situazione che sul piano sistematico per sè potrebbe anche ritenersi tutt’altro che arbitrariamente sempre urgente) la sospensione feriale dei termini opera salvo espressa rinuncia del richiedente o del suo difensore (Sez. 3, sent. 49607/2009; Sez. 4, sent. 28110/2007).

Con efficacia e precisione sistematica, Sez. 4 sent. 28110/07 cit. ha ribadito la qualificazione della rinuncia alla sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale quale (necessario) atto specifico d’impulso processuale, rimesso alla determinazione della parte, che richiede una manifestazione espressa ed inequivoca della volontà di rinunciare.

3.3.1 In tale contesto sistematico inequivoco, il giudizio ex art. 449 c.p.p., comma 3 o art. 558 c.p.p., comma 6 presenta almeno tre distinti profili sistematici problematici.

3.3.1.1 Il primo riguarda la celebrazione dell’udienza di convalida, che certamente non rientra tra gli “atti” rispetto ai quali opera la sospensione feriale dei termini, trattandosi di procedimento necessitato, composto da pluralità di attività procedurali da compiersi nell’osservanza di strettissimi termini processuali, pena l’inefficacia della misura (Sez. 1, sent 3947/1991; sul punto specifico anche Sez. 3, sent. 19982/2011).

3.3.1.2 Il secondo riguarda la celebrazione del “giudizio” (quale che sia il rito in concreto seguito, ex art. 451 c.p.p., e art. 452 c.p.p., comma 2). Sul punto, si pongono due questioni.

La prima è se sia possibile dare rilievo ad una rinuncia tacita ma conseguente a specifici comportamenti processuali (come l’accettazione della celebrazione del giudizio senza dichiarare espressamente che si intende invece avvalersi della sospensione dei termini).

La seconda è quella se il giudizio possa essere celebrato anche “contro” la volontà dell’imputato che, personalmente o a mezzo del difensore, abbia dichiarato di voler avvalersi della sospensione dei termini. Qui, a Sez. 5 Ord. 486/1996, che ha argomentato essere necessaria la rinuncia alla sospensione feriale dei termini anche per la fase del giudizio conseguente all’avvenuta convalida dell’arresto, paiono contrapporsi tra le altre Sez. 3 sent. 19982/2011, Sez. 4 sent 3020/2003, Sez. 2 sent 9094/1991.

Ma, come detto, tenuto conto del contenuto della sentenza impugnata (che non riferisce nè da elementi specifici per affermare essere avvenuta una rinuncia implicita) e dell’ambito devolutivo del ricorso (che lamenta solo la ritenuta intempestività dell’appello, punto rispetto al quale ha autonomo interesse e che è distinto da quello, in ipotesi, dell’illegittimità in rito della sentenza di primo grado), nella presente fattispecie non va affrontato il tema della ricordata diversa soluzione allo stato offerta su tale punto dalla giurisprudenza di legittimità (pur dovendosi osservare che la seconda richiamata pare ancorarsi ad un’interpretazione dell’art. 449 c.p.p., comma 3 che non si manifesta immediatamente risolutiva, posto che: a tale norma, come all’art. 558, comma 6, può essere ben assegnata una semplice funzione di raccordo che risolve il problema concreto delle modalità di passaggio alla fase del giudizio in assenza di un’autonoma citazione, altrimenti privo di specifica e necessaria disciplina, arg. ex art. 450, commi 2 e segg.; l’imputato ha la facoltà di chiedere i termini a difesa, ordinatori per come in concreto disciplinati; al giudizio sono applicabili gli artt. 470 ss o 433 ss con le pertinenti incombenze; i principi sistematici richiamati in materia di disciplina della sospensione feriale dei termini per i processi con detenuti sono inequivocamente in diversa direzione; la stessa possibilità fisiologica che il giudizio direttissimo si svolga con imputato in stato di libertà, dopo la convalida dell’arresto, e comunque l’assenza di ragioni sistematiche obbliganti all’immediata decisione del merito della causa, giacchè il giudice ben può e deve provvedere con apposita e autonoma ordinanza sullo stato di libertà dell’imputato, nel caso in cui il giudizio non venga definito nella medesima udienza della convalida, paiono contrastare la ricostruzione sistematica di un’indisponibile assorbente e permanente urgenza della decisione di merito sull’imputazione).

3.3.1.3 Il terzo profilo, che riguarda appunto il nostro giudizio, attiene ai tempi di proposizione dell’eventuale impugnazione avverso la decisione che ha definito il giudizio conseguente la convalida dell’arresto e, in particolare, l’eventuale inefficacia della sospensione feriale dei termini previsti in via ordinaria dall’art. 585 c.p.p. (ed è il profilo che pone la questione di diritto indicata sub 3.2).

3.3.2 Le considerazioni di ordine sistematico che precedono indicano la via per la risposta.

Esse possono essere riassunte nella constatazione che la disciplina della sospensione feriale dei termini è disciplina speciale, le cui eccezioni sono da considerarsi tassative, rispondendo la ratio della normativa ad assicurare le concreta possibilità di un’efficace azione difensiva.

Ora, l’argomentazione solo implicita della Corte d’appello, secondo cui in definitiva la previsione di un’eccezione ulteriore, rispetto a quelle sole previste dalla L. n. 742 del 1969, e fondata sulla peculiare natura del giudizio direttissimo che, quale che sia il rito in concreto prescelto (dibattimentale, abbreviato, con applicazione della pena su richiesta delle parti), segua la convalida dell’arresto, estenderebbe i propri effetti anche al sistema delle impugnazioni, risulta asistematica.

Prescindendo, per le ragioni esposte, dalla concreta e corretta soluzione da dare alla problematica sub 3.3.1.2, infatti, già in astratto, mentre la tempestività della risposta giurisdizionale, con la deliberazione della sentenza anche in periodo feriale, potrebbe trovare in ipotesi una qualche giustificazione sistematica nelle ritenute eventuali peculiari implicazioni di contingente disvalore del fatto-arresto in flagranza (ove si acceda alla prima interpretazione dell’art. 449, comma 3 ovvero del sesto comma dell’art. 558 c.p.p.), mai potrebbe trovare giustificazione una non legislativamente prevista compressione dei termini di impugnazione che, oltretutto, a quel punto dovrebbe valere per tutti i successivi gradi di giudizio. In altri termini, si dovrebbe costruire un’interpretazione delle norme appena richiamate (art. 449 c.p.p., comma 3 e art. 558 c.p.p., comma 6) dove il riferimento al “giudizio” dovrebbe sussumere anche tutto ciò che può accadere fino al giudicato. Ciò, non solo appunto in assenza di alcuna previsione specifica per l’impugnazione ed anzi contro la ricordata netta regola generale, ma pure in assenza di alcuna disciplina che imponga tempi rapidissimi e certi per la celebrazione del giudizio nei gradi successivi, ed a prescindere dal contingente stato di custodia cautelare. Risulta così evidente l’irrazionalità manifesta del sistema cui si darebbe luogo, con le conseguenti implicazioni di verosimile incostituzionalità.

3.3.3 Ed allora, ricordato ancora che nel nostro caso non rileva la, diversa, tematica della rinuncia tacita alla sospensione feriale dei termini (questione di fatto non toccata dalla Corte d’appello), nè conseguentemente quella della irrevocabilità di una tale rinuncia (Sez. 2, sent. 3639/1994), ed evidenziato che la questione di diritto proposta ha in ogni caso una sua autonoma rilevanza (si pensi al caso in cui la sentenza del giudizio conseguente alla convalida dell’arresto sia deliberata nell’imminenza del periodo feriale, sì che il termine per impugnare si sovrapponga, in tutto o in parte, alla sospensione) deve essere affermato il principio di diritto per cui fuori dei casi previsti dalla L. n. 742 del 1969, art. 2, comma 1 il termine ex art. 585 c.p.p. per impugnare una sentenza deliberata nel periodo feriale in esito a giudizio conseguente alla convalida dell’arresto decorre dalla cessazione della sospensione.

L’impugnata sentenza va pertanto annullata senza rinvio e gli atti vanno trasmessi alla Corte d’appello di Venezia per il giudizio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Venezia per il giudizio.

Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2013.

Redazione