Falsità ideologica: responsabilità piena per il progettista che certifica l’immobile (Cass. pen. n. 39513/2012)

Redazione 08/10/12
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Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello di Trieste ha confermato la sentenza dell’11.2.2010 con la quale il Tribunale di Udine – sezione distaccata di Palmanova aveva dichiarato B. C. e N.F. colpevoli del reato di cui all’art. 481 c.p., perchè ****, quale proprietario del condominio (omissis), N.F. quale direttore dei lavori di costruzione del predetto fabbricato…., al fine del rilascio dell’abitabilità dei locali falsamente attestavano certificato di regolare esecuzione in data 20 novembre 2003 “il rispetto delle norme antincendio, antisismiche ed in genere di sicurezza delle costruzioni”, mentre non era stata realizzata la scala interna di collegamento tra l’ufficio del piano terra e lo scantinato, tanto che il condomino Bo.Gi. la sera del (omissis), transitando attraverso la porta interna che da sullo scantinato non avvedendosi della mancanza delle scale, e per l’effetto, concesse ad entrambi le attenuanti generiche, li aveva condannati alla pena ritenuta di giustìzia, oltre consequenziali statuizioni.

Avverso la pronuncia anzidetta, i difensori degli imputati hanno proposto distinti ricorsi per cassazione, ciascuno affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.
Motivi della decisione

1.- Il primo motivo del ricorso in favore del N. denuncia violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 24 e 25, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed omessa motivazione circa la mancata applicazione della nuova normativa, entrata in vigore durante il processo, ai sensi dell’art. 606 lett. e). Deduce, al riguardo, che il certificato di regolare esecuzione dei lavori non attestava la sicurezza in generale, bensì la specifica sicurezza della costruzione, intesa come rispetto della tecnica di costruzione e riguardava, pertanto, le strutture portanti e non già un vano accessorio come il cantinato.

Il secondo motivo deduce violazione della L. n. 125 del 2008, art. 2 ter, ai sensi dell’art. 606, lett. e) nonchè difetto di motivazione circa la sospensione del termine di prescrizione, ai sensi dell’art. 606, lett. e). Lamenta, al riguardo, che il provvedimento di sospensione, ai sensi della norma richiamata, sia stato adottato prima che fosse fissata la prima udienza e senza sentire l’imputato.

Il primo motivo del ricorso in favore del B. deduce violazione di legge per mancata correlazione tra accusa e sentenza e conseguente nullità ai sensi degli artt. 521 e 522, sul rilievo che la Corte aveva ritenuto di confermare la condanna dell’imputato a titolo di concorso esterno nel reato proprio, senza che ciò fosse contestato e senza specificare il contenuto di tale concorso.

Il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 481 c.p., e artt. 40 e 110 c.p., ed D.P.R. n. 380 del 2001, art. 23.

Il terzo motivo deduce difetto di motivazione in ordine al ritenuto concorso tra gli imputati.

Il quarto motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 481 c.p., e artt. 24 e 25 TU edilizia in ordine al contenuto della dichiarazione di conformità ed al significato di sicurezza.

Il quinto motivo denuncia difetto di motivazione in ordine al concetto di certificato.

Il sesto motivo deduce difetto di motivazione in ordine alla valutazione delle testimonianze; e violazione dell’art. 606, lett. b), in relazione all’art. 481 c.p..

2. – All’esame dei motivi anzidetti giova, certamente, una sintetica puntualizzazione dei termini della vicenda in esame.

Orbene, l’arch. N., in qualità di direttore dei lavori, ha redatto un certificato di regolare esecuzione, sottoscritto anche dal B., quale proprietario del manufatto in questione, al fine di ottenere il certificato di abitabilità. L’atto autocertificava, tra l’altro, che lo stesso immobile era stato costruito in conformità delle prescrizioni normative e delle previsioni progettuali e che erano state osservate le norme antincendio, antisismiche ed in genere di sicurezza delle costruzioni.

E’ certo, in punto di fatto, che nel piano scantinato non era stata realizzata una scala in cemento armato, che avrebbe dovuto collegare il detto vano con il sovrastante magazzino, benchè regolarmente prevista in progetto. Ed è pure certo che, a cagione di tale mancanza, un condomino precipitò nel locale sottostante, da un’altezza di circa tre metri, procurandosi lesioni personali.

2.1 – Questi i fatti, il N., quale esercente di servizio di pubblica necessità in ragione della sua qualità professionale, ed il B., a titolo di concorso dell’estraneo nel reato proprio, sono stati ritenuti responsabili del reato di cui all’art. 481 c.p..

2.2 – Orbene, la prima quaestio iuris che pone il primo motivo del ricorso del N. riguarda il significato da riconnettere al termine sicurezza di cui alla L. n. 380 del 2001, art. 25. Opina, al riguardo, che il termine debba essere inteso nell’accezione di sicurezza statica del fabbricato, connessa al rispetto delle prescrizioni di legge ed alla presenza degli elementi strutturali fondanti, non potendo estendersi agli elementi accessori, quali il vano cantinato.

La questione, che ripropone identico profilo di doglianza già sollevato in sede di merito, è manifestamente infondata. In proposito, ha certamente ragione il giudice a quo nel ritenere che il concetto di sicurezza debba essere inteso nella più ampia accezione di presenza nel fabbricato di caratteristiche edificatorie conformi alle previsioni progettuali ed alle prescrizioni normative, funzionali alla sicurezza del fabbricato, sia con riguardo alla sua stabilità strutturale che all’esigenze di prevenzione di danni a persone o cose. D’altro canto, il certificato di regolare esecuzione era prodromico e funzionale al conseguimento di altro certificato, quello di abitabilità, che, per antonomasia, è l’attestazione formale che il fabbricato è abitabile, ossia destinato alla sua naturale destinazione, in condizioni, come è ovvio, di piena sicurezza per gli occupanti, con riguardo vuoi all’incolumità personale che alla loro salute. La mancanza di una scala in cemento armato e, al suo posto, il vuoto spaziale sono dati fattuali in palese dissonanza con elementari canoni di sicurezza e la riprova immediata di un elemento di giudizio di così intuitiva evidenza è offerta, nel caso di specie, proprio dall’infortunio occorso ad uno dei condomini.

Non solo, ma nella fattispecie in esame il certificato attestava anche il rispetto delle previsioni dell’elaborato progettuale, in ordine al quale l’attestazione del direttore dei lavori aveva carattere pregnante proprio alla stregua della diretta sorveglianza della regolare esecuzione dei lavori durante il loro svolgimento, alla quale egli era giuridicamente tenuto proprio in ragione del suo incarico professionale.

Il secondo motivo è privo di fondamento, non meritando censura di sorta il rilievo del giudice a quo che ha rigettato l’eccezione di prescrizione, sul riflesso che, in ragione della particolare ipotesi di sospensione del termine prescrizionale in caso di rinvio ai sensi della L. n. 125 del 2008, art. 2 ter, (previsto per i processi per il quali è normativamente stabilita la priorità), la prescrizione non era ancora maturata. L’assunto è ineccepibile, considerato che la sospensione si riconnette ex lege al disposto rinvio, nel rispetto delle sole condizioni che l’imputato non si opponga e che il dibattimento non sia stato dichiarato chiuso, Condizioni che, in tutta evidenza, non ricorrevano nel caso di specie.

2.3 – La prima censura del ricorso del B., relativa alla pretesa violazione del principio di contestazione, sul rilievo che la sentenza impugnata aveva ritenuto l’ipotesi del concorso dell’estraneo in reato proprio non prevista in rubrica, è priva di fondamento in quanto, al di là del richiamo normativo all’art. 110 c.p., la fattispecie concorsuale, con l’attribuzione agli imputati delle rispettive qualità, era contestata in fatto sicchè nessun pregiudizio ha potuto soffrire la difesa dell’odierno ricorrente.

Le censure di cui al secondo, terzo, quarto motivo – siccome accomunate da identica logica contestativa – possono essere congiuntamente esaminate.

Sono tutte prive di fondamento, anche alla stregua di quanto dianzi argomentato.

Così è a dire per l’ipotesi concorsuale e per la contestata accezione del lemma sicurezza.

Per quanto concerne, poi, la nozione penalistica di certificato, la motivazione resa dal giudice a quo, in risposta ad identica osservazione sollevata in sede di gravame, è giuridicamente ineccepibile. L’attestato di regolare esecuzione delle opere, proveniente da soggetto professionalmente abilitato e sottoscritto anche dal proprietario, aveva certamente contenuto certificativo, siccome destinato a fornire all’Amministrazione una corretta informazione su circostanze di fatto, con asseverazione di veridicità dei fatti dichiarati (cfr. Cass. Sez. 2,12.12.2006, n. 3628 rv. 235934), ossia la piena conformità del manufatto alle prescrizioni normative e progettuali, nella stessa logica dell’autocertificazione, prevista dalla normativa sulla semplificazione amministrativa, e dell’istituzionalizzato coinvolgimento del privato nell’azione amministrativa e nel processo di formazione della volontà della p.a., che postulano correttezza e verità nell’informazione.

Al riguardo, la struttura motivazionale della sentenza impugnata non segnala manchevolezze od incongruenze di sorta e si sottrae, pertanto, al sindacato di legittimità.

Privo di fondamento è anche il sesto motivo, posto che lo stesso insieme giustificativo rivela adeguata e corretta valutazione del compendio probatorio e delle raccolte testimonianze, a parte che la prova di colpevolezza era nei fatti e nell’oggettivo carattere inveritiero dell’attestazione, al di là dell’apporto della prova dichiarativa.

Ineccepibile, infine, è la ritenuta sussumibilità della fattispecie nel paradigma normativo dell’art. 481 c.p., e, in proposito, le censure di parte non valgono ad infirmare.

3. – Per quanto precede, entrambi i ricorsi devono essere rigettati, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione