Ipotesi d’applicazione delle note Sezioni Unite di *********** dell’11.11. 2008 che hanno sancito la necessità che il pregiudizio esistenziale si ricolleghi alla violazione di un diritto costituzionalmente sancito; in tal caso, coincidente con il bene-salute di cui all’art. 32 Cost.
FATTO E DIRITTO
Con atto di citazione del 16.11.2004, regolarmente notificato nei termini di legge, i sigg.ri S. A. e M.V. convenivano innanzi a questo Tribunale, M.A., nella sua qualità di costruttore e venditore dell’immobile sito in Carovigno, alla via Martiri di via Fani, acquistato dagli attori per ivi sentirlo condannare, in loro favore, all’eliminazione dei difetti accertati sul predetto immobile ovvero, in alternativa, al pagamento nei confronti degli stessi della somma corrispondente al costo delle opere necessarie per l’eliminazione dei difetti, nella misura da accertare in corso di causa anche a seguito di espletanda CTU; nonché condannare il predetto sig. *********** al risarcimento nei confronti degli attori di ogni ulteriore danno, anche di natura esistenziale, che i fatti di causa avevano arrecato agli attori, con vittorie di spese, onorari e competenze, da distrarsi in favore del procuratore che si dichiarava anticipatario.
Alla prima udienza di comparizione del 27.01.2005, si costituiva in giudizio il ******** con comparsa di risposta con la quale contestava la domanda attoreA.
Istruita la causa, tal ultima veniva rinviata per la discussione orale, ex art. 281 sexies cpc, con termine fino a 10 giorni prima per note conclusive.
La domanda degli attori deve essere accolta in parte quA.
Deve premettersi che il convenuto non ha fornito alcun positivo riscontro alle eccezioni contenute nella propria comparsa di costituzione e rispostA.
Per contro, egli, dopo il deposito della comparsa di costituzione e risposta e delle note istruttorie ex art. 184 c.p.c., non ha coltivato più il giudizio; nè peraltro, si è sottoposto all’ammesso interrogatorio formale. Conseguentemente, stante il disposto normativo di cui all’art. 232, comma 1, c.p.c., è possibile considerare come ammesse le circostanze in ordine alle quali la parte convenuta era chiamata a rispondere.
Ciò premesso, in ossequio ai principi regolativi dell’onus probandi, gli attori hanno fornito idonea prova delle proprio pretese.
In primis, possono richiamarsi le dichiarazioni rese in udienza dai testi escussi, sigg.ri U. G. e L. M., i quali hanno confermato i fatti così come prospettati dagli attori nell’atto introduttivo del presente giudizio.
In particolare, devono richiamarsi le dichiarazioni del teste, U., a conoscenza diretta dei fatti di causa, in quanto come dallo stesso dichiarato: “ebb(e) occasione di visionare l’abitazione per cui è giudizio pochi mesi dopo l’acquisto, sicuramente meno di un anno dall’acquisto”.
Tal ultimo ha riferito che: “in tale occasione constat(ò), su indicazione del S. A., (l’esistenza), all’ingresso dell’abitazione, (di) un angolo posto sulla sinistra per chi entra, pieno di umidità. ******(va)si in particolare dell’ingresso al piano terra di accesso del piano superiore del medesimo appartamento degli attori; altresì, arrivato al primo paino constat(ò) che in quel periodo, particolarmente piovoso, vi erano infiltrazioni di acqua dal tetto nonostante casa fosse stata ultimatA. Tali infiltrazioni riguardavano sia il solario sia il salone, sia la camera da letto dei ragazzi, sia il bagno” (cfr. verbale di udienza del 7.03.2008).
Anche la teste Lotti *************, ha riferito di aver “personalmente constatato, pochi mesi dopo che gli attori (erano) entrati in possesso dell’appartamento, la presenza di “tracce di umidità”, “nell’entrata e sui solai di alcune stanze”.
Ha, altresì, constatato che “l’intonaco si stava screpolando. Tale fenomeno si presentava anche nella parte bassa delle pareti in prossimità del pavimento.” (cfr. verbale di udienza del 21.03.2008).
Risulta, dunque, provato che, nel caso di specie, i sigg.ri S. e M., proprietari dell’immobile sito in Carovigno alla via Mariri di via Fani costruito e venduto dal sig. ***********, già a pochi mesi dalla consegna dello stesso, notavano tracce di umidità, disgregazione e sgretolamento dello stato finale degli intonaci, in alcuni degli ambienti del proprio immobile.
Il Ctu ha, infatti, verificato: “macchie di umidità a piano terra, nel corpo scala, in una porzione di muratura adiacente al portone d’ingresso che confina con la strada”.
Si legge nella predetta relazione che: “trattasi essenzialmente di fenomeni di umidità per risalita capillare che hanno dato, come effetto, distacco della tinteggiatura, sfarinamento e disgregamento dell’intonaco sottostante, macchie di colore grigio o bianco- sporco”.
Inoltre, la predetta C.T.U. ha accertato che “altre macchie di umidità di tipo muffe (del tipo puntinature di colore grigio) di consistenza poco rilevante (erano) presenti nella camera da letto matrimoniale in alto in un angolo a ridosso del soffitto. Infine, macchie di umidità (erano) presenti nel vano lavanderia in una porzione limitata della murata in comune con il bagno adiacente la lavanderia stessA. In questo caso gli effetti rilevanti (sono stati individuati nel) distacco di tinteggiatura, parziale sfarinamento dell’intonaco, percezione al tatto di umidità nella muratura” (cfr. pag. 4, relazione tecnica d’ufficio depositata in data 7.10.2008).
Ciò è quanto emerso in sede di primo sopralluogo effettuato presso l’abitazione degli attori da parte del nominato C.T.U..
Infatti, successivamente, il CTU chiamato a rendere i dovuti chiarimenti, si recava nuovamente sull’immobile ed accertava, nel vano lavanderia, oltre ai su menzionati vizi, anche i seguenti fenomeni di umidità: “aloni in tre punti diversi sul soffitto, uno vicino la porta che immette sul balcone della lavanderia stessa, un altro al centro del vano, vicino al punto luce a sospensione ed un altro vicino la porta di ingresso del vano lavanderia stesso” (cfr. chiarimenti alla consulenza tecnica d’ufficio depositata in data 27.03.2009).
Il C.T.U. riferisce che, in relazione a quest’ultimi vizi, gli stessi: “pur presenti all’epoca del primo sopralluogo” non erano stati rilevati, “dal momento che i luoghi erano stati accuratamente bonificati” in quanto l’attrice, sig.ra M.V.: “aveva accuratamente rimosso con prodotti sbiancanti alcune macchie di umidità effettuando continui ritocchi alla murature del vano lavanderia per evitarne il degrado” (cfr. relazione di chiarimenti alla consulenza tecnica depositata in data 27.03.2009).
Alla luce dell’espletata CTU, deve affermarsi l’attribuibilità della responsabilità per i su descritti gravi vizi e difetti al costruttore-venditore dell’immobile.
D’altronde, costituisce principio consolidato che Il venditore di unità immobiliari che ne curi direttamente la costruzione, risponde dei gravi difetti (art. 1669 c.c.) nei confronti degli acquirenti, non in virtù del contratto con essi intercorso, qualificabile in termini di compravendita immobiliare, ma a titolo di responsabilità extracontrattuale.
Infatti, la responsabilità prevista dall’art. 1669 c.c., secondo un principio ormai consolidato, nonostante sia collocata nell’ambito del contratto di appalto, configura un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale la quale, pur presupponendo un rapporto contrattuale, ne supera i confini, essendo riconducibile ad una violazione di regole primarie (di ordine pubblico), stabilite per garantire l’interesse, di carattere generale, alla sicurezza dell’attività edificatoria, quindi la conservazione e la funzionalità degli edifici, allo scopo di preservare la sicurezza e l’incolumità delle persone (ex plurimis, tra le più recenti, Cass., n. 1748 del 2005; n. 1748 del 2000; n. 81 del 2000; n. 338 del 1999; n. 12106 del 1998).
Da questa configurazione consegue l’ulteriore questione del rapporto tra le due disposizioni, risolto dalla Suprema Corte, nel senso che l’art. 1669 c.c. reca una norma speciale rispetto a quella contenuta nell’art. 2043 c.c., risultando la seconda applicabile quante volte la prima non lo sia in concreto (Cass., n. 3338 del 1999; n. 1748 del 2005).
Al riguardo è sufficiente ricordare che “la natura di norma speciale dell’ art. 1669 c.c. rispetto all’art. 2043 c.c. (…) presuppone l’astratta applicabilità delle due norme, onde, una volta che la norma speciale non possa essere in concreto applicata, permane l’applicabilità della norma generale, in virtù di una tesi coerente con le ragioni della qualificazione della responsabilità ex art. 1669 c.c. come extracontrattuale, consistenti nell’esigenza di “offrire ai danneggiati dalla rovina o dai gravi difetti di un edificio una più ampia tutela” (Cass., n. 3338 del 1999).
Infatti, come è stato bene osservato in dottrina, da detta configurazione, si desume che l’art. 1669 c.c. non è norma di favore diretta a limitare la responsabilità del costruttore, ma mira a garantire una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale.
Il legislatore ha con essa stabilito un più rigoroso regime di responsabilità rispetto a quello previsto dall’art. 2043 c.c., caratterizzato dalla presunzione juris tantum di responsabilità dell’appaltatore, che è stata tuttavia limitata nel tempo, in virtù di un bilanciamento tra le contrapposte esigenze di rafforzare la tutela di un interesse generale e di evitare che detta presunzione si protragga per un tempo irragionevolmente lungo.
Pertanto, se la ratio dell’art. 1669 c.c. è quella di introdurre una più incisiva tutela, deve concludersi per l’applicabilità dell’art. 2043 c.c., nell’ipotesi in cui non sussistano le condizioni previste dalla prima normA.
D’altronde, ben può ammettersi la coesistenza di due azioni diversificate quanto al regime probatorio, con facoltà della parte di agire non avvalendosi delle facilitazioni probatorie stabilite per una di esse.
Una diversa soluzione deve essere respinta, in quanto comporta una indebita restrizione dell’ambito operativo della norma fondamentale in materia di responsabilità extracontrattuale.
Ciò, in palese contrasto con le finalità di tutela alla base della previsione della disciplina speciale.
Infatti, quale esito ultimo si avrebbe la creazione di “un regime di responsabilità più favorevole per i costruttori di edifici, in quanto tale da escludere ogni forma di responsabilità in situazioni che potrebbero ricadere nell’ambito – in linea di principio illimitato – dell’art. 2043 c.c., come nel caso di danno prodottosi oltre il decennio dal “compimento” dell’opera” (così, espressamente, Cass., n. 338 del 1999; analogamente, di recente, Cass., n. 1748 del 2005).
Ciò premesso, devono ritenersi gravi difetti, quelli, ravvisabili anche nel caso di specie, da cui derivi una ridotta utilizzazione dell’immobile, come nel caso di umidità, dipendente da difetto di adeguata coibentazione termica (cfr. Trib. Padova Sez. II, 15-07-2010, in Massima redazionale, 2010, secondo cui “in tema di appalto, i gravi difetti di costruzione in forza dei quali opera la garanzia prevista dall’art. 1669 c.c. non si identificano con i fenomeni che influiscono sulla staticità, durata e conservazione dell’edificio quanto, piuttosto, in qualsiasi alterazione che pur concernente direttamente una parte dell’opera, incida sulla struttura e sulla funzionalità globale, menomando in modo apprezzabile il godimento dell’opera medesima, come ad esempio può verificarsi nel caso di infiltrazioni di acqua e di umidità per difetto di copertura dell’edificio”).
In merito all’entità del danno, lo stesso C.T.U., ha quantificato i danni in complessivi Euro 5.300,00, quale somma necessaria ai fini dell’esecuzione delle opere necessarie per l’eliminazione dei difetti dell’immobile di proprietà degli attori.
Sulla suddetta somma vanno riconosciuti rivalutazione e interessi sul capitale via via rivalutato. Infatti, gli interessi che vengono a maturare sulla somma soggetta a rivalutazione devono essere calcolati tenendo conto che la rivalutazione ha natura progressiva, pertanto, “vanno calcolati non… sull’importo rivalutato della stessa, corrispondente al valore finale, bensì rapportandoli inizialmente al valore del bene al momento della fattispecie acquisitiva e quindi ai successivi mutamenti del valore di acquisto della moneta, in quanto l’utilità perduta dal creditore per effetto del ritardo nell’adempimento e compensata dagli interessi non è pari né a tale valore né a quello iniziale, ma subisce un incremento via via crescente per effetto dell’inflazione, sicché il punto di riferimento per il calcolo degli interessi non può essere costante” Cass. sezioni Unite 1995). Deve essere, altresì, risarcito il danno derivante dalla lesione del diritto a vivere in un ambiente salubre che deve essere inteso come esteso al focolare domestico e che trova indiretta copertura costituzionale all’art. 32 Cost.
D’altronde, costituisce fatto notorio (e che pertanto non necessita di particolari riscontri probatori) che muffe ed infiltrazioni di acqua costituiscano un apprezzabile pericolo per la salute di coloro che siano costretti ad abitare in ambienti di tal fatta.
Tuttavia, se, da un lato, nel caso di specie, non può parlarsi di danno biologico inteso nella comune accezione di lesione della integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale; dall’altro, appare innegabile il riconoscimento in capo agli attori di un danno da mancato e pieno godimento dell’abitazione, le infiltrazioni de quibus essendo destinate, in applicazione di una massima di esperienza di difficile smentita, ad incidere negativamente sulle condizioni di esistenza e di abitazione degli attori e quindi su valori costituzionalmente garantiti e protetti.
Nel caso de quo, gli attori sono stati costretti a “convivere” con la summenzionata problematica per molti anni, con fenomeni di muffe ed umidità in vari ambienti della casa, inclusa la camera da letto, preordinata al riposo notturno (cfr. Tribunale di Venezia, Sent. n. 502 del 15 dicembre 2009 che ha riconosciuto il pregiudizio de quo da infiltrazioni di acqua meritevole di tutela risarcitoria, anche in mancanza di un vero e proprio danno biologico alla persona).
Ne consegue che la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale dell’attrice deve essere accolta e, per l’effetto, il convenuto va condannato al risarcimento del danno non patrimoniale, subito dagli attori, che si quantifica equitativamente nella misura di euro 3000,00.
Le spese – liquidate come da dispositivo – seguono la soccombenzA.
Devono essere poste, in via definitiva, a carico del convenuto le spese della disposta CTU.
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da S. A. e M.V., nei confronti di M.A., così provvede:
1) accoglie la domanda e, per l’effetto, condanna il convenuto al risarcimento dei danni patrimoniali subiti dall’attore, per quel che attiene ai lavori da eseguirsi nella proprietà degli attori che si quantificano nella misura di euro 5300,00 oltre rivalutazione e interessi sulle somme via via rivalutate;
2) condanna il convenuto al risarcimento del danno non patrimoniale, subito dagli attori, che si quantifica equitativamente nella misura di euro 3000,00;
3) condanna il convenuto al pagamento di spese e competenze di lite in favore del convenuto, liquidate in complessivi euro 3500,00 di cui euro per spese, euro 1300,00 per diritti ed euro 1200,00 per onorario, oltre *** e Cap e spese generali come per legge, da distrarsi in favore del procuratore che si dichiara anticipatario;
4) pone, definitivamente, a carico del convenuto le spese della disposta CTU.
Il Giudice
(********************)