Danno esistenziale per il demansionamento di un dirigente bancario adibito ad un incarico meramente formale (Cass. n. 3057/2012)

Redazione 29/02/12
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Svolgimento del processo

1. C.M. impugnava la sentenza n. 1569 del 12 gennaio 2007 del Tribunale di Firenze che – negata l’esistenza di una strategia aziendale discriminatoria per età volta a indurre funzionari come lui a dare le dimissioni e ritenuta carente la prova circa il denunciato demansionamento per l’adibizione da maggio 2001 quale titolare della c.d. Azienda dei ****** – aveva respinto le domande azionate verso la Banca datrice di lavoro per l’accertamento di detta discriminazione per età e del demansionamento indicato con condanna della società a reintegrarlo nelle mansioni di quadro direttivo di liv. 4 ed a risarcire, D.Lgs. n. 216 del 2003, ex art. 4, il danno morale subito per la condotta discriminatoria con pubblicazione a cura e spese della s.p.a. su quotidiano nazionale della pronuncia o estratto di essa, nonchè per la condanna della Banca a risarcirgli i danni biologico, morale ed esistenziale quantificati in complessivi Euro 200.000,00, riservando a separata sede i danni di tipo patrimoniale.

Lamentava la apodittica valutazione della insussistenza della discriminazione per età che ha colpito anche altri funzionari della sua fascia di età ( C.M. è nato nel (omissis)), dolendosi anche dell’omessa ammissione delle prove capitolate sul punto; la illegittimità dello spostamento dalla direzione della Filiale di (omissis) (conferitagli nel marzo 1997) all’Azienda dei Presti, qualora la motivazione fosse riferita al grave errore commesso ed evidenziato dagli ispettori inviati che ne caldeggiarono l’allontanamento ovvero alla valutazione di insufficienza nella gestione di detta filiale nei due anni precedenti; la erronea mancata ammissione di prove su circostanze rilevanti rispetto al demansionamento e la errata interpretazione dell’art. 67 ccnl, resa dal primo giudice circa la completa fungibilità delle mansioni di Quadro direttivo di 4 livello e quello di 3 livello (qualifica prevista per la titolarità dell’Azienda dei Presti), segnalando peraltro che l’attribuzione presso detta Azienda particolare, che gestisce i crediti su pegno mobiliare, è stata del tutto formale essendo il lavoro svolto in pratica esclusivamente dagli estimatori dei beni presentati dalla clientela, dotati di professionalità del tutto diversa ed estranea a quella da lui maturata e svolta quale addetto e poi direttore di filiale operativa, Il C. concludeva, quindi, reiterando le domande spiegate in prime cure, peraltro portando ad Euro 250.000,00 la domanda risarcitoria, ritenendo di incrementare ad Euro 175.000,00 la liquidazione della voce – danno esistenziale rispetto all’originaria indicazione di Euro 125.000,00. 2. La banca appellata resisteva al gravame negando discriminazione e demansionamento e ribadiva che alla Filiale di (omissis) con circolare del 2.1.2001 era stato assegnato un organico di 7 addetti con conseguente preposizione da parte di Quadro direttivo di 2 livello, mentre all’Azienda dei Presti era preposto un Quadro di 3.

Eccepiva nuovamente che presso quest’Azienda il signor C. per sua scelta non ha svolto i compiti del titolare, segnalando come egli abbia rifiutato la formazione propostagli negli anni 2002, 2004 e 2005 e come mai sia stato denunciato dall’appellante lo stato depressivo dedotto in questa sede di gravame.

La Corte ha disposto lo svolgimento di c.t.u. medico – legale per la vantazione del danno biologico lamentato dal lavoratore e del collegamento eventuale di esso con la condizione lavorativa denunciata.

3. La Corte d’appello di Firenze con sentenza 7 luglio – 10 agosto 2009, in parziale accoglimento di impugnazione, accertava il demansionamento subito dall’appellante a decorrere dal 26 maggio 2001 e condannava la banca al pagamento, a titolo di risarcimento del danno biologico, di Euro 4500,00 e, a titolo di un ulteriore danno non patrimoniale, Euro 20.000,00. 4. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione la banca CR di Firenze con due motivi.

Resiste con controricorso la parte intimata.

5. Nel decidere la controversia, il collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della sentenza.

 

Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in due motivi.

Con il primo motivo la banca ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2095 2093 c.c., nonchè il vizio di motivazione. Contesta l’affermazione della sentenza impugnata che ha riconosciuto il demansionamento nel momento in cui la banca ha trasferito il dipendente dalla funzione di titolare dell’agenzia di (omissis) a quella di titolare dell’azienda dei presti. In particolare la Corte d’appello non ha tenuto conto che il dipendente era stato sovrainquadrato sia quando era responsabile della filiale di (omissis) sia quando era responsabile dell’azienda dei presti.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 2059, 2087 e 2697 c.c., nonchè il vizio di motivazione. Erroneamente la corte d’appello ha liquidato due voci di danno non patrimoniale:

il danno biologico e il danno non patrimoniale in senso stretto.

Invece il danno morale e quello esistenziale vanno ricondotti all’unica categoria del danno non patrimoniale senza possibilità di cumulo. Inoltre il dipendente non aveva dato prova specifica di tale danno.

2. Il ricorso – i cui due motivi possono essere esaminati congiuntamente – è infondato.

3. La sorte d’appello – che ha escluso che nella specie ci fosse stata una discriminazione per età della banca in danno del suo dipendente C. – ha invece ritenuto sussistente il demansionamento consistente nel passaggio dalla titolarità di un’agenzia operativa (quella di (omissis)) a quella del Monte dei pegni della banca stessa. La corte d’appello ha operato una tipica valutazione di merito ritenendo che i compiti di direttore di un’agenzia operativa avessero un contenuto ben più qualificante dell’attività di direzione del Monte dei pegni.

A fronte di questa valutazione il primo motivo di ricorso è destituito di fondamento.

La dedotta circostanza che il dipendente, dopo essersi vista riconosciuta la qualifica di funzionario, sia diventato quadro di quarto livello solo a seguito dell’assorbimento della qualifica di funzionario nella categoria di quadro avvenuto con il contratto collettivo dell’11 luglio 1999, è priva di rilievo atteso che la sentenza impugnata riconosce il demansionamento a partire dal 2001, ossia da quando il dipendente era certamente inquadrato come quadro di quarto livello. La circostanza che la sentenza impugnata erroneamente ritenga che il dipendente fosse quadro già nel 1997 è quindi priva di rilevanza.

L’ulteriore censura della banca ricorrente secondo cui la contrattazione collettiva avrebbe riconosciuto una maggiore o uguale valenza al responsabile dell’azienda Presti rispetto al responsabile della filiale di (omissis) costituisce una tipica deduzione di fatto che, oltre ad essere meramente assertiva, non può avere ingresso nel giudizio di legittimità. In sostanza mentre la sentenza impugnata compara in fatto la attività e quindi le mansioni del titolare nelle due agenzie, invece la banca ricorrente si pone sul piano della normativa contrattuale e compare la qualifica del dipendente collocato nella posizione di responsabile dell’una e dell’altra agenzia. Sicchè sotto questo profilo deve altresì rilevarsi che il primo motivo di ricorso non è in realtà centrato sulla ragione del decidere emergente dalla sentenza impugnata.

4. Quanto al danno risarcibile, correttamente la corte d’appello ha tenuto distinto il danno biologico dal danno non patrimoniale e lo ha valutato con apprezzamento di merito non censurabile in sede di legittimità.

Questa Corte (Cass., sez. lav., 17 settembre 2010, n. 19785) ha riconosciuto, in caso di demansionamento e dequalificazione, il diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale; anche se – hanno precisato le lezioni unite di questa Corte (Cass., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572) non può prescindere da una specifica allegazione, da parte del lavoratore, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo: mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertarle, il danno esistenziale – da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno.

5. Il ricorso va quindi nel suo complesso rigettato.

Alla soccombenza consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per onorario d’avvocato ed oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Redazione