Corte di Cassazione Penale sez. III 2/4/2008 n. 13816; Pres. Lupo E.

Redazione 02/04/08
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FATTO E DIRITTO

1 – Con sentenza del 29.5.2007 la corte d’appello di Palermo, parzialmente riformando quella resa il 10.3.2006 dal locale tribunale monocratico, ha assolto V.S. dal delitto di cui all’art. 648 c.p. (riqualificato ai sensi della L. n. 248 del 2000, art. 16) perchè il fatto non era più previsto come reato, e ha condannato lo stesso V. alla pena complessiva di un anno e quattro mesi di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa, siccome colpevole dei residui reati di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. c) (per aver detenuto a fini commerciali n. 207 musicassette e n. 264 CD musicali abusivamente riprodotti) e alla L. n. 633 del 1941 L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. d) (per aver detenuto per la vendita i predetti supporti musicali privi del contrassegno SIAE): accertati in (omissis).

2 – Il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo:

2.1 – erronea applicazione dell’art. 81 cpv. c.p. e della L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. c) e d), giacchè, per rispettare il principio del ne bis in idem sostanziale, il V. avrebbe dovuto essere condannato soltanto per la detenzione di supporti privi del contrassegno SIAE, e non anche per la detenzione di supporti abusivamente riprodotti;

2.2 – erronea applicazione degli artt. 62 bis e 133 c.p.p., in ordine al diniego delle attenuanti generiche e alla quantificazione della pena.

3 – In relazione al primo motivo di ricorso (n. 2.1) occorre anzitutto rilevare d’ufficio che è nel frattempo intervenuta la sentenza emessa dalla Corte di Giustizia europea in data 8.11.2007, nel procedimento C-20/05, Schwibbert, secondo la quale, dopo l’entrata in vigore della direttiva europea 83/189/CEE, che ha previsto una procedura di informazione comunitaria nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche, l’obbligo di apporre sui dischi compatti contenenti opere d’arte figurativa il contrassegno SIAE in vista della loro commercializzazione nello Stato membro interessato, costituisce una "regola tecnica" che, qualora non sia stata notificata alla Commissione della Comunità europea, non può essere fatta valere nei confronti di un privato.

La procedura di comunicazione comunitaria ha poi subito varie modifiche, sino ad essere codificata con la direttiva 98/34/CEE, i cui artt. 8 e 9 impongono agli Stati membri di notificare alla Commissione della Comunità europea i progetti di regole tecniche e di sospenderne momentaneamente l’adozione, al fine di consentire alla Commissione di verificarne la compatibilità col diritto comunitario e segnatamente col principio di libera circolazione delle merci.

Questa direttiva ha anche confermato il significato di "regola tecnica", definita come requisito di un prodotto la cui osservanza è obbligatoria, de jure o de facto, per la sua commercializzazione.

La pronuncia della corte lussemburghese è destinata ad avere un notevole impatto in materia di tutela penale del diritto d’autore, giacchè, in sostanza:

a) inquadra l’obbligo di apposizione del contrassegno SIAE nell’ambito delle "regole tecniche" che, dopo l’entrata in vigore della predetta direttiva 83/189/CEE, devono essere comunicate alla Commissione europea, al fine di consentirle di verificarne la compatibilità col principio comunitario di libera circolazione delle merci e di promuovere eventualmente l’armonizzazione delle regole tecniche nazionali;

b) nonostante si riferisca specificamente ai contrassegni relativi a compact discs contenenti riproduzioni di opere d’arte figurativa, stabilisce un principio generale, secondo il quale la violazione dell’obbligo di comunicare alla Commissione ogni istituzione del contrassegno SIAE successiva alla data suddetta, per supporti di ogni specie (cartaceo, magnetico, plastico, etc.) e di ogni contenuto (musicale, letterario, figurativo, etc.), rende inapplicabile contro i privati l’obbligo del contrassegno stesso;

c) per conseguenza, incide sulla integrazione di tutte quelle fattispecie penali in cui la mancanza del contrassegno SIAE (se istituito dopo l’entrata in vigore della direttiva 83/189/CEE e non comunicato alla Commissione europea) è tipicamente prevista come elemento essenziale del reato, ovverosia di tutte quelle fattispecie in cui la condotta tipica ha per oggetto materiale supporti privi del contrassegno SIAE. Va solo precisato al riguardo che la sentenza in parola considera implicitamente la norma della direttiva europea 83/189/CEE, impositiva dell’obbligo di comunicare la regola tecnica, come norma comunitaria "ad effetto diretto", in quanto contenente disposizioni precise e determinate, tali che la loro applicazione non è condizionata dalla necessità di ulteriori interventi normativi delle autorità nazionali. Altrimenti, la sentenza non avrebbe fatto discendere direttamente a favore dei soggetti privati l’inapplicabilità della regola tecnica, e in particolare dell’obbligo del contrassegno, dal momento dell’entrata in vigore della direttiva stessa; ma avrebbe differito questa efficacia al momento della trasposizione nazionale della direttiva. Infatti – come ha precisato la costante giurisprudenza comunitaria – la direttiva ad effetto diretto, non solo crea un obbligo di ogni Stato membro nei confronti delle istituzioni comunitarie, ma istituisce anche immediatamente un diritto dei singoli cittadini europei nei confronti dello Stato di appartenenza, indipendentemente dalla trasposizione della direttiva nell’ordinamento nazionale.

Nella soggetta materia, la ripetuta direttiva 83/189/CEE, emanata in data 28.3.1983, entrata in vigore il 31.3.1983 (e pubblicata nella G.E.C.U. del 26.4.1983, n. L 109), è stata recepita in Italia con L. 21 giugno 1986, n. 317 (dopo il termine annuale di recepimento scadente il 28.3.1984). Per conseguenza, l’obbligo imposto dalla direttiva di comunicare alla Commissione europea le regole tecniche introdotte nell’ordinamento nazionale, vale per tutte quelle regole istituite dopo il 31.3.1983, e non solo per quelle istituite dopo l’entrata in vigore della legge nazionale di recepimento del 21.6.1986. 4 – Tanto premesso, occorre considerare che l’obbligo del contrassegno SIAE è stato introdotto nell’ordinamento italiano con l’art. 12 del Regolamento per l’esecuzione della legge sul diritto d’autore, emanato con R.D. 18 maggio 1942, n. 1369, che ha dato attuazione all’art. 123 della cit. legge. Ma esso riguarda solo le opere a stampa (a meno che l’autore non provveda direttamente a contrassegnare con la propria firma autografa ogni esemplare stampato della sua opera) e possiede un carattere meramente civilistico, perchè ha il solo scopo di consentire all’autore di controllare il numero degli esemplari venduti.

Solo con il D.L. 26 gennaio 1987, n. 9, art. 2, convertito in L. 27 marzo 1987, n. 121, il legislatore ha previsto l’obbligo del contrassegno SIAE per le videocassette riproducenti opere cinematografiche, e ha punito come delitto la vendita o il noleggio di tali videocassette prive del contrassegno.

In seguito, con il D.Lgs. 29 dicembre 1992, n. 518 è stato introdotto la L. n. 633 del 1941, art. 171 bis, che punisce l’abusiva duplicazione di programmi per elaboratore (software) e prevede una pena più grave se il programma abusivamente duplicato sia stato precedentemente distribuito, venduto o concesso in locazione su supporti contrassegnati dalla SIAE. Altrettanto ha disposto il D.Lgs. 6 maggio 1999, n. 169, che ha aggiunto all’art. 171 bis, comma 1 bis, col quale si punisce l’abusiva riproduzione o utilizzazione del contenuto di una banca dati, prevedendo una pena più grave se la banca dati abusivamente utilizzata sia stata precedentemente distribuita, venduta o concessa in locazione su supporti contrassegnati dalla SIAE. In tal modo il legislatore, limitatamente ai predetti supporti, sembra trasformare il regime del contrassegno da obbligatorio a facoltativo, affidando al titolare dei diritti la scelta di servirsi o meno del contrassegno al fine di ottenere una tutela penale aggravata nei confronti del contraffattore. Ma resta indubbio che l’obbligo di comunicazione alla Commissione europea si applica anche per i contrassegni "facoltativi", atteso che essi conservano la natura di "regola tecnica" soggetta al controllo della Commissione, con la conseguenza che, se lo Stato nazionale non ottempera all’obbligo di comunicazione, il contrassegno facoltativamente adottato dal titolare dei diritti non può essere fatto valere nei confronti degli altri soggetti privati.

Solo con la L. 18 agosto 2000, n. 248, il legislatore, evidentemente raccogliendo le critiche mosse sul punto dalla dottrina, ha modificato l’art. 171 bis, eliminando il doppio regime ivi previsto, ma aumentando la sanzione penale per l’illecita utilizzazione di programmi per elaboratore o di banche dati non contrassegnati dalla SIAE. Sempre negli anni ’90 il D.Lgs. 16 novembre 1994, n. 685 ha ampliato ulteriormente, con tecnica normativa esasperatamente casistica, l’ambito dei supporti tutelati con contrassegno, introducendo per la prima volta nel corpo della L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, che punisce (con la lett. c) del comma 1) la vendita e il noleggio di videocassette, musicassette o di altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento, non contrassegnati dalla SIAE. Si completa così il mutamento di funzione del contrassegno SIAE, che da istituto civilistico assume anche una funzione chiaramente pubblicistica, che consiste nella garanzia della originalità e genuinità dei prodotti tutelati, e che è penalmente presidiata.

Evidentemente, per i supporti non cartacei che l’evoluzione tecnologica immetteva nel mercato non poteva valere la disciplina del R.D. 18 maggio 1942, n. 1369, art. 12, che riguardava soltanto i contrassegni sulle opere a stampa. In mancanza di un apposito regolamento, la materia viene disciplinata da specifici accordi stipulati tra la S.I.A.E. e le associazioni di categoria interessate, con lo scopo preciso di regolare in maniera uniforme l’apposizione del contrassegno sui nuovi supporti, come segno distintivo dell’opera dell’ingegno.

Questi accordi sono stati implicitamente riconosciuti dal legislatore con le leggi sopra citate.

Sino a che lo stesso legislatore ha sentito il bisogno di intervenire espressamente sulla materia con la L. 18 agosto 2000, n. 248, art. 10, che ha introdotto l’art. 181 bis nel corpo della L. n. 633 del 1941.

Secondo questo articolo, la SIAE appone un contrassegno su ogni supporto contenente programmi per elaboratore o multimediali, nonchè su ogni supporto contenente suoni, voci o immagini in movimento, che reca la fissazione di opere tutelate, sempre che detti supporti siano destinati a essere posti in commercio o ceduti a qualunque titolo a fini di lucro. Solo per supporti contenenti programmi per elaboratore il contrassegno, a determinate condizioni, può essere sostituito da dichiarazioni identificative che produttori e importatori preventivamente rendono alla SIAE. E’ evidente in questa nuova disciplina la volontà legislativa di colmare la lacuna lasciata dalla L. n. 633 del 1941, art. 123 e dall’art. 12 del relativo regolamento esecutivo, dettando le regole essenziali per contrassegnare tutti i supporti diversi da quelli cartacei, che enumera partitamente in base al loro contenuto (software, programmi multimediali, suoni, voci o immagini in movimento).

Il contrassegno deve indicare un numero progressivo; deve contenere elementi tali da permettere l’identificazione del titolo dell’opera, dell’autore e del produttore; infine deve avere caratteristiche tali da non potere essere trasferito da un supporto all’altro.

Finalmente, con D.P.C.M. 11 luglio 2001, n. 338, sentite la S.I.A.E. e le associazioni di categoria, interessate, è stato emanato il regolamento esecutivo dell’art. 181 bis, che deve essere applicato per tutti i supporti non cartacei prodotti successivamente all’entrata in vigore della predetta L. 18 agosto 2000, n. 248, mentre i supporti non cartacei prodotti precedentemente sono considerati legittimamente circolanti purchè conformi alla disciplina previgente (art. 1).

Il decreto, che è stato successivamente modificato con D.P.C.M. 25 ottobre 2002, n. 296, prevede espressamente che il contrassegno sia rilasciato dalla S.I.A.E. su richiesta degli interessati (art. 4); e dispone che il contrassegno venga applicato in modo visibile sulla confezione del supporto, a meno che, per le esigenze di commercializzazione di taluni prodotti, la S.I.A.E. autorizzi l’apposizione sull’involucro esterno della confezione (art. 3).

Da quanto precede è evidente che la "regola tecnica" prevista sin dal 1942 per i supporti cartacei (cioè per le opere pubblicate a mezzo stampa) non è la stessa applicata, di fatto e di diritto, per gli altri supporti di tipo magnetico, plastico, etc. (nastri, cassette, dischi e simili), differendo necessariamente i relativi contrassegni per modalità di applicazione e per caratteristiche intrinseche.

Si può a questo punto comprendere perchè non rilevi sul presente thema decidendum il principio di diritto affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, con sent. n. 2 del 19.1.2000, *******, rv.

215092, secondo cui il regolamento di esecuzione richiamato dalla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. c), nel testo introdotto dal D.Lgs. 16 novembre 1994, n. 685 (ma poi modificato dalla L. 18 agosto 2000 n. 248), è quello approvato con R.D. 18 maggio 1942 n. 1369, con la conseguenza che, anche in mancanza di uno specifico regolamento esecutivo del D.Lgs. n. 685 del 1994, resta penalmente sanzionata l’illecita immissione nel mercato di supporti non contrassegnati dalla SIAE. Questo principio, infatti, tendeva propriamente ad affermare la persistente configurabilità del nuovo reato, nella implicita considerazione che la fattispecie era sufficientemente determinata anche prima che venisse emanato uno specifico regolamento per i nuovi supporti non cartacei. Ma non arrivava, e non poteva arrivare, ad affermare che il regolamento del 1942 per i supporti cartacei, ai fini della procedura comunitaria di notificazione, è equipollente o sovrapponibile all’emanando (e poi emanato) regolamento per i supporti non cartacei. In altri termini, seguendo la sentenza *******, si può dire in linea generale che il reato di messa in commercio di supporti non cartacei privi del contrassegno SIAE è configuratale anche per i fatti commessi quando non esisteva una specifica disposizione regolamentare; ma non si può sostenere (dopo la sentenza Schwibbert) che questo reato sussiste anche nei casi in cui il contrassegno, istituito dopo il 31.3.1983, non sia stato regolarmente comunicato alla Commissione europea.

Concludendo sul punto, tenendo presente anche il dictum delle Sezioni unite, sembra doversi affermare che:

a) per i contrassegni relativi ai supporti cartacei si applica la disciplina regolamentare di cui al R.D. 18 maggio 1942, n. 1369, art. 12;

b) per i contrassegni relativi ai supporti non cartacei prodotti prima della entrata in vigore della L. 18 agosto 2000, n. 248 (cioè prima del 19.9.2000) si applica la disciplina derivante dagli accordi stipulati tra la S.I.A.E. e le associazioni di categoria interessate, implicitamente riconosciuti dal D.L. 26 gennaio 1987, n. 9, convertito in L. 27 marzo 1987, n. 121, dal D.Lgs. 29 dicembre 1992, n. 518, dal D.Lgs. 16 novembre 1994, n. 685 e dal D.Lgs. 6 maggio 1999, n. 169, sopra citati;

c) per i contrassegni relativi ai supporti non cartacei prodotti dalla predetta data del 19.9.2000 si applica la disciplina introdotta dalla L. n. 633 del 1941, art. 181 bis e dal relativo regolamento esecutivo di cui al D.P.C.M. 11 luglio 2001, n. 338 e succ. mod..

5 – In relazione alla fattispecie dedotta nel presente processo, resta quindi da verificare se la previsione del contrassegno sulle musicassette e sui compact discs musicali sia stata introdotta nell’ordinamento italiano dopo la menzionata data del 31.3.1983, con la conseguenza che, in caso positivo, doveva essere notificata alla Commissione europea. Come ha precisato la stessa sentenza Schwibbert, questo accertamento, avendo per oggetto una norma di diritto interno, spetta naturalmente al giudice nazionale e non alla Corte di Giustizia europea (nn. 23 e 40). Al riguardo non può condividersi la tesi sostenuta dal Governo italiano e dalla SIAE davanti alla Corte lussemburghese (che peraltro l’ha incidentalmente respinta, con l’obiter dictum di cui al n. 40 della sentenza), secondo cui il contrassegno sulle opere dell’ingegno era stato istituito ben prima della data suddetta, con la L. n. 633 del 1941 e con il relativo regolamento del 1942, mentre le modifiche legislative apportate nel 1987 e nel 1994 non costituivano altro che semplici adeguamenti ai progressi tecnologici intervenuti nel frattempo nella produzione dei supporti (n. 39 della sentenza Schwibbert).

Invero, la L. n. 633 del 1941, art. 123 e R.D. 18 maggio 1942, n. 1369, art. 12 – come già osservato – disciplinano soltanto il contrassegno sui supporti cartacei (stampa) delle opere dell’ingegno di qualsiasi tipo (letterario, musicale, figurativo etc.), prevedendo l’obbligo delle associazione degli editori di apporto su ogni esemplare attraverso la SIAE, salvo che l’autore non provveda direttamente a contrassegnare ciascun esemplare con la propria firma autografa. E’ evidente, però, che la "regola tecnica" cambia essenzialmente – e quindi deve essere nuovamente sottoposta al vaglio della Commissione – quando il supporto da cartaceo diventa magnetico, plastico o di altro materiale, e quando cambia anche la tecnica di fissazione dell’opera nel supporto stesso (stampa, fonoregistrazione, videoregistrazione, etc.). Dalle considerazioni già svolte nel paragrafo precedente risulta evidente che la "regola tecnica" prevista sin dal 1942 per i supporti cartacei (cioè per le opere pubblicate a mezzo stampa) non è la stessa applicata, di fatto e di diritto, per gli altri supporti di tipo magnetico, plastico, etc. (nastri, cassette, dischi e simili), differendo necessariamente i relativi contrassegni per modalità di applicazione e per caratteristiche intrinseche. Orbene, come già osservato, la prima legge nazionale che menziona il contrassegno per i supporti contenenti fonogrammi, videogrammi o sequenze di immagini in movimento, è il D.Lgs. 16 novembre 1994, n. 685, che, con l’art. 17, ha introdotto per la prima volta l’art. 171 ter nel testo della legge sul diritto d’autore.

Questo contrassegno, prima della L. 18 agosto 2000, n. 248 era regolato di fatto dalla prassi instaurata dalla SIAE sulla base delle convenzioni stipulate con le categorie di settore, e legislativamente riconosciuta; dopo la L. 18 agosto 2000, n. 248 è regolato dal più volte ripetuto art. 181 bis e dal relativo regolamento di esecuzione.

Per conseguenza, in quanto disciplinato da norme comunque successive alla più volte menzionata data del 31.3.1983, questo tipo di contrassegno doveva essere previamente comunicato alla Commissione della Comunità europea. Poichè notoriamente non è stato comunicato, non può essere fatto valere nei confronti dei privati.

Si può aggiungere per completezza che, dopo la sentenza Schwibbert, ogni qual volta il contrassegno SIAE sia configurato come elemento negativo della fattispecie penale (ovverosia ogni volta che la mancanza del contrassegno obbligatorio sia prevista fra gli elementi tipici del reato), spetta al pubblico ministero la prova che la previsione del contrassegno sia anteriore alla data del 31.3.1983, ovvero che – se posteriore a quella data – sia stata regolarmente comunicata alla Commissione europea.

In difetto di questa prova, infatti, l’obbligo (o la facoltà nel senso anzidetto) del contrassegno non è valevole nei confronti dell’imputato, sicchè questo non può essere condannato. Più esattamente, in questo caso, il fatto tipico descritto nella norma continua a essere preveduto come reato, ma in concreto viene a mancare un suo elemento materiale (cioè l’inottemperanza a un obbligo di contrassegno, che non esiste validamente come obbligo), sicchè la formula di assoluzione è che il fatto non sussiste. In altri termini, tipicamente continua a essere previsto come reato l’uso illecito di supporti privi di contrassegni SIAE che siano validi secondo il diritto comunitario; in concreto, il fatto di reato non sussiste quando i contrassegni SIAE mancanti non sono validi sotto il profilo comunitario.

6 – A questo punto è possibile completare il percorso argomentativo imposto dalla sentenza Schwibbert, osservando che tra le fattispecie penali in cui il contrassegno è previsto come elemento negativo rientra quella di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. d) (nel testo modificato dalla L. 18 agosto 2000, n. 248), che appunto punisce chiunque detiene per la vendita supporti musicali, o audiovisivi, cinematografici etc. privi del contrassegno della SIAE. Tra le stesse fattispecie non rientra invece quella di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. c) (nel testo modificato dalla L. 18 agosto 2000, n. 248), appunto perchè non prevede come elemento essenziale tipico la mancanza del contrassegno in parola, ma punisce soltanto chiunque detiene a fini commerciali supporti illecitamente duplicati o riprodotti, pur non avendo concorso alla duplicazione o riproduzione.

In quest’ultimo caso, insomma, la mancanza del contrassegno può essere semmai valutata come mero indizio della illecita duplicazione o riproduzione, ma non assurge al ruolo di elemento costitutivo della condotta. In quanto indizio, dovrà essere confortato da altri elementi indiziari gravi e concordanti, per assumere valenza probatoria. Da sola, invece, quella mancanza di contrassegno, non può valere come mezzo di prova della illecita duplicazione o riproduzione, giacchè altrimenti si continuerebbe a dare al contrassegno quel suo valore essenziale di garanzia della originalità e autenticità dell’opera, che invece non ha acquisito nei confronti dei soggetti privati per effetto della mancata comunicazione alla Commissione europea.

Ne deriva per il caso di specie, riguardante la detenzione a fini commerciali di musicassette e CD musicali, che la impugnata sentenza deve essere annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. d), per insussistenza del fatto. In conclusione, viene meno la ragione della prima doglianza difensiva (n. 2.1), che lamenta violazione del ne bis in idem sostanziale, considerato appunto che per il reato di cui alla predetta lett. d) si impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, mentre per il residuo reato di cui alla predetta lett. c) si impone la riduzione della pena inflitta alla reclusione di un anno e tre mesi di reclusione ed Euro 3.500,00 di multa, una volta eliminato l’aumento di pena a titolo di continuazione per il reato di cui alla predetta lett. d), determinato dalla corte di merito nella misura di un mese di reclusione ed Euro 500,00 di multa.

E’ infatti inammissibile per manifesta infondatezza l’ultima doglianza in ordine alla quantificazione della pena e al diniego delle attenuanti generiche (n. 2.2), giacchè la corte di merito ha motivato su entrambi i punti in modo esauriente e legittimo, valorizzando i molteplici e specifici precedenti penali dell’imputato come ostativi a un trattamento sanzionatorio più favorevole.

P.Q.M.

la corte suprema di cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. d) perchè il fatto non sussiste, ed elimina la relativa pena di un mese di reclusione ed Euro 500,00 di multa;

rigetta nel resto il ricorso.

Redazione