Corte di Cassazione Penale sez. I 17/1/2007 n. 1075

Redazione 17/01/07
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MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza in data 1.3.2006 la Corte di Appello di Torino ha assolto perchè il fatto non costituisce reato V.G., nella sua qualità di direttore tecnico e legale rappresentante dello stabilimento "Roquette Italia S.p.a." con sede di (OMISSIS), dal reato di cui all’art. 659 c.p. "perchè, omettendo di adottare ogni misura idonea a ridurre le emissioni sonore derivanti dall’attività produttiva e dagli impianti in dotazione della suddetta società, e quindi abusando nell’impiego di strumenti ritenuti sorgenti di rumore, provocava emissioni sonore ampiamente superiori a quelle consentite, disturbando in tal modo le occupazioni ed il riposo delle persone, accertato in (OMISSIS) fino al 9 marzo 2001", previa qualificazione del fatto come illecito amministrativo ai sensi della L. n. 447 del 1995, art. 10, comma 2.

In primo grado, con sentenza 7.5.2004 del Tribunale di Tortora, il V. era stato ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 659 c.p., comma 1, e condannato alla pena di due mesi di arresto, sospesa condizionalmente, nonchè al risarcimento del danno liquidato in favore della parte civile S.T. in Euro 40.000,00 e delle parti civili C.A. e R.F. in Euro 20.000,00 per ciascuna ed alla eliminazione delle conseguenze pericolose del reato.

Le parti civili, che avevano denunciato il fatto, abitavano nei pressi dello stabilimento dove avevano costruito le loro case previe regolari concessioni edilizie. Il Tribunale aveva ritenuto che fosse configurabile la fattispecie di cui all’art. 659 c.p., comma 1, con disturbo di una potenziale pluralità di persone poichè da un lato la attività della Roquette Italia non era fra quelle necessariamente rumorose e da altro lato l’abuso indicato dall’art. 659 c.p., comma 1 poteva derivare da qualsiasi fonte sonora, mentre la entrata in vigore della Legge Quadro dell’inquinamento acustico 26 ottobre 1995, n. 447 non aveva inciso sulla figura criminosa prevista dal comma 1 della norma citata. In fatto ha poi rilevato che le emissioni rumorose dello stabilimento di (OMISSIS), oltre a superare il limite di tollerabilità, erano state caratterizzate da costanza e diffusività di fondo, tanto da determinare concretamente il disturbo della pubblica tranquillità locale.

La Corte territoriale ha invece ritenuto che fosse ravvisabile la ipotesi di cui all’art. 659 c.p., comma 2 stante la presenza di una attività industriale necessariamente e tipicamente rumorosa, nonostante gli investimenti massicci della proprietà per eliminare o quanto meno attenuare le conseguenze rumorose delle lavorazioni in atto e che in tale ambito il fatto integrasse soltanto l’illecito amministrativo di cui alla L. n. 447, art. 10, comma 2, poichè la rilevanza penale dell’art. 659 c.p., comma 2 restava limitata alle violazioni di prescrizioni diverse da quelle concernenti i limiti delle emissioni o immissioni sonore.

Ha proposto ricorso per cassazione la parte civile R.F. chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata e lamentando con due separati motivi: erronea applicazione dell’art. 659 c.p., comma 2, poichè il fatto contestato integrava l’art. 659 c.p., comma 1 alla stregua della specifica contestazione contenuta nel capo di imputazione e della interpretazione della norma offerta dalla giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione; erronea applicazione della L. n. 447 del 1995, art. 10, comma 2, il quale non aveva depenalizzato la fattispecie prevista dall’art. 659 c.p., comma 2 in presenza della concreta idoneità della condotta a mettere in pericolo il bene della pubblica tranquillità, tutelato sia dal comma 1 che dal comma 2 della norma citata, arrecando disturbo al riposo e alle occupazioni di una pluralità indeterminata di persone.

Con memoria in data 16.11.2006 la difesa dell’imputato ha chiesto la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite Penali di questa Corte con riguardo ai "confini" dell’art. 659 c.p., fra il comma 1 ed il comma 2 ed all’ambito della depenalizzazione del suddetto reato.

Il Procuratore ******** presso questa Corte ha chiesto la rimessione degli atti al giudice civile. Anche il difensore della parte civile R.F. ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata con la rimessione degli atti al giudice civile per la quantificazione del danno. La difesa dell’imputato ha invece concluso per il rigetto del ricorso della parte civile ed in via subordinata per la rimessione alle Sezioni Unite Penale della questione prospettata con la memoria difensiva.

Motivi della decisione

Il ricorso contro la sentenza di proscioglimento proposto dalla sola parte civile trova, nella specie, la sua fonte e la sua disciplina nell’art. 576 c.p.p., che, per quanto qui interessa, non è stato toccato dalla modifiche apportate dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46 in materia di inappellabilità della sentenze di proscioglimento, e riconosce il diritto alla parte civile ad una decisione incondizionata sul merito della propria domanda e, nel contempo, conferisce al giudice dell’impugnazione il potere di decidere sulla domanda al risarcimento ed alle restituzioni, pur in mancanza di una statuizione sul punto nel precedente grado del giudizio.

Si tratta di una eccezione fatta dal legislatore al principio per cui il giudice penale in tanto può occuparsi dei capi civili in quanto contestualmente pervenga ad una dichiarazione di responsabilità penale, poichè consente che, per effetto della sola impugnazione della parte civile, si possa rimuovere l’accertamento dei fatti posti a base della decisione assolutoria, al fine di valutare la sussistenza di una responsabilità per illecito civile e così ottenere una diversa pronuncia che rimuova quella pregiudizievole per i suoi interessi civili.

La normativa processuale penale vigente ha cioè scelto l’autonomia dei giudizi sui due profili di responsabilità, civile e penale, nel senso che la impugnazione proposta ai soli effetti civili non può incidere sulla decisione del giudice del grado precedente in merito alla responsabilità penale del reo, ma il giudice penale dell’impugnazione, dovendo decidere su una domanda civile necessariamente dipendente da un accertamento sul fatto di reato e dunque sulla responsabilità dell’autore dell’illecito extracontrattuale, può, seppure in via incidentale, statuire in modo difforme sul fatto oggetto dell’impugnazione, ritenendolo ascrivibile al soggetto prosciolto (v. Cass. Sez. Un. n. 25083 del 2006, *****).

Ne consegue che la parte civile, nonostante la modifica dell’art. 576 c.p.p. ad opera della L. n. 46 del 2006 nella parte in cui in precedenza collegava il suo potere di impugnativa al mezzo previsto per il Pubblico Ministero, conserva tuttora il potere di impugnare contro la sentenza di proscioglimento, mentre il giudice della impugnazione ha, nei limiti del devoluto e agli effetti della devoluzione, i poteri che avrebbe dovuto esercitare il giudice che ha prosciolto, per cui, se si convince che tale giudice ha sbagliato nell’assolvere l’imputato, ben può affermare la responsabilità di costui agli effetti civili e (come indirettamente conferma il disposto di cui all’art. 622 c.p.p.) condannarlo al risarcimento o alle restituzioni, in quanto l’accertamento incidentale equivale virtualmente – ora per allora – alla condanna di cui all’art. 538 c.p.p., comma 1, che non venne pronunciata per errore.

Ciò posto in punto di ammissibilità del ricorso della parte civile, va rilevato, sempre in via preliminare, che non si ritiene di rimettere alle Sezioni Unite di questa Corte la questione prospettata dal ricorrente con riguardo ai "confini" fra le ipotesi criminose previste dall’art. 659 c.p., comma 1 e comma 2 ed all’ambito di depenalizzazione della ipotesi di cui al comma 2 per effetto della L. n. 477 del 1995, art. 10, comma 2.

Per quanto riguarda l’oggetto dell’attuale ricorso, anche con riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, è infatti in discussione soltanto la possibilità che il reato di cui all’art. 659 c.p., comma 1 possa coesistere e concorrere con la violazione amministrativa prevista dalla c.d. legge quadro sull’inquinamento acustico per violazione dei limiti fissati dalla legge speciale per l’esercizio di attività rumorose. Ma sotto tale profilo la giurisprudenza di gran lunga prevalente di questa Corte è nel senso, ampiamente condivisibile, che le due norme inserite nel citato art. 659 c.p., comma 1 e comma 2 perseguono finalità diverse, mirando la prima a sanzionare gli effetti negativi della rumorosità in funzione della tutela della tranquillità pubblica, mentre l’altra, essendo diretta unicamente a stabilire i limiti di intensità delle sorgenti sonore provenienti fisiologicamente da attività rumorose, oltre i quali deve ritenersi sussistente l’inquinamento acustico, prende in considerazione soltanto il dato oggettivo del superamento di una certa soglia di rumorosità, rimanendo impregiudicato, in caso di superamento di tali limiti, l’accertamento se, nel caso concreto, anche per l’uso smodato di certi strumenti o per l’esercizio dell’attività rumorosa in orari diversi da quelli consentiti, sia stato arrecato o meno anche un effettivo disturbo alle occupazioni e al riposo delle persone (v. per tutte, Cass. sez. 1^, n. 32468 del 2004; Cass. sez. 1^, n. 43202 del 2002; Cass. sez. 1^, n. 3123 del 26.4.2000).

Il legislatore ha inteso, invero, da un lato regolare in maniera rigida e rigorosa l’esercizio di alcune professioni, ancorchè suscettibili di disturbare in certa misura la tranquillità pubblica, in vista di interessi superiori come quelli stabiliti dall’economia nazionale, entro limiti strettamente necessari a garantire tali interessi; e, dall’altro, mantenere intatta la punibilità in sede penale di condotte che non rispettino tali limiti, considerati ex lege invalicabili ai fini della salvaguardia del diritto al riposo e alla tranquillità della comunità sociale. Per cui, una volta accertato il superamento di tali limiti, sarà possibile procedere alla verifica in ordine alla eventuale contestuale sussistenza, in presenza dei presupposti previsti dalla legge, della condotta integrante la ipotesi di cui all’art. 659 c.p., comma 1 essendo configurabile un concorso fra le condotte descritte nei due commi della predetta disposizione codicistica (v. Cass. sez. 1^, n. 319 del 2000; Cass. sez. 1^, n. 382 del 1999; Cass. n. 23072 del 2005).

Non sussistendo in sostanza un contrasto apprezzabile in ordine allo specifico problema che viene in discussione, non pare che ricorrano i presupposti per la rimessione alle Sezioni Unite.

Passando quindi ad esaminare il ricorso della parte civile, va rilevato che lo stesso è fondato.

La Corte territoriale ha ritenuto che, trattandosi dell’esercizio di una attività industriale rumorosa ex se, il superamento, nella specie accertato positivamente, dei limiti di emissione sonore previsti dalla normativa speciale possa integrare soltanto la violazione amministrativa di cui alla L. n. 447 del 1995, art. 10, però proprio la sentenza di questa Corte n. 530 del 2004, Rv.

230890, citata dalla sentenza impugnata, riconosce la immutata rilevanza penale della condotta prevista dall’art. 659 c.p., comma 2, pur se circoscritta alla violazione di prescrizioni diverse da quelle concernenti i limiti di emissioni o immissioni sonore e comunque non esclude la coesistenza delle ipotesi previste dalla norma citata, comma 1 e comma 2, posto che, in particolare, non vi è alcuna interferenza tra la disciplina della L. n. 447 del 1995 e quella contenuta nell’art. 659 c.p., comma 1, poichè la prima stabilisce limiti di generale applicazione, strumentalmente verificabili, correlati all’intensità assoluta e differenziale, frequenza e tempi dell’emissione o dell’immissione in aree tipologicamente predeterminate; la seconda, invece, ha riferimento alla media sensibilità della persone nell’ambito in cui si verificano in concreto le immissione rumorose (v. Cass. sez. 1^, n. 30, settembre 1998, Messina).

In particolare è stato precisato che la normativa sull’inquinamento acustico di cui alla L. n. 447 del 1995 non ha abrogato la norma di cui all’art. 659 c.p., comma 1, in quanto la legge speciale ha inteso fissare un limite di rumorosità, al fine di tutelare la salute della collettività, la cui inosservanza integra la violazione amministrativa sanzionata dalla stessa legge, senza che con ciò automaticamente venga integrata la ipotesi prevista dal codice penale, per la cui sussistenza occorre che, nel concreto, l’uso di strumenti rumorosi sia tale da recare un effettivo disturbo al riposo ed alle occupazioni delle persone, alla luce di tutte le circostanze della specifica e concreta situazione (v. Cass. sez. 1^, 23 aprile 1998, ********; Cass. sez. 1^, n. 38295 del 2004).

Orbene, in applicazione di tali principi, condivisi da questo Collegio, appare evidente che la qualificazione del reato contestato, operata dalla Corte territoriale, come esercizio di un mestiere rumoroso in violazione dei limiti stabiliti dalla legge speciale, per farne discendere che si sarebbe trattato di una mera violazione amministrativa, sotto il profilo che non potrebbe mai sussistere la ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 659, comma 1 in presenza di una attività rumorosa, non appare corretta e si pone in contrasto con un indirizzo giurisprudenziale quasi unanime per cui anche dall’esercizio di un mestiere rumoroso può derivare una lesione o messa in pericolo della quiete pubblica, tutelata dal comma 1 della disposizione più volte citata e riferita alla media sensibilità delle persone nell’ambito in cui si verificano in concreto le immissioni sonore.

Si tratta di un errore di diritto che impone l’annullamento della sentenza impugnata, spettando al giudice del rinvio la verifica del superamento dei limiti della normale tollerabilità e della idoneità delle emissione sonore ad arrecare disturbo alle occupazioni ed al riposo delle persone, tenendo conto in particolare, oltre che della intensità dei rumori, degli orari in cui essi si sono verificati e più in generale dell’offesa o meno del bene tutelato della quiete pubblica.

Il rinvio, a norma dell’art. 622 c.p.p., deve essere disposto al giudice civile competente per valore in grado di appello e cioè alla Corte di Appello di Torino in sede civile che giudicherà sull’accertamento della responsabilità per l’illecito penale ai soli fini della domanda risarcitoria proposta dalla parte civile.

Sulle spese del presente giudizio provvederà, se del caso, il giudice civile in sede di rinvio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Torino in sede civile per nuovo giudizio ai soli effetti civili.

Redazione