Corte di Cassazione Civile Sezioni unite 3/12/2008 n. 28658

Redazione 03/12/08
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Svolgimento del processo
Il consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Verona, all’esito di rituale procedimento, con Delib. notificata 27 aprile 2007, ha disposto la cessazione del patrocinio concesso al Dott. ***** e la cancellazione di questi dal Registro Speciale dei Praticanti sulla considerazione che erano decorsi ormai oltre sei anni dalla data di concessione dell’abilitazione ed allo stesso era stato anche rilasciato il certificato di compiuta pratica.

Avverso tale delibera il ********** ha proposto innanzi al C.N.F. impugnazione resistita dal C.O.A. di Verona.

L’impugnazione è stata accolta dal C.N.F. con decisione 28.12.07 sulla considerazione che, correttamente interpretando il complesso delle pertinenti disposizioni, il decorso del termine di sei anni previsto dal R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 8, comma 1, ed il venir meno dell’abilitazione provvisoria non determinino, tuttavia, in assenza di specifica disposizione contraria, il venir meno anche dello status e dell’interesse del praticante a rimanere iscritto nel Registro speciale di cui al comma 2 della stessa norma per proseguire nello svolgimento della pratica, pur privo dello ius postulandi, sino a quando non abbia superato l’esame per l’abilitazione professionale e senza la necessità di proseguire nella pratica secondo le modalità prescritte dal regolamento, in quanto i motivi per i quali il praticante può essere cancellato dal Registro speciale sono indicati con precisione dal R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 14, e, mentre tale norma, alla lett. c) prevede, quale ipotesi di cancellazione, l’interruzione della pratica per un periodo superiore a sei mesi, non prevede anche l’avvenuto rilascio del certificato di compiuta pratica, al termine del periodo previsto dal R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 17, comma 1, n. 5, che individua solo il termine di "almeno due anni consecutivi", senza fissare limiti temporali massimi per il compimento della pratica e il correlativo necessario mantenimento dell’iscrizione nel predetto registro.

Detta decisione è stata impugnata dal C.O.A. di Verona con ricorso per cassazione cui ha resistito con controricorso il ******** F..

Questi ha, poi, depositato memoria con la quale ha evidenziato come, avendo egli superato, nella sessione del 2007, l’esame d’Avvocato, avesse inutilmente invitato il C.O.A. di Verona a formalizzare la rinunzia al proposto ricorso pur già espressamente deliberata, nella seduta del 6.10.08, su sua dichiarata disponibilità ad accettarla a spese compensate.

Motivi della decisione
Preliminarmente, devesi escludere qualsiasi rilevanza delle circostanze dedotte dal resistente con la memoria, in quanto semplicemente allegate ma non documentate.

Va, altresì, disattesa l’eccezione, sollevata dal resistente e fatta propria dal P.G., d’inammissibilità del ricorso per mancanza e/o inidoneità dei quesiti prescritti dall’art. 366 bis c.p.c., ancorchè non formulati interrogativamente ma sotto forma di principi di diritto, questi risultando specificamente enunziati all’inizio del motivo quale oggetto, ad un tempo, dell’istanza di conforme affermazione da parte della Corte in accoglimento del ricorso e d’enunciazione del teorema da dimostrare con il successivo svolgimento delle ritenute pertinenti ragioni.

La puntuale riferibilità alla fattispecie e la specificità delle affermazioni di diritto sollecitate, la inequivocità della richiesta insita nelle proposizioni enunciate e tali da consentire una netta risposta positiva o negativa sull’affermato principio di diritto opposto a quello applicato dal giudice a quo sì da comportare l’annullamento della decisione impugnata, inducono a ritenere che sia stata per tal via pienamente soddisfatta la finalità del legislatore della riforma di porre questa Corte in condizione d’adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Dette enunciazioni valgono, infatti, a circoscrivere l’adottanda pronuncia nei limiti d’un loro accoglimento o rigetto, senz’alcuna differenza rispetto ad una formulazione che assuma, invece, veste interrogativa, restando comunque assolta la funzione d’individuazione della questione di diritto posta alla Corte, in una parte apposita del ricorso, a ciò deputata attraverso espressioni specifiche idonee ad evidenziarla, come richiesto dalla condivisibile giurisprudenza già formatasi al riguardo.

Con unico complesso motivo, il ricorrente – denunziando "Violazione del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 8, comma 3, e art. 16, comma 5, art. 37, comma 1, n. 2 (Ordinamento della professione di avvocato); e del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 4, comma 3, art. 10, comma 1, art. 14, comma 1, lett. b), c) e lett. d), art. 14, comma 4 (Regolamento della professione di avvocato) per aver il CNF affermato che non è previsto alcun termine della iscrizione del praticante avvocato nell’apposito registro" – idoneamente pone, infatti, il seguente quesito:

SE IL PRATICANTE AVVOCATO, AL QUALE SIA STATO RILASCIATO IL CERTIFICATO DI COMPIUTA PRATICA E PER IL QUALE SIA DECORSO IL SESSENNIO PER L’ABILITAZIONE AL PATROCINIO, DEBBA ESSERE CANCELLATO DAL REGISTRO ESSENDO VENUTO MENO LO SCOPO (PREPARAZIONE ALL’ESAME DI AVVOCATO, COSTITUENTE REQUISITO PER LA ISCRIZIONE), PER IL QUALE E’ ISTITUITO IL REGISTRO E SE CIO’ DEBBA AVVENIRE IN FORZA DI UNA CORRETTA E SISTEMATICA INTERPRETAZIONE DELLE NORME CHE DISCIPLINANO LA MATERIA: DEL R.D.L. 27 NOVEMBRE 1933, N. 1578, ART. 8, COMMA 3, E ART. 16, COMMA 5 (ORDINAMENTO DELLA PROFESSIONE DI AVVOCATO) E DEL R.D. 22 GENNAIO 1934, N. 37, ART. 4, COMMA 3, ART. 10, ART. 14, COMMA 1, LETT. C) E LETT. D), ART. 14, COMMA 4 (REGOLAMENTO DELLA PROFESSIONE DI AVVOCATO); DEL R.D. 22 GENNAIO 1934, N. 37, ART. 14, COMMA 1, LETT. B) (REGOLAMENTO DELLA PROFESSIONE DI AVVOCATO) IN RELAZIONE AL R.D.L. 27 NOVEMBRE 1933, N. 1578, ART. 37, COMMA 1, N. 2 (ORDINAMENTO DELLA PROFESSIONE DI AVVOCATO).

Al quale va data risposta negativa.

Su identiche questioni e sul medesimo quesito, proposti sempre dal C.O.A. di Verona in analoga controversia, queste SS.UU. si sono già pronunziate con sentenza 30.6.08 n. 17761, nella quale è stato evidenziato e deciso quanto segue:

Il ricorrente adduce la contraddittorietà dell’orientamento assunto nella specifica materia dal CNF, sostenendo che esso si sarebbe espresso in talune occasioni per la cancellazione dal registro, mentre in altre avrebbe escluso la possibilità della cancellazione stessa; ritiene, altresì, che, in argomento, risultino due pronunce delle Sezioni Unite (Cass., SU., n. 21945 del 2004 e Cass., SU., n. 12543 del 2006) che, l’una esplicitamente (la sentenza del 2004) e l’altra implicitamente, avrebbero affermato il principio della dovuta cancellazione del praticante dal registro dopo il rilascio del certificato di compiuta pratica e la decorrenza del tesserino di abilitazione.

I due richiami non appaiono pertinenti.

Dall’esame della sentenza 21945/2004 emerge infatti che nel caso di specie il ricorrente non chiedeva di conservare la condizione soggettiva di mero "praticante" bensì "la conservazione di uno status giuridico attribuitogli formalmente dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma (abilitazione al patrocinio innanzi alle preture, ovvero nei limiti stabiliti dal D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, e succ.ve modifiche)".

Mentre la sentenza 12543/2006 fornisce addirittura elementi in senso opposto perchè ribadisce il potere disciplinare dei COA e del CNF nei confronti dei (meri) praticanti avvocati che abbiano perso il "patrocinio"; in quanto "in virtù della disciplina vigente, nella categoria dei praticanti avvocati risulta introdotta la distinzione fra praticanti non ammessi e praticanti ammessi ad esercitare, per un tempo determinato, il patrocinio, per cui il venir meno del riconosciuto ius postulandi non comporta anche il venir meno dello status stesso di praticante e dell’interesse del soggetto a continuare ad essere iscritto nel registro speciale "ai fini dello svolgimento della pratica con esclusione del patrocinio stesso" (R.D. n. 37 del 1934, art. 14, comma 4), con la conseguenza ulteriore che, sino a quando non intervenga il provvedimento di cancellazione dal registro dei praticanti, il praticante continua ad essere assoggettato al potere disciplinare del Consiglio dell’Ordine".

Per quanto attiene al merito della controversia, il Collegio osserva che il R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 8, prevede al suo comma 1, che i laureati in giurisprudenza che svolgano la pratica per la professione di avvocato "siano iscritti, a domanda e previa certificazione dell’avvocato di cui frequentano lo studio, in un registro speciale tenuto dal consiglio dell’ordine degli avvocati presso il tribunale nel cui circondario hanno la residenza, e siano sottoposti al potere disciplinare del consiglio stesso".

E, come è agevole constatare, la norma non pone alcun limite temporale alla durata della iscrizione nel summenzionato registro.

Un termine (sei anni) è invece previsto dal R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 8, comma 2, secondo cui "i praticanti avvocati, dopo un anno dalla iscrizione nel registro di cui al comma 1, sono ammessi, per un periodo non superiore a sei anni, ad esercitare il patrocinio davanti ai tribunali del distretto nel quale è compreso l’ordine circondariale che ha la tenuta del registro suddetto, limitatamente ai procedimenti che, in base alle norme vigenti anteriormente alla data di efficacia del decreto legislativo di attuazione della L. 16 luglio 1997, n. 254, rientravano nella competenza del pretore.

Davanti ai medesimi tribunali e negli stessi limiti in sede penale, essi possono essere nominati difensori d’ufficio, esercitare le funzioni di pubblico ministero e proporre dichiarazione di impugnazione sia come difensori sia come rappresentanti del pubblico ministero".

E il comma 3 prescrive che i praticanti ammessi al patrocinio debbano prestare giuramento.

Dal disposto normativo emerge, ad avviso del Collegio, che all’interno dell’unico registro dei praticanti, cui è consentita l’iscrizione a tempo indeterminato, sussiste una specifica categoria costituita dai "praticanti ammessi al patrocinio"; e mentre è indubbiamente vero che chi perda la qualifica di praticante perde automaticamente il patrocinio, non esistono argomenti per affermare il reciproco, cioè che la perdita del patrocinio (per decorrenza del sessennio) comporti la cancellazione anche dal registro dei praticanti.

Il COA di Verona tenta di forzare la lettera della legge attraverso il richiamo ad una ratio che nella legge non trova appiglio.

Sostiene in primo luogo che "l’iscrizione nel registro dei praticanti è ammessa e consentita solo per lo svolgimento della pratica e per ottenere il certificato, che attesti il suo compimento, allo scopo di sostenere l’esame di abilitazione alla professione di avvocato", sicchè soltanto "lo svolgimento di un’utile pratica sarebbe condizione utile per il mantenimento della iscrizione al registro". E dunque chi abbia conseguito la condizione soggettiva necessaria per l’accesso all’esame di avvocato dovrebbe esser cancellato dal registro.

Il Collegio non ritiene di poter condividere simile tesi; il laureato in giurisprudenza che abbia soddisfatto le condizioni per l’accesso all’esame di avvocato ben può avere interesse a proseguire nella pratica forense ed a svolgere tale pratica non in veste informale, bensì con una precisa qualifica ed in un rapporto di giuridica dipendenza da un professionista già abilitato.

Nè appare sufficiente in senso contrario il R.D. n. 37 del 1934, art. 14, comma 1, lett. c), che, in riferimento all’art. 4 dello stesso R.D., prescrive la cancellazione per il caso di interruzione della pratica per un periodo superiore a sei mesi, rimanendo privo di effetti il periodo di pratica già compiuto; la norma dimostra infatti soltanto come il tirocinio sia previsto come uno status funzionale all’esame, ma non che esso debba essere obbligatoriamente contenuto nei tempi minimi necessari per l’accesso all’esame.

D’altronde, se così non fosse, non si comprenderebbe perchè la legge consenta al praticante di accedere al patrocinio per un periodo di sei anni, che si protrae anche quando il praticante sia già legittimato a presentarsi all’esame.

In realtà il *** di Verona persegue uno scopo apprezzabile e conforme alla legge: contenere il fenomeno dei "miniavvocati a vita", cioè di soggetti che senza conseguire la qualifica di avvocato ne esercitano le funzioni, magari con l’aiuto di un professionista compiacente.

Tale obbiettivo è però recepito dalla legge attraverso la disposizione che pone un limite temporale al patrocinio dei praticanti; con la scadenza di tale termine il patrocinante è legittimato soltanto a proseguire nella pratica cioè a svolgere la sua attività di ausilio e di apprendimento sotto il controllo continuo di chi sia iscritto all’albo, come dimostra anche il fatto che per lo svolgimento della (mera) pratica non è richiesto quel giuramento che è invece richiesto per lo svolgimento di attività "a rilevanza esterna".

Ove i limiti di legge siano superati, ed il praticante svolga una vera e propria attività professionale (come paventa il ricorrente a pago 12 dell’atto introduttivo) sono applicabili le sanzioni penali e disciplinari a carico del soggetto che travalichi i limiti di quanto gli consente la sua laurea in giurisprudenza e dell’avvocato che gli offra copertura.

Sul che ritiene il Collegio di dover ulteriormente puntualizzare come, per prevalente giurisprudenza, la prestazione d’opera intellettuale nell’ambito dell’assistenza legale sia riservata agli iscritti negli albi forensi solo nei limiti della rappresentanza, assistenza e difesa delle parti in giudizio e, comunque, di diretta collaborazione con il giudice nell’ambito del processo, onde, al di fuori di tali limiti, l’attività d’assistenza e consulenza legale non può considerarsi riservata agli iscritti negli albi professionali (e pluribus, nel tempo, Cass. 30.5.06 n. 12840, 8.8.97 n. 7359, 7.7.87 n. 5906; si noti che la contraria Cass. 18.4.07 n. 9237, invocata dal ricorrente, è minoritaria, contiene solo un’enunciazione generica ed apodittica d’adesione al principio affermato – erroneamente per quanto in precedenza – dalla sentenza di merito, non forma oggetto di massima ufficiale e la stessa qualificata Rivista che la pubblica l’annota negativamente); onde il laureato in giurisprudenza può svolgere tale attività liberamente, sia o meno iscritto all’albo dei praticanti, sì che il paventato pericolo dell’esercizio della stessa quale conseguenza dell’iscrizione all’albo dei praticanti si rivela privo di supporto giuridico e fattuale.

Prosegue la riportata sentenza:

Non esiste, invece, uno strumento giuridico che consenta di dedurre dal venir meno del patrocinio il venir meno anche del tirocinio.

Il COA di Verona adduce in proposito argomenti che non paiono risolutivi.

Il più rilevante viene dedotto dal R.D. n. 37 del 1934, art. 14, comma 1, lett. d), che prevede la cancellazione dal registro del praticante ammesso al patrocinio che non abbia prestato il giuramento prescritto dall’art. 8 dello stesso R.D.; dunque l’omissione del giuramento non determina solo il mancato accesso alla condizione di patrocinante, bensì anche la perdita della qualifica di laureato in tirocinio; e ciò costituisce indubbiamente una forma di connessione fra le due qualifiche.

Non sembra però possibile dedurre da simile norma di dettaglio un principio generale ed estendere tale connessione al ben diverso caso di perdita del patrocinio per decorrenza del sessennio.

Tanto più che nulla vieta che il patrocinante cancellato dal registro per omesso giuramento vi si reiscriva (chiedendo o meno l’ammissione anche al patrocinio).

Nessun rilievo può poi attribuirsi al R.D. n. 37 del 1934, art. 14, comma 4, secondo cui "i praticanti cancellati dal registro speciale hanno il diritto di esservi nuovamente iscritti qualora dimostrino, se ne è il caso, la cessazione dei fatti che hanno determinato la cancellazione, e l’effettiva sussistenza dei titoli in base ai quali furono originariamente iscritti, e siano in possesso dei requisiti di cui al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 17, nn. 1, 2 e 3".

Dalla norma non si deduce infatti in alcun modo che (come vorrebbe invece il COA di Verona) "la reiscrizione nel registro è ammessa al solo fine del completamento della pratica, perchè, altrimenti, la iscrizione sarebbe inutile".

Infine nulla è possibile dedurre dal R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 16, comma 5, che impone al Consiglio dell’ordine di aggiornare il registro dei praticanti, da cui si deduce che è "obbligo del Consiglio dell’ordine provvederà alla cancellazione di coloro che non hanno più titolo per mantenerla"; ma non che il compimento della pratica determini la cancellazione dal registro.

Com’è ben evidente, la riportata decisione ha già adeguatamente delibato tutte le questioni poste anche nel presente ricorso a sostegno del posto identico quesito.

Nè possono essere prese in considerazione, indipendentemente dalla loro pertinenza e/o fondatezza o meno, le deduzioni aggiuntive – nelle quali può pur ravvisarsi maggiore approfondimento degli argomenti già svolti ma anche prospettazione d’argomenti ulteriori – sviluppate in fatto ed in diritto dal ricorrente con la memoria difensiva ex art. 378 c.p.c., questa potendo essere utilizzata esclusivamente per illustrare e chiarire i motivi già compiutamente svolti con il ricorso od a confutare le tesi avversarie, ma non per specificare od integrare od ampliare il contenuto dei motivi originari d’impugnazione i quali non fossero stati adeguatamente prospettati o sviluppati nel ricorso nè, soprattutto, per dedurre nuove censure, o sollevare nuove questioni – salvo siano rilevabili anche d’ufficio ed in tal caso altresì solo ove gli elementi di giudizio già risultino dagli atti – diversamente violandosi il diritto di difesa della controparte in considerazione dell’esigenza per quest’ultima di valersi di un congruo termine per esercitare la facoltà di replica (e pluribus, recentemente, Cass. S.UU. 15.5.06 n. 11097, Cass. 29.3.06 n. 7237, Cass. 29.12.05 n. 28855).

Può solo soggiungersi che la riportata decisione ha correttamente escluso la sussistenza del presupposto fattuale perchè possa procedersi ad un’interpretazione estensiva od analogica nel rapporto tra caso concreto in esame e disposizioni invocate dal ricorrente (il quale, nel prospettare tali interpretazioni come equivalenti, all’evidenza intende prestare adesione alla costruzione teorica per cui l’analogia rappresenterebbe una fase ulteriore dell’interpretazione logica nella sua forma estensiva, sì che la norma applicata per analogia verrebbe a coprire le ipotesi di lacuna del sistema le cui disposizioni, almeno sino a tale limite, sarebbero direttamente applicabili anche al caso non regolato – cfr. **********, I, 3: ad similia procedere atque ita ius dicere -); la soluzione proposta dal ricorrente, infatti, non si limita a rendere palese un contenuto implicito delle norme, che ne consentirebbe un’applicazione anche al caso in esame pur non espressamente regolatovi, ma, perviene ad una scelta opinabile, che è rimessa soltanto al legislatore, su di un’ipotesi i cui elementi costitutivi in fatto differiscono sostanzialmente da quelli presi in considerazione dal legislatore medesimo ed in funzione dei quali si è formata la ratio che ha dato luogo alla formulazione delle prescrizioni de quibus.

Il ricorso va, dunque, respinto; le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza; non si ravvisano elementi giustificativi per l’applicazione dell’art. 89 c.p.c., in ordine all’espressione "pericolosità della permanenza della iscrizione del registro".

P.Q.M.
LA CORTE decidendo a Sezioni unite, respinge il ricorso; condanna il ricorrente alle spese che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per onorari oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 novembre 2008.

Redazione