Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 22/12/2008 n. 29920; Pres. De Renzis A.

Redazione 22/12/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso del 4.4.2003 S.H. adiva il Giudice del Lavoro di Trento, sostenendo che con la società Vinante Costruzioni s.p.a. era intercorso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e non a tempo determinato con scadenza al 13.09.2002.

Chiedeva dichiararsi la sussistenza del rapporto di lavoro con la società Vinante Costruzioni S.p.a., in persona del rappresentante legale pro tempore ed accertarsi la natura di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Instauratosi il contraddittorio, si costituiva in giudizio la società Vinante Costruzioni s.p.a., facendo presente che l’autorizzazione amministrativa al lavoro aveva la durata di due anni, che il permesso di soggiorno era stato di conseguenza rilasciato fino al giorno 14.09.2002, e che a tale durata doveva automaticamente correlarsi quella del rapporto di lavoro; nel caso di lavoratori extracomunitari la disciplina ex L. n. 230 del 1962, rimaneva, quindi, derogata. In via riconvenzionale poi la società convenuta sosteneva che il rapporto era stato risolto per mutuo consenso; e comunque il rapporto di lavoro doveva considerarsi cessato per giustificato motivo oggettivo di licenziamento ovvero per impossibilità sopravvenuta della prestazione ex art. 1464 c.c.; la convenuta chiedeva anche il pagamento della somma di Euro 5.882,40, a titolo di affitto dell’alloggio ove il ricorrente aveva abitato per tutto il periodo in cui aveva lavorato alle dipendenze della società.

2. Con sentenza n. 27104 del 30.1.2004 il Tribunale del lavoro di Trento accoglieva il ricorso, dichiarando che tra S.H. e la società Vinante Costruzioni S.p.a. sussisteva un rapporto di lavoro a tempo indeterminato; rigettava le domande riconvenzionali formulate dalla società convenuta; condannava la società convenuta a rifondere le spese del presente giudizio.

4. Avverso tale sentenza la ******* s.p.a. proponeva appello per motivazione erronea, insufficiente e contraddittoria del primo Giudice sull’esistenza di un contratto a termine tra le parti.

Pronunciandosi nel contraddittorio delle parti, la Corte d’appello di Trento con sentenza del 19.05.2005 rigetta l’appello proposto avverso la sentenza del Tribunale di Trento, che confermava; condannava l’appellante a rifondere alla controparte le spese del grado.

Avverso questa pronuncia la società ricorre per cassazione con tre motivi.

L’intimato resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il ricorso, articolato in tre motivi, la società ricorrente si duole da una parte dell’errore di diritto commesso dai Giudici di merito nel ritenere che ai lavoratori extracomunitari fosse applicabile l’ordinaria disciplina del contratto a termine, da ritenersi invece derogata dalla speciale regolamentazione del permesso di soggiorno. Inoltre comunque i Giudici di merito avevano errato nel non considerare che il rapporto si era risolto per mutuo consenso ovvero per licenziamento per giustificato motivo.

2. Il primo motivo del ricorso è infondato.

Questa Corte (Cass., sez. lav., 9 ottobre 2007, n. 21067) ha già affermato che le disposizioni dettate per l’impiego di lavoratori stranieri extracomunitari dal D.Lgs. n. 286 del 1998, recante il testo unico sull’immigrazione non contengono norme speciali di deroga alla disciplina stabilita dalla L. n. 230 del 1962, in tema di contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, alla quale è assoggettato il rapporto instaurato con i predetti lavoratori extracomunitari, anche in base al generale principio di parità di trattamento con i lavoratori italiani. Cfr., in precedenza, anche Cass., sez. lav., 11 luglio 2001, n. 9407, che ha affermato che la disciplina relativa ai contratti di lavoro a tempo determinato trova piena applicazione anche nei confronti dei lavoratori stranieri e il requisito della fissazione del termine con atto scritto non può essere surrogato dagli atti dell’autorità amministrativa relativi al rilascio dei permessi di lavoro o di soggiorno, anche in caso di permessi per lavoro stagionale.

Inoltre c’è da considerare, con riferimento alla fattispecie, che la sentenza impugnata con valutazione in fatto ha proprio escluso che nella specie ci fosse un contratto a termine ritenendo insufficiente la dichiarazione del datore di lavoro in ordine alle risultanze del libro matricola. Il termine peraltro non può che essere apposto al contratto di lavoro in forma scritta; ciò che nella specie è mancato.

Nè a diverso convincimento può indurre la considerazione dell’eventualità del mancato rinnovo del permesso di soggiorno;

evenienza questa che semmai giustificherebbe il licenziamento per impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa.

3. Anche il secondo ed il terzo motivo del ricorso – che possono essere trattati congiuntamente in quanto oggettivamente connessi – sono infondati.

E’ vero che il rapporto di lavoro può essere risolto per mutuo consenso. Ma questa Corte (Cass., sez. lav., 28 settembre 2007, n. 20390) ha affermato in proposito che affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo;

la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al Giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto.

Nella specie i giudici di merito hanno escluso, con valutazione in fatto assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria, che le parti avessero concordato la risoluzione del rapporto. Inoltre non risulta neppure – in punto di fatto – alcun licenziamento per sopravvenuta impossibilità della prosecuzione del rapporto per mancanza del permesso di soggiorno.

4. Il ricorso va quindi interamente rigettato.

Alla soccombenza consegue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 15,00, per esborsi, oltre Euro 2.000,00, (tremila) per onorario d’avvocato ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Redazione