Corte di Cassazione Civile sez. I 4/9/2008 n. 22337; Pres. Adamo M.

Redazione 04/09/08
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OSSERVA IN FATTO

CHE la Corte di Appello di Torino, esaminando domanda di equa riparazione proposta da P.A. per la irragionevole durata di un procedimento fallimentare (fallimento della s.p.a. Morwen del 21.3.1986 ed ancora aperto nel gennaio 2006), nel quale era stata ammessa per crediti di lavoro soddisfatti parzialmente in sede di riparti, con decreto dep il 17.7.06 ritenne irragionevole la durata per anni tredici e liquidò il solo indennizzo per danno n.p. in misura di Euro 2.000,00 a forfait, ritenendo derogabili in pejus gli standards CEDU stante la esiguità del credito residuato dopo i riparti parziali;

CHE il decreto, direttamente ricorribile per cassazione, è stato impugnato con ricorso affidato a tre motivi, ai quali non ha opposto difese il Ministro della Giustizia;

CHE al ricorso per cassazione in questione devono essere applicate le disposizioni di cui al capo 1 del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, (in vigore dal 2.3.2006) e, per quel che occupa, quella contenuta nell’art. 366 bis c.p.c., alla stregua della quale l’illustrazione del motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 1 – 2 – 3 – 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto; mentre per l’ipotesi di cui all’art 360 c.p.c., n. 5, il ricorso deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione;

che inoltre ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, il ricorso deve contenere sempre a pena di inammissibilità la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali si fonda.

OSSERVA IN DIRITTO

CHE, il ricorso non contiene alcuna formulazione di quesito di diritto in ordine alle questioni sollevate ed è pertanto inammissibile;

che, inoltre le censure che deducono un vizio di motivazione,oltre a non contenere quanto richiesto dall’art. 366 bis c.p.c., dianzi riportato, investono il merito della motivazione e si appalesano generiche e prive di autosufficienza;

CHE, ove si condivida il teste formulato rilievo, il ricorso può essere trattato in Camera di consiglio sussistendo i requisiti di cui all’art. 375 c.p.c..

Vista la memoria depositata;

osserva quanto segue.

La relazione di cui sopra può essere condivisa per ciò che concerne la mancanza di idonei quesiti in riferimento al primo ed al terzo motivo del ricorso.

Quanto al primo,infatti, lungi dal proporsi, come statuito assai di recente da questa Corte (Cass. 14682.07) in forma di interpello, la proposta di interpretazione della norma difforme da quella adottata dalla Corte di Torino, per la quale detta norma imporrebbe la correlazione dell’indennizzo alla intera durata del processo e non già al suo solo segmento "irragionevole", propone, a conclusione del motivo, in modo puramente assertivo la propria opinione di correlare in fatto l’indennizzo ad anni 19 e mesi 9 di durata della intera procedura.

Quanto al terzo motivo invece, appare evidente la sua inammissibilità, dipendente, come notato al primo punto, dalla formulazione di una conclusione meramente assertiva e priva del contenuto minimo necessario per farla qualificare come "quesito di diritto" (è infatti soltanto chiesto di liquidare equitativamente un ristoro per danno patrimoniale).

Aggiungasi poi che, trattandosi di censura alla motivazione,non ricorrono nella fattispecie le condizioni ritenute necessarie da questa Corte che ha già avuto modo di stabilire che, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria., ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) – nella fattispecie mancante – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. (Cass. 20603/07).

Il Collegio dissente invece dalla relazione per quanto concerne il secondo motivo di ricorso in relazione al quale deve, in primo luogo, rilevarsi che il quesito, pur espresso senza l’invocazione (inessenziale) dell’art. 366 bis c.p.c., appare chiaro e pertinente, là dove espressamente denunzia la disapplicazione evidente ed irragionevole della giurisprudenza CEDU da parte della Corte di merito, che ha liquidato Euro 2.000,00, per anni 13 di durata irragionevole, in luogo del dovuto di Euro 1.000,00, Euro 1.500,00, ad anno oltre al bonus di Euro 2.000,00.

Il motivo, concluso dunque da pertinente motivo, è fondato, posto che, se è data al Giudice del ‘ merito derogare in pejus agli standards posti dalla Carte Europea (S.U. 1338 e 1340 del 2004), ciò può fare solo in termini quantitativamente ragionevoli e sempre che la deroga sia motivata adeguatamente con riguardo al limitato impatto della attesa sulla persona della parte richiedente (Cass. 21597/05). Nella specie, come denunziato, la somma riconosciuta per ogni anno di ritardo è ben inferiore allo standard minimo ed è in sè palesemente irrisoria (poco più di Euro 150, 00, ad armo). Va anche rilevato che la possibilità di derogare in pejus alle indicazioni date dalla Carte di Strasburgo assorbe ogni questione sulla carenza di quella particolare indicazione che è costituita dalla "possibile" attribuzione del bonus di Euro 2.000,00.

Sulla base delle esposte osservazioni, integranti ed in parte modificanti quelle contenute nella relazione, si deve conclusivamente cassare il decreto impugnato in parziale accoglimento del ricorso.

Poichè i limiti dell’accoglimento e l’inesistenza di alcuna esigenza di accertamento di fatti consentono la pronunzia di merito, ritiene il Collegio di provvedere ex art. 384 c.p.c.. Pertanto,sulla base della durata irragionevole determinata dalla Carte territoriale e non validamente contestata di anni 13, ritiene di regolare l’indennizzo alla stregua del parametro annuo di Euro 800,00, annui. Infatti, le pertinenti considerazioni formulate dalla Corte di merito (la modestia del credito ammesso il recupero entro i primi anni di circa la metà dell’importo la modestia della somma residua affidata alla spesa di riparto finale. Tali elementi (tutti indicativi di un modesto patema) non sono stati censurati per apoditticità od illogicità ma soltanto, e fondatamente, per la irragionevolezza del risultato finale attinto, si che ben è consentito, essendo dette valutazioni rimaste ferme, di attenuare limitatamente, ed equitativamente, la cogenza del parametro minimo di Euro 1.000,00, ad anno pervenendo a quello di Euro 800,00, annui. Alla relativa liquidazione di Euro 10.400,00 si provvede, riconoscendo (come statuito e non contestato) gli interessi dalla pubblicazione del decreto impugnato e le spese dell’intero giudizio (come effettuato in dispositivo).

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione;cassa il decreto impugnato e Recidendo ex art. 384 c.p.c., condanna il Ministero della Giustizia a pagare alla ricorrente Euro 10.400,00, oltre interessi legali dal decreto al saldo ed oltre alle spese di giudizio che determina, per il giudizio di merito, in Euro 1.150,00, (Euro 50,00, per esborsi + 450,00, per diritti + 650,00, per onorari) e per il giudizio di legittimità in Euro 870,00, (di cui 70,00, per esborsi), oltre a spese generali ed accessori per entrambe le liquidazioni;

Manda alla cancelleria per le comunicazioni L. n. 89 del 2001, ex art. 5.

Redazione