Consiglio di Stato sez. VI 22/4/2008 n. 1842; Pres. Varrone

Redazione 22/04/08
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Fatto e Diritto

Attraverso l’atto di appello in esame si contesta la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria n. 629 del 7.6.2002, non notificata, con la quale veniva accolto il ricorso proposto dalla società ****** s.r.l., per l’accertamento – a norma degli articoli 22 e seguenti della legge n. 241/1990 – del diritto della medesima società a prendere visione ed estrarre copia dei documenti, inerenti l’ispezione effettuata dall’Ispettorato del Lavoro di La Spezia dal 12.1.2001 al 20.12.2001 (ispezione conclusasi con verbali di contestazione di illeciti, inerenti la posizione di numerosi collaboratori, la cui posizione veniva qualificata come rapporto di lavoro subordinato).
Il diritto di accesso in questione era stato negato dall’Amministrazione, ai sensi degli articoli 2 e 3 del D.M. n. 757 del 4.11.1994, "a motivo della salvaguardia da possibili azioni pregiudizievoli, recriminatorie e/o di pressione nei confronti dei lavoratori e collaboratori della società": nella sentenza appellata, tuttavia, le ragioni così enunciate erano ritenute non condivisibili, in considerazione delle esigenze di difesa della società ricorrente, nonché della già avvenuta cessazione dei rapporti di lavoro in contestazione.
In sede di appello, l’Amministrazione sottolineava come, viceversa, il diniego di accesso dovesse ricondursi, nella fattispecie, all’esigenza di salvaguardare la riservatezza e la vita privata di soggetti terzi, in considerazione della peculiarità del rapporto sottostante, trattandosi di rapporto di lavoro normalmente caratterizzato dalla presenza di una "parte debole", il lavoratore, per il quale era giustificata una maggiore tutela da parte dell’ordinamento.
Premesso quanto sopra, una breve disamina della normativa e della giurisprudenza, rilevanti per la situazione sottoposta a giudizio, non possono che confermare la fondatezza delle ragioni difensive dell’appellante. Le disposizioni in materia di diritto di accesso, infatti, mirano a coniugare la ratio dell’istituto, quale fattore di trasparenza e garanzia di imparzialità dell’Amministrazione – come enunciato dall’art. 22 della citata legge n. 241/90 – con il bilanciamento da effettuare rispetto ad interessi contrapposti, fra cui – specificamente – quelli dei soggetti "individuati o facilmente individuabili" che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza" ( art. 22 cit., comma 1, lettera c); il successivo articolo 24 della medesima legge, che disciplina i casi di esclusione dal diritto in questione, prevede al sesto comma casi di possibile sottrazione all’accesso in via regolamentare e fra questi – al punto d) – quelli relativi a "documenti che riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’Amministrazione dagli stessi soggetti a cui si riferiscono". In via attuativa, il D.M. 4.11.1994, n. 757 (regolamento concernente le categorie di documenti, formati o stabilmente detenuti dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale sottratti al diritto di accesso) inserisce fra tali categorie – all’art. 2, lettere b) e c) – "i documenti contenenti le richieste di intervento dell’Ispettorato del Lavoro", nonché "i documenti contenenti notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie, o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi". In rapporto a tale inequivoco quadro normativo, anche la giurisprudenza ha più volte confermato la sottrazione al diritto di accesso della documentazione, acquisita dagli ispettori del lavoro nell’ambito dell’attività di controllo loro affidata (cfr., fra le tante, Cons. St., sez. VI, 27.1.1999, n. 65 e 19.11.1996, n. 1604, ricordate dalla medesima parte appellante).
Nessuna ragione, nel caso di specie, giustifica una deroga alle regole ed alle pronunce sopra ricordate: l’avvenuta cessazione di un rapporto di lavoro non esclude, infatti, l’esigenza di riservatezza di chi abbia reso dichiarazioni, riguardanti se stesso o anche altri soggetti, senza autorizzarne la divulgazione, non attenendo la sfera di interessi in questione alla sola tutela delle posizioni del lavoratore ed essendo queste ultime, comunque, rilevanti anche in rapporto all’ambiente professionale di appartenenza, più largamente inteso. Sembra appena il caso di sottolineare, al riguardo, la prevalenza dell’interesse pubblico all’acquisizione di ogni possibile informazione, a tutela della sicurezza e della regolarità dei rapporti di lavoro, rispetto al diritto di difesa delle società o imprese sottoposte ad ispezione: il primo, infatti, non potrebbe non essere compromesso dalla comprensibile reticenza di lavoratori, cui non si accordasse la tutela di cui si discute, mentre il secondo risulta comunque garantito dall’obbligo di motivazione per eventuali contestazioni e dalla documentazione che ogni datore di lavoro è tenuto a possedere. Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che il ricorso debba essere accolto, con conseguente annullamento della sentenza appellata e riconosciuta infondatezza della domanda di accertamento, proposta in primo grado di giudizio; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio stesso non è chiamato ad alcuna decisione, non essendosi costituita in giudizio la parte appellata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, ACCOGLIE l’appello specificato in epigrafe e, per l’effetto, annulla la sentenza del TAR del Lazio n. 5938/07 del 14.6.2007, nei termini di cui in motivazione; NULLA per le spese.Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

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