Bancarotta fraudolenta: cessione di canali televisivi privi di valore (Cass. pen. n. 7985/2013)

Redazione 19/02/13
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Svolgimento del processo

Con sentenza pronunciata il 16.2.2011 la corte di appello di l’Aquila confermava la sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Lanciano, in sede di giudizio abbreviato, in data 11.5.2005, aveva condannato P.M.L. alla pena di anni due di reclusione per i delitti di cui alla *******., art. 216, comma 1, nn. 1 e 2, art. 219, comma 1 e comma 2, n. 1, previa concessione in suo favore delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, in relazione al fallimento della “Telemax Lanciano s.r.l.”, dichiarato dal tribunale di Lanciano con sentenza del 19.3.2001, avendo assunto l’imputata la qualità di presidente del consiglio di amministrazione e successivamente di liquidatore della suddetta “Telemax Lanciano s.r.l.”, nonchè di amministratore unico della “Gruppo Air s.r.l.”, in realtà gestore di fatto dell’azienda Telemax dalla metà degli anni 1980 fino al fallimento ed alla successiva nomina ad amministratore della “*****************”.

Ha proposto ricorso la P. attraverso il suo difensore di fiducia, lamentando l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale in ordine al ritenuto delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, non potendosi ritenere atto distrattivo la cessione dei complesso aziendale effettuata dalla “Telemax Lanciano s.r.l.” in favore della “Gruppo Air s.r.l.” nel giugno del 2000, avente ad oggetto sostanzialmente la cessione di canali televisivi locali, in realtà privi di valore economico, in quanto la disciplina giuridica della materia prevede che, in caso di fallimento della società concessionaria, le concessioni televisive sarebbero decadute con azzeramento del loro valore patrimoniale ed impossibilità per i creditori di rivalersi su di esse; del tutto incongruente, poi, ad avviso della ricorrente è l’addebito mosso dai giudici di merito alla P. di non aver venduto le concessioni molto tempo prima in modo da realizzare un valore ben maggiore di quello conseguito con il negozio concluso poco meno di un anno dalla dichiarazione di fallimento, in quanto, se la cessione avesse avuto luogo molto tempo prima, l’azienda avrebbe cessato di esistere; la ricorrente rileva, altresì, che non vi è prova certa di quanto affermato dai giudici di merito in ordine al carattere fittizio della compravendita, per la quale la “Telemax Lanciano s.r.l.” non avrebbe ricevuto alcun corrispettivo, come non risulta provato nemmeno il dolo specifico richiesto per la sussistenza dei delitto di cui si discute, potendosi, a tutto concedere, imputare all’amministratore solo una negligenza professionale per avere venduto ad un prezzo inferiore a quello di mercato, circostanza, peraltro, secondo l’imputata, non dimostrata. Infine la ricorrente contesta il riconoscimento delle circostanze aggravanti di cui alla *******., art. 219, e il mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti, come pure la mancata applicazione dell’indulto, riservata dalla corte territoriale alla eventuale fase esecutiva.

Motivi della decisione

Il ricorso presentato nell’interesse di P.M.L. è infondato e, pertanto, non può essere accolto.

Ed invero, quanto al primo motivo, non può non rilevarsi che, con motivazione approfondita ed immune da vizi, la corte territoriale ha evidenziato, per sostenere la sussistenza del delitto di bancarotta patrimoniale per distrazione, come, da un lato a tal fine è sufficiente prendere in considerazione il solo valore (pari a trecento milioni di lire) dei beni strumentali costituenti parte integrante del patrimonio della “”Telemax Lanciano s.r.l.”, che venne ceduta alla “Gruppo Air s.n.c.” senza alcun corrispettivo, con conseguente pregiudizio dei creditori che su tali beni non hanno potuto far valere le proprie pretese creditorie; dall’altro che, come già rilevato dal giudice di primo grado, l’imputata avrebbe potuto vendere per tempo l’azienda, collocandola utilmente sul mercato, capitalizzando in tal modo il valore economico delle concessioni televisive di cui la società era titolare, essendo perfettamente consapevole dell’impossibilità di ottenere il rinnovo delle concessioni medesime e della situazione debitoria della società, che avrebbe potuto risolvere vendendo l’intero complesso aziendale verso il quale alcuni imprenditori, come dichiarato dal curatore fallimentare, si erano dimostrati interessati all’acquisto e disponibili a pagare un prezzo di circa mezzo miliardo di lire (cfr. p. 6 dell’impugnata sentenza).

Il percorso che ha condotto al fallimento della “Telemax Lanciano s.r.l.”, come puntualmente ricostruito dalla corte territoriale (cfr. pp. 2 e 3 dell’impugnata sentenza), evidenzia come già nel 1997 si erano manifestate le prime difficoltà economiche della società, con il fallimento dei soci che ne rappresentavano l’intero capitale (la “D’Alonzo Calcestruzzi s.n.c.” ed il D.S.), la cui attività, tuttavia, continuò, sino a quando non venne posta in liquidazione a causa dei notevoli debiti accumulati e come fosse chiaro che la medesima società non si trovasse in possesso dei requisiti richiesti dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per ottenere il rinnovo delle concessioni televisive, la cui domanda andava presentata entro il 30 giugno del 2000, per cui appare corretto affermare che la P., da tempo perfettamente consapevole dello stato in cui versava la “Telemax Lanciano s.r.l.”, avrebbe potuto e dovuto attivarsi per evitare il dissesto anche attraverso la vendita delle menzionate concessioni, che, come si è detto, conservavano inalterato il proprio valore di mercato.

Viceversa, attraverso un meccanismo fraudolento, l’intero complesso aziendale veniva trasferito alla società “Gruppo Air s.n.c”, formalmente appartenenti a due impiegate romane, Pu.Gi.Ma. e C.F., ma riconducibile, di fatto, alla stessa P., che il 31 luglio del 2000 veniva nominata dalla Pu., socio amministratore della “Gruppo Air s.n.c”, procuratore “ad negotia”, dotato dei più ampi poteri di gestione, senza che la società acquirente pagasse corrispettivo alcuno o si accollasse i debiti della società acquistata, come evidenziato dal curatore fallimentare. In questo modo, sottolinea correttamente la corte territoriale, “la vendita fu soltanto il sistema escogitato per mantenere la gestione e la proprietà reale dell’emittente all’odierna imputata e alle sue figlie” (cfr. p. 5 dell’impugnata sentenza). Le conclusioni cui giunge la corte di appello sono, peraltro, assolutamente conformi alla elaborazione, sul punto, della giurisprudenza di legittimità, che da tempo ha evidenziato come ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è sufficiente, nel caso di imprese sociali, qualunque operazione diretta a distaccare dal patrimonio sociale, senza immettervi il corrispettivo, beni ed altre attività in genere, così da impedirne l’apprensione da parte degli organi fallimentari, compiuta da chi abbia avuto in concreto l’effettivo potere di gestione della società poi dichiarata fallita, in quanto tale depauperamento si risolve in un pregiudizio per i creditori della società all’atto del fallimento (cfr. Cass., sez. 5, 02/12/1997, n. 1458, *******, nonchè, in senso conforme, Cass., sez. 5, 27/11/2008, n. 3489, B. e altro). Anche sotto il profilo della sussistenza dell’elemento psicologico del reato le doglianze difensive non possono essere accolte, posto che il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione non richiede il dolo specifico, come affermato dal difensore nel ricorso, ma, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, si perfeziona, stante la natura di reato di pericolo della bancarotta fraudolenta, con il dolo generico, ossia la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (cfr. Cass., sez. 5, 14/01/2010, n. 11899, R., rv. 246357; Cass., sez. 5, 12/05/2009, n. 37107, B.; Cass., sez. 5, 16/10/2008, n. 43216, D.), insita, nel caso di specie, nella avvenuta cessione del complesso aziendale della “Telemax Lanciano s.r.l.” senza pagamento di alcun corrispettivo e senza accollo dei relativi debiti da parte della società acquirente. Con riferimento agli altri motivi di ricorso, ne va dichiarata la inammissibilità, da un lato per l’assoluta genericità degli stessi, dall’altro, con particolare riferimento alla dedotta censura sulla mancata applicazione dell’indulto, in quanto, come è noto, il ricorso per cassazione avverso la mancata applicazione dell’indulto è ammissibile solo qualora il giudice di merito abbia esplicitamente escluso detta applicazione, mentre nel caso, come quello in esame, in cui, rimandando alla fase esecutiva, abbia omesso di pronunciarsi, deve essere adito il giudice dell’esecuzione (cfr. Cass., sez. 3, 05/04/2011, n. 24410, B.).

Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto nell’interesse della P. va, dunque, rigettato, con condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione