Riconoscimento del risarcimento del danno per attivazione della procedura di esproprio oltre la scadenza del termine di validità del vincolo esproprio: in ordine al quantum dei danni risarcibili, per la mancata utilizzazione, sarà interesse dell’appellant

Lazzini Sonia 07/05/09
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Qual è il parere del Consiglio di Stato avverso un ricorso contro la sentenza di primo grado nella quale il ricorrente < in parziale accoglimento di un ricorso da lui proposto, nella parte in cui, pur dopo aver accertato l’illegittimità degli atti relativi a una procedura di esproprio attivata dal Comune di Manduria su suoli di sua proprietà e aver accolto la relativa domanda di annullamento, il primo giudice ha respinto la connessa domanda risarcitoria da lui avanzata. A sostegno dell’appello, ha denunciato l’erroneità, per contrasto con la consolidata giurisprudenza comunitaria e nazionale, della motivazione addotta dal giudice di prime cure, incentrata sull’asserita mancata produzione di prova della sussistenza di un danno per il ricorrente, nonché in ordine a quanta parte delle aree già occupate dal Comune avessero subito un’irreversibile trasformazione e quanta, invece, fosse ancora suscettibile di restituzione al proprietario odierno appellante.>?
 
L’appello è fondato. Ed invero, a seguito dell’accoglimento del ricorso proposto dall’odierno appellante, nella parte in cui aveva chiesto l’annullamento degli atti della procedura di esproprio promossa dal Comune di Manduria su aree di sua proprietà, il T.A.R. della Puglia ha invece respinto la connessa domanda di risarcimento dei danni da occupazione illegittima, sul duplice presupposto della mancanza di prova dell’an del danno lamentato e della mancanza di certezza in ordine a quanta parte delle aree interessate dall’esproprio fosse stata interessata da irreversibile trasformazione, a seguito dell’occupazione a suo tempo eseguita dall’Amministrazione comunale. La Sezione reputa che entrambi i predetti argomenti non siano idonei a legittimare la reiezione dell’istanza risarcitoria articolata da parte ricorrente, che deve intendersi avere a oggetto primariamente la restituzione delle aree illegittimamente occupate, e solo in via subordinata, e nei limiti dell’eventuale impossibilità della restitutio in integrum, il ristoro per equivalente del pregiudizio cagionato dallo spossessamento. Tale ingiusto pregiudizio, invero, riposa in re ipsa nella lesione del diritto dominicale dell’odierno appellante, attuata attraverso l’illegittima occupazione e il conseguente spossessamento; sussistono anche gli estremi della colpa dell’Amministrazione, in considerazione della gravità dei vizi che hanno indotto all’annullamento degli atti impugnati (attivazione della procedura di esproprio oltre la scadenza del termine di validità del vincolo esproprio), come ritenuto dal primo giudice con statuizioni non oggetto di impugnazione da parte del Comune, e sulle quali si è quindi formato il giudicato. Alla luce dei principi testé richiamati, non pare dubbio che la domanda di risarcimento del danno avanzata dall’odierno appellante vada accolta, e con riguardo alla determinazione dell’importo dovuto (che dipende dall’esercizio o meno del potere di acquisizione ex art. 43 d.P.R. nr. 327/2001, pur ancora astrattamente possibile), e non potendosi effettuare in questa sede di cognizione una valutazione di merito riservata al Comune, appare opportuno fissare un termine perentorio affinché l’Amministrazione, previ gli eventuali accertamenti in ordine alla parte dei suoli che abbia subito un’irreversibile trasformazione, opti per la restituzione al ricorrente della parte residua ovvero per   l’acquisizione della stessa, con il conseguente risarcimento del danno ai sensi del citato art. 43 (salva la possibilità di una restituzione integrale, peraltro solo ipotetica, apparendo improbabile che il Comune intenda sobbarcarsi la riduzione in pristino anche della parte di suoli irreversibilmente trasformata).
 
Dalla lettura della decisione numero 1858 del 31 marzo 2009, emessa dal Consiglio di Stato, impariamo che:
 
A fronte di ciò – e con ciò si viene al secondo rilievo censurato nella sentenza impugnata – del tutto irrilevante è la circostanza fattuale dell’irreversibile trasformazione che abbia interessato medio tempore i suoli dell’appellante, in tutto o in parte: infatti, come correttamente argomentato da parte appellante, fin da quando l’istituto della c.d. “accessione invertita” è stato espunto dal nostro ordinamento a causa della sua acclarata incompatibilità comunitaria, la giurisprudenza si è consolidata nel senso che all’annullamento degli atti espropriativi impugnati consegue l’obbligo dell’Amministrazione di restituire i terreni occupati, nonché l’obbligo di risarcire il danno da illegittimo spossessamento.
 
 
Ma non solo
 
Su tale obbligo può bensì incidere l’esercizio da parte dell’Amministrazione della facoltà di acquisizione c.d. sanante ai sensi dell’art. 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327, ma in assenza di espresso provvedimento di acquisizione adottato in base a tale normativa le determinazioni del giudice, a seguito dell’annullamento degli atti della procedura di esproprio, devono avere a oggetto in primo luogo la restituzione dell’immobile illegittimamente espropriato
 
Ed ancora:
 
Si aggiunge anche che l’eventuale impossibilità pratica di restitutio in integrum, a causa dell’irreversibile trasformazione del fondo nelle more intervenuta, potrà semmai essere affrontata in sede di giudizio di ottemperanza, potendo il ricorrente vittorioso, anche in tale sede, optare per il risarcimento per equivalente in luogo della restituzione specifica (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., nr. 2/2005, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 30 gennaio 2006, nr. 290); al tempo stesso, tuttavia, non si esclude che, ove il ricorrente sia già al corrente dell’irreversibile trasformazione e non sia più interessato alla restituzione specifica, egli possa già con la domanda di annullamento chiedere, in alternativa alla restituzione del fondo, anche il risarcimento per equivalente (cfr. Cons. Stato, sez. V, nr. 2095/2005, cit.
 
 
A cura di *************
 
 
N.1858/2009
Reg. Dec.
N. 6310 Reg. Ric.
Anno 2002
 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la seguente
 
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 6310 del 2002, proposto da ALFA LEONARDO, rappresentato e difeso dagli avv.ti ******************* e ***********, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via F. Confalonieri, 5,
contro
il COMUNE DI MANDURIA, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito,
 
avverso e per l’annullamento
in parte qua della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sez. I Lecce, nr. 2255/01 del 15 maggio 2001, non notificata, resa inter partes nel ricorso nr. 1443/1997, nella parte in cui, accolto il capo del ricorso relativo all’annullamento degli atti impugnati (espropriazione di area del ricorrente), rigetta la domanda di risarcimento del danno; per l’accoglimento di detta domanda risarcitoria, con ogni provvedimento inerente e conseguente e con vittoria di onorari e spese di ambedue i gradi (in riforma della compensazione disposta dal primo giudice).
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la memoria prodotta dall’appellante in data 19 febbraio 2009 a sostegno delle proprie difese;
Visto il dispositivo di decisione nr. 192 del 5 marzo 2009;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del 3 marzo 2009, il Consigliere **************;
Uditi l’avv. ***** e l’avv. ********************, in sostituzione dell’avv. *******************, per l’appellante;
Ritenuto e considerato quanto segue:
 
FATTO
Il sig. ************* ha impugnato, chiedendone la riforma, la sentenza del T.A.R. della Puglia di parziale accoglimento di un ricorso da lui proposto, nella parte in cui, pur dopo aver accertato l’illegittimità degli atti relativi a una procedura di esproprio attivata dal Comune di Manduria su suoli di sua proprietà e aver accolto la relativa domanda di annullamento, il primo giudice ha respinto la connessa domanda risarcitoria da lui avanzata.
A sostegno dell’appello, ha denunciato l’erroneità, per contrasto con la consolidata giurisprudenza comunitaria e nazionale, della motivazione addotta dal giudice di prime cure, incentrata sull’asserita mancata produzione di prova della sussistenza di un danno per il ricorrente, nonché in ordine a quanta parte delle aree già occupate dal Comune avessero subito un’irreversibile trasformazione e quanta, invece, fosse ancora suscettibile di restituzione al proprietario odierno appellante.
Pertanto, ha chiesto ordinarsi all’Amministrazione appellata l’integrale restituzione dei suoli oggetto della procedura espropriativa, o in subordine procedersi ad accertamenti in ordine all’eventuale irreversibile trasformazione delle aree de quibus ai fini della formulazione di una proposta risarcitoria; inoltre, ha chiesto condannarsi l’Amministrazione al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio, impugnando espressamente anche la compensazione delle spese disposta dal giudice di primo grado.
La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 3 marzo 2009, non essendosi costituita l’Amministrazione appellata.
 
DIRITTO
L’appello è fondato.
Ed invero, a seguito dell’accoglimento del ricorso proposto dall’odierno appellante, sig. *************, nella parte in cui aveva chiesto l’annullamento degli atti della procedura di esproprio promossa dal Comune di Manduria su aree di sua proprietà, il T.A.R. della Puglia ha invece respinto la connessa domanda di risarcimento dei danni da occupazione illegittima, sul duplice presupposto della mancanza di prova dell’an del danno lamentato e della mancanza di certezza in ordine a quanta parte delle aree interessate dall’esproprio fosse stata interessata da irreversibile trasformazione, a seguito dell’occupazione a suo tempo eseguita dall’Amministrazione comunale.
La Sezione reputa che entrambi i predetti argomenti non siano idonei a legittimare la reiezione dell’istanza risarcitoria articolata da parte ricorrente, che deve intendersi avere a oggetto primariamente la restituzione delle aree illegittimamente occupate, e solo in via subordinata, e nei limiti dell’eventuale impossibilità della restitutio in integrum, il ristoro per equivalente del pregiudizio cagionato dallo spossessamento.
Tale ingiusto pregiudizio, invero, riposa in re ipsa nella lesione del diritto dominicale dell’odierno appellante, attuata attraverso l’illegittima occupazione e il conseguente spossessamento; sussistono anche gli estremi della colpa dell’Amministrazione, in considerazione della gravità dei vizi che hanno indotto all’annullamento degli atti impugnati (attivazione della procedura di esproprio oltre la scadenza del termine di validità del vincolo esproprio), come ritenuto dal primo giudice con statuizioni non oggetto di impugnazione da parte del Comune, e sulle quali si è quindi formato il giudicato.
A fronte di ciò – e con ciò si viene al secondo rilievo censurato nella sentenza impugnata – del tutto irrilevante è la circostanza fattuale dell’irreversibile trasformazione che abbia interessato medio tempore i suoli dell’appellante, in tutto o in parte: infatti, come correttamente argomentato da parte appellante, fin da quando l’istituto della c.d. “accessione invertita” è stato espunto dal nostro ordinamento a causa della sua acclarata incompatibilità comunitaria, la giurisprudenza si è consolidata nel senso che all’annullamento degli atti espropriativi impugnati consegue l’obbligo dell’Amministrazione di restituire i terreni occupati, nonché l’obbligo di risarcire il danno da illegittimo spossessamento (cfr. ex plurimis Cons. Stato, Ad. Plen., 29 aprile 2005, nr. 2; **********, 22 marzo 2006, nr. 97; Cons. Stato, sez. V, 3 maggio 2005, nr. 2095).
Su tale obbligo può bensì incidere l’esercizio da parte dell’Amministrazione della facoltà di acquisizione c.d. sanante ai sensi dell’art. 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327, ma in assenza di espresso provvedimento di acquisizione adottato in base a tale normativa le determinazioni del giudice, a seguito dell’annullamento degli atti della procedura di esproprio, devono avere a oggetto in primo luogo la restituzione dell’immobile illegittimamente espropriato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 18 gennaio 2007, nr. 86).
Si aggiunge anche che l’eventuale impossibilità pratica di restitutio in integrum, a causa dell’irreversibile trasformazione del fondo nelle more intervenuta, potrà semmai essere affrontata in sede di giudizio di ottemperanza, potendo il ricorrente vittorioso, anche in tale sede, optare per il risarcimento per equivalente in luogo della restituzione specifica (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., nr. 2/2005, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 30 gennaio 2006, nr. 290); al tempo stesso, tuttavia, non si esclude che, ove il ricorrente sia già al corrente dell’irreversibile trasformazione e non sia più interessato alla restituzione specifica, egli possa già con la domanda di annullamento chiedere, in alternativa alla restituzione del fondo, anche il risarcimento per equivalente (cfr. Cons. Stato, sez. V, nr. 2095/2005, cit.).
Alla luce dei principi testé richiamati, non pare dubbio che la domanda di risarcimento del danno avanzata dall’odierno appellante vada accolta, e con riguardo alla determinazione dell’importo dovuto (che dipende dall’esercizio o meno del potere di acquisizione ex art. 43 d.P.R. nr. 327/2001, pur ancora astrattamente possibile), e non potendosi effettuare in questa sede di cognizione una valutazione di merito riservata al Comune, appare opportuno fissare un termine perentorio affinché l’Amministrazione, previ gli eventuali accertamenti in ordine alla parte dei suoli che abbia subito un’irreversibile trasformazione, opti per la restituzione al sig. ALFA della parte residua ovvero per   l’acquisizione della stessa, con il conseguente risarcimento del danno ai sensi del citato art. 43 (salva la possibilità di una restituzione integrale, peraltro solo ipotetica, apparendo improbabile che il Comune intenda sobbarcarsi la riduzione in pristino anche della parte di suoli irreversibilmente trasformata).
Tutto ciò premesso, in applicazione dell’art. 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, la Sezione dispone che:
a) entro il termine di sessanta giorni (decorrente dalla comunicazione o dalla previa notifica della presente decisione), il Comune di Manduria e l’appellante possono addivenire ad un accordo, in base al quale la proprietà sia trasferita al Comune e all’appellante sia corrisposta la somma specificamente concordata ovvero riconosciuta come equivalente utilità;
b) ove tale accordo non sia raggiunto entro il termine, il Comune di Manduria – entro i successivi trenta giorni – potrà emettere un formale e motivato decreto, con cui disporrà l’acquisizione delle aree al suo patrimonio indisponibile, ai sensi dell’art. 43 del d.P.R. nr. 327 del 2001 (salva la possibilità teorica di restituire la materiale disponibilità delle aree, col risarcimento del danno relativo al periodo della loro mancata utilizzazione).
Per la quantificazione del danno, anche nel caso di emanazione dell’atto di acquisizione ex art. 43, l’Amministrazione darà applicazione alle disposizioni vigenti in materia alla data della medesima quantificazione.
Qualora il Comune di Manduria e l’appellante non concludano alcun accordo e il Comune di Manduria neppure adotti un atto formale volto alla acquisizione (o alla restituzione) dell’area in questione, decorsi i termini sopra indicati l’appellante potrà chiedere alla Sezione l’esecuzione della presente decisione, per la conseguente adozione delle misure consequenziali (rientrando nei poteri della Sezione la nomina di un commissario ad acta e ogni ulteriore determinazione).
In ordine al quantum dei danni risarcibili, per la mancata utilizzazione, sarà interesse dell’appellante indicare con accurata precisione quali siano state le previsioni urbanistiche che hanno riguardato nel tempo le aree in questione, nonché le voci di danno lamentate e tutti i criteri posti a base dei relativi calcoli, per consentire il più pieno contraddittorio tra le parti, le specifiche controdeduzioni da parte del Comune e una rapida definizione dell’eventuale giudizio di esecuzione.
In considerazione delle statuizioni che precedono, e della conseguente integrale soccombenza dell’Amministrazione, vanno poste a carico di quest’ultima le spese, liquidate equitativamente in dispositivo, di entrambi i gradi di giudizio, trovando accoglimento anche l’ulteriore motivo di appello articolato sulle statuizioni del primo giudice, che ha invece compensato le spese tra le parti.
 
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione IV, accoglie l’appello, nei sensi di cui in motivazione.
Condanna il Comune di Manduria al pagamento in favore di controparte delle spese di entrambi i gradi di giudizio, che liquida in complessivi cinquemila euro, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3 marzo 2009 con l’intervento dei signori:
         **************                    Presidente
         **************                      Consigliere
         **************                  Consigliere
         ****************                 Consigliere
         **************                      Consigliere, est.
 
L’ESTENSORE                                 IL PRESIDENTE
**************               **************
 
IL SEGRETARIO
Rosario *****************

Lazzini Sonia

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