Provvedimento di temporanea esclusione del componente di un associazione emesso dal collegio dei probiviri e sindacato giurisdizionale dell’a.g.o. (Nota a margine dell’ordinanza cautelare del 05.02.2004 concessa ex art. 700 cpc dal Tribunale di Milano).

Redazione 21/08/00
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di Vito Amendolagine*

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Il provvedimento , riportato per esteso in calce, con il quale il Tribunale di Milano ha accolto il ricorso ex art. 700 cpc proposto da un agente di assicurazioni nei confronti dell’Organismo rappresentativo del gruppo agenti di una nota Compagnia di assicurazioni sembrerebbe collocarsi in un contesto decisamente nuovo in giurisprudenza.

Infatti, nell’affermare la lesione del diritto di difesa costituzionalmente protetto dall’art. 24 della Carta repubblicana, il Giudice adito ha sostanzialmente “rivisitato” quanto sinora affermato dalla precedente giurisprudenza formatasi sul tema inerente la statuizione dei diritti del singolo associato che si assumono lesi da un provvedimento sanzionatorio avente carattere disciplinare.

In particolare, su tale questione, in passato si era già espressa sia la giurisprudenza di merito, sia la Suprema Corte, ritenendo che il provvedimento emesso dall’organo di giustizia interno all’associazione integrerebbe dal punto di vista giuridico un atto equiparabile al lodo arbitrale emesso nella forma “irrituale”, ed in quanto tale, annullabile da parte dell’Autorità Giudiziaria ordinaria solo se affetto da uno dei vizi tipici degli atti negoziali (cfr. Cassazione Civile, sentenza 19 ottobre 1978, n.4700, in Repertorio della Giurisprudenza Italiana, 1978, voce “Arbitrato”, n.50, c. 181).

A ben vedere, la questione gradatamente elevatasi nel tempo all’attenzione della giurisprudenza, e della stessa dottrina (cfr. Massimo Basile, Gli Enti di Fatto, sezione II, pagg.316-319, par.8 la “giustizia interna” in Trattato di Diritto Privato diretto da Pietro Rescigno, vol.II, persone e famiglia, Utet, 1982) poteva conclusivamente riassumersi nella difficoltà incontrata nel ritenere ammissibile o meno sul piano giuridico gli effetti derivanti dalla giustizia di tipo endoassociativo, tenuto conto da un lato del monopolio statale della giurisdizione previsto dall’art. 102 della Costituzione, e dall’altro, della libertà accordata al singolo di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi meritevoli di tutela, secondo quanto postulato dall’art. 24 della Carta Costituzionale.

Sul punto, premesso il superamento dell’antica distinzione di fondo, sussistente rispettivamente tra l’arbitrato “rituale” ed “irrituale” a favore di quest’ultimo, si è quindi tentato di risolvere l’ulteriore dubbio amletico, concernente l’assimilazione della norma, di natura squisitamente regolamentare, attraverso la quale si tende a statuire la previsione della competenza dell’organo disciplinare (Collegio dei Probiviri) dell’associazione (con specifico riferimento alla definizione dei rapporti tra associati) ad una vera e propria clausola compromissoria arbitrale, sia pure espressa nella forma tipicamente irrituale (cfr. Tribunale di Bologna, sentenza del 22 aprile 1976, inedita; e Cassazione Civile, 12 ottobre 1973, n.2572; in dottrina, vedasi altresì la posizione assunta da Francesco Galgano, in “Delle persone giuridiche”, nel Commentario del Codice Civile a cura di Scialoja e Branca, libro primo, Bologna-Roma, 1969, pp.337 e ss. con riferimento all’individuazione dell’effettiva portata e contenuto delle pronunce del Collegio dei Probiviri, la cui validità, sembrerebbe doversi risolvere in ultima analisi nella “conferma” delle decisioni adottate da altri organi dell’associazione, ed in quanto tale, costituirebbe una fase eventuale – o forse, definibile più propriamente incidentale – nella formazione del provvedimento imputabile al Gruppo).

Orbene, ritornando alla fattispecie esaminata dal Tribunale, considerata la controversa natura giuridica dello stesso provvedimento oggetto dell’accesa disputa insorta in seno all’Associazione (non da ultimo, in merito agli incontrovertibili aspetti sottesi all’individuazione – nonché classificazione – del diritto dell’associato a non vedersi pregiudicata la stessa permanenza all’interno dell’Associazione per eventi non imputabili alla propria volontà, cfr. sul punto, l’opera di Giuseppe Tamburrino, “persone giuridiche, associazioni non riconosciute, comitati”, in Giurisprudenza Sistematica di Diritto Civile e Commerciale fondata da Walter Bigiavi, par. 174, lett.a, “i diritti degli associati e la loro tutela giurisdizionale; lett.b, gli obblighi degli associati ed il loro inadempimento”, pp.488 e ss. Utet, 1997; e l’analoga distinzione tra diritti disponibili ed assolutamente indisponibili, ripresa anche da Andrea Zoppini, “l’associazione europea”, par. 4, pp.254 e ss. in Trattato di Diritto Privato Europeo, a cura di Nicolò Lipari, vol II, Cedam, 2003) il provvedimento finale emesso in fase di gravame dal Collegio dei Probiviri, risulterebbe decisamente privo dei requisiti minimi previsti dalla stessa norma statutaria dell’Associazione (cfr. art. 13: “entro trenta giorni dalla data di ricevimento, il Collegio procede alla contestazione degli addebiti ed emette il suo giudizio…”), laddove si consideri la sostanziale elusione da parte dell’organo di “giustizia interna” del Gruppo dell’obbligo a formulare in termini precisi l’oggetto dell’addebito disciplinare contestato all’associato al fine di contentire a quest’ultimo una compiuta esplicazione del proprio diritto di difesa costituzionalmente garantito.

Conseguentemente, è pertanto possibile affermare che, nella fattispecie de qua riconducibile all’atto impugnato, emerge la palese violazione delle regole del contraddittorio, ineludibili anche in un procedimento ritenuto (dalla prevalente dottrina e giurisprudenza) assimilabile ad un’arbitrato a forma “libera”.

Infatti, a ben vedere, il provvedimento di sospensione deciso dal Tribunale, prima ancora di entrare nel merito dell’insorta controversia, sembra statuire l’effettiva inadeguatezza del rito procedimentale adottato sul piano disciplinare dai Probiviri nei riguardi del proprio associato, statuendo da un lato l’ammissibilità della domanda cautelare proposta in sede di controllo giurisdizionale vertente sulla legittimità del provvedimento reso dall’Organo disciplinare, e, dall’altro, la proponibilità della stessa istanza al fine di verificare la correttezza del metodo seguito dal predetto Organo di giustizia interna dell’Associazione in sede di riesame delle doglianze disciplinari addebitate all’incolpato.

In definitiva, tra le righe del provvedimento di cui si discute, appare arduo negare l’esistenza di un “quid” diverso ed ulteriore rispetto a quanto già statuito in materia dai precedenti orientamenti, i quali si erano soffermati prettamente sull’ammissibilità o meno dell’impugnativa giudiziale diretta a verificare nel merito, la legittimità del “risultato finale” derivante dall’espletata istruttoria seguita dall’Organo di disciplina interno all’associazione, ma mai sulla verifica della corretta impostazione metodologica di fondo seguita nello stesso procedimento disciplinare, intrapreso nel promuovere ed ultimare il giudizio relativo all’addebito di colpevolezza.

Avvocato*

R.G. 28/2004

TRIBUNALE DI MILANO – Prima Sezione Civile

Giudice Bonaretti

ORDINANZA

Sciogliendo la riserva che precede,

Il Giudice,

letti gli atti e i documenti;

rilevato che il dott. G.I. con ricorso ex art. 700 cpc depositato il 2.1.04 ha chiesto al Tribunale in via d’urgenza, in disapplicazione del provvedimento disciplinare 29.9.03 emesso dal Collegio dei Proboviri del GANMA (Gruppo Agenti NUOVA MAA) e confermato dal Consiglio Direttivo in data 20.11.03 con il quale I. è stato sospeso per 12 mesi dall’associazione, di sospendere gli effetti delkcitato provvedimento e di reintegrare il ricorrente nella posizione di associato GANMAA;

rilevato che nella procedura si è costituito il GANMAA contestando lka fondatezza delle domande avversarie e chiedendone il rigetto;

ritenuto che nella specie sembrano sussistenti i …omissis….dell’eventualer deposito di documentazione, allegando la denuncia presentata il 2.7.o3 nei confronti dello stesso ricorrente da altro associato, F.M.;

che la detta convocazione non conteneva alcuna specifica contestazione formulata dal Collegio, ma appunto si limitava a richiamare la denuncia allegata, a sua volta redatta in termini del tutto generici ed evidentemente riflettenti la sola posizione del M.;

che ciò integra violazione del disposto dell’art. 13 dello Statuto del gruppo agenti, per il quale “entro trenta giorni dalla data di ricevimento, (il collegio) procede alla contestazione degli addebiti ed emette il suo giudizio….”, dal momento che, trattandosi di fattispecie assimilabile ad un procedimento disciplinare, la mancata specifica e autonoma contestazione importa il difetto dell’elemento necessario e imprescindibile per ravvisare la sussistenza dell’accusa e, con essa, il presupposto per il concreto esercizio, da parte dell’incolpato, del proprio diritto di difesa;

che tale vizio non sembra superabile, come vorrebbe la difesa di parte resistente, con riferimento al contenuto della denuncia allegata alla convocazione, perché la riportata norma statutaria di contestazione implica la necessità che l’organo super partes, chiamato eventualmente ad irrogare una sanzione, provveda specificamente ad enucleare dalla denuncia di parte, con autonoma attività valutativa, i fatti e le circostanze che ritiene rilevanti ai fini disciplinari e che appaiono suscettibili, ove verificati nel loro fondamento e nel contraddittorio delle parti, di giustificare l’irrogazione della sanzione, così su quegli stessi elementi delimitando le fattispecie in ordine alle quali l’incolpato è chiamato a svolgere le proprie difese;

che la ricordata violazione, importando un inutile dispendio di energie difensive, ed una minore efficacia delle stesse (basti pensare alla memoria difensiva depositata ai probiviri da I., definita “corposa e dettagliata” dalla stessa resistente, e redatta con riferimento non solo ai rilievi accusatori, ma a precedenti argomentazioni difensive del M., e al fatto che la motivazione della sanzione in effetti irrogata ha riguardo al ravvisato carattere diffamatorio – per M. e per il gruppo nel suo complesso, di cui veniva posta in dubbio la democraticità – dei toni e modi delle accuse mosse da I. allo stesso M., oltre che della loro ritenuta “scarsa concretezza”, ha implicato lesione dei diritti costituzionalmente protetti del ricorrente e, pertanto, la nullità dell’intero procedimento, concluso in effetti con l’adozione del provvedimento qui impugnato;

quanto al periculum in mora,

che nella specie non sembra seriamente contestabile l’idoneità del provvedimento impugnato a determinare un pregiudizio irrisarcibile in termini economici, perché correlato alla dignitàò e alla professionalità della posizione del ricorrente in seno all’associazione e nei confronti di tutti i colleghi;

ritenuto, pertanto, che la domanda di sospensione va accolta e con essa va disposta la reintegrazione del ricorrente nella propria qualità di socio dell’associazione GANMAA a tutti gli effetti;

PQM

Il Giudice, provvedendo in via cautelare ed urgente, sospende il provvedimento disciplinare emesso nei confronti di G.I. dal Collegio dei Probiviri del GANMAA il 29.9.03 e confermato dal Consiglio Direttivo in data 20.11.03 e pertanto reintegra provvisoriamente ad ogni effetto il ricorrente nella posizione di associato GANMAA.

Milano, 4 febbraio 2004

Il Giudice

Depositato in Cancelleria il 5.2.2004

Redazione

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