Proprietà intellettuale e web 2.0 tra prodotti contraffatti ed aste on-line: quale protezione per il diritto d’autore?

Iemma Giuseppe 07/06/16
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L’art. 1 della LDA stabilisce che sono protette con il diritto d’autore «le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura,  al  teatro  ed  alla  cinematografia,  qualunque  ne sia  il  modo o la  forma  di  espressione[1]».  La  lista è  molto  simile  a quella tracciata dallo US Copyright Act, codificata al Title 17 dell’USC, §102[2]. Poiché  le opere tutelate presentano un carattere disomogeneo, spesso sono sorti conflitti sulla necessità di riconoscere tutela a creazioni non tipizzate. La prorompente diffusione e l’affermazione  delle  nuove  tecnologie  hanno  spinto  in  particolar  modo  i  paesi  nordamericani  a  predisporre  una  serie  di  norme  per la tutela del copyright digitale. L’emanazione del Digital Millennium Copyright Act[3](28 ottobre 1998)  ha rappresentato «la vittoria degli intermediari della rete[4]», infatti, non si configura una responsabilità  in capo  a tali  soggetti  qualora limitino il proprio ruolo ad una mera prestazione tecnica. Suddiviso in due titoli, il primo prevede un sistema sanzionatorio contro l’aggiramento dei sistemi di protezione[5], il secondo, è relativo alla responsabilità dei provider, OCILLA, On line Copyright Limitation Liability Act. L’emanazione di tale documento ha quindi rappresentato il punto di arrivo in tema di tutela del copyright, dettando regole ben precise anche in riferimento alla responsabilità dei provider. Il D.M.C.A., ai sensi del § 512, stabilisce che gli Internet Service Provider nel trasmettere o nel fornire accesso alla rete sono esenti da forme di responsabilità qualora soddisfino determinati requisiti[6]: a) la trasmissione dell’informazione sia propagata da un soggetto terzo[7]; b) l’operatore non selezioni i contenuti da diffondere e la trasmissione e la connessione rientri in un processo strettamente tecnico[8]; c) l’informazione non sia modificata[9]; d) l’intermediario non selezioni i destinatari[10]. Il suo ruolo, dunque, deve essere tecnico e passivo. Il provider, altresì, deve adottare una politica di interruzione del servizio contro gli utenti che reiteratamente compiono violazioni del diritto d’autore[11]; nominare un soggetto terzo che riceva le denunce di violazione da parte dei titolari dei diritti d’autore; predisporre misure tecniche volte a salvaguardare i lavori protetti[12]. La § 512 prende in considerazione anche l’operazione di caching che consiste in una memorizzazione temporanea delle informazioni  sul disco rigido dell’operatore[13]. Il prestatore, anche in questo caso, è irresponsabile se il suo ruolo è neutro rispetto al contenuto memorizzato. Il servizio di hosting,  così come verificatosi anche con la Direttiva n. 31/2000/CE, è quello che crea maggiori problemi. Il provider sarà esente da copyright infringement solo se ricorreranno una serie di presupposti oggettivi e soggettivi: a) non essere a conoscenza della presenza, sulle pagine del proprio sito, di materiale illecito, o agire prontamente per rimuovere o impedire l’accesso al materiale una volta avuta conoscenza della sua natura; b) non ricevere alcun beneficio economico; c) agire prontamente, a seguito di una denuncia di violazione, per rimuovere o impedire l’accesso.

Il D.M.C.A. ha disciplinato, a differenza del legislatore comunitario, anche il sistema delle notifications[14]. La notification[15] è un atto formale con il quale il soggetto che lamenta una violazione dei propri diritti intima la rimozione dei contenuti illeciti. Gli elementi che la complaining party deve indicare nella notification sono: a) la sottoscrizione fisica o elettronica del soggetto promotore dell’istanza; b) l’individuazione del diritto leso; c) l’individuazione del materiale di cui si chiede la rimozione; d) l’indirizzo del promotore dell’istanza; e) una dichiarazione del soggetto leso nella quale comunica che la diffusione del materiale illecito non è stata autorizzata né da lui, né dal suo agent; f) una dichiarazione attestante la completezza della notificazione. La mancanza dei requisiti sopra descritti comporta la nullità della stessa. Il prestatore, non appena al corrente dell’istanza, deve attivare la procedura di takedown[16] con la quale non si può più configurare una sua responsabilità. Quest’ultimo soggetto, dunque, è ritenuto a conoscenza del materiale illecito non appena riceve l’istanza. Prima di rimuovere i contenuti è necessario avvisare il content provider che può anche ritenere lecita la diffusione del materiale, inviando una counter-notification. Il provider non è altresì responsabile nei confronti dell’autore se, ricevuta la notification, in buona fede, rimuove contenuti che si rivelino essere leciti. Qualora il materiale sia dichiarato illecito e il prestatore non abbia osservato l’intimazione di rimozione, sarà responsabile con l’autore del contenuto. Il sistema statunitense con il Digital Millennium Copyright Act ha cercato di rispondere alle esigenze provenienti dagli ISP e dai titolari  dei  diritti di proprietà  intellettuale. A  parere  di  chi scrive, le difficoltà maggiori sussistono in riferimento alla figura del host provider. I problemi sono stati parzialmente superati con il sistema delle notifications. Con tale soluzione pratica, dunque, si è superato il gap teorico che non faceva altro che spostare i problemi dalla vigilanza preventiva al momento successivo dell’inerzia nella rimozione del materiale.

Anche eBay, a partire dal 2001, ha creato un programma per la protezione dei diritti di proprietà intellettuale. Tale programma, chiamato VeRO, Verified Rights Owner[17], consente a tutti i titolari di diritti di proprietà intellettuale di iscriversi,  segnalando eventuali abusi. Nell’ordinamento italiano, nonché nel mondo virtuale, la vendita di prodotti contraffatti[18] è un reato sanzionato penalmente ai sensi dell’art. 473 c.p. : «Chiunque, potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffà o altera marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali, ovvero chiunque, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 2.550 a euro 25.000. Soggiace alla pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 3.500 a euro 35.000 chiunque contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati[19] […]».

Il legislatore italiano, con la legge n. 80/2005, ha previsto un corpo di sanzioni per i soggetti che acquistano prodotti recanti marchi[20] contraffatti[21]. È infatti punito «con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.000 euro l’acquisto o l’accettazione, senza averne prima accertata la legittima provenienza, a qualsiasi titolo di cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà intellettuale[22]». I consumatori devono accertare la legittima provenienza dei prodotti e la condizione del venditore, prestando particolare importanza al prezzo del prodotto[23].

Nel sistema francese il reato di contraffazione è disciplinato dal Code de la propriété intellectuelle, agli artt. L. 335-2[24] e L. 335-3[25].  In Francia è contraffazione la stampa o l’incisione di scritti, composizioni musicali, disegni, pittura o qualsiasi altra produzione senza il rispetto delle «[…]  disposizioni legislative e regolamentari in materia di proprietà del suo autore[26]».   È altresì

contraffazione «[…] qualsiasi riproduzione, rappresentazione o diffusione, con qualsiasi mezzo, di un’opera dell’ingegno, in violazione del diritto d’autore[27] […]». Alla responsabilità penale si affianca anche quella civile, come nel nostro ordinamento. Per completezza è opportuno rilevare che il legislatore transalpino ha previsto due differenti violazioni del marchio: la contraffazione in senso stretto e l’imitazione approssimativa[28]. La prima può consistere non solo nella riproduzione fedele, ma anche nella riproduzione isolata di un singolo elemento di un marchio che di per sé è distintivo ed attrattivo. La seconda è tale poiché potrebbe generare nel pubblico confusione.

Per meglio comprendere il fenomeno della vendita alla asta di prodotti contraffatti e la “responsabilità” di eBay, doveroso è il riferimento alla storica sentenza del Tribunale di Commercio di Parigi[29]. Nel caso qui di seguito analizzato, Christian Dior Couture aveva rilevato che sul sito di eBay erano presenti annunci di vendita riguardanti merce contraffatta. Riteneva, parimenti, che le misure adottate per combattere la contraffazione erano insufficienti. I venditori, infatti, non avevano l’obbligo di garantire l’autenticità dei prodotti messi in vendita ed eBay non chiudeva gli account dei truffatori recidivi. L’azienda parigina osservava che l’holding americana non si limitava ad una semplice raccolta di dati, ma la sua era un’attività di mediazione.  Per questo motivo non poteva eccepire il regime di responsabilità limitata riservato al semplice prestatore d’attività tecnica. eBay, contrariamente, ribatteva che la sua attività era quella di un hosting del sito e che in quanto tale poteva godere della responsabilità limitata. Il suo operato era quindi conforme alle prescrizioni stabilite dalla legge sull’affidamento dell’economia digitale, ritirando, dopo la notifica di un terzo, gli annunci manifestamente  illeciti. eBay, in aggiunta, faceva notare che la società  parigina non aveva  aderito  al  programma VeRO, predisposto per la tutela dei diritti di proprietà intellettuale. CD Couture chiedeva il risarcimento dei danni per la vendita dei prodotti contraffatti a titolo di indennizzo, lesione di immagine e danno morale[30]. Il Tribunale di Parigi, con delibera del 30 giugno 2008, ha condannato in solido le due società eBay[31] (eBay Inc. e la società svizzera  eBay  International Ag, titolare  della piattaforma francese) al   pagamento di  oltre 4 milioni  di euro  per  sfruttamento  illecito dei   diritti  del  titolare; a  11 milioni  di  euro  per  il  danno  derivante dalla lesione dell’immagine; a 1 milione di euro per i danni morali; a 100.000 euro ai sensi dell’art. 700 del Code de procédure civile nonché al pagamento delle spese processuali. La sentenza, altresì, doveva essere  pubblicata  a spese  di eBay su  tre  giornali  della stampa  francese  o  internazionale,  nonché  su  tutti  i  suoi  siti. eBay, pertanto, non  fu assimilato alla figura del semplice intermediario[32]. La  figura  della società  americana fu equiparata a quella   di   un   mediatore   perché  svolgeva  «un’attività commerciale  remunerata  sulla  vendita   dei  prodotti  all’asta  e  non limita tale attività a quella di gestore di siti internet che permetterebbe a eBay di beneficiare delle disposizioni applicabili ai soli fornitori[33]».

Ne discese una responsabilità civile ai sensi degli artt. 1382[34] e 1383[35] Code Civile[36]. Il primo presenta caratteristiche simili all’art. 2043 del c.c., il secondo, invece, stabilisce la responsabilità del soggetto per danni causati non solo dai suoi atti ma anche dalla sua negligenza e imprudenza[37]. Tale condanna si aggiungeva a quella del caso Hermès. Nel caso di specie, eBay France era stato condannato a risarcire la società sopra citata per un valore di 20.000 euro a causa della vendita di borse contraffatte, e al pagamento di 20 milioni di euro in favore del gruppo Louis Vuitton. «La perplessità di gran parte della dottrina[38]» si basa sul fatto che il meccanismo adoperato da eBay non prevede l’inserimento manuale delle inserzioni, il tutto è affidato ad un sistema automatizzato. In realtà, la sentenza del Tribunale francese «[…] si limita a un ragionamento superficiale […] se al contrario, fosse andato più in profondità, avrebbe probabilmente scoperto che una infrastruttura di quella complessità ed estensione non può essere gestita “manualmente” e che l’unica opzione possibile è quella dell’automazione spinta[39]».

É d’uopo, altresì, il riferimento ad una controversia analoga, che ha visto negli Stati Uniti d’America l’assoluzione di eBay. Come vedremo, i giudici non hanno considerato eBay responsabile per contributory infringement[40]. Il giudice newyorchese, Richard J. Sullivan, ritenne infondate le pretese della ricorrente Tiffany[41]. Nello specifico, la ricorrente sosteneva che eBay avesse violato la legge per la tutela dei marchi, il Lanham Act, ovvero che avesse commesso una violazione diretta e indiretta del marchio in base alle norme previste dal diritto comune e una dilution[42] del marchio secondo la New York General Business Law: «[…] and trademark dilution in violation of  New York General Business Law[43]». Tiffany Inc. e Tiffany and Company ritennero eBay responsabile per violazione diretta ed indiretta del marchio, come poc’anzi specificato, poiché nella vendita svolgeva un ruolo di vera e propria assistenza. Ritennero, altresì, sussistere un obbligo, a parere dello scrivente solo presunto, di vigilare sulle eventuali attività illegali dei venditori. Il colosso  americano  respinse l’accusa sostenendo  che monitorare il sito alla ricerca di prodotti contraffatti non è una sua prerogativa. Il giudice americano, nel cercare di dirimere la controversia, ha sostenuto che ai fini del contendere non rileva «la possibile affermazione della vendita di prodotti contraffatti, quanto piuttosto su chi gravi l’onere di controllare […][44]». Tiffany  sosteneva che le violazioni del suo marchio erano avvenute sia attraverso la pubblicità, sia attraverso l’utilizzo

dello stesso sulla homepage del sito. La Corte, nell’affermare che le pretese della ricorrente erano sostenute da un impianto probatorio insufficiente, proseguiva sostenendo che la pubblicità nella homepage è un corollario del fair use[45], protetto dal Copyright Act. Il ricorso al concetto di fair use è stato utile per rigettare anche la pretesa di pubblicità ingannevole, i c.d. link sponsorizzati[46], inserzioni pubblicitarie acquistate sui motori di ricerca riguardanti la vendita dei prodotti della ricorrente. La violazione diretta del marchio, secondo la nota azienda produttrice di gioielli, era palese anche perché eBay su ogni transazione percepiva una commissione. Si configurava lo stesso rapporto che può instaurarsi tra un commerciante e il suo subalterno che vende merce contraffatta. I due ne rispondono in solido[47]. Il giudice ritenne infondata anche questa pretesa poiché la società americana, nelle vendite all’asta, non prende visione degli oggetti, né li vende personalmente. La Corte ritenne eBay irresponsabile anche per violazione indiretta del marchio, contributory trademark infringement, perché non appena informata della presenza di annunci riguardanti merce contraffatta li ha prontamente rimossi. L’attività preventiva volta a monitorare il sito e dalla stessa non fatta, non configura alcuna responsabilità indiretta. La Corte ha quindi sancito l’irresponsabilità di eBay poiché secondo la teoria elaborata nel caso Inwood, l’ISP deve : a) aver indotto intenzionalmente altri a violare un marchio; b) continuare ad offrire i propri servizi a coloro che sa o ha ragione di sapere stanno violando un marchio. Il requisito del «knowledge or reason to know […]» richiede «una conoscenza specifica delle violazioni […]» e non è «soddisfatto laddove si imputi al service provider una mera «generalized knowledge» («while eBay clearly possessed general knowledge as to counterfeiting on its website, such generalized knowledge is insufficient under the Inwood test to impose upon eBay an affirmative duty to remedy the problem[48]»).

eBay, per di più, aveva messo in campo una serie di strumenti a protezione della proprietà intellettuale, come ad esempio il programma VeRO, di cui si è già parlato e il c.d. Fraud Engine, che si configura come un strumento per la ricerca delle inserzioni che violano la politica di eBay.  Anche grazie a tali misure eBay  ha esercitato un controllo sufficiente non essendo responsabile delle violazioni ad essa imputate.

 

 


[1] Legge n. 633/1941. Sul punto cfr. G. COLANGELO, Diritto comparato della proprietà intellettuale, Bologna, Il Mulino, 2011. 

[2] L’opinione maggioritaria è che non si tratti di un elenco tassativo, bensì meramente esemplificativo. Negli Stati Uniti, nell’House of Report, si afferma che la lista è «illustrative and not limitative». Cfr. op. ult. cit., p. 21.

[3] Il D.M.C.A. ha permesso agli Stati Uniti di ratificare i trattati dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale, (WIPO).

[4] Cit. G. M. RICCIO, Profili di responsabilità civile dell’internet provider in «Quaderni del Dipartimento diretti da Pasquale Stanzione, Ricerche 22», Salerno, 2000, p. 65.

[5] L’art. 1201 punisce sia i soggetti che aggirano le misure predisposte dai copyright holders, sia coloro che producono o distribuiscono prodotti o servizi volti ad aggirare le misure di protezione a tutela dei diritti d’autore.

[6]  Prima della versione definitiva si riconduceva la responsabilità dei provider per violazione del copyright alla strict liability. Il c.d. White Paper diede luogo a non poche polemiche poiché gli intermediari non erano in grado di vigilare sui siti. La precedente versione del D.M.C.A. in favore dei provider prevedeva sei safe harbor. Il prestatore non era responsabile né a titolo diretto, né a titolo indiretto se : a) non fosse stato all’origine della trasmissione; b) non avesse creato, selezionato o modificato il contenuto del materiale diffuso; c) non avesse selezionato i destinatari dell’informazione; d) non avesse ricevuto alcun vantaggio finanziario diretto dalla condotta illecita; e) non avesse sponsorizzato i contenuti illeciti in rete; f) non avesse avuto conoscenza della presenza del materiale illecito. Le exemptions hanno poi influenzato anche la legislazione europea. Cfr. M. DE CATA, La responsabilità civile dell’internet service provider, Milano, Giuffrè Editore, 2010.

[7] § 512 a

[8] § 512 a (2)

[9] § 512 a (5)

[10]§ 512 a  (3).  Così,  G.  M. RICCIO,    La  responsabilità   civile   degli   internet   providers,  Torino,  G. Giappichelli Editore, 2002.

[11] C.d. takedown.

[12] Per una disamina esaustiva dell’argomento, cfr. G. COLANGELO, Diritto comparato della proprietà intellettuale, Bologna, Il Mulino, 2011.

[13] L’informazione deve essere fornita e trasmessa da un soggetto diverso dall’host provider, la memorizzazione deve dipendere da un processo strettamente tecnico ed automatico.

[14] § 512 (c) (2) (A).

[15] Sul punto cfr. M. DE CATA, La responsabilità civile dell’internet service provider, Milano, Giuffrè Editore, 2010;  G. M. RICCIO, La responsabilità civile degli internet providers, Torino, G. Giappichelli Editore, 2002.

[16] Cfr. V. DE LUCA, diritto d’autore e schema di regolamento AGCOM: il punto, in www.comparazionedirittocivile.it. L’AGCOM, con delibera n. 38/11/CONS, il 6 luglio 2011 ha rielaborato lo schema di regolamento. La parte più discussa, nonché la più importante, a detta di chi scrive, è quella riguardante le azioni a tutela del diritto d’autore on-line. È stata delineata una procedura di notice and take down simile a quella prevista dal Digital Millennium Copyright Act. La procedura prevede una fase davanti il gestore del sito e un’altra dinanzi all’AGCOM. 

[17] Il programma di verifica dei diritti di proprietà intellettuale serve a garantire che gli oggetti non violino il copyright, i marchi registrati o altri diritti di proprietà intellettuale. Il sito ha predisposto un’apposita sezione nella quale sono presenti tutte le informazioni necessarie per l’iscrizione. L’iscrizione è consentita sia alle persone che alle società. In caso  di  violazione  è  necessario compilare  un  modulo  per  la  notifica  della  violazione, firmato  in  originale  e  con

«Specificate le inserzioni potenzialmente non conformi alle norme e le opere per le quali i copyright sono violati. Le informazioni richieste dalla Notifica di Violazione intendono garantire che le parti che segnalano inserzioni siano autorizzate dai titolari dei diritti, nonché consentire a eBay di individuare correttamente il materiale o l’inserzione da chiudere […]». Dopo che il sito ha ricevuto la prima notifica il soggetto potrà trasmettere le segnalazioni future tramite e-mail.  L’iscrizione al programma da diritto ad una pagina personale con la quale il soggetto può comunicare direttamente con i potenziali acquirenti relativamente alla società, ai prodotti e ai diritti connessi.

[18]Costituisce  la fattispecie di reato più frequente. eBay ogni anno rimuove milioni di inserzioni di merce potenzialmente contraffatta.

[19] Art. sostituito con la L. n. 99/2009.

[20] Ai sensi dell’art. 7 del CPI possono «costituire marchio registrato tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della sua confezione, le combinazioni e le tonalità cromatiche, purché atti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di un’altra». La § 1127 del Lanham Act con il termine trademark include «any word, name, symbol, or device, or any combination». Cfr. G. COLANGELO, Diritto comparato della proprietà intellettuale, Bologna, Il Mulino, 2011.

[21] Cfr. F. ANTONACCHIO, Aste on-line e diffusione di merci contraffatte: precauzioni per i consumatori e misure di contrasto, in www.rivista.ssef.it.

[22] Art. 1 L. n. 80/2005.

[23] Il prezzo particolarmente basso di un prodotto griffato deve costituire un monito per l’acquirente poiché difficilmente, determinate case produttrici, venderebbero  lo stesso  prodotto a quel  prezzo. Ciò  potrebbe  costituire  uno  dei fattori rilevatori della natura contraffatta di un prodotto.

[24] Art. L. 335-2 : «Toute édition d’écritis, de composition musicale, de dessin, de peinture ou de toute autre production imprimée ou gravée en entier ou en partie, au mépris des lois et règlements relatifs à la propriété des auteurs, est une contrefacon; et toute contrefacon est un délit. La contrefacon en France d’ouvrages publiés en France ou à l’étranger est punie de trois ans d’emprisonnement et de 300 000 € d’amende. Seront punis des mêmes peines le débit, l’exportation et l’importation des ouvrages contrefaisants».

[25] Art. L:335-3: «Est également un délit de contrefacon toute reproduction, représentation ou diffusion, par quelque moyen que ce soit, d’une oeuvre de l’esprit en violation des droits de l’auteur, tels qu’ils sont définis et règlementés par la loi».

[26] Art. L. 335-2.

[27] 1° co. Art. L. 335-3.

[28] Cfr. C. DI MARTINO, Responsabilità di eBay per vendita all’asta di prodotti contraffatti: le risposte delle corti francesi e statunitensi, in V. D’ANTONIO, S. VIGLIAR, (a cura di), Studi di diritto della comunicazione, persone, società e tecnologie dell’informazione, Padova, Cedam, 2009, pp. 175-204.

[29] Cfr. E. FALLETTI, I vestiti nuovi di eBay: operatore neutrale o intermediario attivo nelle aste su Internet?, in «Diritto dell’internet», Milano, Ipsoa Editore, 2008, n. 6, pp. 567-573.

[30] CD Couture sosteneva che eBay aveva interesse a favorire gli eventuali illeciti poiché su ogni transazione percepiva una commissione.

[31] La condanna non solo della filiale europea, ma anche della casa madre statunitense, ha ulteriormente contribuito a scalfire la protezione in favore degli ISP garantita, invece, dalla Direttiva comunitaria. Il meccanismo che ha consentito tale estensione di responsabilità si basa sul presupposto che se un sito straniero è accessibile dalla Francia e tramite lo stesso vengono commessi illeciti, è applicabile comunque la giurisdizione locale. 

[32]È opportuno rimarcare che la Loi pour la confiance dans l’économie numérique stabilisce che il provider mero intermediario non risponde delle informazioni trasmesse. Tale irresponsabilità, tuttavia, non si configura qualora dia origine alla trasmissione, selezioni il destinatario e selezioni e modifichi le informazioni trasmesse.

[33] Il passaggio citato è tratto dal testo della sentenza.

[34] L’art. 1382 del Code Civil stabilisce che: «Tout fait quelconque de l’homme, qui cause à autrui un dommage, oblige celui par la faute duquel il est arrivé à le réparer».

[35] L’art. 1383 del Code Civil prescrive che: «Chacun est responsable du dommage qu’il a causé non seulement par son fait, mais encore par sa négligence ou par son imprudence».

[36] Cfr. C. DI MARTINO, Contraffazione e vendita all’asta: un focus sulla responsabilità di eBay, in www.medialaws.eu.

[37] Gli oggetti  in  vendita  sul  sito  di  eBay  erano  chiaramente  contraffatti anche perché gli  stessi  annunci  evidenziavano che si trattava di falsi o imitazioni.

[38] Cit. C. DI MARTINO, Responsabilità  di  eBay  per vendita all’asta di prodotti contraffatti: le risposte delle corti francesi e statunitensi, in V. D’ANTONIO, S. VIGLIAR, (a cura di), Studi di diritto della comunicazione, persone, società  e  tecnologie  dell’informazione,  Padova,  Cedam,  2009,  p. 192. Sul punto cfr. A. MONTI, Responsabilità degli ISP. Dal tribunale di Parigi una decisione controversa, in «PC Professional», Milano, Mondadori, 2008, n. 210.

[39] Cit. A. MONTI, Responsabilità degli ISP. Dal tribunale di Parigi una decisione controversa, in «PC Professional», Milano, Mondadori, 2008, n. 210, p. 1.

[40] Solo in seguito alla decisione Inwood Laboratories v. Ives Laboratories, i ricorsi riguardanti il contributory infringement di marchi vennero decisi sulla base del Lanham Act.

[41] Cfr. G. M. RICCIO, Old Economy v. New Economy: Intellectual property, global wrongs and private remedies, in www.comparazionedirittocivile.it.

[42] La dilution è l’indebolimento del marchio a causa dell’utilizzo di altri marchi identici o simili. Tale fenomeno è disciplinato dal Lanham Act, modificato nel 2006 dal Trademark Dilution Revision Act.

[43] Così si legge nel testo della sentenza.

[44] Cit. C. DI MARTINO, Responsabilità di eBay per vendita all’asta di prodotti contraffatti: le risposte delle corti francesi e statunitensi, in V. D’ANTONIO, S. VIGLIAR, (a cura di) Studi di diritto della comunicazione, persone, società e tecnologie dell’informazione, Padova, Cedam, 2009, p. 196.

[45] Il fair use costituisce la libera utilizzazione. La legge n. 633/1941, in Italia, conferisce il diritto esclusivo di sfruttare economicamente la propria opera. Tuttavia, in determinati casi, le opere dell’ingegno possono essere utilizzate senza il consenso dell’autore. Ad esempio per uso personale, per interessi di informazione pubblica ecc. Cfr. Art. I. 1.8 della Costituzione degli Stati Uniti d’America: «[…] To promote the progress of science and useful arts by securing for limited times to authors and inventors the exclusive right to their respective writings and discoveries». 

[46] Tale attività consiste nell’esporre sul proprio sito Internet l’indirizzo della pagina iniziale di altro sito. Ciò consente l’approdo immediato al sito collegato, c.d. linking superficiale. Il link rispetto ad una parola chiave consiste nella generazione da parte del motore di ricerca, qualora un utente digiti quella parola, di una serie di risultati. Tra i risultati generati ci sarà un link al sito dell’acquirente. Cfr. P. PALLARO, Prime   note    sulla   responsabilità  dei  fornitori di servizi internet in diritto comunitario, in «Diritto del commercio internazionale», Varese, Giuffrè Editore, 2001, I, pp. 137-167.

[47] Cfr. C. DI MARTINO, Responsabilità di eBay per vendita all’asta di prodotti contraffatti: le risposte delle corti francesi e statunitensi, in V. D’ANTONIO, S. VIGLIAR, (a cura di), Studi di diritto della comunicazione, persone, società e tecnologie dell’informazione, Padova, Cedam, 2009.

[48] Cit. G. COLANGELO, Diritto comparato della proprietà intellettuale, Bologna,  Il Mulino, 2011, p. 161.  La conoscenza  generalizzata  e  non  specifica, infatti, non è un motivo sufficiente per imputare la conoscenza delle attività illecite.

Iemma Giuseppe

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