Procedimento arbitrale: strategie operative e orientamenti giurisprudenziali

Redazione 13/11/17
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L’arbitrato rituale e quello irrituale o libero

L’arbitrato può avere due diverse nature: rituale ed irrituale o libero: l’arbitrato rituale è tradizionalmente regolato dal codice di procedura civile; quello irrituale, è stato, fino a poco tempo fa, una creazione della pratica e della giurisprudenza; attualmente esso è regolato in maniera esplicita, seppur sintetica, dall’articolo 808-ter c.p.c.: “Le parti possono, con disposizione espressa per iscritto, stabilire che, in deroga a quanto disposto dall’articolo 824-bis, la controversia sia definita dagli arbitri mediante de- terminazione contrattuale. Altrimenti si applicano le disposizioni del presente titolo.

Il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente secondo le disposizioni del libro I:

1) se la convenzione dell’arbitrato è invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimento arbitrale;

2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale;

3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell’articolo 812;

4) se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo;

5) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio. Al lodo contrattuale non si applica l’articolo 825”.

Circa la sostanziale differenza fra le due figure, si è molto dibattuto: si è così ritenuto che la prima si riferisse ad un procedimento assimilabile a quello giurisdizionale, mentre alla seconda veniva attribuita natura contrattuale, qualificandosi l’arbitro, o gli arbitri, come mandatari e rappresentanti delle parti, incaricati di risolvere la vertenza loro sottoposta con un atto avente natura di transazione o di negozio di accertamento.

L’atto  introduttivo

L’atto introduttivo, definito anche domanda di arbitrato o atto di accesso, è  l’atto  con  il  quale  una  parte  assume  l’iniziativa  di  comunicare  all’altra la propria intenzione di far decidere, in sede arbitrale, una controversia insorta tra le parti stesse.

La riforma ha abolito la previsione dell’ufficiale giudiziario come soggetto attraverso il quale si deve effettuare la comunicazione; si può quindi ritenere che sia comunque allargata la rosa dei soggetti che possono provvedere alla notifica (si veda ad es. Commentario alle riforme  del processo civile, Cedam, 2009, pp. 588 e seguenti, anche per ulteriori approfondimenti dottrinali; in generale, si è posto il dubbio se si debba intendere “notifica” in  senso  tecnico,  benché  la  prudenza  suggerisca  una  lettura  testuale:  in questo senso, si veda giorgio  Barbieri ed Enrico  Bella, in Il nuovo diritto dell’arbitrato, Cedam, 2007, pp. 196 e segg., ove si rileva che la notifica in senso stretto va ritenuta essenziale per consentire la trascrizione della domanda e l’interruzione della prescrizione; nell’opera si espone anche la interessante considerazione che alcuni regolamenti di camere arbitrali prevedono  la  trasmissione  dell’atto  introduttivo  con  mezzi  diversi  dalla notifica).

Per quanto riguarda la prescrizione, ricordiamo un precedente: “In tema  di interruzione della prescrizione, ai sensi  dell’art. 2945  c.c., comma 4, nell’ipotesi  in cui  il giudizio arbitrale  non  abbia  svolgimento e non  si giunga  ad alcuna pronuncia arbitrale idonea  a definire il relativo giudizio, nessuna efficacia sospensiva può  attribuirsi al solo  atto  di impulso, rappresentato dalla richiesta di arbitrato o dalla nomina dell’arbitro.  L’operatività della norma di cui  all’art. 2945 c.c., comma 4, infatti, presuppone la esistenza di un procedimento arbitrale sfociato in  una  decisione idonea  a definire  la fattispecie controversa, sicché  la prescrizione resta, in forza di tale norma, sospesa ‘sino al momento in cui il lodo che definisce il giudizio non  è più  impugnabile o passa  in giudicato la sentenza resa sull’impugnazione’” (Trib. Genova, 22 settembre 2005).

Domande riconvenzionali, domande nuove ed eccezione di compensazione

Altro importante aspetto di tale fase della procedura è quello relativo alla proposizione di domande nuove e riconvenzionali.

Le  parti  possono  stabilire  nella  convenzione  di  arbitrato,  o  con  atto scritto  separato  purché  anteriore  all’inizio  del  giudizio  arbitrale,  le norme  che  gli  arbitri  debbono  osservare  nel  procedimento  e  la  lingua dell’arbitrato. In mancanza di tali norme gli arbitri hanno la facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio, ma sempre nel rispetto del principio del contraddittorio, concedendo alle parti ragionevoli ed equivalenti possibilità  di  difesa  (art.  816-bis,  comma  1  c.p.c.);  gli  arbitri  potranno dunque esplicitamente consentire la proposizione di domande nuove e riconvenzionali (per le eccezioni riconvenzionali non sembra sussistere alcun dubbio di legittimità).

Ricordiamo che si ritiene che una domanda sia nuova quando essa si sostanzia  in  una  pretesa  obiettivamente  differente  da  quella  formulata inizialmente, fondata su un diverso presupposto, mentre domanda ricon- venzionale è quella con cui la parte convenuta chiede una condanna o altro provvedimento a proprio favore nei confronti della parte attrice (cioè del soggetto che ha dato inizio all’arbitrato); eccezione riconvenzionale è poi quella fondata su una causa petendi che consentirebbe un’azione autonoma, ma viene formulata dal convenuto solo per paralizzare l’azione dell’attore.

Così, al soggetto che richieda il pagamento di una somma si può opporre in compensazione un maggior credito, chiedendo la condanna dello stesso a saldare la differenza (domanda riconvenzionale), ovvero si può opporre in compensazione lo stesso credito, chiedendo solo la compensazione parziale e quindi la reiezione della richiesta avversaria (eccezione riconvenzionale).

Con  riferimento  all’eccezione  di  compensazione,  l’art.  817-bis  c.p.c., introdotto  dal  d.lgs.  n.  40/2006,  prevede  espressamente  che  gli  arbitri sono  competenti  a  conoscere  dell’eccezione  di  compensazione  nei  limiti del  valore  della  domanda,  anche se  il  controcredito non  è  compreso nell’ambito della convenzione di arbitrato.

In passato, in dottrina ed in giurisprudenza sono state espresse posizioni discordanti  circa  la  possibilità  di  proporre  nei  procedimenti  arbitrali  le domande riconvenzionali; ora alcune sentenze si sono pronunciate a favore della possibilità di ampliare, nel corso dell’arbitrato, i quesiti originaria- mente  proposti  (Cass.  4  luglio  2000,  n.  8937;  Cass.  14  febbraio  2000,  n. 1620; Cass. 17 dicembre 1993, n. 12517), ed anche a favore dell’ammissi- bilità di domande nuove (App. Napoli, 9 gennaio 1997, in Rass. avv. Stato, 1997, I, p. 184); contro la mutatio libelli, Coll. arbitr., 12 dicembre 1991, in Arch. giur. oo.pp., 1992, p. 1387; a favore, Coll. arbitr., 22 dicembre 1992, in Giur. it., 1993, I, 2, p. 487 (“nell’arbitrato rituale,  improntato a maggiore  elasticità rispetto alle cause  ordinarie, sono  ammissibili le domande nuove purché si sia rispettato il contraddittorio; è quindi lecito introdurre, nel corso dell’arbitrato, una domanda di condanna, sebbene si sia inizialmente richiesto solo un  accertamento”).

In  particolare,  si  veda  App.  Roma  4  luglio  2000,  in  G. Rom.,  01,  265, citata in Commentario breve al diritto  dell’arbitrato, Cedam, 2010, sub art. 816-bis, ove si sottolinea l’ammissibilità delle domande riconvenzionali in arbitrato, salvo solo il rispetto del  principio del  contraddittorio.

In definitiva, dunque, va condivisa la posizione favorevole all’ammis- sibilità  di  tale  proposizione  nei  rapporti  civilistici;  nelle  controversie  in ambito  pubblicistico,  si  dovrà  controllare  se  vi  siano  norme  specifiche contrastanti con il codice di procedura civile, come è avvenuto in passato; si veda in tal senso quanto segue: “Il d.m.  2 dicembre 2000  n. 398, recante  le norme di procedura del giudizio arbitrale in materia di lavori pubblici ai sensi  dell’art. 32, l. 11 febbraio  1994  n. 109, nelle parti in cui delimita inderogabilmente l’oggetto del giudizio alla domanda di arbitrato, all’atto di resistenza di controparte ed alle controdeduzioni  dell’istante con esclusione delle possibili richieste ulteriori, ampliamenti e aggiornamenti, pone il divieto  di proporre  domande nuove che hanno titolo  nella riconvenzionale  del resistente, cristallizza l’oggetto del giudizio prima della composizione del collegio e fissa il contenuto della domanda arbitrale, da osservarsi a pena di nullità rilevabile d’ufficio, è legittimo ancorchè non  conforme agli art. 164,  180,  183 e 189 c.p.c., poichè  il cit. art. 32 della legge ha inteso introdurre una  disciplina peculiare, con possibilità di discostarsi dal modello del codice  di rito,  fermi  restando i relativi principi fondamentali costituenti limiti esterni  al potere regolamentare; e con sif- fatti principi non  collidono tali disposizioni, dal momento che, ai sensi  degli art.

816 comma 2, e 829 n. 7, dello stesso  codice di rito, le parti possono liberamente dettare  la disciplina delle modalità di svolgimento del procedimento, compreso il regime  delle nullità che intendano introdurre”  (TAR Lazio, sez. III, 11 giugno 2002, n. 5437).

 

I presenti contributi sono tratti da

 

 

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