Omesso versamento del TFR alla previdenza complementare: la necessaria tutela del lavoratore e della posizione previdenziale

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La previdenza complementare è stata introdotta nel Nostro Ordinamento con il D.Lgs. n. 252/2005, ed ha la funzione di integrare la previdenza obbligatoria consentendo al lavoratore di destinare tutta la quota di TFR mensilmente maturata a favore di determinati fondi di natura privatistica con la precipua finalità di ottenere un miglior tasso di sostituzione del rapporto retribuzione-pensione.

L’adesione alla previdenza complementare è libera e volontaria (art. 1, comma 2, del D.Lgs. 252/05); il lavoratore, infatti, entro sei mesi dall’assunzione può decidere di destinare le quote di TFR maturande ad una forma pensionistica complementare, oppure di lasciare il TFR in azienda.

Per l’ipotesi, per il vero non rara, in cui il lavoratore non compia alcuna scelta, il datore di lavoro è obbligato a trasferire il TFR maturando alla forma pensionistica collettiva prevista dal CCNL di categoria (salvo accordi aziendali diversi).

Fondi di previdenza complementare

I fondi di previdenza complementare si distinguono in fondi pensione negoziali, fondi pensione aperti, piani individuali pensionistici (Pip) e fondi pensione preesistenti.

I fondi negoziali sono forme pensionistiche complementari istituite dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro nell’ambito dei vari CCNL di categoria; (a titolo meramente esemplificativo, per il settore telecomunicazioni è stato previsto il Fondo Telemaco, per il settore della Vigilanza Privata è stato previsto il Fondo Fon.Te, mentre per il settore dell’igiene e dell’ambiente è stato previsto il Fondo Previambiente)

I fondi aperti sono forme pensionistiche complementari istituite da banche, imprese di assicurazioni, società di gestione del risparmio (SGR) e società di intermediazione mobiliare (SIM); (a titolo meramente esemplificativo si indicano ARCA Fondi SGR; Generali Global; BCC Risparmio&Previdenza; Mediolanum Vita S.p.A., Poste Vita S.p.A.).

Piani pensionistici individuali

Piani pensionistici individuali (Pip) (ex art. 13 D.Lgs. 252/05), altro non sono che i contratti di assicurazione sulla vita con finalità previdenziale, il cui scopo è quello di garantire all’aderente gli stessi diritti e prerogative assicurati dalle forme pensionistiche complementari.

I fondi pensione preesistenti, sono forme previdenziali già esistenti prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n.124/1993 (provvedimento abrogato dal D.Lgs. n. 252/05) che ha istituito la previdenza complementare. Questi fondi hanno natura collettiva e possono gestire direttamente le risorse senza ricorrere a intermediari specializzati.

Dunque, a seguito dell’adesione -da parte del prestatore di lavoro- alla previdenza complementare, accade che le operazioni afferenti al versamento dei contributi a titolo di accantonamento del TFR vengono ricondotte, sotto il profilo soggettivo, al c.d. rapporto di natura previdenziale avente carattere triangolare, nell’ambito del quale:

  • Il prestatore di lavoro, opera una vera e propria delegazione al datore di lavoro avente per oggetto il pagamento (rectius versamento) dei contributi ai fini del TFR nei confronti del Fondo di previdenza complementare prescelto e con la finalità di soddisfare i propri bisogni ed interessi presenti e futuri (con funzione migliorativa del tasso di sostituzione);
  • Il datore di lavoro, assume un vero e proprio obbligo di trattenere i contributi dovuti a titolo di TFR e, successivamente, versarli al fondo di previdenza complementare in osservanza alle clausole contrattuali pattuite (vedasi Statuto/Regolamento/Nota Informativa del Fondo prescelto).
  • Il fondo di previdenza complementare, in forza dell’adesione operata dal prestatore di lavoro, quale depositario delle somme, accumula -per conto dell’aderente- i contributi versati dal datore di lavoro ed assume l’obbligo di custodirli, gestirli, accantonarli ed incrementarli (sub specie rendimenti di gestione) nei modi e termini concordati.

Orbene, tanto chiaro quanto ovvio che gli aspetti problematici della questione vengo in rilievo allorquando il datore di lavoro, per qualsiasi ragione, non versa al Fondo le quote trattenute dalla retribuzione del lavoratore.

A tal proposito, sono due i dati che non devono essere sottovalutati e per l’effetto “obbligano” il soggetto interessato ad assumere un contegno attivo e propulsivo rispetto alla tutela della posizione pensionistica/previdenziale.

Innanzitutto, doveroso rilevare che il rapporto previdenziale complementare -differentemente dal sistema pensionistico obbligatorio- non risponde al principio di automaticità della prestazione; ciò significa che al lavoratore verrà erogata la prestazione esclusivamente in proporzione alle quote effettivamente versate.

In secondo luogo, opportuno precisare che in caso di mancato versamento, ai sensi della disciplina dettata dal D.Lgs. 252/2005, i fondi di previdenza complementare non sono legittimati a procedere per il recupero delle quote dovute.

Da ciò discende che l’omesso versamento dei predetti contributi da parte del datore di lavoro e, per l’effetto, l’omesso accantonamento delle quote di TFR da parte del Fondo pensionistico, in applicazione del principio di corrispettività delle prestazioni, si ripercuote negativamente, in maniera concreta, immediata e diretta, sul lavoratore unico interessato a beneficiare della prestazione previdenziale e destinatario dei seguenti pregiudizi:

  1. Irregolarità nella posizione contributiva. A causa dell’omesso versamento delle quote di TFR, il montante accantonato presso il Fondo sarà certamente inferiore alla somma che il lavoratore avrebbe potuto legittimamente attendersi ove l’obbligato principale avesse tempestivamente ed esattamente adempiuto.
  2. Grave e non garantita incapienza contributiva presso il fondo di previdenza complementare. La costante violazione degli obblighi contributivi produce, tra l’altro, una situazione di incertezza circa la solidità e la redditività della posizione previdenziale la quale (ove non prontamente tutelata) lede l’interesse negoziale del lavoratore sotteso all’adesione al Fondo, pregiudicando irreversibilmente le aspettative e rendimenti previdenziali.
  3. In altri termini si verifica il seguente iter causale: omesso versamento – mancato accantonamento – inesistente rendimento – pregiudizio della prestazione finale.
  4. Impossibilità di giovare pienamente di tutti i benefici connessi all’aver destinato l’intero tfr al fondo di previdenza complementare. L’irregolarità della posizione contributiva ai fini del TFR, peraltro, arreca un diretto pregiudizio al diritto a percepire le anticipazioni contrattualmente previste (75% per spese sanitarie, acquisito prima casa e ristrutturazione prima casa – 30% per ulteriori esigenze senza vincolo di rendicontazione).
  5. Infatti, una omissione nei versamenti produce la conseguenza che ove dovesse essere richiesta un’anticipazione, l’importo erogato sarebbe calcolato sulla base dei reali accantonamenti di fatto pregiudicando un credito che, ove i versamenti fossero stati integrali e puntuali, sarebbe stato certamente superiore e idoneo a soddisfare le esigenze di vita del lavoratore.

Stante quanto sopra argomentato, emerge ictu oculi, la sussistenza della legittimazione esclusiva in capo al prestatore di lavoro –ex lege (d.lgs. 252/2005)- ad agire per la tutela del diritto soggettivo all’integrità della posizione assicurativa previdenziale ed alla regolarità dell’accantonamento delle quote di tfr onde soddisfare il proprio interesse all’ottenimento di un più elevato tasso di sostituzione retribuzione/emolumenti previdenziali per il periodo in cui sarà cessato dal servizio; il tutto, al fine di evitare di incorrere in decadenze e/o prescrizioni per decorso dei termini previsti dalla legge (ex multis: Cassazione Civile -Sezioni Unite- Sentenza n. 6349/2015; Tribunale di Milano -Sezione Lavoro- Sentenza del 09.03.16; Tribunale di Taranto -Sezione Lavoro- Sentenza n. 3678/2015; Tribunale di Genova -Sezione Lavoro- Sentenza n. 734/2015).

Ed ancora, a fronte della peculiare natura dei rapporti che, a decorrere dall’adesione, insorgono tra datore di lavoro, lavoratore e Fondo Pensionistico, il ricorrente è obbligato ad agire iure proprio ma in funzione di una condanna a favore di terzo (giust’appunto Fondo di previdenza complementare), soggetto, quest’ultimo, che necessariamente e deve essere parte del giudizio e, dunque, del contraddittorio.

In tal senso si richiamano le pronunce del Tribunale di Roma -Sez. Lav.- Sent. n.10489/16 e del Tribunale di Napoli -Sez. Lav.- Sent. n. 5294/2017, nell’ambito delle quali i giudici di merito hanno ritenuto necessaria ed indefettibile la presenza dei Fondi di Previdenza Complementare nel giudizio instaurato dal lavoratore contro il proprio datore stante che, trattandosi di rapporto triangolare, la condanna al versamento delle quote di TFR (trattenute in busta paga e non versate) emessa a carico del resistente -in virtù dell’adesione- dispiega effetti immediati e diretti in favore del Fondo di Previdenza ed effetti solo mediati ed indiretti in favore del ricorrente (il quale, tuttavia, rimane l’unico soggetto titolare della legittimazione ad agire!).

Del pari, in presenza di una omissione contributiva (in funzione di accantonamento del TFR) perpetrata dal datore, emerge la sussistenza dell’interesse ad agire del lavoratore che nasce proprio dalla sottoscrizione del modulo di adesione e si concretizza nel diritto dello stesso alla regolarità e capienza della propria posizione contributiva.

Dunque, l’interesse ad agire del lavoratore -peraltro intimamente connesso alla legittimazione ad agire- si sostanzia nel diritto soggettivo alla regolarita’ della posizione assicurativa e/o contributiva in funzione previdenziale, onde potersi garantire ed assicurare il corretto accantonamento delle quote destinate al TFR, i tassi di rendimento pattuiti/accettati con la sottoscrizione delle clausole generali di contratto ed in ultima analisi un miglior tasso di sostituzione!

– In definitiva, l’omesso versamento dei contributi dovuti a titolo di TFR costituisce una violazione negoziale in quanto si sostanzia in un grave inadempimento contrattuale con conseguente insorgenza dell’obbligo e condanna del datore di lavoro a provvedere al versamento dei contributi ripianando l’irregolarita’/incapienza presso l’ente di previdenza complementare.

Giurisprudenza di merito

A conferma dell’attualità della problematica giuslavoristica sopra affrontata e soprattutto dell’imprescindibilità e necessarietà della tutela della posizione previdenziale di ciascun lavoratore che abbia aderito al secondo pilastro pensionistico (ovvero quello complementare) si indicano due recentissime sentenze emesse dal Tribunale di Palermo in funzione di Giudice del Lavoro, Sentenza n.1273/2018 e Sentenza n. 1274/2018, nell’ambito delle quali sono state riconosciute la legittimazione ad agire del lavoratore, l’obbligatoria presenza in giudizio del Fondo di Previdenza e la tutela ampia del ricorrente estrinsecatasi nella forma della condanna a favore del terzo.

Pertanto, chiunque abbia aderito alla previdenza complementare è gravato di un onere suppletivo rispetto agli altri colleghi e/o lavoratori che, invece, hanno optato per l’accantonamento del TFR in azienda, ciò in quanto soltanto l’aderente è in grado di controllare la regolarità (o meno) della propria posizione contributiva ed ove si avveda di talune incongruenze od omissioni ben potrà rivolgersi ad un legale specializzato in ambito giuslavoristico al fine di ottenere una tutela ampia e, dunque, il ripristino della propria posizione contributiva previdenziale in funzione di accantonamento del TFR.

 

Avv. Pirrello Andrea

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