Lodo arbitrale che condanna un’amminstrazione al risarcimento del danno: non potendo considerarsi satisfattivo l’eventuale inserimento del debito nel bilancio comunale , cui non abbia fatto seguito l’emissione del relativo mandato di pagamento, colui che

Lazzini Sonia 05/07/07
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Per le sentenze di condanna al pagamento di una somma di denaro, il Commissario ad acta è legittimato ad eseguire tutti gli atti e gli adempimenti necessari per dare concreto soddisfacimento al diritto di credito, mediante l’esercizio di un’attività compiuta quale “longa manus” del Giudice dell’ottemperanza nell’ambito della “procedimentalizzazione dell’erogazione della spesa”, a conclusione della quale sarà emesso il relativo mandato di pagamento; a tale fine l’organo straordinario deve provvedere sia all’allocazione della somma in bilancio, ove manchi un apposito stanziamento, nonché all’espletamento delle fasi di impegno, liquidazione, ordinazione e pagamento della spesa, sia al reperimento materiale della somma, con la precisazione che l’esaurimento dei fondi di bilancio o la mancanza di disponibilità di cassa non costituiscono legittima causa di impedimento all’esecuzione del giudicato, dovendo il predetto organo straordinario porre in essere tutte le iniziative necessarie per rendere possibile il pagamento
 
Il Tar Sicilia, Catania, con la sentenza numero 859 del 21 maggio 2007 ci insegna che:
 
< Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa (Cfr. Cons. Stato, IV, 20 dicembre 2000, n. 6843; idem, V, 1 marzo 2000, n. 1089; idem, IV, 12 novembre 2001, n. 5788; Tar Campania Salerno, sez. I, 11 febbraio 2002, n. 106; Tar Catania, Sezione I, 2 febbraio 2005 n. 174), il lodo arbitrale dà luogo ad un giudicato per la cui esecuzione è esperibile il giudizio di ottemperanza, dal momento che il decreto di esecutività, “pur non conferendo natura di sentenza al lodo, gliene attribuisce certamente l’efficacia” (cfr. Corte Cost. 12 febbraio 1963, n. 2). 
 
In base all’art. 4, comma 2, della L. n. 2248/1865 Allegato E, la Pubblica Amministrazione ha un vero e proprio obbligo giuridico di conformarsi al giudicato dei Tribunali.>
 
In particolare, nella fattispecie sottoposta ai giudici siciliani:
 
< Pertanto, rilevato che sussiste l’inottemperanza da parte dell’Amministrazione intimata e che, per l’esecuzione, sono necessari ulteriori provvedimenti dell’Autorità amministrativa, la domanda proposta in questa sede risulta fondata e va accolta.
Alla luce delle predette considerazioni, va affermata la persistenza dell’obbligo dell’Amministrazione di ottemperare al giudicato.
La sussistenza dell’obbligo di eseguire integralmente il giudicato va affermata, ad avviso del Collegio, sia per quanto riguarda la sorte capitale che per gli interessi e oneri accessori.>
 
Ma vi è di più
 
< Decorso infruttuosamente tale termine, ai medesimi adempimenti provvederà, sostitutivamente, il Commissario “ad acta” nominato da questo Tribunale, anche mediante l’adozione di variazioni di bilancio, stipulazione di atti di mutuo, alienazioni di beni anche mediante trattativa privata, o quant’altro necessario per l’assolvimento del mandato, in deroga a qualsiasi normativa di settore, ma con l’osservanza, in ogni caso, delle disposizioni di cui all’art. 159 del Decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, essendo l’Amministrazione intimata un ente locale.>
 
a cura di *************
 
               
                                      REPUBBLICA ITALIANA            N. 0859/07 Reg. Sent.
                           IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N. 2489/06 Reg. Gen.
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – Sezione staccata di Catania – Sezione Quarta, composto dai ******************:
Dott. *************                        Presidente relatore estensore
Dott. ********************            Consigliere
Dott. Dauno Trebastoni                 Referendario
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso n. 2489/2006 R.G. proposto dalla *** S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. ********************, domiciliato per legge presso la Segreteria della Sezione;
contro
il Comune di Messina, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito;
per ottenere
l’esecuzione del giudicato nascente dal lodo arbitrale reso in data 29 ottobre 2004, dichiarato esecutivo con provvedimento del 14 maggio 2005, registrato in Messina il 5 luglio 2005, notificato in data 19 luglio 2005, passato in giudicato, con il quale il Collegio Arbitrale ha condannato il Comune di Messina al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 445.339,94, oltre interessi e rivalutazione monetaria da riconoscersi dalla data di notifica dell’atto di accesso arbitrale sino all’integrale soddisfo, nonché al pagamento, in ragione di due terzi, delle spese di difesa e delle spese di funzionamento del Collegio medesimo.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla Camera di consiglio del 27 aprile 2007 il Consigliere Dott. *************;
Udito l’Avvocato del ricorrente come da verbale di causa;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
Fatto
Con apposito bando di gara il Comune di Messina indiceva una gara per l’affidamento dei lavori di consolidamento e risanamento dei terreni siti in **************** del *************** *************, interessati da movimento franoso.
L’appalto relativo era aggiudicato alla *** S.r.l., la quale, in esecuzione del contratto rep. n. 206 del 17 ottobre 1989 (registrato a Messina il 13 novembre 1989), iniziava i lavori, più volte sospesi per varie ragioni, imputabili alla stazione appaltante.
A seguito di tali sospensioni, la *** S.r.l. subiva dei danni, dei quali reclamava il risarcimento con apposito atto di accesso ad arbitrato, notificato al Comune di Messina il 16 settembre 2003.
Con lodo reso in data 29 ottobre 2004, dichiarato esecutivo con provvedimento del 14 maggio 2005, registrato in Messina il 5 luglio 2005, il Collegio Arbitrale condannava il Comune di Messina al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 445.339,94, oltre interessi e rivalutazione monetaria da riconoscersi dalla data di notifica dell’atto di accesso ad arbitrato (16 settembre 2003) sino all’integrale soddisfo, nonché al pagamento, in ragione di due terzi, delle spese di difesa e delle spese di funzionamento del Collegio medesimo.
Avverso il predetto lodo arbitrale, notificato il 19 luglio 2005 in forma esecutiva ai sensi degli artt. 479, 2° comma e 170 c.p.c., non era proposta opposizione, per cui esso diveniva inoppugnabile, assumendo efficacia di giudicato.
Non avendo l’Amministrazione provveduto al pagamento delle somme predette, la *** S.r.l. attivava nei confronti del Comune di Messina vari procedimenti esecutivi ordinari presso terzi, non andati a buon fine.
Con atto di costituzione in mora ai sensi dell’art. 90, comma 2, del R.D. 17 agosto 1907 n. 642, ritualmente notificato il 4 aprile 2006, la *** S.r.l. ha intimato all’Amministrazione di ottemperare al giudicato, non ottenendo alcun riscontro.
Perdurando l’inadempienza del Comune di Messina, la ******à interessata ha adito questo Tribunale, chiedendo che venga accertato l’obbligo dell’Amministrazione di conformarsi al giudicato e di darvi integrale esecuzione e che, in caso di ulteriore inadempienza, venga disposta la nomina di un commissario ad acta per l’adozione degli atti sostitutivi necessari.
Il ricorso è stato notificato all’Amministrazione intimata e, ai sensi dell’art. 91 del R.D. n. 642 del 1907, è stato ritualmente comunicato all’organo preposto alla vigilanza, che non ha fatto pervenire osservazioni.
L’attestazione della Cancelleria della Corte di Appello di Messina, attestante che avverso il lodo arbitrale non è stata proposta opposizione, è stata prodotta dalla parte ricorrente in un momento successivo.
Alla Camera di. consiglio del 27 aprile 2007 la causa è passata in decisione.
Diritto
1) Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa (Cfr. Cons. Stato, IV, 20 dicembre 2000, n. 6843; idem, V, 1 marzo 2000, n. 1089; idem, IV, 12 novembre 2001, n. 5788; Tar Campania Salerno, sez. I, 11 febbraio 2002, n. 106; Tar Catania, Sezione I, 2 febbraio 2005 n. 174), il lodo arbitrale dà luogo ad un giudicato per la cui esecuzione è esperibile il giudizio di ottemperanza, dal momento che il decreto di esecutività, “pur non conferendo natura di sentenza al lodo, gliene attribuisce certamente l’efficacia” (cfr. Corte Cost. 12 febbraio 1963, n. 2). 
In base all’art. 4, comma 2, della L. n. 2248/1865 Allegato E, la Pubblica Amministrazione ha un vero e proprio obbligo giuridico di conformarsi al giudicato dei Tribunali.
Dall’esame degli atti della causa risulta che l’Autorità intimata, nonostante sia stato notificato un regolare atto di diffida, non ha ottemperato a quanto disposto dal lodo arbitrale, divenuto inoppugnabile, non potendo considerarsi satisfattivo l’eventuale inserimento del debito nel bilancio comunale, cui non abbia fatto seguito l’emissione del relativo mandato di pagamento.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, colui che vanta una pretesa patrimoniale nei confronti della Pubblica Amministrazione, in dipendenza di un giudicato, può scegliere tra l’esecuzione forzata secondo le norme del Codice di procedura Civile e l’esecuzione in sede amministrativa, mediante il ricorso per l’ottemperanza di cui all’art. 27, n. 4 del T.U. 26 giugno 1924 n. 1054.
Pertanto la domanda proposta nel presente giudizio è pienamente ammissibile.
Risultano osservate dalla parte ricorrente le formalità procedurali per la notificazione all’Amministrazione sia del lodo arbitrale, sia della diffida ad adempiere.
Inoltre il ricorso “de quo” è stato comunicato dalla Segreteria giurisdizionale all’Assessorato Regionale della Famiglia, delle Politiche sociali e delle Autonomie Locali, ai sensi dell’art. 91 del R.D. 17 agosto 1907 n. 642, per le eventuali osservazioni.
Pertanto, rilevato che sussiste l’inottemperanza da parte dell’Amministrazione intimata e che, per l’esecuzione, sono necessari ulteriori provvedimenti dell’Autorità amministrativa, la domanda proposta in questa sede risulta fondata e va accolta.
Alla luce delle predette considerazioni, va affermata la persistenza dell’obbligo dell’Amministrazione di ottemperare al giudicato.
La sussistenza dell’obbligo di eseguire integralmente il giudicato va affermata, ad avviso del Collegio, sia per quanto riguarda la sorte capitale che per gli interessi e oneri accessori.
In particolare, va ribadito che in sede di giudizio di ottemperanza può riconoscersi l’obbligo di corresponsione alla parte ricorrente degli interessi sulle somme liquidate in sentenza e su quelle relative alle spese accessorie (Cons. Stato, IV^, 26 settembre 1980 n. 958).
Sono dovute in questa sede le spese relative ad atti accessori del lodo arbitrale, quali le spese di registrazione (ex art. 37 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131), di esame, di copia e di notificazione, nonché le spese ed i diritti di avvocato relativi all’atto di diffida, in quanto egualmente hanno titolo nello stesso lodo arbitrale.
Viceversa deve considerarsi inammissibile la domanda volta ad ottenere il rimborso delle spese sostenute per procedimenti esecutivi ordinari non andati a buon fine (Cfr. T.A.R. Abruzzo 6 ottobre 1984 n. 493), trattandosi di pretesa che ha un titolo diverso rispetto alle decisioni passate in giudicato.
L’Amministrazione dovrà quindi porre in essere i necessari atti adempitivi nel termine indicato in dispositivo.
Decorso infruttuosamente tale termine, ai medesimi adempimenti provvederà, sostitutivamente, il Commissario “ad acta” nominato da questo Tribunale, anche mediante l’adozione di variazioni di bilancio, stipulazione di atti di mutuo, alienazioni di beni anche mediante trattativa privata, o quant’altro necessario per l’assolvimento del mandato, in deroga a qualsiasi normativa di settore, ma con l’osservanza, in ogni caso, delle disposizioni di cui all’art. 159 del Decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, essendo l’Amministrazione intimata un ente locale.
2) Allo scopo di evitare qualsiasi incertezza in sede di esecuzione del giudicato, il Collegio ritiene necessario chiarire che:
I – Per giurisprudenza assolutamente pacifica, (Cfr. Cons. Stato A.P. 9 marzo 1973, n. 1; idem, A.P. 14 luglio 1978, n. 23; idem, VI, 9 giugno 1986, n. 412; idem, V, 27 settembre 1990, n. 702; idem, V, 5 maggio 1993, n. 543; C.G.A. 25 febbraio 1981, n. 1; Tar Salerno, 19 febbraio 1982, n. 76; Tar Napoli, Sez. 3^, 30 ottobre 1990, n. 375; Tar Catania, Sez. 3^, 30 ottobre 1995, n. 2399; idem, 30 gennaio 1996, n. 45) il commissario ad acta è organo del Giudice dell’ottemperanza e le sue determinazioni vanno adottate esclusivamente in funzione dell’esecuzione del giudicato, e non in funzione degli interessi pubblici il cui perseguimento costituisce il normale canone di comportamento dell’Amministrazione sostituita. Da ciò consegue che i suoi provvedimenti sono immediatamente esecutivi e non sono assoggettati all’ordinario regime dei controlli (interni ed esterni) degli atti dell’Amministrazione presso la quale lo stesso si insedia, ma vanno sottoposti unicamente all’immanente controllo dello stesso Giudice, al quale le parti interessate possono rivolgersi, nelle forme previste dall’art. 27 n. 4 del T.U. 26 giugno 1924, n. 1054, dall’art. 37 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034 e dagli artt. 90 e 91 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, affinché venga verificata la loro rispondenza alle disposizioni impartite in sede di ottemperanza, nonché ai principi vigenti in materia.
II – Per le sentenze di condanna al pagamento di una somma di denaro, il Commissario ad acta è legittimato ad eseguire tutti gli atti e gli adempimenti necessari per dare concreto soddisfacimento al diritto di credito, mediante l’esercizio di un’attività compiuta quale “longa manus” del Giudice dell’ottemperanza nell’ambito della “procedimentalizzazione dell’erogazione della spesa”, a conclusione della quale sarà emesso il relativo mandato di pagamento; a tale fine l’organo straordinario deve provvedere sia all’allocazione della somma in bilancio, ove manchi un apposito stanziamento, nonché all’espletamento delle fasi di impegno, liquidazione, ordinazione e pagamento della spesa, sia al reperimento materiale della somma, con la precisazione che l’esaurimento dei fondi di bilancio o la mancanza di disponibilità di cassa non costituiscono legittima causa di impedimento all’esecuzione del giudicato, dovendo il predetto organo straordinario porre in essere tutte le iniziative necessarie per rendere possibile il pagamento. (Cfr. Cons. Stato, A. P., n. 1/1973 e n. 23/1978; Tar Salerno, n. 76/1982; Tar Catania, Sez. III, n. 45/1996 citate).
In presenza poi di situazioni altamente deficitarie e di esecuzione di giudicato concernente crediti di una certa rilevanza, lo stesso commissario potrà disporre il pagamento rateizzato degli stessi crediti.
III – Gli organi della Pubblica Amministrazione hanno l’obbligo di prestare la doverosa collaborazione al commissario ad acta, rimanendo ad essi preclusa ogni possibilità di interferire con i poteri deliberativi del commissario stesso.
In particolare gli organi predetti non possono opporre alcun ostacolo alle variazioni di bilancio, all’effettuazione di eventuali storni ed a tutte le altre incombenze ritenute necessarie dal commissario per l’esatta esecuzione del giudicato, potendo tale opposizione assumere la rilevanza di un illecito penale.
Nei casi più gravi di mancato adempimento dell’Amministrazione all’obbligo di rendere possibile l’attività del commissario, il Giudice amministrativo potrà disporre l’intervento della forza pubblica (Cfr. Tar Catania, Sez. III, n. 2399/1995 citata).
3) Nell’individuazione dei poteri d’intervento dei Commissari ad acta nominati dal Giudice amministrativo per l’esecuzione del giudicato a carico di enti locali, il Collegio deve farsi carico di affrontare una particolare questione, sorta a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 119 Costituzione, nel testo sostituito dall’art. 5 della L. Cost. 18 ottobre 2001 n. 3.
A – L’art. 55, comma 1, della L. 8 giugno 1990, n. 142 ha statuito che “l’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali è riservato alla legge dello Stato”.
In virtù di tale disposizione e del recepimento che ne è stato fatto con L.R. 11 dicembre 1991, n. 48, il Legislatore regionale siciliano ha effettuato un vero e proprio rinvio dinamico alla normativa statale, la quale, nella parte relativa all’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, trova diretta applicazione nell’Isola.
Da ciò consegue che il nuovo ordinamento degli enti locali di cui al Decreto Leg.vo 18 agosto 2000, n. 267 (che ha sostituito la L. n. 142/1990), ancorché non espressamente recepito con legge regionale, va applicato anche in Sicilia, limitatamente alla Parte seconda, che concerne l’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali (artt. 149 – 269), ferme restando le competenze e le procedure diversamente disciplinate in sede regionale (Cfr. Assessorato regionale E.E.L.L. circolare 13 aprile 2001 n. 2).
Orbene, con il predetto ************** n. 267/2000 il Legislatore statale ha previsto una serie di regole finalizzate a garantire l’equilibrio di bilancio degli enti locali, consentendo tuttavia (art. 194, comma 3) la possibilità di ricorrere all’indebitamento per fronteggiare talune particolari spese non d’investimento ivi previste (per sentenze esecutive, copertura di disavanzi di consorzi, aziende speciali ed istituzioni, ricapitalizzazione di società di capitali, procedure espropriative o di occupazione d’urgenza per opere di pubblica utilità, acquisizione di beni e servizi entro certi limiti), previo il loro riconoscimento quali debiti fuori bilancio (art. 194, comma 1).
A tale originario impianto normativo si è tuttavia sovrapposto l’art. 119, comma 6, Costituzione, nel testo sostituito dall’art. 5 della Legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 (entrato in vigore l’8 novembre 2001), in base al quale “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni (…) possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento”.
In tal modo si è inteso dare dignità di precetto costituzionale al principio in virtù del quale gli enti territoriali devono salvaguardare gli equilibri di bilancio, principio retto a sua volta dalla regola basilare secondo cui alla copertura delle spese correnti deve provvedersi soltanto con entrate correnti (Cfr. Corte Conti, Reg. Lazio, Sez. Giurisd. 20 dicembre 2005 n. 3001).
Nonostante l’art. 14, comma 1, lettera o) dello Statuto abbia riservato alla competenza legislativa esclusiva della Regione siciliana la materia del “regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative”, la prescrizione di cui all’art. 119, comma 6, Costituzione è divenuta immediatamente operante anche nell’Isola, sia perché trattasi di disposizione di carattere generale, riguardante l’unità economica della Repubblica e finalizzata al coordinamento della finanza pubblica (Cfr. Corte dei conti, Sez. giurisdiz. Sicilia, 7 novembre 2006 n. 3198),   sia per effetto del rinvio dinamico alla normativa statale in materia di ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, compiuto dal Legislatore regionale sicilianocon .
Con l’art. 41, della L. 28 dicembre 2001 n. 448 (Legge finanziaria per l’anno 2002) il Legislatore statale ha introdotto nuovi strumenti di gestione del debito pubblico, affidando funzioni di coordinamento al Ministero dell’Economia e delle finanze (commi 1, 2 e 3) e, nel contempo, si è adeguato immediatamente al dettato costituzionale (comma 4), riconoscendo la legittimità dei mutui accesi per finanziare le spese di parte corrente, contemplati dall’art. 194, comma 3, del Decreto Leg.vo 18 agosto 2000, n. 267, purché riguardanti “la copertura dei debiti fuori bilancio maturati anteriormente alla data di entrata in vigore della Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”, così ribadendo il divieto di stipulare mutui destinati a coprire debiti maturati dopo l’8 novembre 2001.
Successivamente il Legislatore statale è intervenuto con l’art. 30, comma 15, della L. 27 dicembre 2002 n. 289 (legge finanziaria per l’anno 2003), con il quale è stato prescritto che, “Qualora gli enti territoriali ricorrano all’indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, in violazione dell’articolo 119 della Costituzione, i relativi atti e contratti sono nulli. Le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti possono irrogare agli amministratori, che hanno assunto la relativa delibera, la condanna ad una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte l’indennità di carica percepita al momento di commissione della violazione”.
Un ulteriore intervento del Legislatore statale si è avuto con la L. 24 dicembre 2003, n. 350 e successive modificazioni, che, all’art. 3, dopo aver reiterato – al comma 16 – il divieto di indebitamento, ai commi 17 – 21 ter ha dettato delle norme attuative del precetto costituzionale, individuando in concreto le varie forme d’indebitamento e d’investimento ed estendendo tali disposizioni alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano, “ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica e nel quadro del coordinamento della finanza pubblica di cui agli articoli 119 e 120 della Costituzione”.
Dopo l’entrata in vigore della legge finanziaria 2004, nella Gazz. Uff. 4 febbraio 2004, n. 28 è stato pubblicato D.M. Economia e Finanze 1 dicembre 2003, n. 389, contenete il regolamento sull’accesso al mercato dei capitali da parte delle province, dei comuni, delle città metropolitane, delle comunità montane e delle comunità isolane, nonché dei consorzi tra enti territoriali e delle regioni, ai sensi dell’art. 41, comma 1, della L. 28 dicembre 2001, n. 448.
In conclusione, in base a tale quadro normativo, che ha superato l’originaria prescrizione di cui all’art. 194 del Decreto Leg.vo n. 267/2000, i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni non possono ricorrere all’indebitamento per fare fronte a spese non d’investimento, maturate dopo l’8 novembre 2001, tra le quali sono ricomprese quelle derivanti dall’ottemperanza a sentenze esecutive.
B – Ci si chiede, a questo punto, se le limitazioni introdotte dall’art. 119, comma 6, Cost. si applichino anche ai commissari ad acta nominati dal giudice amministrativo in sede di giudizio di ottemperanza ex art. 27 n. 4 del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054.
Per definire tale questione, occorre individuare anzitutto la natura giuridica del commissario ad acta.
Con sentenza 22 marzo 1993 n. 114 il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha affermato che “il commissario ad acta è organo straordinario dell’amministrazione solo in senso oggettivo, e cioè come strumento di imputazione all’Amministrazione sostituita di determinate fattispecie, non anche in senso soggettivo, e cioè come soggetto che formuli la reale volontà dell’Amministrazione stessa; e – più esattamente – va configurato da un punto di vista strutturale come un centro di competenze esterno all’Amministrazione il quale esprime una volontà che soggettivamente non promana dall’amministrazione anche se ad essa è imputabile, e dal punto di vista funzionale come ufficio ausiliare del giudice dell’ottemperanza (Cons. Stato, A.P. 26 agosto 1991 n. 5; C.G.A. 1 agosto 1991 n. 343; 29 giugno 1989 n. 238; 25 aprile 1985 n. 54)".
Tale orientamento è stato seguito dalla giurisprudenza successiva (Cfr. Tar Genova, Sezione I, 24 febbraio 2004 n. 186; Cons. Stato, V, 9 ottobre 2006 n. 5952).
In quanto centro di competenze esterno all’Amministrazione, il Commissario ad acta non si identifica con questa, essendo la sua funzione esclusiva quella di dare concreta attuazione al giudicato del quale è stata chiesta l’esecuzione, in applicazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale anche nei confronti della Pubblica amministrazione, principio che, come precisato dalla Corte costituzionale con sentenza 15 settembre 1995 n. 435, trova fondamento negli artt. 24, 101, 103 e 113 Costituzione. 
In particolare, con la citata sentenza n. 435/1995 la Corte costituzionale ha precisato che:
“ … proprio in base al (…) principio di effettività della tutela deve ritenersi connotato intrinseco della stessa funzione giurisdizionale, nonché dell’imprescindibile esigenza di credibilità collegata al suo esercizio, il potere di imporre, anche coattivamente in caso di necessità, il rispetto della statuizione contenuta nel giudicato e, quindi, in definitiva, il rispetto della legge stessa. Una decisione di giustizia che non possa essere portata ad effettiva esecuzione (eccettuati i casi di impossibilità dell’esecuzione in forma specifica) altro non sarebbe che un’inutile enunciazione di principi, con conseguente violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione, i quali garantiscono il soddisfacimento effettivo dei diritti e degli interessi accertati in giudizio nei confronti di qualsiasi soggetto: e quindi anche nei confronti di qualsiasi atto della pubblica autorità, senza distinzioni di sorta…
… l’esercizio di poteri autoritativi al fine della effettiva realizzazione della tutela garantita dalla Costituzione è una fase (pur se eventuale) intrinsecamente complementare e necessaria all’esercizio della giurisdizione … … come questa Corte ha avuto occasione di affermare fin dalla sentenza n. 75 del 1977, l’attività commissariale, pur essendo, praticamente, la medesima che avrebbe dovuto essere prestata dall’amministrazione, ne differisce tuttavia giuridicamente perché si fonda sull’ordine contenuto nella decisione del giudice amministrativo, alla quale è legata da uno stretto nesso di strumentalità. In breve, poiché i provvedimenti del commissario ad acta risultano disposti dal giudice e specificamente predeterminati nel contenuto, sono da ritenersi meramente esecutivi ed a questi direttamente riferibili”.
In conclusione, l’attività del commissario ad acta costituisce un momento necessario nell’attuazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale ed è riferibile al giudice dell’esecuzione, del quale il commissario costituisce la “longa manus”.
Ciò comporta che, come chiarito da questo Tribunale con recente sentenza 16 aprile 2007, n. 634, il commissario deve essere ritenuto titolare del potere di emanare i necessari provvedimenti amministrativi anche in deroga alle norme che disciplinano la competenza alla loro emanazione (cfr. Cons. Stato, IV, 18 settembre 1991 n. 720; Cons. Stato, IV, 3 maggio 1986 n. 323) e la stessa attività sostanziale, salvi i casi in cui una norma di legge vincoli espressamente il suo operato, come nel caso del comma 5 dell’art. 159 del D.Lgs. 267/2000, ai sensi del quale (anche) “i provvedimenti adottati dai commissari nominati a seguito dell’esperimento delle procedure di cui all’articolo 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e di cui all’articolo 27, comma 1, numero 4, del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, emanato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, devono essere muniti dell’attestazione di copertura finanziaria”.
C – Tutto ciò premesso, il Tribunale ritiene che le prescrizioni di cui all’art. 119, comma 6, Cost., che non consentono ai Comuni, alle Province ed alle Regioni di ricorrere all’indebitamento per fare fronte a spese non d’investimento maturate dopo l’8 novembre 2001, non si applicano ai commissari ad acta nominati dal giudice amministrativo in sede di giudizio di ottemperanza ex art. 27 n. 4 del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, in quanto:
– sotto il profilo soggettivo, i commissari ad acta non si identificano con l’Amministrazione che non ha ottemperato al giudicato, trattandosi viceversa di un organo ausiliare del giudice amministrativo;
– per i commissari ad acta non esiste una norma di legge che esclude la loro capacità di ottemperare al giudicato anche mediante il ricorso all’indebitamento;
– il principio di effettività della tutela giurisdizionale, di cui i commissari ad acta garantiscono la concreta applicazione, è uno degli elementi fondanti della Stato di diritto, ha dignità costituzionale (Cfr. artt. 24, 101, 103, 111 e 113 Costituzione) e deve considerarsi prevalente rispetto al principio di parità di bilancio, cui è ispirato l’art. 119, comma 6, Costituzione;
– in presenza di situazioni finanziarie degli enti locali altamente deficitarie, ove il divieto del ricorso all’indebitamento fosse esteso anche all’attività dei commissari ad acta nominati dal giudice amministrativo, questi ultimi si troverebbero nell’impossibilità di eseguire in via sostitutiva le sentenze passate in giudicato, venendosi così a creare per gli enti debitori una situazione di sostanziale esonero da ogni responsabilità, con conseguente esposizione dello Stato Italiano ad azioni risarcitorie avanti la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, per violazione dell’art. 6.1 del Trattato del 4 novembre 1950.
In conclusione, i commissari ad acta possono intraprendere tutte le iniziative necessarie per ottemperare al giudicato, ivi compreso il ricorso all’indebitamento, ove questo sia indispensabile per garantire la copertura finanziaria ai loro provvedimenti.
4) Conseguentemente, nell’espletamento dell’incarico, il Commissario ad acta nominato in questa sede dovrà attenersi ai principi di diritto individuati ai superiori punti 2) e 3).
Una volta adottati i provvedimenti di liquidazione, il Commissario potrà emettere anche i mandati di pagamento e trasmetterli direttamente all’istituto cassiere.
I provvedimenti di liquidazione ed i conseguenti mandati di pagamento dovranno trovare esecuzione con priorità rispetto a tutti gli altri provvedimenti del Comune.
Una volta espletate tutte le operazioni – a conclusione delle quali, nel caso in cui non sia stato già emesso dagli uffici competenti, potrà emettere egli stesso il provvedimento di liquidazione relativo alle proprie competenze, e trasmetterlo direttamente all’Istituto tesoriere – il Commissario ad acta invierà a questa Sezione una dettagliata relazione sugli adempimenti realizzati e sull’assolvimento del mandato ricevuto.
Il compenso per il commissario ad acta, liquidato in dispositivo, viene determinato dal Collegio ai sensi dell’art. 57 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (che rinvia alla disciplina degli ausiliari del magistrato), tenendo conto del valore della controversia e dell’attività necessaria per reperire le somme dovute. Sul predetto compenso dovrà essere effettuata la ritenuta d’acconto nella misura e nei modi di legge.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione staccata di Catania – Sezione Quarta dichiara l’obbligo del Comune di Messina di adottare le determinazioni amministrative e contabili necessarie per dare esecuzione al giudicato nascente dal lodo arbitrale indicato in epigrafe.
All’uopo assegna all’Ente predetto il termine di giorni sessanta (60) dalla comunicazione o dalla notificazione, anche a cura di parte, della presente sentenza per ottemperare al giudicato.
Per il caso di inadempienza ulteriore, nomina Commissario “ad acta” il *********. ***************, Ordinario di Diritto Amministrativo presso l’Università degli Studi di Messina, domiciliato in Messina, Via Felice Bisazza n. 14, Cap. 98122, perché provveda entro gli ulteriori duecentoquaranta (240) giorni dalla scadenza del termine predetto a dare esecuzione al giudicato, a spese dell’Ente intimato.
Condanna il Comune di Messina al pagamento in favore della parte ricorrente delle spese e degli onorari del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.250,00 (quattromiladuecentocinquanta), di cui Euro 250,00 per contributo unificato ed Euro 4.000,00 per onorari ed i diritti di avvocato, oltre *** e C.P.A. come per legge ed il rimborso spese generali nella misura del 12,50%.
Liquida il compenso del Commissario “ad acta” in Euro 10.000,00, (diecimila) e pone l’onere della relativa spesa a carico dell’Ente intimato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Manda alla Segreteria di trasmettere copia della decisione al Commissario ad acta presso il suo domicilio.
Così deciso in Catania, nelle Camere di Consiglio del 27 aprile 2007 e del 9 maggio 2007.
Il Presidente relatore estensore
(*******************)
 
  
Depositata in Segreteria il 21 maggio 2007

Lazzini Sonia

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