Locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo

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SOMMARIO: Il contratto di locazione in generale. – La disciplina speciale delle locazioni di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo. – La tutela dei diritti. Il rito speciale delle locazioni. – Il procedimento per convalida di sfratto. – Il procedimento ex art.30 legge 392/1978. – La registrazione dei contratti di locazione. – La denunzia all’autorità locale di pubblica sicurezza.
 
 
Il contratto di locazione in generale. La locazione, come noto, è il contratto col quale una parte (locatore) si obbliga a far godere all’altra (conduttore) una cosa mobile o immobile per un dato tempo verso un determinato corrispettivo (art.1571 c.c.); si distingue dal comodato, che è un contratto essenzialmente gratuito (v. art.1833 c.c.), mentre si parla di affitto quando il contratto ha per oggetto il godimento di una cosa produttiva (art.1615 c.c.).
Le regole generali poste nel codice civile ci dicono che la locazione non può essere stipulata per un tempo eccedente i trenta anni (art.1573 c.c.). Il contratto di locazione per una durata superiore a nove anni è atto eccedente l’ordinaria amministrazione (art.1572 c.c.), richiede la forma scritta a pena di nullità se ha ad oggetto beni immobili (art.1350, n°8, c.c.) ed è soggetto all’obbligo di trascrizione nei registri immobiliari (art.2643, n°8, c.c.). L’obbligo della forma scritta ad substantiam (e della trascrizione) è applicabile solo ai contratti che originariamente prevedano una locazione di durata superiore ai nove anni e non anche nelle ipotesi previste per le locazioni non abitative di cui agli artt. 28 e 29 della legge 392/1978, per le quali il rinnovo alla prima scadenza contrattuale è pur sempre eventuale (C. Cass., Sez. III, 16/2/1998, n°1633, in Giust. Civ. Mass. 1998, 350; conf. C. Cass., Sez. III, 2/6/1993, n°6130).
E’ peraltro utile ricordare che in materia di contratti stipulati dalla P.A. deve ritenersi comunque necessario l’atto scritto ad substantiam (C. Cass., Sez.III, 24/6/2002, n°9165, in Giust. Civ. Mass., 2002, 1081 (1).
 
(1) Anzi, per C. Cass., Sez.I, 12/2/2003, n°2067 (Giust. Civ. Mass., 2003, 316), per la valida stipulazione di un contratto in cui uno dei contraenti sia un Ente Locale non sono sufficienti due separate dichiarazioni scritte, ma occorre che proposta e accettazione siano versate in un unico contesto scritto. Si segnala, al riguardo, anche Consiglio di Stato, Sez. V, 24/9/2003, n°544, secondo cui tutti i contratti stipulati dalla P.A. richiedono la forma scritta ad substantiam, non essendo sufficiente a tal fine la deliberazione dell’organo dell’ente pubblico ove tale deliberazione non risulti essersi tradotta in un atto, sottoscritto da entrambi i contraenti, da cui possa desumersi la disciplina del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alle prestazioni da eseguirsi e al compenso da corrispondersi.
Ai sensi dell’art.192 T.U. Enti Locali (D. L.gs. 18/8/2000, n°267) la stipulazione dei contratti deve essere preceduta da apposita determinazione del responsabile del procedimento di spesa, indicante, tra l’altro, il fine che con il contratto si intende perseguire, l’oggetto del contratto, la sua forma, le clausole ritenute essenziali, le modalità di scelta del contraente e le ragioni che ne sono alla base (determinazione a contrattare). Per quanto concerne i contratti stipulati dalle amministrazioni statali, v., in particolare, la disciplina dettata dal R.D. 18/11/1923, n°2440, e succ. mod., e dal R.D. 23/5/1924, n°827, e succ. mod.. V., altresì, il D.P.R. 13/9/2005, n°296, Regolamento concernente i criteri e le modalità di concessione in uso e in locazione dei beni immobili appartenenti allo Stato.
 
Di rilievo la novità introdotta dall’art.1, comma 346, della legge 30/12/2004, n°311 (Legge finanziaria 2005): “I contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati”. Sul punto, v. infra.
In caso di alienazione dell’immobile locato, il contratto di locazione, se ha data certa anteriore alla alienazione, è opponibile al terzo acquirente (art.1599 c.c.), il quale subentra, dal giorno del suo acquisto, nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto (art.1602 c.c.; sul punto v. anche art.7 L.392/1978 – in relazione all’art.1603 c.c. e art.1604 c.c. – secondo cui è nulla la clausola che prevede la risoluzione del contratto in caso di alienazione della cosa locata). Nell’ambito delle procedure di esecuzione forzata, l’art.2923 c.c. dispone che le locazioni consentite da chi ha subito l’espropriazione sono opponibili all’acquirente se hanno data certa anteriore al pignoramento. Per la nozione di “data certa” v. l’art.2704 c.c.; i contratti di locazione immobiliare, sono soggetti, come vedremo meglio, all’obbligo di registrazione e la registrazione attribuisce ad essi data certa (art.2704 c.c.; art.18 D.P.R. 131/1986). Può anche ricordarsi, per quanto riguarda atti pubblici e scritture private autenticate, che i segretari comunali e provinciali possono rogare tutti i contratti nei quali l’Ente è parte ed autenticare scritture private ed atti unilaterali nell’interesse dell’Ente (art.97, comma 4, lett.c, T.U. Enti Locali) con gli obblighi connessi (v. art.10 D.P.R. 131/1986).
 
La disciplina generale dettata dal codice civile prevede che le obbligazioni principali del locatore siano quelle: 1) di consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione; 2) di mantenerla in modo che serva all’uso convenuto; 3) di garantirne il pacifico godimento durante la locazione (art.1575 c.c.).
Il locatore deve eseguire, durante la locazione, tutte le riparazioni necessarie a mantenere l’immobile in buono stato locativo, eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore (art.1576 c.c.; v. art.1609 c.c.). Quando la cosa locata abbisogna di riparazioni che non sono a carico del conduttore, questi è tenuto a darne avviso al locatore. Se si tratta di riparazioni urgenti, il conduttore può eseguirle direttamente, salvo rimborso, purché ne dia contemporaneamente avviso al locatore (art.1577 c.c.). (2).
 
(2) Gli obblighi previsti a carico del locatore dagli art.1575 e 1576 c.c. non comprendono l’esecuzione di opere di modificazione o trasformazione della cosa locata, anche se imposte da disposizioni di legge o dell’autorità, sopravvenute alla consegna, per rendere la cosa stessa idonea all’uso convenuto; né il locatore è tenuto a rimborsare  al conduttore le spese sostenute per l’esecuzione di tali opere, salva l’applicazione della normativa in tema di miglioramenti ed addizioni (C. Cass., Sez. III, 8/5/1998, n° 4676, in Foro It. 1999, I, 233). L’obbligo del locatore di mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso   convenuto consiste nel provvedere a tutte le riparazioni necessarie a conservare la cosa nello stato in cui si trovava al momento della conclusione del contratto in relazione alla destinazione considerata. Il locatore non è tenuto, invece, a compiere quelle successive modificazioni e trasformazioni,   non previste dal contratto, che ineriscono alla idoneità specifica dell’immobile all’esercizio di una determinata attività industriale o commerciale per la quale è stato locato, in relazione a successive normative imposte dall’autorità (C. Cass., Sez. III, 28/11/1998, n° 12085, in Arch. Locazioni 1999, 258).
 
Se al momento della consegna l’immobile locato è affetto da vizi che ne diminuiscono in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito, il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, salvo che si tratti di vizi da lui conosciuti o facilmente riconoscibili. Il locatore è anche tenuto a risarcire i danni derivanti da vizi della cosa, se non prova di avere senza colpa ignorato i vizi stessi al momento della consegna (art.1578 c.c.; v. anche artt.1579 e 1580: tutte queste disposizioni si osservano, in quanto compatibili, anche nel caso di vizi sopravvenuti nel corso della locazione: art.1581 c.c.). Il locatore non può compiere sull’immobile innovazioni che diminuiscano il godimento da parte del conduttore (art.1582 c.c.).
Il locatore è tenuto a garantire il conduttore dalle molestie che diminuiscono l’uso o il godimento della cosa, arrecate da terzi che pretendono di avere diritti sulla cosa medesima. Non è tenuto a garantirlo dalle molestie di terzi che non pretendono di avere diritti, salva al conduttore la facoltà di agire contro di essi in nome proprio (art.1585 c.c.; v. anche art.1586 c.c. sull’obbligo gravante sul conduttore di dare pronto avviso al locatore, sotto pena di risarcimento dei danni, delle molestie di terzi che pretendono di avere diritti sulla cosa locata e sull’obbligo del locatore di assumere la lite qualora i terzi agiscano in via giudiziale). (3).
 
(3) “La molestia di diritto, per la quale è stabilito l’obbligo di garanzia del locatore, si verifica quando un terzo, reclamando sul bene locato diritti reali o personali in conflitto con le posizioni accordate al conduttore dal contratto locativo, compia atti di esercizio della relativa pretesa implicanti la perdita o la menomazione del godimento del conduttore, con la conseguenza che, qualora la molestia non possa essere riferita alle posizioni accordate dal locatore sulla cosa locata, ma riguardi altre autonome situazioni di godimento dello stesso conduttore, non giustificate dalla specifica detenzione autonoma derivante dal contratto di locazione, si versa in ipotesi diversa da quella disciplinata dalla norma di cui all’articolo 1585 del codice civile” (C. Cass., sez. III, 7/2/2006, n°2531, in Guida al Diritto n°18/2006).
 
Sempre dalla disciplina generale si ricava che obbligazioni principali del conduttore sono quelle: 1) di prendere in consegna l’immobile e di osservare la diligenza ordinaria del bonus pater familias nel servirsene per l’uso determinato nel contratto; 2) di dare il corrispettivo nei termini convenuti (art.1587 c.c.).
Al conduttore, come abbiamo già visto, competono innanzitutto le riparazioni di piccola manutenzione. Al termine della locazione, “il conduttore deve restituire la cosa al locatore nello stato medesimo in cui l’ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall’uso della cosa in conformità del contratto. In mancanza di descrizione, si presume che il conduttore abbia ricevuto la cosa in buono stato di manutenzione” (art.1590 c.c.). (4).
 
(4) Il principio desumibile dall’art. 1590 c.c. che legittima il locatore a rifiutare la riconsegna dell’immobile ed a pretendere il pagamento del canone fino alla sua rimessione in pristino, va coordinato con il principio di cui all’art. 1227, comma 2, c.c. secondo il quale in base alle regole dell’ordinaria diligenza il creditore ha il dovere di non aggravare con il fatto proprio il pregiudizio subito, pur senza essere tenuto all’esplicazione di un’attività straordinaria e gravosa e, cioè, ad un facere non corrispondente all’id quod plerumque accidit. Ne deriva che il locatore non può rifiutare la riconsegna ma può soltanto pretendere il risarcimento del danno cagionato all’immobile, costituito dalle spese necessarie per la rimessione in pristino e dalla mancata percezione del reddito nel periodo di tempo occorrente, nel caso in cui il deterioramento dipenda da inadempimento dell’obbligo di provvedere alle riparazioni di piccola manutenzione ex art. 1576 c.c.; il locatore può invece rifiutare la riconsegna dell’immobile locato nel caso in cui il conduttore non abbia adempiuto all’obbligo, impostogli dal contratto, di provvedere alle riparazioni eccedenti l’ordinaria manutenzione o per avere egli di propria iniziativa apportato trasformazioni o innovazioni, poiché in tale caso la rimessione in pristino richiederebbe l’esplicazione di un’attività straordinaria e gravosa e, cioè, un facere al quale il locatore non e’ tenuto secondo l’id quod plerumque accidit (C. Cass., Sez. III, 13/7/1998, n° 6856, in Giust. civ. Mass. 1998, 1519).
 
 Il conduttore risponde (della perdita e) del deterioramento della cosa che avvenga(no) nel corso della locazione, anche se derivanti da incendio, qualora non provi che siano accaduti per causa a lui non imputabile. Il conduttore risponde anche dei danni cagionati da persone che egli ha ammesse, anche temporaneamente, all’uso o al godimento della cosa (art.1588 c.c.). Se la cosa distrutta o deteriorata per incendio era stata assicurata dal locatore o per conto di questo, la responsabilità del conduttore è limitata alla differenza tra l’indennizzo corrisposto dall’assicuratore e il danno effettivo (art.1589 c.c.), salvo il diritto di surrogazione dell’assicuratore (art.1916 c.c.).
Salvo disposizioni particolari della legge o degli usi, il conduttore non ha diritto a indennità per i miglioramenti apportati alla cosa locata (C. Cass., Sez.III, 14/5/1998, n°4871, in Giust. Civ. Mass., 1998, 1034: “Nella nozione di miglioramenti rientrano quelle opere che con trasformazioni o sistemazioni diverse apportano all’immobile un aumento di valore, accrescendone in modo durevole il godimento, la produttività e la redditività, senza presentare una propria individualità rispetto al bene in cui vanno ad incorporarsi”). Se però vi è stato il consenso del locatore, questi è tenuto a pagare un’indennità corrispondente alla minor somma tra l’importo della spesa e il valore del risultato utile al tempo della riconsegna. Anche nel caso in cui il conduttore non ha diritto a indennità, il valore dei miglioramenti può compensare i deterioramenti che si siano verificati senza colpa grave del conduttore (art.1592 c.c.). Per quanto concerne, invece, le addizioni, il conduttore ha diritto di toglierle alla fine della locazione qualora ciò possa avvenire senza nocumento della cosa, salvo che il proprietario preferisca ritenere le addizioni stesse pagando al conduttore un’indennità pari alla minor somma tra l’importo della spesa e il valore delle addizioni al tempo della riconsegna. Se le addizioni non sono separabili senza nocumento e ne costituiscono miglioramento, si osservano le disposizioni già viste per i miglioramenti (art.1593 c.c.). (5).
 
(5) Il principio generale di cui all’art. 1592 c.c., in forza del quale il conduttore non ha diritto ad indennità per i miglioramenti apportati alla cosa locata, trova eccezione con riferimento alla ipotesi in cui il locatore abbia a ciò prestato il proprio consenso, con conseguente facoltà del conduttore di richiedere un’indennità corrispondente alla minor somma inter expensum et melioratum. Tale facoltà va necessariamente esercitata, quoad tempus, al momento della riconsegna dell’immobile al locatore, potendo solo in tale occasione operarsi una utile comparazione tra l’importo delle spese sostenute dal conduttore e l’incremento di valore conseguito dall’immobile: C. Cass., Sez.III, 17/11/1998, n°11551, in Giust. Civ. Mass. 1998, 2363. L’azione del conduttore volta ad ottenere, ai sensi dell’articolo 1592 c.c., l’indennità per i miglioramenti apportati alla cosa locata, non può essere proposta prima dell’avvenuta riconsegna del bene locato al locatore (C. Cass., Sez.III, 24/2/2003, n°2777, in Giust. Civ. Mass. 2003, 385).
Per C. Cass., Sez.III, 16/11/2000, n°14871 (in Giust. Civ. Mass. 2000, 2351), lo ius tollendi di cui all’art. 1593 c.c. può essere esercitato anche successivamente alla cessazione del rapporto locatizio in quanto la disposizione non fissa un termine per l’esercizio di tale diritto, ma condiziona soltanto l’esercizio di esso alla volontà del proprietario di non voler ritenere per sé le addizioni). Per C. Cass., Sez. III, 20/3/2006, n°6094 (in Guida al Diritto n°23/2006), “Se il locatore ha prestato il consenso alle addizioni e queste, non separabili senza nocumento della cosa locata, costituiscano miglioramento e, cioè, comportino incremento di valore della cosa stessa, il locatore non può pretenderne la rimozione e il conduttore ha diritto all’indennità prevista dall’articolo 1592 del Cc, mentre a nessuna indennità il conduttore ha diritto nell’ipotesi di mancanza di consenso, a nulla rilevando che il locatore acquisisca le addizioni. Ove, invece, le addizioni comportino deterioramento della cosa locata, il locatore può chiedere il risarcimento del danno in forma specifica mediante l’eliminazione da parte del conduttore delle opere da lui abusivamente eseguite”.
La manifestazione di consenso del locatore, di cui agli art. 1592 e 1593 c.c., non può desumersi da un suo comportamento di mera tolleranza, ma deve concretarsi in una chiara e non equivoca espressione di volontà, da cui possa desumersi la esplicita approvazione delle innovazioni medesime, così che la mera consapevolezza, o la mancata opposizione, del locatore riguardo alle stesse non legittima il conduttore alla richiesta di indennizzo (C. Cass., Sez.III, 24/6/1997, n°5637, in Giust. civ. Mass. 1997, 1047). Questo consenso, importando cognizione dell’entità anche economica e della convenienza delle opere da eseguirsi, non può essere implicito nè può arguirsi da pretesi atti di tolleranza, ma deve concretarsi in una manifestazione esplicita ed inequivoca di volontà, senza la quale rimane inoperante la norma generale dell’articolo predetto (C. Cass., Sez.III, 26/11/1997, n°11874, in Arch. Locazioni 1998, 716).
Le disposizioni di cui agli artt. 1592 e 1593 c.c., sui miglioramenti e sulle addizioni, non essendo di carattere imperativo, sono derogabili dalle parti (C. Cass., Sez.III, 20/6/1998, n°6158; C. Cass., Sez.III, 11/1/1991, n°192; C. Cass., Sez.III, 11/2/1985, n°1126), così come quelle relative agli obblighi di manutenzione e riparazione (C. Cass., Sez.III, 20/6/1998, n°6158).
 
Il conduttore deve restituire l’immobile nello stesso stato in cui l’ha ricevuto, salvo il deterioramento risultante dall’uso in conformità del contratto (art.1590 c.c.; v. il comma 2 dello stesso articolo: “in mancanza di descrizione – sullo stato della cosa che sia stata fatta dalle parti al momento della consegna – si presume che il conduttore abbia ricevuto la cosa in buono stato di manutenzione”). Ai sensi degli artt.1576 e 1609 c.c., come abbiamo già visto, le riparazioni di piccola manutenzione sono a carico del conduttore.
Peraltro, l’obbligo del conduttore di osservare nell’uso della cosa locata la diligenza del bonus pater familias (art.1587, n°1, c.c.), con il conseguente divieto di effettuare innovazioni che ne mutino la destinazione e la natura, è sempre operante nel corso della locazione indipendentemente dall’altro obbligo di restituire al termine del rapporto la cosa locata nello stesso stato in cui è stata consegnata (art.1590 c.c.), sicché il locatore ha diritto di esigere in ogni tempo l’osservanza dell’obbligazione di cui all’art.1587 n°1 c.c. e di agire nei confronti del conduttore inadempiente (C. Cass., Sez.III, 7/3/2001, n°3343, in Giust. Civ. Mass. 2001, 431).
 
La disciplina speciale delle locazioni di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo. La disciplina delle locazioni che hanno per oggetto immobili urbani varia a seconda che gli stessi siano adibiti ad uso abitativo (nel qual caso dovrà farsi riferimento soprattutto alla legge 9/12/1998, n°431, e succ. mod.) ovvero ad uso diverso da quello di abitazione (legge 27/7/1978, n°392, e succ. mod.). La disciplina delle locazioni a uso diverso dall’abitazione varia a sua volta a seconda della destinazione dell’immobile o meglio dell’attività che in concreto viene svolta nell’immobile locato (attività industriali, commerciali, artigianali, di lavoro autonomo; attività assistenziali, etc.; v. C. Cass., Sez.III, 5/12/1985, n°6101).
Si ha uso diverso da quello di abitazione quando l’immobile dato in locazione viene adibito: ad attività industriali, commerciali e artigianali; ad attività di interesse turistico; ad attività di lavoro autonomo; ad attività alberghiere (art.27 L.392/1978); ad attività ricreative, assistenziali, culturali e scolastiche; a sedi di partiti e sindacati (art.42 L.392/78). Si ha uso diverso da quello di abitazione anche nel caso di contratti di locazione stipulati dallo Stato e da altri enti pubblici territoriali in qualità di conduttori (art.42 L.392/1978). (6).
 
(6) L’art.80 L.392/1978, sotto la rubrica “Uso diverso da quello pattuito”, corretto da C. Cost. 18/2/1988, n°185, statuisce che “Se il conduttore adibisce l’immobile ad un uso diverso da quello pattuito, il locatore può chiedere la risoluzione del contratto entro tre mesi dal momento in cui ne ha avuto conoscenza”. “Decorso tale termine senza che la risoluzione sia stata chiesta, al contratto si applica il regime giuridico corrispondente all’uso effettivo dell’immobile”. E “qualora la destinazione ad uso diverso da quello pattuito sia parziale, al contratto si applica il regime giuridico corrispondente all’uso prevalente”. Sul punto, v., da ultimo, C. Cass., Sez. III, 21/2/2006, n°3683, in Immobili&Diritto, giugno 2006, 67.
 
Per questo tipo di locazioni, la durata minima del rapporto è stabilita in sei anni (9 anni per le attività alberghiere) e la rinnovazione alla prima scadenza può essere negata dal locatore soltanto nei casi tassativamente stabiliti dall’art.29 L.392/1978 (7) (8).
 
(7) Art. 29 (Diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza) – “Il diniego della rinnovazione del contratto alla prima scadenza di cui all’articolo precedente è consentito al locatore ove egli intenda:
a) adibire l’immobile ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta;
b) adibire l’immobile all’esercizio, in proprio o da parte del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta, di una delle attività indicate nell’articolo 27, o, se si tratta di pubbliche amministrazioni, enti pubblici o di diritto pubblico, all’esercizio di attività tendenti al conseguimento delle loro finalità istituzionali;
c) demolire l’immobile per ricostruirlo, ovvero procedere alla sua integrale ristrutturazione o completo restauro, ovvero eseguire su di esso un intervento sulla base di un programma comunale pluriennale di attuazione ai sensi delle leggi vigenti. Nei casi suddetti il possesso della prescritta licenza o concessione è condizione per l’azione di rilascio; gli effetti del provvedimento di rilascio si risolvono se, prima della sua esecuzione, siano scaduti i termini della licenza o della concessione e quest’ultima non sia stata nuovamente disposta;
d) ristrutturare l’immobile al fine di rendere la superficie dei locali adibiti alla vendita conforme a quanto previsto nell’articolo 12 della legge 11 giugno 1971, n. 426 e ai relativi piani comunali, sempre che le opere da effettuarsi rendano incompatibile la permanenza del conduttore nell’immobile. Anche in tal caso il possesso della prescritta licenza o concessione è condizione per l’azione di rilascio; gli effetti del provvedimento di rilascio si risolvono alle condizioni previste nella precedente lettera c). [Nota: con sentenza n°348/1998, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 29, primo comma, lettera d), ultima parte, in relazione alla lettera c), ultima parte, nella parte in cui prevede che la scadenza, nel corso del processo, del termine per l’inizio dei lavori, indicato nella licenza o concessione, impedisce l’emanazione del provvedimento di rilascio].
Per le locazioni di immobili adibiti all’esercizio di albergo, pensione o locanda, anche se ammobiliati, il locatore può negare la rinnovazione del contratto nelle ipotesi previste dall’articolo 7 della legge 2 marzo 1963, n. 191, modificato dall’articolo 4-bis del decreto-legge 27 giugno 1967, n. 460, convertito, con modificazioni, nella legge 28 luglio 1967, n. 628, qualora l’immobile sia oggetto di intervento sulla base di un programma comunale pluriennale di attuazione ai sensi delle leggi vigenti. Nei casi suddetti il possesso della prescritta licenza o concessione è condizione per l’azione di rilascio. Gli effetti del provvedimento di rilascio si risolvono alle condizioni previste nella precedente lettera c). Il locatore può altresì negare la rinnovazione se intende esercitare personalmente nell’immobile o farvi esercitare dal coniuge o da parenti entro il secondo grado in linea retta la medesima attività del conduttore, osservate le disposizioni di cui all’art. 5 della L. 2 marzo 1963, n. 191, modificto dall’art. 4-bis del D.L. 27 giugno 1967, n. 460, convertito, con modificazioni, nella L. 28 luglio 1967, n. 628.
Ai fini di cui ai commi precedenti il locatore, a pena di decadenza, deve dichiarare la propria volontà di conseguire, alla scadenza del contratto, la disponibilità dell’immobile locato; tale dichiarazione deve essere effettuata, con lettera raccomandata, almeno 12 o 18 mesi prima della scadenza, rispettivamente per le attività indicate nei commi primo e secondo dell’articolo 27 e per le attività alberghiere.
Nella comunicazione deve essere specificato, a pena di nullità, il motivo, tra quelli tassativamente indicati nei commi precedenti, sul quale la disdetta è fondata.
Se il locatore non adempie alle prescrizioni di cui ai precedenti commi il contratto s’intende rinnovato a norma dell’articolo precedente”.
 
(8) Ai sensi dell’art.31 L.392/1978, “Il locatore che abbia ottenuto la disponibilità dell’immobile per uno dei motivi previsti dall’art. 29 e che, nel termine di sei mesi dall’avvenuta consegna, non abbia adibito l’immobile ad abitazione propria, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta, o non abbia adibito l’immobile ad esercizio in proprio di una delle attività indicate all’art. 27, ovvero non abbia rispettato i termini della concessione o quelli del piano comunale di intervento per quanto attiene l’inizio dei lavori di demolizione, ricostruzione, ristrutturazione o restauro dell’immobile ovvero, in caso di immobili adibiti ad esercizio di albergo, pensione o locanda, non abbia completato i lavori di ricostruzione nel termine stabilito dal Ministero del turismo e dello spettacolo, è tenuto, se il conduttore lo richiede, al ripristino del contratto, salvi i diritti acquistati da terzi in buona fede, e al rimborso delle spese di trasloco e degli altri oneri sopportati, ovvero al risarcimento del danno nei confronti del conduttore in misura non superiore a quarantotto mensilità del canone di locazione percepito prima della risoluzione del contratto, oltre alle indennità previste ai sensi dell’art. 34”. “Il giudice, oltre a determinare il ripristino o il risarcimento del danno, ordina al locatore il pagamento di una somma da L. 500.000 a L. 2.000.000 da devolvere al comune nel cui territorio è sito l’immobile, ad integrazione del fondo sociale previsto dal titolo III della presente legge”.
 
Per C. Cass., Sez.III, 29/9/1997, n°9545 (in Leggi d’Italia De Agostini P.), la nullità comminata dal comma 4 dell’art.29 cit. alla disdetta del contratto se priva della specificazione dei motivi – previsti dai commi 1 e 2 dello stesso articolo per tutelare non solo il conduttore, ma anche l’interesse generale dell’economia alla stabilità delle locazioni non abitative – è assoluta e perciò rilevabile anche d’ufficio. (9).
 
(9) La Corte di Cassazione è intervenuta anche in materia di disdetta intimata dal locatore al conduttore alla prima scadenza contrattuale senza l’osservanza dei termini e non motivata a norma dell’art.29 della legge 392 del 1978, quindi “inidonea di per sé sola a produrre gli effetti suoi propri”: tale disdetta “determina, tuttavia, in caso di adesione del conduttore, la cessazione del rapporto locativo alla data bilateralmente concordata” (C. Cass., Sez.III, 14/6/2004, n°11232).
 
Per C. Cass.4/5/1993, n°5150 (in Leggi d’Italia), “la comunicazione del diniego della rinnovazione del contratto ai sensi dell’art. 29, lett. b), della legge 27 luglio 1978, n.392, qualora il locatore, trattandosi di una Pubblica Amministrazione o di un ente pubblico (sia esso economico o non economico) o di diritto pubblico, intenda adibire l’immobile all’esercizio di attività tendenti al conseguimento delle sue finalità istituzionali, non può limitarsi ad un generico richiamo dei fini istituzionali dell’ente ma deve specificare, ai sensi del penultimo comma dell’art. 29 citato, la concreta attività da svolgere nell’immobile, perché anche per le locazioni degli immobili della Pubblica Amministrazione il conduttore ed il giudice debbono essere posti in grado di verificare la serietà e l’attuabilità dell’intenzione indicata nonché, in sede contenziosa, di verificare la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento del diritto di diniego del rinnovo, oltre che rendere possibile il successivo controllo sull’effettiva destinazione dell’immobile all’uso indicato, in caso di richiesta di applicazione delle misure sanzionatorie previste dall’art. 31”.
Per C. Cass., Sez. III, 11/1/2006, n°257 (in Guida al Diritto n° 13/2006), “L’art.1424 del Cc, sulla conversione dei contratti nulli, si applica, in virtù del richiamo operato dall’art.1324 del Cc, anche ai negozi unilaterali, a condizione che l’atto contenga i requisiti di sostanza e di forma dell’atto diverso e che l’atto convertito risponda allo scopo perseguito con quello nullo. Pertanto, il diniego di rinnovazione della locazione ai sensi dell’articolo 29 della legge 392/1978, nullo, perché immotivato, in relazione alla prima scadenza contrattuale, ben può convertirsi in una disdetta semplice o a regime libero, valida per la seconda scadenza contrattuale, recando il contenuto inequivocabile di una manifestazione di volontà contraria alla prosecuzione e alla rinnovazione del rapporto”.
 
Il contratto si rinnova tacitamente di sei anni in sei anni (di nove anni in nove anni per le attività alberghiere), salvo disdetta (con le limitazioni già dette per la prima scadenza contrattuale) da comunicarsi all’altra parte almeno 12 mesi (18 mesi per le attività alberghiere) prima della scadenza. (10).
 
(10) Per C. Cass., Sez.III, 14/3/2006, n°5464 (in Guida al Diritto n°20/2006), la rinnovazione tacita del contratto di locazione “postula la continuazione della detenzione della cosa da parte del conduttore e la mancanza di una manifestazione di volontà contraria da parte del locatore, cosicché, qualora questi abbia manifestato con la disdetta la sua volontà di porre termine al rapporto, la suddetta rinnovazione non può desumersi dalla permanenza del locatario nell’immobile locato dopo la scadenza o dal fatto che il locatore abbia continuato a percepire il canone senza proporre tempestivamente azione di rilascio, occorrendo invece un suo comportamento positivo idoneo a evidenziare una nuova volontà, contraria a quella precedentemente manifestata per la cessazione del rapporto”.
 
Ai sensi dell’art.79 legge 392/1978 è nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto (nonché a superare i limiti di indicizzazione del canone) e per effetto della regola generale di cui agli artt.1339 e 1419, comma 2, c.c., richiamata, per la parte che qui interessa, anche dall’art.27, comma 4, della legge 392/78, le norme imperative (sulla durata minima del rapporto come sui limiti di indicizzazione del canone, etc.) sostituiscono le clausole difformi eventualmente pattuite tra le parti. Il comma 2 dello stesso art.79 prevede che il conduttore, con azione proponibile fino a sei mesi dopo la riconsegna dell’immobile locato, possa “ripetere le somme sotto qualsiasi forma corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla presente legge”.
Secondo C. Cass., Sez.III, 24/11/2004, n°22129 (in Giust. Civ. Mass. 2005, f.1), “la previsione di un termine di durata del contratto superiore a quella minima di legge non esclude l’applicabilità della disciplina del rinnovo alla prima scadenza di cui all’articolo 28 L.392/1978, ancorché la durata del contratto inizialmente pattuita sia uguale o superiore a quella di dodici anni risultante dalla somma della durata minima legale iniziale e da quella minima di rinnovo”. D’altra parte,“come si desume dall’articolo 27 della legge n°392 del 1978, che considera inderogabile solo la durata minima dei contratti di locazione, senza porre limiti a quella massima, rientra nell’autonomia negoziale delle parti stabilire un termine di durata superiore a quella legale. Anche in questo caso, tuttavia, il contratto si rinnova per sei anni, essendo tale termine stabilito dalla legge a prescindere dalla durata inizialmente fissata dalle parti. Ne deriva, pertanto, che ove (come nella specie) sia convenuto un termine di nove anni, la durata complessiva del contratto è di quindici anni (nove più sei) salve ulteriori proroghe legali” (in questo senso, C. Cass. Sez.III, 29/10/2004, n°20906).
Risolvendo un contrasto giurisprudenziale C. Cass., SS.UU., 9/7/1997, n°6227, ha ritenuto applicabile ai contratti di locazione stipulati ai sensi dell’art.42 della legge 392/78 l’intera disciplina di cui agli artt.28 e 29 della stessa legge (nonostante la formulazione letterale): “Il comma 2 dell’art. 42 l. n. 392 del 1978, nella parte in cui specificamente richiama il preavviso per il rilascio di cui all’art. 28 deve essere interpretato nel senso che ai contratti di locazione di immobili adibiti ad una delle particolari attività contemplate al comma 1 stesso art. 42 si applica l’intera disciplina sulla durata del rapporto contenuta nell’art. 28 e, pertanto, anche la normativa sul diniego motivato di rinnovazione alla prima scadenza contrattuale dettata dall’art. 28, comma 2, e 29 stessa legge” (Giur. it. 1998, 1351); “con riguardo ai contratti di locazione di immobili adibiti ad una delle particolari attività di cui all’art. 42 l. 27 luglio 1978 n. 392, il comma 2 di detto articolo richiamando il preavviso per il rilascio di cui al precedente art. 28 importa l’applicabilità a tali contratti dell’intera disciplina della durata contenuta nel cit. art. 28 e pertanto anche del diniego motivato di rinnovazione alla prima scadenza contrattuale, dettata dagli art. 28, comma 2, e 29 della stessa legge” (Giust. civ. 1997, I, 2407).
Per quanto concerne i contratti stipulati dalla pubblica amministrazione bisogna, però, segnalare C. Cass., Sez.III, n°9614 del 10/9/1999:“Come principio generale va osservato che la volontà di obbligarsi della pubblica amministrazione non può desumersi per implicito da fatti o atti, dovendo essere manifestata nelle forme richieste dalla legge, tra le quali l’atto scritto ad substantiam, sì che nei confronti della stessa p.a. non è configurabile il rinnovo tacito del contratto. Detto principio va applicato anche in tema di contratto di locazione di immobili urbani, in cui l’ente pubblico sia locatore, sia pure con una precisazione. Si è infatti rilevato che il principio per cui, in materia di locazioni, la rinnovazione tacita del contratto, nel quale sia parte una pubblica amministrazione, è incompatibile con il procedimento previsto per la manifestazione da parte di questa di obbligarsi, che non può desumersi, in tal caso da fatti concludenti, ma deve essere espressa nelle forme di legge, non trova applicazione allorché la continuazione dell’originario rapporto avvenga in forza di una specifica clausola del contratto precedentemente concluso e perciò in forza della volontà così manifestata di concludere il contratto stesso, con esclusione dell’ipotesi della vera e propria rinnovazione o riconduzione”. “Il principio per cui, in materia di locazioni, la rinnovazione tacita del contratto, nel quale sia parte una p.a., è incompatibile con il procedimento previsto per la manifestazione, da parte di questa, della volontà di obbligarsi, che non può desumersi, in tal caso, da fatti concludenti, ma deve essere espressa nelle forme di legge, comporta l’inapplicabilità alla p.a. anche delle fattispecie legali di rinnovazione tacita dei contratti di locazione previste dalla l. n. 392 del 1978, rimanendo salva, viceversa, la possibilità che la continuazione dell’originario rapporto avvenga in forza di una specifica clausola del contratto precedentemente concluso” (Giust. civ. Mass. 1999, 1940). Per questo indirizzo giurisprudenziale v. anche C. Cass., SS.UU., 28/11/1991, n°12769, e C. Cass., Sez.III, 24/6/2002, n°9165 (in Codici d’Italia): “In materia di contratti stipulati dalla p.a. deve ritenersi necessaria la stipulazione in forma scritta ad substantiam, soddisfacendo così la ratio dell’esigenza di individuare esattamente l’obbligazione assunta ed il contenuto negoziale dell’atto ed agevolando la funzione di controllo e della concreta osservanza dei principi di imparzialità e di buon andamento; conseguentemente deve escludersi che si possa ipotizzare la possibilità di tacito rinnovo del contratto per facta concludentia”.
Il contratto di locazione può essere stipulato per un periodo più breve (dei previsti 6 o 9 anni) qualora l’attività esercitata o da esercitare nell’immobile abbia, per sua natura, carattere transitorio (art.27, comma 5; norma ritenuta applicabile anche ai contratti stipulati ex art.42). Per C. Cass., Sez.III, 30/12/1997, n°13133 (in Giust. Civ. Mass. 1997, 2457), l’indagine sulla natura transitoria o meno della locazione deve essere effettuata considerando non soltanto il dato oggettivo della effettiva destinazione dell’immobile e della corrispondenza o meno di essa alla detta natura transitoria, ma anche il dato soggettivo costituito dalle intenzioni, dalla conoscibilità, dall’atteggiamento complessivo dei contraenti in relazione alla convenuta stipulazione locativa.
Può essere pattuita la facoltà per il solo conduttore di recedere in qualsiasi momento dal contratto dandone avviso al locatore almeno sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione (art.27, comma 7, L.392/1978). Qualora ricorrano gravi motivi, tuttavia, il conduttore, a prescindere dalle previsioni contrattuali, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi (la norma è stata ritenuta applicabile anche ai contratti stipulati ex art.42 da Enti Locali territoriali come conduttori: C. Cass., Sez.III, 22/11/2000, n°15082).
Il conduttore imprenditore che nell’immobile locato svolga attività che comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori (tranne che si tratti di immobili complementari o interni a stazioni ferroviarie, aree di servizio stradali o autostradali, alberghi e villaggi turistici: v. art.35), da un lato, ha diritto a ricevere alla cessazione del rapporto di locazione un’indennità (per perdita di avviamento) commisurata all’ultimo canone corrisposto (la misura è raddoppiata quando l’immobile venga adibito all’esercizio della stessa attività o di attività affini a quelle che vi svolgeva il conduttore uscente) (11), e, dall’altro, ha diritto di prelazione sia nel caso che il proprietario intenda vendere l’immobile (art.38, con possibilità di riscatto: art.39), sia nel caso che intenda locarlo a terzi (art.40, con possibilità di riprendere il rapporto contrattuale) (12). Tali norme non si applicano ai rapporti di locazione relativi ad immobili destinati all’esercizio di attività professionali o di attività di carattere transitorio: art.35 cit.).
 
(11) Ai sensi dell’art.34 L.392/1978, “In caso di cessazione del rapporto di locazione relativo agli immobili di cui all’articolo 27, che non sia dovuta a risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore o a una delle procedure previste dal regio decreto 16/3/1942, n°267, il conduttore ha diritto, per le attività indicate ai numeri 1) e 2) dell’articolo 27, ad una indennità pari a 18 mensilità dell’ultimo canone corrisposto; per le attività alberghiere l’indennità è pari a 21 mensilità”. E “Il conduttore ha diritto ad una ulteriore indennità pari all’importo di quelle rispettivamente sopra previste qualora l’immobile venga, da chiunque, adibito all’esercizio della stessa attività o di attività incluse nella medesima tabella merceologica che siano affini a quella già esercitata dal conduttore uscente ed ove il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione del precedente”.
 
(12) Art.38 L.392/1978: “Nel caso in cui il locatore intenda trasferire a titolo oneroso l’immobile locato, deve darne comunicazione al conduttore con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario”. “Nella comunicazione devono essere indicati il corrispettivo, da quantificare in ogni caso in denaro, le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa e l’invito ad esercitare o meno il diritto di prelazione”. “Il conduttore deve esercitare il diritto di prelazione entro il termine di sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione, con atto notificato al proprietario a mezzo di ufficiale giudiziario, offrendo condizioni uguali a quelle comunicategli”. “Ove il diritto di prelazione sia esercitato, il versamento del prezzo di acquisto, salvo diversa condizione indicata nella comunicazione del locatore, deve essere effettuato entro il termine di trenta giorni decorrenti dal sessantesimo giorno successivo a quello dell’avvenuta notificazione della comunicazione da parte del proprietario, contestualmente alla stipulazione del contratto di compravendita o del contratto preliminare”. Per una particolare applicazione, v. C. Cass., Sez. III, 12/1/2006, n°410, in Guida al Diritto n°13/2006.
Ai sensi dell’art.39, “Qualora il proprietario non provveda alla notificazione di cui all’articolo precedente, o il corrispettivo indicato sia superiore a quello risultante dall’atto di trasferimento a titolo oneroso dell’immobile, l’avente diritto alla prelazione può, entro sei mesi dalla trascrizione del contratto, riscattare l’immobile dall’acquirente e da ogni altro successivo avente causa”.
“Il locatore – recita l’art.40 L.392/1978 – che intende locare a terzi l’immobile, alla scadenza del contratto rinnovato ai sensi dell’articolo 28, deve comunicare le offerte al conduttore, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, almeno sessanta giorni prima della scadenza”. “Tale obbligo non ricorre quando il conduttore abbia comunicato che non intende rinnovare la locazione e nei casi di cessazione del rapporto di locazione dovuti a risoluzione per inadempimento o recesso del conduttore o ad una delle procedure previste dal regio decreto 16/3/1942, n°267, e successive modificazioni, relative al conduttore medesimo”. “Il conduttore ha diritto di prelazione se, nelle forme predette ed entro trenta giorni dalla ricezione della comunicazione di cui al primo comma, offra condizioni uguali a quelle comunicategli dal locatore”. “Egli conserva tale diritto anche nel caso in cui il contratto tra il locatore e il nuovo conduttore sia sciolto entro un anno, ovvero quando il locatore abbia ottenuto il rilascio dell’immobile non intendendo locarlo a terzi, e, viceversa, lo abbia concesso in locazione entro i sei mesi successivi”.
 
In considerazione della vigente normativa in materia di durata delle locazioni e dei limiti alla indicizzazione del canone (13), il proprietario che conceda ad altri il godimento di un immobile per un impiego produttivo può avere interesse a far figurare il contratto come affitto di azienda (piuttosto che come locazione).
 
(13) Ai sensi dell’art.32 legge n°392 del 1978, le parti possono convenire che il canone di locazione (frutto di libera contrattazione: art.1587, n°2, c.c.) sia aggiornato annualmente su richiesta del locatore per eventuali variazioni del potere di acquisto della moneta, ma le variazioni in aumento del canone non possono essere superiori al 75 per cento di quelle accertate dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. Dato che l’introduzione dell’Euro consente di continuare a calcolare l’indice del costo della vita, questo meccanismo di indicizzazione del canone continua ad operare come per il passato [v., al riguardo, art.9, comma 3, Legge 24/12/1993, n°537: “(…) A decorrere dal 1° gennaio 1995 gli stessi canoni sono aggiornati in misura pari al 75 per cento della variazione accertata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) dell’ammontare dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e impiegati, verificatasi nell’anno precedente (…)“].
Per C. Cass., Sez. III, 7/2/2006, n°2527 (in Guida al Diritto n°18/2006), “La clausola di un contratto di locazione con la quale le parti convengano l’aggiornamento automatico del canone su base annuale, a seguito delle modifiche apportate all’articolo 32 della legge 392/1978 dall’articolo 1, comma 9-sexies, della legge 118/1985, senza necessità di richiesta espressa del locatore è affetta da nullità in base al combinato disposto degli articoli 32 e 79 della legge, perché il citato articolo 32, non prevedendo più, come nella sua originaria formulazione, la possibilità di aggiornamento soltanto biennale, svincolato da ogni riferimento alla richiesta del locatore, introduce, all’esito della modifica, la possibilità di aggiornamenti annuali presupponendo che aumenti possano avvenire soltanto su specifica richiesta del locatore, da operarsi successivamente all’avvenuta variazione degli indici di riferimento, la certezza dell’entità dell’obbligazione del conduttore risultando tutelata soltanto dalla previsione di tale, specifica richiesta, puntualmente riferita all’avvenuta variazione degli indici ISTAT”.
E’ nulla ex art.79, primo comma, L.392/78 ogni pattuizione avente ad oggetto non già l’aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell’art.32 L.392/78, ma veri e propri aumenti del canone: così si è pronunciata la Corte di Cassazione, Sez.III, con sentenza n°10286 in data 27 luglio 2001, sentenza che, da un lato, è innovativa perché commina la nullità del patto sopravvenuto senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto (e non soltanto in sede di conclusione del contratto) rinunciare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti, mentre dall’altro conferma che a fortiori tali patti sono nulli se stipulati in sede di conclusione del contratto originario, in quanto diretti – in tal caso – anche ad eludere preventivamente i diritti del conduttore. Per C. Cass., Sez. III, 2/3/2006, n°5113 (in Guida al Diritto n°16/2006), tuttavia, “E’ valida la clausola che prevede il canone in misura frazionata e crescente, nell’arco del rapporto, allorché l’importo del canone stesso, ancorché del tutto indipendente dalle variazioni del potere di acquisto della moneta, sia stato ancorato a predeterminati elementi incidenti sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale o sia stato legato a una giustificata riduzione del canone per un limitato periodo iniziale”.
 
Va allora detto che, se ai sensi dell’art.2555 c.c. l’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa, si avrà affitto solo laddove “al momento della stipula del contratto in questione, sussisteva un collegamento funzionale tra i vari beni locati, tale da farli obiettivamente considerare come strumento di attività produttiva, e quindi azienda secondo l’accezione giuridica di tale termine” (Circ. Ministero delle Finanze n°12 del 16/1/1998). Peraltro, per quanto concerne il settore alberghiero l’art.1, comma 9-septies, D.L. 7/2/1985, n°12, conv. in L. 5/4/1985, n°118, stabilisce che “si ha locazione di immobile, e non affitto di azienda, in tutti i casi in cui l’attività alberghiera sia stata iniziata dal conduttore”.
Per C. Cass., Sez.III, 2/8/2000, n°10106 (in Giust. Civ. Mass. 2000, 1679), “Il criterio discretivo tra locazione di immobile ad uso non abitativo e affitto d’azienda è fondato, rispettivamente, sulla valenza assorbente ed esclusiva dell’immobile nel primo caso e, viceversa, sulla sua considerazione funzionalmente paritaria e complementare con gli altri beni organizzati per l’azienda, nel secondo caso”. Ma “perché sussista il contratto di affitto di azienda non occorre che la stessa sia già in grado di funzionare, essendo sufficiente che i vari elementi dedotti in contratto siano potenzialmente idonei allo svolgimento dell’attività aziendale” (C. Cass., Sez.III, 15/10/2002, n°146647, in Giust. Civ. Mass. 2003, 1803).
Trattasi di locazione ad uso commerciale e non di affitto di azienda “quando il locatore cede in godimento al conduttore i locali ove esercitare l’attività commerciale e non anche i beni strumentali per detto esercizio, giacché se è vero che la titolarità dell’azienda può essere disgiunta dalla proprietà dei beni strumentali destinati al funzionamento della stessa, è, però comunque necessario che di questi beni il titolare possa disporre in base a titolo idoneo che gli consenta di destinarli per sè o per altri all’esercizio dell’azienda medesima” (C. Cass., Sez.III, 6/11/2001, n°13689 in Giust. Civ. Mass. 2001, 1860; “nella specie, la S.C., nell’enunciare il suddetto principio, ha confermato la decisione dei giudici del merito che avevano ritenuto il rapporto in contestazione come locazione ad uso commerciale e non affitto di azienda, non essendo stata provata dal locatore anche la disponibilità dei beni strumentali per l’esercizio dell’azienda che erano stati, invece, ceduti al conduttore da un terzo”).
Per C. Cass., Sez.III, 15/10/2002, n°146647 (in Giust. Civ. Mass. 2002, 1803), “L’accertamento se le parti contraenti abbiano stipulato una locazione di immobile con pertinenze o un affitto di azienda rientra nei compiti del giudice del merito il quale deve indagare sulla comune intenzione delle parti e sui beni dedotti in contratto, al fine di stabilire se l’oggetto principale della stipulazione sia l’immobile singolarmente considerato o un complesso unitario costituito dall’organizzazione aziendale destinata allo svolgimento di un’attività economica. Detto accertamento non è sindacabile in sede di legittimità se sorretto da congrua motivazione”.
Secondo C. Cass., Sez.III, 27/6/2002, n°9354 (in Codici d’Italia), la differenza tra locazione di immobile con pertinenze e affitto di azienda consiste nel fatto che, “nella prima ipotesi l’immobile concesso in godimento viene considerato specificamente, nell’economia del contratto, come l’oggetto principale della stipulazione, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente ed assorbente rispetto agli altri elementi, i quali (siano essi legati materialmente o meno all’immobile) assumono carattere di accessorietà e rimangono collegati all’immobile funzionalmente, in posizione di subordinazione e coordinazione. Nell’affitto di azienda, invece, l’immobile non viene considerato nella sua individualità giuridica, ma come uno degli elementi costitutivi del complesso di beni mobili ed immobili, legati tra di loro da un vincolo di interdipendenza e complementarietà per il conseguimento di un determinato fine produttivo, sicché l’oggetto del contratto è costituito dall’anzidetto complesso unitario”. (14).
 
(14) Il contratto avente ad oggetto la concessione dello sfruttamento di una cava di pietra deve essere inquadrato nello schema dell’affitto di beni immobili produttivi e non nella diversa figura contrattuale della locazione: “ne consegue l’inapplicabilità alle controversie relative a tale contratto del cosiddetto rito delle locazioni, regolato dall’art. 447 bis c.p.c., introdotto dall’art. 70 l. 26 novembre 1990 n. 353, mediante rinvio ad alcune disposizioni del processo del lavoro e concernente, anche nella formulazione risultante dalle modifiche apportate dall’art. 87 d.lg. 19 febbraio 1998 n. 51, sulla istituzione del giudice unico di primo grado, le sole controversie in materia di locazione o comodato di immobili (non più, nella nuova dizione, necessariamente urbani) e di affitto di azienda. Nè sono applicabili, nella materia di cui si tratta, il criterio di competenza territoriale del forum rei sitae, previsto dallo stesso art. 447-bis del codice di rito, e la sanzione di nullità, ivi disposta, delle clausole di deroga a tale competenza, riferibile solo alle indicate controversie in materia di locazione e comodato di immobili ed affitto di azienda”. Così, C. Cass., Sez.III, 28/3/2001, n°4503 (Giust. Civ. Mass. 2001, 609).
 
Peraltro, “nel codice civile tra le norme sulla locazione e quelle sull’affitto, compreso l’affitto di azienda, corre il rapporto tipico tra norme generali e norme speciali, per cui se la fattispecie non è regolata da una norma specificamente prevista per l’affitto dovrà farsi ricorso alla disciplina generale sulla locazione di cose, salva l’incompatibilità con la relativa normazione speciale. Consegue che la violazione da parte dell’affittuario dell’obbligo di restituzione all’affittante dell’azienda per scadenza del termine dà luogo a carico del primo a responsabilità a norma dell’art. 1591 c.c. dettato in tema di locazione, mancando nella disciplina dell’affitto una norma che regoli i danni per ritardata restituzione e non essendo incompatibile con la normazione speciale sull’affitto l’art. 1591 c.c.” (in questi termini, C. Cass., Sez.III, 28/1/2002, n°993, in Codici d’Italia).
 
La disciplina vincolistica stabilita per le locazioni può indurre la P.A. ad utilizzare altro contratto, quale il contratto di comodato, tutte le volte che venga ritenuto opportuno, per ragioni di pubblico interesse, concedere l’uso di un immobile ad un terzo (ad es. una associazione senza fini di lucro) senza soggiacere a vincoli legali di durata.
Il comodato è il contratto “essenzialmente gratuito” col quale una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, “con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta” (art.1803 c.c.).
Il comodatario è obbligato a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità del contratto. Se però, durante il termine convenuto o prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, sopravviene un urgente e impreveduto bisogno al comodante, questi può esigerne la restituzione immediata (art.1809 c.c.).
In ogni caso, ai sensi dell’art.1810 c.c., “se non è stato convenuto un termine, né questo risulta dall’uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede” (c.d. comodato precario).
Per C. Cass., Sez.II, 10/5/2000, n°5987 (in Codici d’Italia), “La figura del comodato precario si caratterizza per la previsione che la scadenza della validità del vincolo dipende potestativamente dalla volontà del comodante, il quale può farla maturare ad nutum mediante richiesta di restituzione del bene. Tale richiesta determina l’immediata cessazione del diritto del comodatario alla disponibilità e al godimento della cosa, con la conseguenza che una volta sciolto per iniziativa unilaterale del comodante il vincolo contrattuale, il comodatario che rifiuti la restituzione della cosa, viene ad assumere la posizione di detentore sine titulo e quindi abusivo del bene altrui, salvo che dimostri di poterne disporne in base ad altro rapporto diverso dal precario” (15).
 
(15) “Nel comodato c.d. precario in mancanza di determinazione della sua durata, ove non risulti un termine in relazione all’uso del bene, ancorché il comodatario sia tenuto a restituire la cosa “non appena il comodante la richieda”, ai sensi dell’art. 1810 c.c., tale disciplina, configurando un’ipotesi specifica della regola generale prevista nella prima parte dell’art. 1183 c.c., non esclude l’applicazione della disposizione di cui alla seconda parte del citato comma 1 dell’art. 1183, con la conseguenza che il giudice, in mancanza di accordo delle parti, possa stabilire il termine per la restituzione della cosa oggetto di comodato, quando sia necessario per la natura della prestazione ovvero per il modo o il luogo dell’esecuzione e, in particolare, quando, trattandosi di comodato di immobile ad uso di abitazione, il comodatario necessiti di congrua dilazione per rilasciare vuoto l’immobile e per trovare altra sistemazione abitativa” (C. Cass., Sez.III, 17/10/2001, n°12655, in Codici d’Italia).
“Il termine finale del comodato in tanto può, a norma dell’art. 1810 c.c., risultare dall’uso cui la cosa doveva essere destinata, in quanto tale uso abbia in sè connaturata una durata predeterminata nel tempo, mentre in mancanza di particolari prescrizioni di durata, l’uso corrispondente alla generica destinazione dell’immobile si configura come indeterminato e continuativo, inidoneo a sorreggere un termine finale, con la conseguenza che, in tali ipotesi, la concessione deve intendersi a tempo parimenti indeterminato e cioè a titolo precario, onde la revocabilità ad nutum da parte del comodante, a norma dell’art. 1810 c.c.” (C. Cass., Sez.III, 8/10/1997, n°9775, in Codici d’Italia).
“Nel contratto di comodato, caratterizzato dalla temporaneità d’uso, la mancanza di un termine finale direttamente previsto dalle parti non autorizza il comodante a richiedere ad nutum la restituzione della cosa, quando sia possibile ravvisare una indiretta determinazione di durata attraverso la delimitazione dell’uso consentito della cosa, desumibile dalla natura di essa, dalla professione del comodatario, dall’esame degli interessi e dalle utilità perseguite dai contraenti” (C. Cass., Sez.III, 16/4/2003, n°6101, in Codici d’Italia).
 
Per C. Cass., Sez.III, 4/6/1997, n°4976 (in Giust. Civ. Mass. 1997, 914), il carattere essenzialmente gratuito del comodato “non viene meno per effetto della apposizione di un modus, posto a carico del comodatario, di consistenza tale da non poter integrare le caratteristiche di corrispettivo del godimento della res, come nel caso in cui venga stabilito, in relazione al godimento di un immobile, il versamento di una somma periodica, a carico del beneficiario, a titolo di rimborso spese, la cui entità lasci ragionevolmente escludere la dissimulazione di un sottostante contratto di locazione”. (16).
 
(16) Per C. Cass., Sez.III, 29/1/2003, n°1271 (in Rass. Loc. Cond. 2003, 240), però, “Il contratto, stipulato per iscritto dalle parti, relativo all’utilizzazione di un immobile dietro il corrispettivo di l. 100 annue, deve considerarsi di locazione, con la possibilità dell’azione di risoluzione per finita locazione, non potendosi qualificare comodato gratuito precario a norma dell’art. 1810 c.c.”.
 
Quando è la pubblica amministrazione a concedere in comodato (e quindi senza corrispettivo di un canone) un proprio immobile, trova applicazione l’art.12 della legge 7/8/1990, n°241, secondo cui: ”La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione ed alla pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi”. E l’effettiva osservanza di tali criteri e modalità “deve risultare dai singoli provvedimenti di concessione. (17).
 
(17) V., al riguardo, la legge 11/7/1986, n°390, il D.P.R. 8/1/2001, n°41, e ora il D.P.R.13/9/2005, n°296 (Regolamento concernente i criteri e le modalità di concessione in uso e in locazione dei beni immobili appartenenti allo Stato).
 
Per Consiglio Stato, Adunanza Generale, 28/9/1995, n° 95 (in Cons. Stato 1997, I, 601), “In sede di concessione di ausili finanziari o attribuzione di vantaggi a persone od enti pubblici e privati – ai sensi dell’art. 12 l. 7 agosto 1990 n. 241 – la predeterminazione dei criteri e delle modalità ad essi correlati (nonché il loro rispetto) da parte delle amministrazioni è rivolta alla trasparenza dell’azione amministrativa e si atteggia a principio generale in forza del quale l’attività di erogazione dell’amministrazione deve in ogni caso rispondere a referenti oggettivi, e quindi definiti precedentemente al singolo provvedimento, nonché pubblici” (18).
 
(18) Per T.A.R. Puglia-Lecce, Sez. II, 2 febbraio 2002, n° 572 (in Foro Amm. TAR 2002, 696), “È illegittima la delibera della Giunta Comunale di assegnazione di contributi e sovvenzioni in assenza di formulazione di alcun criterio che possa incidere sulla discrezionalità dell’Amministrazione, guidandola nell’individuazione dei soggetti destinatari delle sovvenzioni, ed in assenza di qualsiasi indicazione di come i criteri, desunti da indicazioni generiche, siano stati in concreto applicati, in violazione dell’art. 12 l. 7 agosto 1990 n. 241”.
 
Bisogna, peraltro, ricordare che i beni degli enti pubblici territoriali, si distinguono in beni demaniali (artt.822 e 824 c.c., nonché art.53 D.Lgs. 22/1/2004, n°42), che non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano (art.823 c.c.); beni del patrimonio indisponibile (art.826 c.c.), soggetti alle regole particolari che li concernono e, in quanto non sia diversamente disposto, alle comuni regole cui vanno soggetti tutti i beni (art.828 c.c.: essi non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano); e beni del patrimonio disponibile, soggetti alle regole comuni.
Orbene, i beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile possono essere attribuiti alla disponibilità di soggetti terzi attraverso lo strumento della concessione amministrativa, atto unilaterale della pubblica amministrazione sempre revocabile per ragioni di interesse pubblico. All’atto di concessione può accedere una convenzione attuativa: c.d. concessione-contratto (che può assumere le vesti di un contratto o di un capitolato o anche di un disciplinare che instaura il rapporto pattizio con obblighi e diritti per entrambe le parti), intimamente connessa all’atto amministrativo di concessione, nel senso che l’annullamento o revoca della concessione amministrativa travolge la convenzione, sì che la permanenza del rapporto contrattuale è condizionata dalla vigenza del provvedimento concessorio. (19).
 
(19) Cfr. art.1, comma 1-bis, L.241/1990, introdotto dall’art.1 L.15/2005.
 
Per C. Cass., SS.UU., 13/11/1997, n°11219 (in Giust. Civ. Mass. 1997, 2156), il bene destinato a pubblico servizio non può essere trasferito alla disponibilità di un soggetto privato a mezzo di un contratto di locazione, bensì a mezzo di concessione amministrativa (20), con la conseguenza che tutte le controversie relative a tale rapporto di concessione appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 5, primo comma, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 (21).
 
(20) “Gli impianti sportivi, quali un campo di calcio comunale, in quanto rientranti tra i beni patrimoniali indisponibili a norma dell’comma ultimo dell’art. 826 comma ultimo c.c., possono essere trasferiti nella disponibilità di privati perché ne facciano alcuni determinati usi, solo mediante concessioni amministrative, che assumono normalmente la configurazione di atti complessi definiti concessione-contratto. Consegue che tutte le controversie relative al rapporto sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, a norma dell’art. 5 della l. n. 1034 del 1971”
Nello stesso senso C. Cass., SS. UU., 29 novembre 1994, n. 10199 (in Leggi d’Italia), secondo cui gli impianti sportivi comunali per il nuoto rientrano tra i beni del Comune, e precisamente tra quelli destinati a un pubblico servizio, essendo destinati a soddisfare l’interesse proprio dell’intera collettività alle discipline sportive, e possono essere trasferiti nella disponibilità dei privati, perchè ne facciano un uso ben determinato, solo mediante concessioni amministrative. Di conseguenza tutte le controversie relative a tale rapporto di concessione sono devolute dall’art. 5, primo comma, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Così anche C. Cass., SS. UU., 23 luglio 2001, n. 10013 (in Leggi d’Italia): gli impianti sportivi di proprietà comunale appartengono al patrimonio indisponibile del Comune ai sensi dell’art. 826, ultimo comma, cod. civ., essendo destinati al soddisfacimento dell’interesse proprio dell’intera collettività allo svolgimento delle attività sportive che in essi hanno luogo. Ne consegue che, qualora tali beni siano trasferiti nella disponibilità di privati perchè ne facciano determinati usi mediante concessione amministrativa (che costituisce il solo strumento con cui tale trasferimento può essere realizzato), restano devolute al giudice amministrativo a norma dell’art. 5, primo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 le controversie connesse al rapporto concessorio, per tali dovendosi intendere anche quelle nelle quali siano in contestazione i limiti delle facoltà da riconoscersi alle parti in base all’atto di concessione.
 
(21) Ai sensi del comma 2 di tale articolo, “resta salva la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria per le controversie concernenti indennità, canoni e altri corrispettivi”.
Per Consiglio di Stato, Sez.V, 16/12/2004, n°8083, esula dalla giurisdizione del Giudice amministrativo per rientrare in quella del Giudice ordinario, una controversia avente ad oggetto la richiesta di rimborso delle spese di straordinaria manutenzione di un impianto sportivo comunale (nella specie, campo da golf), sostenute dalla società concessionaria del medesimo impianto, nel caso in cui le contestazioni sul rimborso riguardino non già atti posti in essere dall’ente locale nell’esercizio dei poteri pubblicistici inerenti la concessione dell’impianto, bensì l’adempimento di un’obbligazione pecuniaria, quale corrispettivo dei lavori di straordinaria manutenzione eseguiti. In tal caso, infatti, si controverte su questioni attinenti a “canoni, indennità ed altri corrispettivi”, riservate – in tema di concessioni amministrative – al giudice ordinario.
Per C. Cass., Sez.III, 20/1/1998, n°489 (in Leggi d’Italia), l’attribuzione, al privato, del godimento di beni del patrimonio indisponibile di un ente territoriale integra gli estremi della concessione amministrativa, e non anche dell’affitto di azienda o della locazione di immobile per uso diverso da quello abitativo, con la conseguenza che le controversie eventualmente insorte tra il privato e l’amministrazione concedente rientrano nella competenza giurisdizionale dell’a.g.o., giusto disposto dell’art. 5, comma 2, della l. n. 1034 del 1971 (che attribuisce alla detta autorità giudiziaria tutte le questioni “concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi relativi a rapporti di concessione di beni”).
 
La disponibilità dei beni demaniali e similmente quella dei beni patrimoniali indisponibili, attesa la loro destinazione diretta alla realizzazione di interessi pubblici, può essere legittimamente attribuita ad un soggetto diverso dall’ente titolare del bene, entro certi limiti e per alcune utilità, solo mediante concessione amministrativa: C. Cass., Sez.III, 26/4/2000, n°5346. (22) (23).
 
(22) Il concessionario, invece, se autorizzato dall’amministrazione concedente, può dare in uso a terzi, a titolo oneroso, terreni demaniali o locali facenti parte del demanio, mediante sia locazione che subconcessione: C. Cass., Sez.III, 26/4/2000, n°5346, cit.. L’astratta compatibilità tra natura demaniale del bene e locazione discende infatti dalla espressa previsione normativa contenuta nell’art.35, ultima parte, della legge 392 del 1978, richiamato anche dal successivo art.41, comma 2: norme che per le locazioni aventi ad oggetto immobili complementari od interni a beni demaniali quali, tra gli altri, i porti (art.822 c.c.), escludono l’indennità per la perdita di avviamento. C. Cass., Sez.III, 26/4/2000, n°5346, ha quindi confermato la sentenza di merito che, valutando anche il contenuto delle clausole contrattuali, ha qualificato come subconcessione i contratti di “concessione di posteggio” stipulati con i terzi dalla Società concessionaria del Comune di Firenze della gestione del complesso denominato “Centro alimentare polivalente di Novoli”, comprendente i mercati comunali ed il pubblico macello (Giust. Civ., Mass. 2000, 888).
 
(23) Per C.d.S., Sez.V, 16/4/2003, n°1991, gli impianti sportivi di proprietà comunale fanno parte del patrimonio indisponibile del comune, risultando presenti entrambi i requisiti richiesti dall’art. 826 c.c. per tale qualificazione, ovvero la proprietà del bene da parte dell’ente e la destinazione del bene ad un pubblico servizio; pertanto, il rapporto intercorrente tra il comune e la società avente ad oggetto l’immobile destinato alla somministrazione di bevande ed alimenti, parte integrante del complesso sportivo, va qualificato come concessione e non locazione.
 
Secondo C. Cass., Sez.III, 3/9/1998, n°8768 (in Giust. Civ. Mass. 1998. 1849), un rapporto “deve essere qualificato come concessorio in tutte le ipotesi in cui, anche se in forza di contratti di affitto, l’oggetto consiste nel godimento individuale, da parte di un soggetto privato, di un bene pubblico. Attesa la natura di beni patrimoniali indisponibili dei locali destinati a mattatoio comunale è giocoforza concludere che tra le parti esiste un rapporto di concessione amministrativa, tenuto presente che la concessione al privato, del godimento di beni del patrimonio indisponibile di enti territoriali integra, in ogni caso, una concessione amministrativa”. E “al fine della qualificazione della natura dell’atto stipulato, si rivelano – fra l’altro – irrilevanti – di per sè – sia l’eventuale denominazione meramente privatistica data all’atto stipulato, sia l’eventualmente comune difforme rappresentazione della natura dell’atto coltivata dalle parti”.
 
Circa la disciplina delle locazioni immobiliari non abitative sì come dettata dalle legge 392 del 1978 può ancora ricordarsi la disposizione contenuta nell’art.36, ai sensi del quale “Il conduttore può sublocare l’immobile o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore, purché venga insieme ceduta o locata l’azienda, dandone comunicazione al locatore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Il locatore può opporsi, per gravi motivi, entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione. Nel caso di cessione, il locatore, se non ha liberato il cedente, può agire contro il medesimo qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte”. (24) (25).
 
(24) In tal caso, precisa il comma 2, “Le indennità previste dall’articolo 34 sono liquidate a favore di colui che risulta conduttore al momento della cessazione effettiva della locazione”. V. anche l’art.37 L.392/1978 che disciplina la successione nel contratto.
 
(25) L’art.36 L.392/1978 deroga all’art.1594 c.c. (e all’art.1406 c.c.), ai sensi del quale il conduttore non può cedere il contratto senza il consenso del locatore. Sul punto, v. F. Galgano, Diritto commerciale – L’imprenditore, Zanichelli, Bologna 2003, Pag.68 ss. .
 
La tutela dei diritti. Il rito speciale delle locazioni. Ai sensi del primo comma dell’art.447-bis del Codice di Procedura Civile, le controversie in materia di locazione (e di comodato) di immobili urbani (nonché quelle di affitto di aziende) sono disciplinate dagli articoli 414, 415, 416, 417, 418, 419, 420, 421, primo comma, 422, 423, primo e terzo comma, 424, 425, 426, 427, 428, 429, primo e secondo comma, 430, 433, 434, 435, 436, 437, 438, 439, 440, 441 in quanto applicabili; ossia dalle norme, contenute nel titolo IV del secondo libro del c.p.c., dettate per la disciplina delle controversie di lavoro.
 Giudice competente è il Tribunale (in composizione monocratica) del luogo dove è posto l’immobile (artt. 9, 21, 50-ter c.p.c.). Sono nulle le clausole di deroga alla competenza (art.447-bis, comma 2, c.p.c.).
La domanda si propone con ricorso: art.414. (26).
 
(26) V. art.45, comma 3, L.392/1978, come sostituito dall’art.6 L.399/1984.
 
Il ricorso, che tra l’altro deve contenere l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda (con relative conclusioni) e, a pena di decadenza, l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi, deve essere depositato nella cancelleria del giudice insieme ai documenti in esso indicati. Il giudice, entro cinque giorni dal deposito del ricorso, fissa con decreto l’udienza di discussione alla quale le parti sono tenute a comparire personalmente (art.415, comma 2). Il ricorrente deve notificare ricorso e decreto di fissazione dell’udienza al convenuto entro dieci giorni dalla data di pronuncia del decreto e in ogni caso tra la data di notifica del ricorso e l’udienza di discussione debbono intercorrere trenta giorni (v. artt. 415, comma 4, e 417, comma 4).
Il convenuto deve costituirsi in giudizio almeno dieci giorni prima dell’udienza mediante deposito in cancelleria di una memoria difensiva nella quale devono essere proposte, a pena di decadenza, le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio (art.416 c.p.c.); nella stessa memoria il convenuto “deve prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, proporre tutte le sue difese in fatto e in diritto ed indicare specificamente, a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi e in particolare i documenti che deve contestualmente depositare” (art.416 cit., comma 2). Ai sensi dell’art.420, comma 1, seconda parte, Cod. proc. civ., durante l’udienza di discussione le parti possono modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate solo se ricorrono gravi motivi e previa autorizzazione del giudice.
Il processo locatizio potrebbe esaurirsi in un’unica udienza (art.420), laddove non vi siano prove da assumere o queste possano essere assunte nel corso della stessa udienza di discussione. In ogni caso, ai sensi dell’ultimo comma dell’art.420, le “udienze di mero rinvio sono vietate”.
Le parti sono tenute a comparire personalmente; la mancata comparizione personale delle parti senza giustificato motivo “costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione” (art.420, comma 1; v. anche il comma 2 sulla rappresentanza). Il giudice interroga liberamente le parti presenti e tenta la conciliazione della lite.
Il verbale di conciliazione ha efficacia di titolo esecutivo (art.420, comma 3).
Il giudice può disporre d’ufficio, in qualsiasi momento, l’ispezione della cosa e l’ammissione di ogni mezzo di prova, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni, sia scritte che orali, alle associazioni di categoria indicate dalle parti (art.447-bis, comma 3).
Il giudice, in ogni stato del giudizio, può disporre con ordinanza – titolo esecutivo – il pagamento delle somme non contestate (art.423, commi 1 e 3 c.p.c.). In ogni caso, già ai sensi dell’art.45, ultimo comma, legge 392/1978, “Fino al termine del giudizio il conduttore è obbligato a corrispondere, salvo conguaglio, l’importo non contestato”.
Raccolte le prove (v., per i particolari, i commi 5, 6, 7 e 8 dell’art.420; v. l’art.424 sull’assistenza del consulente tecnico), il giudice invita le parti alla discussione orale, al termine della quale le stesse precisano le loro conclusioni. Subito dopo la discussione orale il giudice pronuncia la sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo. (Se il giudice lo ritiene necessario, su richiesta delle parti, concede alle stesse un termine non superiore a dieci giorni per il deposito di note difensive, rinviando la causa all’udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine suddetto, per la discussione e la pronuncia della sentenza: art.429, commi 1 e 2).
La sentenza deve essere depositata in cancelleria entro quindici giorni dalla pronuncia e il cancelliere deve darne immediata comunicazione alle parti (art.430).
Le sentenze di condanna di primo grado sono provvisoriamente esecutive. All’esecuzione si può procedere con la sola copia del dispositivo in pendenza del termine per il deposito della sentenza. Il giudice d’appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l’efficacia esecutiva o l’esecuzione siano sospese quando dalle stesse possa derivare all’altra parte gravissimo danno (art.447-bis, ultimo comma, c.p.c.). In tal caso l’appello può essere proposto “con riserva dei motivi”, i quali dovranno essere presentati entro i termini per appellare.
L’appello si propone con ricorso davanti alla Corte d’Appello territorialmente competente (art.433) entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza (v. art.434), ovvero entro un anno dalla sua pubblicazione, cioè dal deposito in cancelleria, se non notificata. Il ricorso deve contenere, tra l’altro, l’esposizione sommaria dei fatti e i motivi specifici dell’impugnazione, e deve essere notificato all’altra parte (appellato) insieme con il decreto col quale il Presidente della Corte d’Appello ha fissato l’udienza di discussione (udienza che deve tenersi non oltre sessanta giorni dalla data di deposito del ricorso: art.435 c.p.c.).
Sono inappellabili le sentenze che abbiano deciso una controversia di valore non superiore a euro 25,82 (art.440), impugnabili tuttavia in Cassazione ai sensi dell’art.111, comma 7, Cost.: “Contro le sentenze (…) è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge”.
L’appellato deve costituirsi almeno dieci giorni prima dell’udienza mediante deposito in cancelleria del fascicolo e di una memoria difensiva, “nella quale deve essere contenuta dettagliata esposizione di tutte le sue difese” (art.436 c.p.c.).
Se propone appello incidentale, l’appellato deve esporre nella stessa memoria i motivi specifici su cui fonda l’impugnazione. L’appello incidentale deve essere proposto, a pena di decadenza nella memoria di costituzione, da notificarsi, a cura dell’appellato, alla controparte almeno dieci giorni prima della udienza di discussione.
Non sono ammesse nuove domande ed eccezioni. Non sono ammessi nuovi mezzi di prova, tranne il giuramento estimatorio, salvo che il collegio, anche d’ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa. E’ salva la facoltà delle parti di deferire il giuramento decisorio in qualsiasi momento della causa (art.437, comma 2, c.p.c.).
Nell’udienza di discussione il giudice incaricato fa la relazione orale della causa. Il collegio, sentiti i difensori delle parti, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo nella stessa udienza. La sentenza deve essere depositata entro quindici giorni dalla pronuncia (artt.437 e 438 c.p.c.).
Il ricorso per cassazione è disciplinato in via generale dagli artt.360-394 c.p.c., interessati dalle recenti modifiche introdotte dal D. Lgs. 2/2/2006, n°40 (v., in particolare, gli artt.2, 6 e 13).
Il rito speciale, atteso il richiamo di cui agli artt.400 e 406 c.p.c., trova applicazione anche per lo svolgimento dei giudizi di revocazione e di opposizione di terzo.
E’ ben noto che, ai sensi dell’art.324 c.p.c., si intende passata in giudicato (formale) la sentenza che non è più soggetta né al regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell’articolo 395.
 
Il procedimento per convalida di sfratto. Gli articoli 657-669 del Codice di procedura civile, nell’ambito della disciplina dei procedimenti sommari, trattano del “procedimento per convalida di sfratto”, ossia di un processo che consente al locatore di ottenere celermente dal giudice una ordinanza costituente titolo esecutivo. Tali articoli disciplinano: la licenza per finita locazione, che si intima al conduttore prima della scadenza del contratto al fine di ottenere un titolo esecutivo da utilizzare nel caso in cui, scaduto il contratto, il conduttore non intenda rilasciare l’immobile (“Negata la convalida della licenza per finita locazione, in ragione dell’erronea indicazione – nell’intimazione – della data di cessazione del rapporto, ben può nondimeno il giudice, apertasi la fase del giudizio di merito e corretto l’errore da parte del locatore, condannare il conduttore a rilasciare l’immobile in una data futura anche quando la scadenza della locazione non si verifichi nel corso del giudizio”: C. Cass., Sez.III, 22/9/2000, n°12539, Giust. Civ. Mass. 2000, 1977); lo sfratto, che si intima una volta scaduto il contratto senza che il conduttore abbia rilasciato l’immobile; lo sfratto per morosità, che si intima nei casi di mancato pagamento dei canoni alle scadenze stabilite.
Il procedimento inizia quindi con l’intimazione del locatore da notificarsi al conduttore con contestuale citazione per la convalida dinanzi al Tribunale del luogo in cui si trova la cosa locata (giudice competente ex art.661 c.p.c.).
La citazione per la convalida, tra l’altro (v. art.660 c.p.c.), deve contenere l’avvertimento al convenuto che, in caso di mancata comparizione o di mancata opposizione, il giudice convalida la licenza o lo sfratto.
La costituzione in giudizio delle parti avviene con il deposito in cancelleria dell’intimazione con la relazione di notificazione o la comparsa di risposta, oppure presentando tali atti al giudice in udienza (art.660, comma 5, c.p.c.).
Ai fini dell’opposizione e del compimento delle attività previste dagli articoli 663-666, è sufficiente la comparizione personale dell’intimato. L’intimazione perde invece efficacia se all’udienza fissata nell’atto di citazione il locatore non compare (art.662 c.p.c.).
Se all’udienza non compare l’intimato o comparendo non si oppone il giudice convalida la licenza o lo sfratto e dispone con ordinanza in calce alla citazione l’apposizione su di essa della formula esecutiva (art.663 c.p.c.). Il giudice, tuttavia, deve ordinare che sia rinnovata la citazione nel caso in cui risulti o appaia probabile che l’intimato non abbia avuto conoscenza della citazione stessa o non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore.
La formula esecutiva ha effetto dopo 30 giorni dalla data della opposizione nel caso che l’intimato non sia comparso.
Ove lo sfratto sia stato intimato per mancato pagamento del canone, la convalida è subordinata all’attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore che la morosità persiste; in tal caso il giudice può ordinare al locatore di prestare una cauzione (art.663, u.c., c.p.c.).
Se l’intimato compare e fa opposizione all’intimazione, il giudizio si trasforma in un normale processo di cognizione (v. art.667 c.p.c.), ma se l’opposizione non è fondata su prova scritta ovvero non sussistano gravi motivi, il giudice convalida l’intimazione pronunziando ordinanza non impugnabile di rilascio, con riserva delle eccezioni del convenuto (art.665 c.p.c.). Tale ordinanza può essere subordinata alla prestazione di una cauzione per i danni e le spese.
Il locatore, con lo stesso atto, può chiedere anche l’ingiunzione di pagamento dei canoni scaduti e di quelli che scadranno fino al rilascio ed in tal caso il giudice emette decreto ingiuntivo (art.664 c.p.c.). Ai sensi dell’art.666 c.p.c. “Se è intimato lo sfratto per mancato pagamento del canone, e il convenuto nega la propria morosità contestando l’ammontare della somma pretesa, il giudice può disporre con ordinanza il pagamento della somma non controversa e concedere all’uopo al convenuto un termine non superiore a venti giorni. Se il conduttore non ottempera all’ordine di pagamento, il giudice convalida l’intimazione di sfratto e, nel caso previsto nell’articolo 658, pronuncia decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni”.
Se, invece, il locatore non chiede il pagamento dei canoni, la pronuncia sullo sfratto risolve la locazione, ma lascia impregiudicata ogni questione sui canoni stessi (art.669 c.p.c.). (27).
 
(27) Per C. Cass., S.U., 15/5/1990, n°4176 (in Leggi d’Italia), “Qualora un ente pubblico abbia acquisito il godimento di un immobile mediante un contratto di locazione, l’avvenuta destinazione del bene (con provvedimento contestuale o successivo alla stipulazione del contratto) a sede di pubblico ufficio non è idonea, in mancanza di un successivo provvedimento di carattere ablatorio, a mutare la natura privatistica del rapporto e la sua assoggettabilità alle norme di diritto comune; con la conseguenza che il locatore può agire davanti al giudice ordinario per l’accertamento della cessazione del rapporto e la condanna dell’ente pubblico locatario al rilascio, senza che, riguardo a tale pronuncia, operi il divieto di cui all’art. 4, all. E, della legge n. 2248 del 1865, atteso che l’atto con cui è stato impresso al bene un vincolo di destinazione ad utilità pubblica, in quanto emesso al di fuori dei poteri ablatori e quindi in totale carenza di potere, è equiparabile, ancorché formalmente amministrativo, ad un comportamento materiale della Pubblica Amministrazione non ricollegabile all’esercizio di potestà amministrativa”.
 
Il procedimento ex art.30 L.392/1978. L’art.30 della legge 392/78, sotto la rubrica “Procedura per il rilascio”, detta invece le regole di un procedimento finalizzato a consentire il rilascio dell’immobile a seguito dell’esercizio – da parte de locatore – del diniego di rinnovo del contratto alla prima scadenza.
“Avvenuta la comunicazione di cui al terzo comma dell’articolo 29 e prima della data per la quale è richiesta la disponibilità ovvero quando tale data sia trascorsa senza che il conduttore abbia rilasciato l’immobile, il locatore può convenire in giudizio il conduttore, osservando le norme previste dall’art. 447-bis del codice di procedura civile”, ossia mediante ricorso al Tribunale nella cui circoscrizione è posto l’immobile (sono nulle le clausole derogative dalla competenza per territorio).
Alla prima udienza, se il convenuto compare e non si oppone, il giudice, ad istanza del locatore, pronunzia ordinanza di rilascio, la quale costituisce titolo esecutivo e definisce il giudizio. Nel caso invece di opposizione del convenuto il giudice è tenuto ad esperire il tentativo di conciliazione. Per C. Cass, Sez.III, 6/11/1996, n°923, tuttavia l’esperimento del tentativo di conciliazione, pur costituendo un adempimento doveroso per il giudice di primo grado, non è prescritto né a pena di nullità, né a pena d’improcedibilità e, quindi, la sua omissione non produce effetti invalidanti sullo svolgimento del rapporto processuale.
Se il tentativo di conciliazione – esperito – riesce, il relativo verbale costituisce titolo esecutivo. Ove, invece, il tentativo di conciliazione non riesca, ovvero nel caso di contumacia del convenuto, si procederà a norma degli artt.420 e segg. c.p.c..
Ai sensi dell’art.30, u.c., L.392/78, “Il giudice, su istanza del ricorrente, alla prima udienza e comunque in ogni stato del giudizio, valutate le ragioni addotte dalle parti e le prove raccolte, può disporre il rilascio dell’immobile con ordinanza costituente titolo esecutivo”.
La disdetta per finita locazione alla prima scadenza, se intimata dal locatore ai sensi dell’art. 657 cod. proc. civ., anziché con il ricorso previsto dall’art. 30 della legge 392/78, ora descritto, “comporta la necessità di modifica del rito onde accertare l’esistenza del motivo di diniego del rinnovo, con la conseguenza che, se il giudice, senza modificare il rito stesso, emette, in assenza del conduttore, ordinanza di convalida, questa ha natura di sentenza, impugnabile con ordinario atto di citazione (C. Cass., Sez. III, 7/6/2000, n°7672).
 
La registrazione dei contratti di locazione. I contratti di locazione di immobili nel territorio nazionale sono soggetti (oltre che all’imposta di bollo) all’obbligo di registrazione con aliquota proporzionale pari al 2% del corrispettivo pattuito per l’intera durata del contratto; in ogni caso l’ammontare dell’imposta di registro non può essere inferiore a Euro 67,00 (così l’art.5, Parte I, Tariffa allegata al D.P.R. 26/4/1986, n°131, e succ. mod.). Per le locazioni che, invece, sono soggette all’IVA (v., comunque, anche l’art.10 D.P.R. 26/10/1972, n°633), la registrazione è dovuta solo in caso d’uso e si applica l’imposta fissa di registro pari a Euro 168,00. (28).
 
(28) Sono soggette a registrazione solo in caso d’uso anche le locazioni (ed affitti) di immobili, “non formati per atto pubblico o scrittura privata autenticata di durata non superiore a trenta giorni complessivi nell’anno” (art.2-bis Parte II, Tariffa). Nel caso in cui il contratto abbia per oggetto un fondo rustico, l’aliquota da applicare è pari allo 0,50% (art.5, Parte I, Tariffa).
 
Abbiamo già visto che ai sensi dell’art.1, comma 346, della legge 30/12/2004, n°311 (Legge finanziaria 2005), “I contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati”.
Il Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro (D.P.R. 26/4/1986, n°131) distingue tra “registrazione in termine fisso”, cui sono soggetti gli atti indicati nella Parte I della Tariffa allegata allo stesso T.U., e “registrazione in caso d’uso”, cui sono soggetti gli atti indicati nella Parte II della Tariffa anch’essa allegata al T.U., mentre altra Tabella indica gli atti “per i quali non vi è obbligo di chiedere la registrazione”.
La registrazione degli atti che vi sono soggetti “in termine fisso” deve essere richiesta, ordinariamente, entro venti giorni dalla data dell’atto (art.13 D.P.R. cit.), ma per le locazioni il termine è di trenta giorni (v. infra).
Obbligati a richiedere la registrazione sono, per quanto qui interessa: a) le parti contraenti per le scritture private non autenticate e per i contratti verbali; b) i notai, gli ufficiali giudiziari, i segretari o delegati della pubblica amministrazione e gli altri pubblici ufficiali per gli atti da essi redatti, ricevuti o autenticati (v. art.10 D.P.R. cit.).
   Si ha, invece, “caso d’uso” quando un atto si deposita, per essere acquisito agli atti, presso le cancellerie giudiziarie nell’esplicazione di attività amministrative o presso le amministrazioni dello Stato o degli Enti pubblici territoriali e i rispettivi organi di controllo, salvo che il deposito avvenga ai fini dell’adempimento di una obbligazione delle suddette amministrazioni, enti o organi ovvero sia obbligatorio per legge o regolamento (art.6 D.P.R. cit.).
Ai sensi dell’art.8 L.392/1978, gli oneri di registrazione sono per metà a carico del locatore e per metà a carico del conduttore. La parte che ha provveduto al pagamento dell’imposta di registro può rivalersi nei confronti dell’altra parte di quanto a carico della medesima.
L’art.17 D.P.R. 131/1986, da ultimo modificato dall’art.68 della legge 21/11/2000, n°342, stabilisce:
“1. L’imposta dovuta per la registrazione dei contratti di locazione e affitto di beni immobili esistenti nel territorio dello Stato nonché per le cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite degli stessi, è liquidata dalle parti contraenti ed assolta entro trenta giorni mediante versamento del relativo importo presso uno dei soggetti incaricati della riscossione, ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 237.
2. L’attestato di versamento relativo alle cessioni, alle risoluzioni e alle proroghe deve essere presentato all’ufficio del registro presso cui è stato registrato il contratto entro venti giorni dal pagamento.
3. Per i contratti di locazione e sublocazione di immobili urbani di durata pluriennale l’imposta può essere assolta sul corrispettivo pattuito per l’intera durata del contratto ovvero annualmente sull’ammontare del canone relativo a ciascun anno. In caso di risoluzione anticipata del contratto il contribuente che ha corrisposto l’imposta sul corrispettivo pattuito per l’intera durata del contratto ha diritto al rimborso del tributo relativo alle annualità successive a quella in corso. L’imposta relativa alle annualità successive alla prima, anche conseguenti a proroghe del contratto comunque disposte, deve essere versata con le modalità di cui al comma 1.”.
Va qui ricordato che “per i contratti di locazione e sublocazione di immobili urbani di durata pluriennale, l’imposta, se corrisposta per l’intera durata del contratto, si riduce di una percentuale pari alla metà del tasso di interesse legale moltiplicato per il numero delle annualità” (art.5, Parte I, Tariffa allegata al D.P.R. 131/1986), e che gli aggiornamenti e gli adeguamenti del canone non hanno effetto per i contratti pluriennali per la registrazione dei quali sia stata versata l’imposta commisurata all’intera durata del contratto (art.35, comma 2, D.P.R. 131/1986; Circ. Min. Finanze 16/1/1998, n°12: in tal caso si terrà conto degli aggiornamenti e adeguamenti del canone ai soli fini della determinazione della base imponibile ove il contratto venga prorogato).
Nei contratti in cui è parte lo Stato è obbligata al pagamento dell’imposta di registro solo l’altra parte contraente a meno che non si tratti di imposta dovuta per atti presentati volontariamente dalle Amministrazioni dello Stato (art.57, comma 7, D.P.R. 131/1986).
Le parti contraenti sono solidalmente obbligate al pagamento dell’imposta (art.57 D.P.R. 131/1986) e i patti contrari alle disposizioni del D.P.R. 131/1986, compresi quelli che pongono l’imposta e le eventuali sanzioni a carico della parte inadempiente, sono nulli anche fra le parti (art.62 D.P.R. 131/1986).
Chi omette la richiesta di registrazione degli atti è soggetto alla sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’imposta dovuta (art.69 D.P.R. 131/1986). Se viene occultato anche in parte il corrispettivo convenuto, si applica la sanzione amministrativa dal duecento al quattrocento per cento della differenza tra l’imposta dovuta e quella già applicata in base al corrispettivo dichiarato (art.72 D.P.R. 131/1986). Sulle sanzioni in materia di imposta di registro vedasi anche la Circolare del Ministero delle Finanze 19/11/1998, n°267/F.
Il deposito cauzionale (v. art.11 L.392/1978, applicabile alle locazioni di che trattasi per espresso richiamo operato dall’art.41 della stessa legge), non sussistendo vincolo di interdipendenza col contratto di locazione, è soggetto all’imposta di registro per una aliquota pari allo 0,50% (art.6, Parte I, Tariffa allegata al D.P.R. 131/1986, il quale, infatti, all’art.21 precisa che “Se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto”) solo nel caso che la garanzia sia prestata da un terzo (estraneo al contratto), mentre se la garanzia è a carico del conduttore nessuna imposta è dovuta sull’ammontare del deposito stesso: cfr. Agenzia delle Entrate, risoluzione n°151/E del 22/5/2002.
Per quanto concerne le modalità di pagamento dell’imposta si deve segnalare che dal 2002 i contratti possono registrarsi on line: v. D.P.R. 5/10/2001, n°404 (in G.U. n°267 del 16/11/2001) e Provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate del 12/12/2001 (in G.U. n°295 del 20/12/2001), del 2/7/2002 (in G.U. n°171 del 23/7/2002) e dell’8/2/2005 (in G.U. n°37 del 15/2/2005).
 
La denunzia all’autorità locale di pubblica sicurezza. Ai sensi del D.L. 21/3/1978, n°59, conv. in L. 18/5/1978, n°191, “Chiunque cede la proprietà o il godimento o a qualunque altro titolo consente, per un tempo superiore a un mese, l’uso esclusivo di un fabbricato o di parte di esso ha l’obbligo di comunicare all’autorità locale di pubblica sicurezza, entro quarantotto ore dalla consegna dell’immobile, la sua esatta ubicazione, nonché le generalità dell’acquirente, del conduttore o della persona che assume la disponibilità del bene e gli estremi del documento di identità o di riconoscimento, che deve essere richiesto all’interessato” (29).
 
(29) Si ricorda che ai sensi dell’art.7 D. Lgs. 25/7/1998, n°286, “Chiunque, a qualsiasi titolo, dà alloggio ovvero ospita uno straniero o apolide, anche se parente o affine, o lo assume per qualsiasi causa alle proprie dipendenze ovvero cede allo stesso la proprietà o il godimento di beni immobili, rustici o urbani, posti nel territorio dello Stato, è tenuto a darne comunicazione scritta, entro quarantotto ore, all’autorità locale di pubblica sicurezza”. La comunicazione comprende, oltre alle generalità del denunciante, quelle dello straniero o apolide, gli estremi del passaporto o del documento di identificazione che lo riguardano, l’esatta ubicazione dell’immobile ceduto o in cui la persona è alloggiata, ospita o presta servizio ed il titolo per il quale la comunicazione è dovuta. Le violazioni delle disposizioni di cui al presente articolo sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 160,00 a 1.100,00 Euro.
 
La comunicazione può essere effettuata anche a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento (ai fini dell’osservanza dei termini vale la data della ricevuta postale) e chi contravviene è soggetto alla sanzione amministrativa – applicata dal Sindaco – da Euro 103,00 a Euro 1549,00, facendosi in tal caso applicazione delle norme relative all’introduzione dell’Euro che in materia di conversione in Euro degli importi delle sanzioni amministrative in Lire prevedono la doppia regola dell’arrotondamento e del troncamento (v. art.51 D. Lgs. 24/6/1998, n°213, nonché circolare del Ministero dell’Interno 29/11/2001, n°82).
La legge 30/12/2004, n°311 (Legge finanziaria 2005), è intervenuta anche in questa materia. Ai sensi dell’art.1, commi 344 “Il modello per la comunicazione di cui all’articolo 12 del decreto-legge 21 marzo 1978, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 maggio 1978, n. 191, approvato con decreto interdirigenziale del Ministero dell’interno e della Agenzia delle entrate, è reso disponibile gratuitamente, in modalità telematica, dalla predetta Agenzia; la comunicazione è effettuata, anche avvalendosi degli intermediari di cui all’articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, e successive modificazioni, nonchè degli uffici dell’Agenzia delle entrate, con la compilazione in formato elettronico del relativo modello e con la sua trasmissione, in modalità telematica, alla predetta Agenzia, che provvede, con la medesima modalità, a dare avviso di ricevimento. L’Agenzia delle entrate, secondo intese con il Ministero dell’interno, ordina i dati contenuti nelle comunicazioni per la loro successiva trasmissione telematica al predetto Ministero. La presentazione per la registrazione degli atti di cessione di cui al predetto articolo 12 del decreto-legge n. 59 del 1978 tiene luogo della comunicazione di cui al medesimo articolo 12”.
Con decreto-legge 14/3/2005, n°35 (convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 14/5/2005, n°80), si è stabilito che tale disposizione (e quella di cui al comma 345 dello stesso art.1 legge finanziaria) si applicherà (non già dal 1/1/2005, bensì) dalla data che sarà indicata nel decreto di approvazione del nuovo modello telematico.
Per C. Cass., Sez.I, 23/4/1991, n°4405 (in Leggi d’Italia), “la disposizione dell’art. 12 della legge 18 maggio 1978, n°191 (di conversione del D.L. 21 marzo 1978, n° 59) che impone l’obbligo di comunicazione per tutte le cessioni dell’uso esclusivo di un fabbricato per la durata superiore ad un mese, qualunque siano le caratteristiche dei soggetti beneficiari di detto uso, ancorché introdotta come misura di lotta contro il terrorismo, non richiede il pericolo per la sicurezza pubblica quale elemento della fattispecie illecita configurata dalla disposizione medesima, onde resta priva di rilievo la circostanza che tale pericolo non possa determinarsi nella situazione concreta (nella specie, sancendo tale principio, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza con la quale il giudice del merito aveva ritenuto soggetto alla disposizione suddetta una U.S.L. che aveva ceduto in affitto locale di sua proprietà ad otto suoi dipendenti, senza effettuare le prescritte comunicazioni)”.
Si segnala anche C. Cass., Sez.I, 3/8/1992, n°9211 (in Leggi d’Italia): “La prescrizione quinquennale di cui all’art. 28 della legge 24 novembre 1981, n° 689 opera con riguardo sia alla violazione sia alla relativa sanzione pecuniaria e, decorrendo dal giorno in cui la violazione stessa è stata commessa, ove questa abbia carattere permanente”, come nel caso di che trattasi perché l’omessa comunicazione integra gli estremi di un “illecito i cui effetti perdurano anche dopo la scadenza del termine di legge per detta comunicazione e cessano soltanto col venir meno del rapporto di locazione”, “il dies a quo coincide con quello di cessazione della permanenza”.
 
Stefano Gennai
Esperto servizi amministrativi della Provincia di Siena.

Dott. Stefano Gennai

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