La legittimazione alla denuncia disciplinare degli avvocati: nota a CNF, 23 gennaio 2025

Il tema della legittimazione a proporre esposto disciplinare nei confronti dell’avvocato rappresenta da tempo una questione di grande interesse.

Lorena Papini 02/09/25
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Il tema della legittimazione a proporre esposto disciplinare nei confronti dell’avvocato rappresenta da tempo una questione di grande interesse per la dottrina e la giurisprudenza. La sentenza del Consiglio Nazionale Forense del 23 gennaio 2025 (depositata il 22 febbraio 2025, R.G. n. 62/24 – RD n. 36/25) offre l’occasione per ribadire principi consolidati e al contempo di estrema rilevanza pratica. In essa, il CNF respinge il ricorso di una professionista sanzionata con la sospensione dall’esercizio per due mesi, la quale aveva eccepito la carenza di legittimazione dell’esponente ad avviare il procedimento disciplinare.

Consiglio Nazionale Forense – sentenza 36 del 23-01-2025

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Indice

1. La vicenda processuale


La vicenda processuale prende avvio da un esposto presentato dalla moglie del cliente dell’avvocata incolpata, la quale aveva denunciato condotte gravi: mancato avvio del procedimento giudiziario affidato, false comunicazioni sullo stato della causa e persino consegna di somme di denaro simulate come anticipi giudiziali. La difesa della professionista si era basata, fra l’altro, sulla mancanza di mandato formale da parte della denunciante, ritenuta quindi “terzo estraneo” al rapporto professionale.

2. La natura pubblicistica dell’azione disciplinare


Il CNF respinge tale impostazione richiamando un orientamento costante della giurisprudenza disciplinare e di legittimità. Ai sensi degli artt. 50 e 51 della legge professionale forense n. 247/2012 – in continuità con l’art. 38 del R.D.L. n. 1578/1933 – i Consigli dell’Ordine e i Consigli distrettuali di disciplina hanno il potere–dovere di promuovere l’azione disciplinare d’ufficio.
Ne discende un principio fondamentale: l’esercizio del potere disciplinare non è subordinato alla titolarità di un interesse diretto del denunciante. Al contrario, la fonte della notizia di illecito può essere costituita da qualunque soggetto, anche da persone non coinvolte nel rapporto avvocato–cliente. Ciò si spiega con la natura pubblicistica del procedimento disciplinare, finalizzato non a tutelare il singolo assistito, ma a garantire la correttezza e la dignità dell’esercizio della professione forense, che costituisce interesse dell’intera collettività.
In questa prospettiva, la legittimazione alla denuncia è universale: chiunque, venuto a conoscenza di una condotta irregolare di un avvocato, può segnalarla all’organo disciplinare, che sarà poi libero di vagliare la fondatezza della notizia e di avviare l’istruttoria.

3. La specifica vicenda, la legittimazione e il ruolo dell’esponente


La ricorrente aveva insistito sul fatto che l’esposto fosse stato presentato dalla moglie del cliente e non dal cliente stesso, il quale non avrebbe mai sollevato lamentele. Tale circostanza, tuttavia, è stata ritenuta irrilevante dal CNF.
Le prove acquisite (messaggistica WhatsApp, registrazioni vocali e trascrizioni) hanno dimostrato che la moglie del cliente era stata, di fatto, l’unica interlocutrice della professionista per tutta la durata del rapporto. Ella aveva ricevuto costanti aggiornamenti, seppur mendaci, sullo stato del procedimento, era stata destinataria della consegna di somme simulate come provenienti dal tribunale, ed era stata espressamente riconosciuta come referente dalla stessa avvocata.
In questo quadro, non solo la legittimazione alla denuncia non poteva essere esclusa, ma risultava addirittura coerente con la gestione concreta del rapporto professionale. Il cliente formale, reso invalido da un grave infortunio, aveva delegato alla moglie ogni rapporto con il difensore: pertanto, la sua denuncia costituiva una fonte pienamente attendibile della notizia disciplinarmente rilevante.

4. Implicazioni sistematiche


La decisione del CNF offre lo spunto per ribadire un punto fermo: la legittimazione a segnalare un illecito disciplinare forense non coincide con la legittimazione processuale in sede civile o penale. Non occorre essere parte del rapporto di mandato, né subire direttamente la condotta. È sufficiente fornire un apporto conoscitivo idoneo a far emergere un possibile illecito.
Questo principio assicura l’effettività del sistema disciplinare, impedendo che condotte lesive dell’immagine dell’Avvocatura rimangano sottratte al controllo solo perché il cliente diretto non intende esporsi o non è in grado di farlo. Al contempo, esso è bilanciato dalle garanzie procedimentali in favore dell’incolpato: la contestazione deve essere precisa, l’istruttoria completa, la sanzione proporzionata e motivata.
In conclusione, la sentenza del 23 gennaio 2025 si inserisce in un orientamento ormai consolidato: la disciplina deontologica tutela un interesse pubblico, e perciò l’accesso al procedimento non può essere limitato a pochi soggetti. Chiunque può portare a conoscenza del Consiglio territoriale condotte irregolari, e sarà poi compito dell’organo disciplinare valutare l’attendibilità delle prove e l’effettiva rilevanza della violazione.

5. Conclusioni


La pronuncia del CNF conferma che la legittimazione alla denuncia disciplinare è diffusa e non esclusiva del cliente formale. Tale impostazione rafforza il sistema di garanzia posto a tutela dell’interesse collettivo alla corretta amministrazione della giustizia e all’onorabilità dell’Avvocatura.
Per gli operatori del diritto, questa decisione costituisce un richiamo all’essenza pubblicistica del procedimento disciplinare e al valore fondamentale del rapporto fiduciario che deve caratterizzare l’attività dell’avvocato. La lesione di tale rapporto, come dimostrato dalla vicenda, può essere denunciata da chiunque ne sia testimone, senza alcun limite formale di legittimazione.

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