La successione delle imprese nel tempo e imputazione della responsabilità da illecito concorrenziale nel diritto comunitario

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Introduzione
Con la sentenza pronunziata nel caso ETI la Corte di Giustizia ha illustrato i principi di diritto comunitario che regolano l’imputazione della responsabilità da illeciti concorrenziali in caso di successione di imprese.[1] Sul punto il principio di diritto enunciato dalla Corte è il seguente: se una condotta anticoncorrenziale sia incominciata da un ente e proseguita da un altro, succeduto al primo che non ha cessato di esistere sul piano giuridico, il secondo ente risponderà dell’intera condotta illecita in questione, a condizione che i due enti siano stati sotto il controllo di una stessa autorità pubblica durante il periodo dell’illecito.
 
1. L’illecito concorrenziale e la procedura davanti le autorità italiane
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) con decisione del 13 marzo 2003 ha rilevato che le società del gruppo Philip Morris insieme all’allora Amministrazione Autonoma dei monopoli di stato (AAMS) avevano violato l’art. 2 della L. 287/1990.[2] La condotta ritenuta illecita riguardava la realizzazione di un cartello nel periodo dal 1993 al 2001 finalizzato alla fissazione dei prezzi di vendita al dettaglio delle sigarette nel mercato nazionale. Durante il periodo in cui la condotta illecita si è protratta all’AAMS è succeduto prima l’Ente Tabacchi Italiano e infine l’ETI. Sulla base del principio della continuità economica l’AGCM imputava all’ETI la condotta posta in essere dall’AAMS prima del 1° marzo 1999, data a partire dalla quale l’AAMS cessava di svolgere attività di produzione e vendita di tabacchi e per questa ragione condannava l’ETI stessa al pagamento di una sanzione amministrativa.
La decisione dell’AGCM veniva annullata dal TAR, davanti al quale era stato impugnata dalle parti. Secondo il TAR imputare all’ETI l’intera condotta anticoncorrenziale posta in essere dall’ AAMS sarebbe incompatibile con il principio della responsabilità personale.[3]       
Il Consiglio di Stato, pronunziandosi sull’appello proposto dalle parti contro la sentenza del TAR, aveva parimenti escluso che l’ETI potesse essere chiamata a rispondere della condotta posta in essere dall’ AAMS. Il trasferimento delle attività di produzione e vendita avevano innovato in modo rilevante la struttura organizzativa e gestionale dell’impresa colludente; di conseguenza il ricorso al criterio della continuità economica al fine di imputare all’ ETI la responsabilità dell’intero illecito non appariva fondato.
Ciònonostante, il Consiglio di Stato decideva, comunque, di adire la Corte di Giustizia in via pregiudiziale ex art. 234 CE affinché i giudici comunitari potessero fare piena luce sui criteri che in tali casi regolano l’imputazione dell’illecito concorrenziale.[4]
 
2. La sentenza della Corte di Giustizia
Il quesito posto dal Consiglio di Stato è se, e sulla base di quali criteri, una condotta anticoncorrenziale, intrapresa da un ente e conclusa da un altro ente succeduto nel settore economico interessato dalla condotta al primo, il quale, tuttavia continuare ad esistere giuridicamente pur non essendo più un’impresa commerciale, può essere imputata interamente al secondo ente.
a)     La questione della ricevibilità della causa
Il primo problema affrontato dai giudici comunitari riguarda la ricevibilità delle questioni poste dal Consiglio di Stato. L’art. 234 CE attribuisce alla Corte di Giustizia la competenza a conoscere in via pregiudiziale di questioni riguardanti l’interpretazione e validità del diritto comunitario. La causa principale, invece, riguardava la validità della decisione di un’autorità nazionale della concorrenza (l’AGCM), la quale aveva esclusivamente applicato le disposizione nazionali in materia di diritto della concorrenza, previste dalla L. 287/1990.
A partire dal caso Dzodzi i giudici comunitari hanno chiarito che la competenza della Corte di Giustizia ex art. 234 CE non si limita alle sole questioni relative all’interpretazione del diritto comunitario. Invece, si estende anche alle disposizioni o nozioni che le norme nazionali degli stati membri hanno ripreso dal diritto comunitario per la disciplina di situazioni interne.[5] Anche in questo caso si ha un interesse comunitario all’interpretazione uniforme delle disposizioni di diritto comunitario alle quale le norme nazionali si riferiscono e tanto basta a legittimare la competenza della Corte. In particolare, la competenza della Corte si rende necessaria per prevenire future divergenze interpretative.
Per quanto riguarda più specificamente la normativa nazionale oggetto del rinvio pregiudiziale in questione, è lo stesso art. 1 della L. 287/90 che stabilisce l’obbligo di interpretare le disposizioni del titolo I della stessa legge sulla base del diritto comunitario della concorrenza, nonostante che tali disposizioni disciplinino situazioni esclusivamente interne. Gli articoli 2 e 3 della citata legge, inoltre, nel tipizzare le condotte anticoncorrenziali vietate ripetono testualmente la formulazioni degli articoli 81 e 82 CE. Sulla base di questi elementi la Corte ha sancito la propria competenza a conoscere della questioni pregiudiziali rinviate alla sua attenzione dal Consiglio di Stato.
b)     La valutazioni della corte sul merito dell’imputabilità della responsabilità    
Una volta stabilito che le questioni pregiudiziali rinviate dal Consiglio di Stato rientrano nella competenza della Corte, i giudici comunitari procedono all’esame del merito delle questioni medesime. La Corte afferma che l’imputabilità della responsabilità per gli illeciti concorrenziali è governata, in via generale, dal principio della responsabilità personale. Tuttavia, tale principio in alcune occasioni può essere derogato per evitare che le imprese che hanno violato il diritto della concorrenza possano sfuggire alla conseguente sanzione a seguito di modifiche riguardante la loro natura giuridica o organizzativa, quali ristrutturazioni o cessioni. Già in precedenza i giudici comunitari avevano escluso che le modifiche di natura giuridica o organizzativa dell’ente che aveva violato il diritto della concorrenza potessero dar luogo alla creazione di un nuovo ente, al quale gli illeciti commessi dal primo ente non sono imputabili, se sotto l’aspetto economico i due enti costituiscono una sola entità.[6]
Ne discende che le forme giuridiche dell’ente che ha commesso l’infrazione e del suo successore sono irrilevanti ai fini dell’imputazione della responsabilità; così come è irrilevante che la decisione della cessione dell’attività è assunta non da singoli, ma dal legislatore.
Nel nostro caso l’AAMS, una volta cedute le attività di produzione e vendita di tabacchi a ETI non si è estinto. Infatti l’AAMS ha continuato ad esistere sul piano giuridico ed ha continuato a svolgere attività economiche, nel settore dei giochi d’azzardo e lotterie. Si tratta, quindi, di mercati diversi da quello della produzioni e vendita di tabacchi dove la condotta anticoncorrenziale è stata posta in essere.
Secondo la Corte, la circostanza che l’ente che ha iniziato la condotta illecita esiste ancora sul piano giuridico non può impedire l’imputazione dell’intera condotta all’ente che si reso cessionario dell’attività economiche cedute dal primo ente se alcune condizioni sono soddisfatte. In primo luogo, è necessario che i due enti siano stati al momento della realizzazione della condotta anticoncorrenziale sotto il controllo della stessa persona di diritto pubblico. Peraltro, la sentenza non chiarisce se questo criterio trova applicazione anche nel caso in cui i due enti si trovano soggetti al controllo di una persona di diritto privato.[7] Considerati, inoltre, gli stretti legami tra i due enti sul piano economico e organizzativo, è altresì necessario che gli enti in questione abbiamo sostanzialmente applicato le stesse direttive. In presenza di tali condizioni i due enti devono essere considerati come un’unica entità economica. Di qui l’imputazione unitaria dell’illecito all’ente che è subentrato all’originario.
È noto che l’AAMS e l’ETI erano rientravano sotto l’egida dallo stesso ente pubblico- il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Spetterà quindi al giudice di rinvio, alla luce dei criteri suggeriti dalla Corte, stabilire se l’AAMS e l’ETI, al momento della partecipazione al cartello, erano sotto il controllo di uno stesso ente pubblico, nel senso sopra indicato dai giudici comunitari. Se così fosse, sarebbe possibile derogare al principio della responsabilità personale e ricorrere al principio di continuità economica al fine di chiamare l’ETI a rispondere per l’intera condotta illecita qui in esame.  
 
3. Alcune osservazioni critiche sugli orientamenti manifestati dalla Corte di giustizia nella sentenza in commento
In breve, nel caso ETI la Corte di Giustizia è stata chiamata a pronunciarsi nella composizione in grande sezione su due questioni di rilevante importanza. La prima, riguardante l’ambito della competenza della Corte ex art. 234 CE, è stata decisa facendo riferimento al consolidato indirizzo giurisprudenziale formatosi in materia. La seconda questione, riguardante l’applicazione della sanzione in caso di successione temporale di imprese è decisamente più controversa tanto che, come si vedrà, i giudici e l’avvocato generale non hanno assunto una posizione comune al riguardo.
A)    Sulla questione della ricevibilità 
Come si diceva, sin dalla sentenza Dzodzi, una domanda di rinvio pregiudiziale con la qual il giudice di rinvio chiede lumi sull’interpretazione di norme nazionali che per la disciplina di situazioni interni rinviano alla normativa comunitaria rientra nella competenza della Corte ex art. 234 CE. La Corte di Giustizia può quindi conoscere questioni pregiudiziali avente ad oggetto l’interpretazione di disposizioni di diritto comunitario al quale le norme nazionali che rinviano a norme comunitarie per la regolamentazione di situazioni interne. Anche in questo caso, come argomenta la Corte, vi è l’esigenza di assicurare l’interpretazione uniforme del diritto comunitario.
La giurisprudenza Dzodzi, peraltro, è alquanto contrastata dalla dottrina. Se è vero che il diritto comunitario non disciplina la situazione o il rapporto oggetto della questione principale, a ragione non si potrà sostenere l’esigenza dell’interpretazione uniforme del diritto comunitario che costituisce la ratio della competenza della Corte a decidere sulle questioni pregiudiziali.[8]
Queste critiche sono meno fondate allorquando la questione pregiudiziale verte sul diritto della concorrenza. Come osservato correttamente dall’Avvocato Generale Kokott nelle sue conclusioni, nel settore del diritto della concorrenza si ha un’accentuata prossimità tra i diritti nazionali e il diritto comunitario. In questo campo i diritti nazionali si ispirano con frequenza al diritto comunitario, di qui uno spiccato interesse comunitario a garantire l’interpretazione e applicazione delle disposizioni di diritto comunitario il più possibile uniforme. Tale interesse preesiste all’adozione del regolamento CE 1/2003 che, com’è noto, ha introdotto una stretta correlazione tra diritto comunitario e diritti nazionali. Infatti anche in precedenza i diritti nazionali si rivolgevano al diritto comunitario per la disciplina di situazione interne. La stessa L. 287/90 ne costituisce un esempio, con la previsione dell’obbligo di interpretare il diritto nazionale della concorrenza in conformità al diritto comunitario.
B) sull’imputabilità della responsabilità
La secondo più controversa questione esaminata dalla Corte viene in rilievo in caso di successione di imprese nel tempo: se un illecito concorrenziale è incominciato da un ente e proseguito da un altro succeduto al primo, come dovrà essere imputata la responsabilità dell’illecito? L’illecito sarà imputabile ad entrambi od uno solo di essi? Quali sono i principi che nel diritto comunitario governano l’imputazione degli illeciti concorrenziali in tali situazioni?
In breve, il problema che il Consiglio di Stato ha rinviato alla Corte di Giustizia è se il diritto comunitario consente di imputare all’ETI anche la condotta illecita posta in essere dal suo predecessore, l’AAMS, ovvero se l’AAMS e l’ETI devono rispondere entrambi per l’illecito concorrenziale in questione, ciascuno limitatamente al periodo in cui hanno partecipato all’intesa.
La regola generale che nel diritto comunitario regola l’imputazione degli illeciti concorrenziali è il principio della personalità della responsabilità. Tale principio implica che la responsabilità dell’illecito deve essere imputata all’ente che ha partecipato all’intesa. È forse opportuno ricordare che il principio della responsabilità personale è anche uno dei principi generali che il nostro ordinamento prevede in materia di sanzioni amministrativi al cui genus appartengono le sanzioni comminate dall’AGCM per la violazione delle disposizioni del diritto della concorrenza. Infatti, l’art. 7 della L. 689/1981 nel sancire la natura personale della sanzione esclude che l’obbligo di pagare la sanzione amministrativa si trasmetta, al morte del cuius, agli eredi.
 Il ricorso eccessivamente formalistico al principio della responsabilità personale potrebbe pregiudicare l’effettività e la concreta attuazione del diritto comunitario. Le imprese, dopo aver commesso un’infrazione, con una semplice modifica della propria forma o natura giuridica potrebbero eludere le conseguenti sanzioni semplice avvalendosi della differente personalità giuridica acquisita a seguito delle modifiche. In questo modo l’effetto utile del diritto comunitario sarebbe pregiudicato.
 Per questa ragione le istituzioni comunitarie fanno allora affidamento al principio della continuità economica. Il ricorso a tale principio consente di imputare la responsabilità dell’illecito all’ente che sia succeduto al primo nel compimento dell’attività economica nell’ambito del quale è stata posta in essere la condotta anticoncorrenziale sanzionata. Occorre peraltro precisare che il principio della continuità economica non costituisce un’alternativa al principio della responsabilità personale, ma ne è un complemento. Si applica solo in circostanze eccezionali che giustificano la deroga alla regola generale della responsabilità personale se questa è necessaria per garantire l’attuazione del diritto comunitario. 
Ma quali sono in concreto tali circostanze eccezionali? Con l’aiuto dell’Avvocato Generale Kokott è possibile è possibile individuare nella giurisprudenza dei giudici comunitari e nella prassi decisionale della Commissione tre diverse situazioni in presenza delle quali l’applicazione del principio della continuità economica sembra prospettabile:
A) modifiche concernenti esclusivamente l’impresa partecipante alla condotta anticoncorrenziale, per effetto dei quali l’ente titolare dell’impresa cessa di esistere sul piano giuridico. Una operazione di fusione può essere riconducibile a questo schema. In questo caso il principio di continuità è applicabile e dell’illecito ne risponderà l’ente successore dell’ente estinto.
B) operazioni di ristrutturazione nell’ambito di un gruppo di imprese, per effetto delle quali l’ente che ha iniziato la condotta anticoncorrenziale non cessa di esistere sul piano giuridico ma non esercita più alcuna attività economica, neanche in mercati diversi da quelli interessati dalla condotta anticoncorrenziale. In questo caso, ai fini dell’applicazione del principio di continuità economica è richiesta l’esistenza di un nesso strutturale, ad esempio la partecipazione ad uno stesso gruppo di imprese, tra l’ente che viene meno e l’ente che è succeduto al primo nello svolgimento dell’attività economica. Il nesso strutturale tra i due enti ha dunque un ruolo decisivo, visto che la sua esistenza può essere considerato come indice rivelatore della natura non genuina dell’operazione di ristrutturazione, invece avente una finalità elusiva della sanzione.
C) la terza possibile situazione in cui il principio di continuità economica può essere invocata è più problematica. Si tratta della cessione delle attività economiche nello svolgimento delle quali l’illecito è stato commesso a un terzo indipendente che non sia legato da alcun nesso strutturale con il cedente. Il principio di continuità economica, tenuto anche conto della sua natura di norma eccezionale, può essere applicato solo in presenza di prova della natura fraudolente della cessione; in altre parole, la cessione deve essere posta in essere con il solo intento di eludere l’applicazione delle sanzioni per l’infrazione.
A questo punto si deve stabilire se ed eventualmente a quale delle situazioni sopra descritte la fattispecie concreta oggetto della sentenza ETI è riconducibile. Si tratta, invero, di un compito alquanto arduo, avendo a mente le circostanze fattuali del caso. In particolare, il problema maggiore è dato dalla circostanza che l’ente originario AAMS ha ceduto solo parte delle attività economiche, ma continua essa stessa ad esistere sul piano giuridico e a svolgere attività di impresa, sia pure in settori economici diversi da quello in cui l’illecito concorrenziale in questione è stato commesso.
Secondo l’avvocato generale tale situazione non sarebbe riconducibile ad alcuna delle situazioni di cui sopra. Infatti non si ha una modifica della natura o struttura dell’ente originario in virtù della quale questo viene a cessare di esistere sul piano giuridico o cessa il compimento di tutte le attività economiche. Né è possibile riscontrare un nesso strutturale tra l’ente originario e l’ente cessionario al momento dell’irrogazione della sanzione. Né infine ricorre la situazione sub C) dato che non è stata dimostrata la natura fraudolenta della cessione delle attività economiche.
Insomma, conclude, l’avvocato generale, la situazione alla quale il caso in questione è più simile è quella dell’alienazione di un’impresa ad un terzo indipendente a prezzi di mercato. Se così è vero non sussistono ragioni sufficiente a derogare al principio della responsabilità personale in favore del principio di continuità economica. Di qui, l’imputazione dell’intesa anticoncorrenziale deve essere regolata dal principi della responsabilità personale.
Ma, come sopra accennato, la Corte non condivide le conclusioni dell’avvocato generale e invece propende per il ricorso al principio di continuità economica. La Commissione nella sua prassi aveva già in alcuni casi stabilito che l’ente successore risponde dell’illecito commesso dall’ente originario se i due enti possono essere considerati come un’ unica entità economica.[9] Premesso che, come illustrato dal Tribunale di Primo Grado l’imputazione dell’illecito all’ente successore deve essere adeguatamente motivata,[10] vediamo come la Corte ha motivato l’imputazione dell’illecito in capo all’ETI. La successione tra l’AAMS e l’ETI, se la succinta motivazione fornita sul punto dalla Corte è qui  correttamente interpretata, è riconducibile alla situazione di cui al punto B). La Corte ipotizza che al momento della commissione dell’illecito l’AAMS e l’ETI erano collegate da un nesso strutturale costituito dall’essere assoggettate al controllo da parte del medesimo ente di diritto pubblico, il Ministero dell’Economia e Finanze. Se ciò sarà dimostrato dal giudice di rinvio l’AAMS e l’ETI possono essere considerate, ai fini dell’applicazione del diritto della concorrenza come un’unica entità economica con conseguente imputazione unitaria dell’illecito anticoncorrenziale all’ente successore, quindi all’ETI.
La corte e l’avvocato generale si dividono anche su un’altra importante questione riguardante il momento temporale rilevante per accertare l’esistenza del nesso strutturale. Per l’avvocato generale rileva il momento dell’irrogazione della sanzione. La Corte invece anticipa tale momento a quello della commissione dell’illecito. Si tratta di una posizione penalizzante le imprese le quali si vedono imputare un illecito concorrenziale e irrogare la relativa sanzione anche se in questo momento non sono più legate dal nesso strutturale.[11]
 
4.Conclusioni
Con la sentenza qui in commento la Corte di Giustizia ha fornito un’interpretazione alquanto estensiva delle condizioni in presenza delle quali in caso di successione temporale di imprese un illecito concorrenziale può essere imputato sulla base del principio di continuità economica in luogo della regola generale della responsabilità personale. Si tratta di un orientamento di non trascurabile rilevanza pratica, in particolare avendo riguardo alle operazioni di privatizzazione. Un soggetto privato che ha rilevato determinate attività economiche già esercitate da un ente pubblico potrebbe vedersi chiamato a rispondere di eventuali illecito concorrenziali posti in essere dall’ente cedente nell’esercizio dell’attività ceduta, qualora l’ente cedente stesso non cessi di esistere e continui a svolgere attività economica in altro settore. Si tratta quindi un indirizzo nuovo anche rispetto al nostro diritto amministrativo, considerando le posizioni espresse al riguardo dal Tar Lazio e dal Consiglio di Stato.
Ad ogni modo la soluzione proposta dall’avvocato generale pare preferibile, in primo luogo in quanto maggiormente in linea con la funzione di prevenzione assegnata alla sanzione per le infrazioni del diritto della concorrenza. Se si consideri l’aspetto di speciale prevenzione, visto che l’AAMS continua ad esercitare un’attività economica a seguito dell’irrogazione della sanzione in virtù del principio della responsabilità personale, sarà maggiormente incentivata al rispetto del diritto di concorrenza nello svolgimento di tale attività. Per quanto riguarda, poi, l’aspetto di prevenzione generale, le imprese operanti nel settore tabacchi saranno parimenti maggiormente incentivate ad osservare il diritto della concorrenza al fine di evitare l’irrogazione di sanzioni.
Inoltre non è detto che il cessionario delle attività tragga necessariamente dei benefici dell’illecito in questione e di conseguenza ne debba anche sopportare gli effetti negativi e quindi essere tenuto al pagamento della sanzione risultante. Non può certo essere escluso che l’illecito abbia dato luogo ad un aumento del valore dell’impresa al momento della cessione e in questo caso sarebbe stato lo Stato Italiano ad ottenere un beneficio economico dall’illecito sotto forma di un più alto prezzo di vendita.
Si deve peraltro segnalare che la soluzione sostenuta dall’avvocato generale avrebbe portato ad un risultato paradossale. Con l’imputazione della condotta anticoncorrenziale anche all’AAMS, limitatamente al periodo durante il quale ha partecipato all’intesa, lo Stato italiano avrebbe assunto una duplice posizione: da un lato soggetto passivo, tramite l’AAMS, dell’obbligo di pagare la sanzione e dall’altro soggetto che irroga la sanzione e nonché beneficiario dell’importo corrispondente. Forse è stata la considerazione di tale paradosso che ha indotto la Corte ad optare per il principio di continuità economica e, conseguentemente, all’imputare della responsabilità l’intero illecito concorrenziale unicamente all’ente successore in quanto ente privato.
 
Avv. Michele Giannino


[1]Corte di Giustizia CE, causa C-280/06 Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato c. Ente Tabacchi Italiani – ETI e al.
[2] AGCM, provvedimento n. 11795, caso I479, Variazione di prezzo di alcune marche di tabacchi, in Boll. 11/2003.
[3] TAR Lazio, Prima Sezione, 9-14 luglio 2003, n. 9203.
[4] Consiglio di Stato, ordinanza 11 aprile 2006, n. 1998.
[5]    Corte di Giustizia CE, sentenze 18 ottobre 1990, cause riunite C-298/88 e C-197/89, Dzodzi, Racc. pag. I-3763. 
[6]    Questo principio è stato affermato in Corte di Giustizia CE, Aalborg Portland e al/ Commissione
[7] Così, E Gambaro e F Mazzocchi, Successione di imprese e imputazione della responsabilità in materia di concorrenza. Il caso Ente Tabacchi Italiani, in Mercato concorrenza regole, 2008, pp. 329. 
[8] G Tesauro, Diritto Comunitario, (Cedam, 2005), pag. 317.
[9]    Commissione Europea, PVC, GUCE, 1989, pag. L74/1.
[10] Tribunale di Primo Grado CE, causa T-38/92, All Weather Sports Benelux BV c Commissione, Racc. 1994, II-211.
[11]  Gambaro e Mazzocchi, op. cit.

Giannino Michele

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